martedì 1 febbraio 2011

La clinica della lingua e dell'atto negli adolescenti


L’adolescenza è prima di tutto un significante dell’Altro che dalla fine del ventesimo secolo serve a designare un momento particolare della vita che rientra nel campo di un tempo logico proprio a ciascuno. L’adolescente adotta un nuovo modo di parlare e di dire le sensazioni inedite che sorgono in lui e lo mettono a confronto con il nuovo, ridando valore al bell’enunciato di Arthur Rimbaud: “trovare una lingua.[1] La nostra tesi prende questo momento, detto di crisi dell’adolescenza, per affermare che la sua sfida fondamentale si situa nel rapporto del corpo vivente delladolescente moderno con la lingua articolata, quella detta del senso comune. È ciò che io propongo di chiamare “una crisi del linguaggio, o “crisi della lingua articolata all’Altro”. Ed è a partire da questo punto che emerge la questione dell’atto, così importante quando il soggetto non può più articolare il suo essere alla lingua dell’Altro.

Metamorfosi della messa in gioco della pulsione
Questa novità fa del corpo il luogo di una “bizzarra sofferenza,[2] sovente opaca e indicibile, che può condurre alla peggio a un passaggio all’atto, se ignoriamo il reale in gioco.
Freud nomina questo reale, che non si riduce al reale biologico di un semplice aumento ormonale, le metamorfosi della pubertà. Questo momento logico è segnato dalla scoperta dell’emersione di un nuovo oggetto, quello sessuale, che mette in gioco la pulsione sessuale fino a quel momento autoerotica. Un nuovo obiettivo sessuale è dunque dato, o richiesto, cosa che si ripercuote sull’annodamento del corpo con la lingua. In tal modo l’adolescenza è da una parte metaforica, nel senso che implica la sostituzione di un significante a un altro, ma dall’altra parte essa ha a che fare con l’oggetto metonimico, quello della pulsione sessuale, che fa irruzione nel reale che esige sempre dal soggetto, in un modo superegoico, un più di soddisfazione, un più di godere.
La questione è vedere quale prezzo dovrà pagare l’adolescente per superare questa tappa rischiosa della trasformazione del suo corpo, che ne fa un corpo sessuato e che comprende i passaggi all’atto. Nello stesso tempo appare l’incontro con il desiderio sessuale di un partner. È quello che viene davanti alla scena, da qui l’importanza di quello che Lacan chiama l’acting-out. Lì c’è un rimaneggiamento radicale della vita sessuale infantile a causa della scelta dell’oggetto d’amore sessuato. È questa la tappa della riscoperta dell’oggetto al quale l’infante aveva rinunciato alla fine dell’Edipo, prima di entrare nel tempo della latenza. Questa si accompagna alla rimozione dell’oggetto parentale, che si vede definitivamente condannato come oggetto sessuale. In effetti, in piena ricerca di se stesso, l’adolescente si deve assumere, il più delle volte da solo, la sua identità sessuale secondo la formula della sessuazione che deve scegliere.
La psicoanalisi porta una nuova luce su questo momento della pubertà, che Freud rende equivalente alla “perforazione di una galleria da due lati.[3] Quindi un buco (in francese trou, ndt.) in cui un’estremità buca l’autorità, il sapere, la consistenza dell’Altro genitoriale, e l’altra estremità perturba il vissuto del corpo infantile, facendo buco nella sua esistenza di bambino. Un tunnel dove si opera una sconnessione per il soggetto tra il suo essere infantile e il suo essere uomo o donna a venire. Attraversamento del tunnel che Victor Hugo aveva dipinto come una zona crepuscolare da lui chiamata come la più delicata delle transizioni, o “l’inizio di una donna alla fine di una bambina.[4]
La transizione, formula retorica che definisce il passaggio di un’idea a un’altra, rende conto del cambiamento marcato dalla difficoltà che prova il soggetto a continuare a situare il suo essere nel discorso che, fino ad allora, gli dava un’idea di lui come bambino fallico, o il suo posto come oggetto legato al desiderio dell’Altro genitoriale.

Come fare con il buco?
Ogni adolescente testimonia a suo modo di come si situa singolarmente davanti a questo reale del Risveglio di primavera[5]. Per l’adolescente la sessualità fa “buco nel reale[6] e lo confronta a un buco nel sapere che mette in questione tutto il sapere dell’Altro, e lo fa scontrare con un impossibile o con un reale indicibile. Lacan riprende a suo modo il buco del sapere e il buco dell’intima sessualità del bambino, già messa in evidenza da Freud con la sua metafora del tunnel. È in questo che si può identificare la pubertà come un troumatisme.
Il reale della psicoanalisi è quello che Lacan ha scoperto con i suoi pazienti e attraverso l’opera di Freud. Questo reale si trova nel famoso enunciato “non c’è rapporto sessuale”, il cui corrispettivo potrebbe essere: ma c’è del godimento, soprattutto a livello di un più di godere come elemento pulsionale nuovo che sgorga là nel corpo di ciascuno, confrontandolo con un certo fuori-senso, fuori senso del discorso comune.
Non c’è rapporto sessuale significa che, per tutti i soggetti presi nel linguaggio, non c’è niente nell’inconscio che dice a un uomo come comportarsi con una donna e a una donna come comportarsi con un uomo. Il godimento in quanto tale rientra nel regime dell’Uno. Esso è, nel suo fondamento, ideale e solitario, senza stabilire nessun rapporto con l’Altro; anche se il soggetto crede possibile l’esperienza di un rapporto sessuale, il godimento del corpo dell’Altro si scontra con un’impasse, con un impossibile, con un non-rapporto.
A questo reale con il quale Freud si scontra (e che aveva chiamato das Ding”, la cosa freudiana), Lacan ha dato lo statuto logico di una scrittura, quella dell’oggetto a.

Dal buco al legame da stabilire: la tensione tra l’ideale e la maturazione dell’oggetto a
Lacan dà al suo oggetto a la funzione logica di essere quello che, al cuore di ogni essere umano, ha a che fare con un reale inammissibile per la funzione simbolica. Per l’adolescente, questo oggetto a è anche quello che causa le sue sofferenze moderne, sempre moderne dell’essere in diretto contatto con la pulsione.
Perché se può causare il desiderio, chiedendo in un modo paradossale sempre più libertà, la libertà libera, più diritto a vivere la vera vita, essendo affascinati dalle prese del rischio imperativo, potrà anche essere ciò che farà la miseria del soggetto, in nome di una volontà oscura di voler godere ancora più della vita. Oppure, il semplice fatto di essere assoggettati al linguaggio che viene a limitare il godimento in sostanza ha a che fare con la civilizzazione, ma molto spesso gli adolescenti lo rimettono in causa. Da qui si origina questa tensione fondamentale tra passione e ragione, tra sensazione corporea e sensi, tra natura e cultura, tra essere autentico e acconsentire ai sembianti, tra ciò che dell’oggetto a è preso nella pulsione e l’ideale “I” che attraversa tutta la clinica dell’adolescente.
Oggi la sparizione degli ideali, o il loro spostamento verso gli oggetti del godimento o di consumo, ha portato al fatto che l’importanza dell’oggetto rimpiazza quella dell’ideale. È quello che Jacques-Alain Miller ha formalizzato con il matema della modernità, a > I,[7] che ne rileva la tensione soggiacente e ne indica il punto d’impasse. Questo matema ci serve a decifrare ciò che è in gioco nell’adolescenza nella tensione tra ideale e oggetto.
Quindi la caduta dell’identificazione fallica si effettua a mo’ di touché e confronta l’adolecente con la libido, vale a dire al corpo nella sua dimensione pulsionale, presa come oggetto a, al corpo indicibile. Si tratta di questo reale che noi chiamiamola macchia nera[8] (in francese “la tache noir”, ndt.) del soggetto per designare la parte di lui che fa macchia nel quadro della sua esistenza, e che rischia, se egli vi si identifica troppo, di devastare il suo essere. Certi soggetti si identificano con il vuoto che si scopre a mo’ di niente o di rifiuto, altri preferiscono la scommessa narcisistica del corpo come luogo della sensazione fuori senso, della forza della vita.
La consapevolezza del fallimento dell’Altro produce ciò che Lacan chiama “il significante della mancanza dell’Altro, cioè S di A grande barrato, che rivela il reale proprio a ciascuno, ovvero il luogo di questa insicurezza del linguaggio.
D’altro canto Lacan non ha definito la pubertà come il tempo logico “in funzione di un legame, da stabilire, tra la maturazione dell’oggetto a e l’età della pubertà.[9] In questo legame da stabilire, l’adolescente può fare la scelta insondabile di corto-circuitarlo, cosa che lo precipita allora nella messa in scena organizzata dell’acting-out, portando dei vestiti particolari (dizionario del Look), fino a condotte di dipendenza verso la fretta del passaggio all’atto. Se la dimensione dell’atto è così importante nelle patologie dell’adolescenza, è perché l’atto è un tentativo di inscrivere, nelle crisi dell’identità che sono crisi del desiderio, la parte di reale legata all’oggetto a. La recrudescenza dei passaggi all’atto è un tentativo di correlarsi all’oggetto a e di farsi un nome del godimento (tossico, delinquente, ecc...). Questo reale suscita, tuttavia, il risveglio di fantasmi e di sogni che conducono il soggetto a un certo esilio.

L’adolescente, nel quale circola il sangue dell’esilio e di un padre”[10] e i tre esili del soggetto
Da qui il paradosso fondamentale dell’adolescenza che cattura perché quando si parla di crisi, si tratta di ciò che risveglia il reale della sessualità, che invece di rendere possibile il rapporto sessuale come si potrebbe aspettare, solleva in nome della causa del godimento dei fantasmi che allonta, e modifica il rapporto del soggetto alla propria lingua. L’esilio del soggetto è qui ancora più manifesto. Il fallimento nel trovare la parola chiave per entrare nel senso comune, questo godimento dà improvvisamente al soggetto il sentimento di essere nella certezza del vero, lo conduce spesso a sentirsi a parte, in esilio, a rischio di provare un certo vuoto.
C’è in principio l’esilio fondamentale del soggetto, legato al fatto che si deve situare nel linguaggio, o la coppia ordinata S1-S2, per dire ciò che egli è. C’è da tradurre il suo essere nelle parole, ciò che lo esilia dal godimento primitivo del vivente per ripresentarsi nelle parole. Preso dal fatto del reale della pubertà, il soggetto si trova esiliato dal proprio corpo di bambino e dalle parole della sua infanzia, dalla sua lingua dell’infanzia che si articola, senza che possa dire ciò che gli succede.
Il paradosso che affronta allora nel suo incontro con la sua sessualità è che l’ha vista sempre come un qualcosa di estraneo che non si può tradurre in parole, ed è per questo che Lacan parla dell’Altro sesso. Questo terzo esilio, o l’esilio del proprio godimento che avviene in rapporto all’Altro, l’esilio in una solitudine, non si può dire all’Altro. Lacan precisa, che non c’è miglior termine di quello di esilio per esprimere il non-rapporto sessuale[11]. Il troumatisme della sessualità fa da buco nel reale.
La libido può quindi essere considerata una risposta sintomatica alla pubertà del soggetto alla libido[12]. L’adolescente, in lotta contro le pulsioni parziali, al momento in cui la battaglia si fa rabbia, deve identificarsi con gli ideali del suo sesso, che lo rinviano al meglio alla sua solitudine[13]. A causa di ciò che vedeva in lui e i suoi fantasmi,il soggetto pensa che non riesce a comprendere di sé stesso lo rende incomprensibile all’Altro. La delicata transizione dell’adolescenza ha a che fare con l’incontro di questo reale, momento in cui l’angoscia, lo sgomento, la noia, la solitudine e il sentimento di vergogna o l’aggressività occupano il centro della scena. Questi momenti di esilio sono vissuti in modo più acuto e reale quando questi adolescenti vivono in luoghi dove si è già giocata una certa precarietà simbolica, di esclusione o di rifiuto come in alcune scuole nelle banlieues.

Trovare il luogo e la formula di fronte alla situazione di stallo della traduzione
L’adolescenza appare dunque in principio, di fronte a questo buco al quale essa rinvia, come un momento di fragilità per l’adolescente, ma anche di invenzione e di creazione moderna. La poesia moderna è quella che parte da Rimbaud,[14] ci orienta verso l’adolescenza di Rimbaud stesso, che egli chiama “primavera”,[15] scrivendo anche in Vagabondi il vero enunciato paradigmatico dell’adolescenza: “[…] io nell’urgenza di trovare il luogo e la formula”.[16] Frase che tormenta ancora i giovani.[17] L’adolescente vive sempre nell’ultimo, l’attesa è al di sotto delle sue forze,[18] il suo tempo si accorda con la velocità. “Je suis venu trop tôt dans un monde trop vieux” [Sono arrivato troppo presto in un mondo troppo vecchio (ndt.)].[19] Se è sotto pressione, l’adolescente rischia di vagare e di perdere la sua vita correndo dietro ad altre vite.
Ciò che mette fretta al soggetto di trovare il luogo e la formula è la sessualità che fa buco nel reale, che spinge il soggetto a trovare nel senso di trou-ver[20] il luogo dove elaborare la propria formula. Ricercare il luogo e la formula dove essere identificato, ricercare il proprio nome del godimento, non avendo trovato un no al godimento rovinoso emerso al momento della pubertà, resta quindi la ricerca centrale dell’adolescenza. Al momento di presentarsi sulla scena sociale, può trovare un appiglio nel nuovo rapporto del godimento che ha con il proprio corpo. Quando le crisi d’identità sono fonti di crisi del desiderio, l’adolescente può quindi tentare di situarsi attraverso un atto in nome della vera vita. Questa dimensione dell’atto spinge alcuni alla fretta – quell’“urgenza di cui parla Rimbaud a voler mettere alla prova l’atto, a vedere una certa violenza, la dimensione della verità del loro essere.
Difronte all’eccesso di godimento che invade il suo corpo e lo lascia fuori discorso, l’adolescente può dunque scegliere un certo vagabondare verbale o fisico. Si tratta di questo eccesso di godimento che Rimbaud evoca nella sua poesia “Sensazione” e che egli ha saputo scrivere così:

Non dirò niente, non penserò niente: ma
l’amore infinito mi salirà nell’anima,
e andrò lontano, più lontano come uno zingaro
nella Natura, felice come con una donna”.[21]

Questo eccesso che lascia il soggetto in panne “di traduzioni e di immagini verbali,[22] può chiarire il modo nel quale questa transizione dell’adolescenza è anche un’impresa di traduzione.
 
Di fronte alla crisi del linguaggio, l’etica del dire la propria sofferenza
L’adolescente dice le sue “sensazioni” o i suoi “disturbi in tutti i sensi” nella grammatica pulsionale del proprio tempo, che gode nella prossimità del suo corpo. Si tratta o di situarsi al servizio di una pulsione parziale, ripiegandosi su una volontà oscura che spinge a volere altre cose, e alla quale è difficile cedere, o di reprimerla.
Una sera, ho fatto sedere la Bellezza sulle mie ginocchia.
– E l’ho trovata amara. – E l’ho insultata”.[23]
Il significante da solo S1 direttamente collegato con la pulsione può allora essere liberato e alterare il legame con l’Altro. La crisi della lingua, legata strutturalmente a questo buco nel reale, mette in questione questo legame con l’Altro e produce l’insicurezza del linguaggio. L’adolescente preferisce assicurarsi da solo il suo S1, che annoda direttamente il suo corpo al pensiero. Se è decisiva la scelta di questi momenti di denuncia dell’Altro, del Sapere dell’Altro, è perché sono differenti secondo le strutture cliniche. Anche se c’è un’ironia propria all’adolescenza, rispetto a questa crisi del linguaggio che essa attraversa, non si tratta dell’infernale ironia della schizofrenia di cui Jacques-Alain Miller precisa, seguendo Lacan,[24] che è “un’arma” alla radice stesa di tutte le relazioni sociali.[25] L’ironia degli adolescenti è quella che mette in questione il Sapere dell’Altro (S2), davanti a tutto il potere della nuova sensazione alla quale essi tengono. È questo S2 che Lacan chiama il Sapere e che è uno dei problemi fondamentali della messa in questione dell’adolescenza. La coppia ordinata S1-S2 è al tempo stesso ciò che chiamiamo linguaggio formale. Questo fondamento dell’articolazione del soggetto con il legame sociale non offre più lo stesso sollievo per alcuni adolescenti, che rivendicano una volontà di godere sia come loro la intendono, sia dal modo di intendere le parole S1 completamente sole che percepiscono nella loro testa. Per questa ragione, spesso senza saperlo, anche senza il Sapere, rifiutano il discorso stabilito al quale avevano acconsentito durante l’infanzia.
Dal fatto di non incontrare più il sollievo di un discorso stabilito, il giovane della nostra “modernità ironica”, si trova solo, più ancora di altre volte, di fronte al “buco del reale” della sua sessualità. Da qui il problema cruciale del dovere dire ciò che fa soffrire, ciò che di suo è in attesa d’essere tradotto, ovvero articolato in S2 all’Altro del Sapere; da qui la necessità di offrirgli un luogo per stabilire di nuovo questo legame, questo legame all’Altro. È a questa lettera di sofferenza che Lacan ha dato lo statuto di oggetto a. Il più delle volte è a partire dalla sensazione che l’adolescente rischia il suo “je” (io); ed è da questa nuova enunciazione che egli tenta di intraprendere ciò che noi chiamiamo la lingua dell’autenticità”, nel senso di “authenti-cité”,[26] questa lingua della sensazione immediata che si gioca o si gode, che si articola piuttosto alla sensazione, come S1, che al significante del Sapere dell’Altro. Con questa lingua l’adolescente mette al posto del Sapere la verità immediata del suo essere.

I paradossi dell’adolescente: domanda di rispetto e provocazione linguistica
È in questo punto preciso che l’adolescente oggi pone ciò che noi abbiamo nominato il suo sintomo, o la sua “domanda di rispetto”.[27] Là si gioca anche per altri una forma di provocazione linguistica. È questo il momento in cui l’adolescente ha il compito, il dovere etico di trovare una lingua per dirsi all’Altro. Ciò fa dire che la crisi dell’adolescente, è prima di tutto una crisi del linguaggio.
Questa ricerca della lingua di Rimbaud, il suo famoso “trovare una lingua è all’inizio dell’enunciato della ragazza de L’esquive”,[28] che dice di parlare la lingua della città, carica di violenza e d’insulti, perché è ciò che le permette di “prendere posizione”. Prendere posizione nella lingua, nel modo più irrispettoso e sgradevole per l’Altro, è spesso un’impasse adottata da alcuni adolescenti. L’adolescente moderno fa un certo uso della lingua e se ne serve più per presentarsi che per rappresentarsi, cosa che implicherebbe una certa perdita di godimento.
Nella sua prefazione al Risveglio di primavera, Lacan ci dice che i ragazzi non penserebbero a fare l’amore con le ragazze senza il risveglio dei loro sogni, senza un certo risveglio della poesia. Gli adolescenti non sarebbero parassitati dagli insulti senza un certo risveglio della loro sessualità. Il vagabondaggio del provocatore moderno fa che egli alloggi nella sua sregolatezza dei sensi nel suo rapporto inedito a una lingua sintomo.
Noi proponiamo di leggere questa modalità provocatrice di parlare come il loro trattamento dell’impasse del buco nel reale con il quale essi si confrontano. Noi proponiamo di saper dire sì, mentre si dice no, di accogliere questa crisi del linguaggio come una crisi della lingua articolata.
Per coloro che si orientano nel discorso analitico, al contrario dei terapeuti cognitivo comportamentali, si tratta, attraverso questa crisi del linguaggio, di privilegiare l’angolazione della produzione di un sintomo, di una singolarità piuttosto che di un deficit: se questa singolarità sembra inadatta, è semplicemente perché non c’è stato, fino a quel momento, un Altro per autenticarla.
Come fare atto di presenza per autenticare, attraverso la propria parola, questa nuova via dell’adolescente, sapendo dire sì alla metamorfosi che l’ha condotto con le sue parole a sé stesso?[29]

Il compito dell’adolescente di fronte al declino dell’autorità
Per Freud, il compito dell’adolescente è di staccarsi dall’autorità dei propri genitori, uno degli effetti più necessari, ma anche tra i più dolorosi dello sviluppo. L’attività fantasmatica, secondo Freud, ha per compito quello di sbarazzarsi dei genitori ormai disprezzati,sia attraverso i sogni ad occhi aperti, le letture, lo scrivere diari segreti o giochi diversi, e può essere oggi la provocazione linguistica. Questo compito non passerà senza ripercussioni sul lato della lingua, perché è spesso attraverso l’autorità della lingua che si manifesta l’autorità dei genitori; il colpo di questa lingua sarà messo in gioco in un modo inedito. “Sto aizzando la lingua con frenesia”,[30] o “[…] m’incanaglio il più possibile[31] nella lingua, diceva Rimbaud.
Nella nostra epoca, forse più di prima, l’autorità della lingua non è più allo stesso posto, essa è talvolta assente e si trova anche spesso denunciata in modo ironico, e questo tanto più che certi giovani non hanno avuto la fortuna di ricevere nel modo corretto questo discorso stabilito dall’Altro, nel quale essi hanno situato il loro essere pulsionale, e che si è soliti chiamare educazione. È all’incontro con la lingua dell’autorità della trasmissione da parte di questi adolescenti e alle loro lingue che noi dobbiamo essere molto sensibili, perché là si gioca l’avvenire della loro inscrizione in ciò che essi hanno in ogni modo da imparare dall’Altro.
Oggi il declino della funzione paterna e il discredito gettato su certi discorsi mette in pericolo il mantenimento di un’autorità autentica. La funzione eccezionale del Padre, annodando la legge al desiderio, mostra come arrangiarsi con il proprio godimento sia nella vita privata, sapendo fare della propria donna la madre dei propri figli e ciò che causa il proprio desiderio, sia nella vita pubblica, offrendo dei punti di repere. Il padre stiva il rispetto e l’amore per un certo uso della lingua. Sapersi arrangiare con il proprio godimento incarnandolo in un modo di vivere e di parlare suscettibile di sostenere un luogo d’identificazione possibile dona diritto al rispetto e all’amore. La caduta di questa funzione del Nome del Padre precipita il soggetto in un disordine tale che egli può decidere di uscirne attraverso una provocazione o un atto sulla scena del mondo.

Una clinica dell’atto
Il corpo dell’adolescente è il luogo dell’esperienza della mancanza di sapere che spinge il soggetto all’esilio, ovvero a staccarsi dall’autorità dei genitori talvolta a prezzo di un atto separatore. La verità immediata del proprio essere, ognuno dà la sua migliore versione di un’invenzione, uno stile di vita, alla peggio rivelando la parte d’impossibile da sopportare attraverso un sintomo o un passaggio all’atto.
Per alcuni il sintomo opera un nodo tra il significante e il corpo, ma per altri, il passaggio all’atto o una pratica di rottura condannano il soggetto a vagabondare, lontano da ogni inscrizione significante di ancoraggio al campo dell’Altro. L’atto serve allora talvolta in modo paradossale per uscire dall’impasse del rapporto con l’Altro, con ciò che si sperimenta come un impossibile a dirsi. Questo atto, che concentra la preoccupazione di autenticità dell’adolescente, è anche la denuncia al mondo dei sembianti che lo circonda. Questi atti, fughe e vagabondaggi, ci vengono a dire come noi psicoanalisti vi rispondiamo in un altro modo senza ridurli a dei disordini del comportamento.
Quando fallisce il processo di traduzione, il processo di nominazione, si manifesta il disordine della condotta come formazione dell’inconscio più lunga, più continua che non è il sintomo freudiano. Anche il disordine del comportamento del soggetto è una risposta di fronte all’insicurezza linguistica che resiste dopo l’incontro con il buco della significazione della lingua.
Anche i disordini del comportamento sono sempre più spesso dei tentativi durante un’impasse di separarsi dall’Altro, segnato da un rifiuto di passare attraverso la parola e i sembianti che essi denunciano. Invitare a leggere questi disturbi come delle pantomime, è proporre di decifrare il testo che agiscono, ovvero il modo in cui il soggetto si situa di fronte al desiderio dell’Altro, con la volontà oscura di volersene separare. Dice Lacan: “Il suicidio è il solo atto che possa riuscire senza fallimenti. Se nessuno ne sa niente, è perché esso procede dal partito preso di non [voler] sapere niente”.[32] L’adolescente reclama a gran voce contro i suoi genitori, spesso in modo irrispettoso, la fiducia di cui ha bisogno per rinforzare la propria fiducia in se stesso, ed è ciò che esattamente manca di fare buco nel suo rapporto con l’Altro.  

Una clinica dell’ideale dell’io e il punto da dove
Se all’orizzonte l’uscita di una soddisfazione Altra sostiene la dimensione dell’atto e spinge l’adolescente a correlarsi a un oggetto del godimento, non scordiamo che nella maggior parte dei casi cerca anche un’uscita significante per nominare la sua parte indicibile, e facendosi nominare (cfr. trattare) dall’Altro: tossicomane o psicopatico, o anche il più delinquente, o la peggiore feccia. Certi adolescenti cedono alla mania della marca inscritta sul corpo – tatuaggi, piercing – come tentativo di inscrivere i limiti che essi non ricevono più dall’Altro. Se, per alcuni, l’oggetto del godimento occupa la scena principale, esso va talvolta a bucare lo scenario che li sosteneva fino a quel momento, permettendoci un margine d’operazione. Per questo si può cogliere come dei nuovi sintomi mettono in evidenza una clinica dell’ideale dell’Io, legato alla funzione di Nome del Padre.
Il Nome del Padre introduce all’uscita dall’Edipo, alla costituzione dell’Ideale a partire dal processo di identificazione, e apre alla costruzione per il soggetto della propria risposta singolare. L’ideale dell’Io, come tratto calcolato su questa funzione paterna, equivale al punto di capitone che stabilizza il sentimento della vita e dà al soggetto il suo luogo nell’Altro e la sua formula. Questo punto d’appoggio, a partire dal quale si dovrebbero decifrare i loro atti, è il “punto da dove” l’adolescente può vedersi degno di essere amato, vedersi amabile per un Altro che sappia dire sì al nuovo, al reale della libido che si manifesta in lui. Questi sintomi appaiono al momento in cui l’adolescente desidera essere visto e riconosciuto in un nuovo modo, mettendo in evidenza una clinica dell’ideale dell’Io nella quale ciò che si mostra è anche ciò che desidera essere inteso, al fine di trovare una risposta. Questo ci permette di leggere altrimenti ciò che si gioca in questi momenti di fughe, di vagabondaggi o di condotte a rischio.

L’adolescente e la psicoanalisi
Lo spazio di libertà di parola che noi offriamo agli adolescenti che riceviamo all’interno della seduta analitica disegna un quadro per cui il soggetto trova la via del nuovo nel dire. Sta a noi cogliere ciò che lo fa agire, aiutandolo a trovare un luogo d’indirizzo per la propria sofferenza, un luogo dove elaborare la propria formula, laddove ciò che egli rifiuta è la formula dell’Altro, e che avrà valore di supplenza. La psicoanalisi, per sostenere la maturazione, deve offrire il legame e il legame dell’associazione libera come traduzione possibile.
Un resto inassimilabile vi si può depositare. Questo resto è questa macchia nera, è l’oggetto a, questo reale insopportabile, questo indicibile, questa parte oscura dell’essere dalla quale non si guarisce, ma nella quale ci si accomoda più o meno bene. L’insopportabile esilia talvolta il soggetto dai suoi sentimenti d’umanità salvo che, se la incontra con l’Altro, apre questo punto da dove a partire da un “sì” alla propria assunzione di parola, alla propria parte dell’eccezionalità, alla propria enunciazione sempre incomparabile. Il nuovo emerge nel detto e può allora orientare una parola inedita, una nuova presa di posizione nella lingua e permettere all’adolescente di esprimere la via nuova che gli si offre.
È a partire da questo oggetto a che il soggetto prende parola, giustamente in un tempo logico necessario “in funzione di un legame, da stabilire, tra la maturazione dell’oggetto a.[33] Grazie alla presenza di uno psicoanalista, l’adolescente può trovare come dare alla propria lingua in impasse una piccola spinta, che può arrivare da questo punto da dove egli si sente parlare a un Altro che il suo analista incarna per lui. Per questo bisogna saper accogliere l’S1 da solo. Bisogna saper dire sì agli S1 del godimento, delle sensazioni immediate, della “libertà libera”, “della vera vita” alla quale essi credono. Bisogna saper offrire un’opportunità inventiva dell’alienazione significante, quella della lingua articolata S1-S2.
Questo è il riparo che si può incontrare con uno psicoanalista, guidando l’adolescente nel compito di dire il suo essere. Uno psicoanalista può per la sua presenza fisica e silenziosa, ovvero non portatrice di un ideale predicato sull’essere del soggetto, ma sapendo ricevere il nuovo, incarnare queste tensioni tra l’oggetto a e l’Ideale. Perché la molla fondamentale dell’operazione analitica è mantenere la distanza tra I e a.[34] L’operazione e la manovra del transfert stanno a regolare in questo modo la distanza tra il punto da dove il soggetto si vede amabile e questo altro punto dove il soggetto di vede causato come mancanza da a, e dove a viene a tappare la beanza che costituisce la divisione inaugurale.[35] Lo psicoanalista può accogliere questo punto di incontro sempre traumatico con l’Altro sesso poiché è ciò che buca il sapere. Può proporsi come garante, nel legame sociale, nello scioglimento di questo nodo tra Ideale e desiderio, al fine di far avvenire qualcosa di nuovo; egli può, grazie alla sua presenza e alla sua responsabilità, aprire la via d’accesso al desiderio di colui che si rivolge a lui, permettendogli di dire in modo paradossale una parte del suo impossibile a dirsi.  

  


[1] A. Rimbaud, “Lettera a Paul Demeny – 15 Maggio 1871”, in Opere, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1992, p. 455.
[2] A. Rimbaud, “I deserti dell’amore, in Opere, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1992, p. 195.
[3] S. Freud, “Terzo saggio. Le trasformazioni della pubertà (1905)”, in Tre saggi sulla teoria sessuale, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 92.
[4] V. Hugo citato da A. Stevens, “Sorties de l’adolescence”, in La Petite Girafe, n. 13, Mars 2001: Elle avait cette grâce fugitive de l’allure qui marque la plus délicate des transitions de l’adolescence, les deux crépuscules mêlés, le commencement d’une femme dans la fin d’une enfant [Ella aveva la grazia fuggevole dello stile che caratterizza la più delicata delle transizioni in adolescenza, due crepuscoli mescolati, il principio di una donna nella fine di una bambina]”.
[5] F. Wedekind, Risveglio di primavera, Utet, Torino 1981.
[6] J. Lacan J., “Prefazione” al Risveglio di primavera, in La Psicoanalisi, n. 7, 1990, p. 10.
[7] J.-A. Miller, E. Laurent, L’Autre qui n’existe pas et ses comités d’éthiques”, in La cause freudienne, revue de psychanalyse, n. 35, 1997.
[8] Questa macchia nera l’abbiamo incontrata in molti scrittori. Cfr. Numier R., J’y suis”. In La Nouvelle Revue Française, n°444, giugno 1990 (pp. 48-50). In questo bel testo, l’autore ci parla del punto di noia che struttura tutta la vita di Rimbaud, il quale diceva di essere preso “acqua sempre nera (in francese “eau toujours noire”, ndt.), luogo della “bizzarra sofferenza” che evoca nei “Deserti dell’amore” (op. cit., p. 195).
[9] J. Lacan, Il Seminario. Il libro X. (p. 281).
[10] A. Rimbaud, Œuvre-Vie, éd. Du centenaire, Arléa 1991 (p. 282).
[11] J. Lacan, Séminaire Livre XXIII, Le Sinthome (1975-1976), Seuil 2005, p 70.
[12] Stevens, Alexandre, « L’adolescence symptôme de la puberté » in Les feuillets du courtil n°15, Publication du Champ Freudien en Belgique, 1998.
[13] C. Louis-Combet, D’île et de mémoire, José Corti, 2004. Si tratta di un piccolo testo da ricordare per la solitudine dell’adolescente alle prese con le pulsioni della sua sessualità, che lo congedano nel “silenzio dove morirono le parole”.
13 R. Barthes, Le degré zéro de l’écriture, Seuil, Paris 1972, p 34.
[15] A. Rimbaud, “Lettera a Théodore de Banville – 24 Maggio 1870”, in op. cit., p. 439.
[16] A. Rimbaud, “Vagabondi”, in op. cit., p 317.
[17] Nel 1991 Henri Thomas, nel suo libro autobiografico “Ai-je une patrie?, scrive: Que j’ai du mêler à mon histoire quelques unes des romances de Rimbaud qui m’ont sauvé à quinze ans, en m’ouvrant ma patrie cachée; le langage; cela répondait à un espoir beaucoup plus profond que toutes les amours [Ho mescolato alla mia storia qualcuna delle poesie di Rimbaud che mi hanno salvato a quindici anni, aprendomi la mia patria nascosta; il linguaggio; e questo rispondeva a una speranza molto più profonda di tutti gli amori (ndt.)]. Ancora, nel 2004, Faïza Guène testimonia in “Kiffe Kiffe demain”, la vita difficile di un’adolescente di città che ha lasciato la scuola molto presto, e il ruolo decisivo che hanno giocato due persone: la sua psicoterapeuta e Hammoudi, un des grands de la cité qui lui récitait des poèmes de Rimbaud, qu’elle trouvait beaux [Uno dei grandi della città che gli recitava dei poemi di Rimbaud, che lei trovava belli (ndt.)].
[18] Hölderlin, Fragments Thalia, in Œuvres complètes, La pléiade, Gallimard 1976, p 113.
[19] A. Rimbaud, citato da A. Borer nella sua prefazione al testo Œuvre-vie, op.cit.
[20] Scomposizione della parola che mette in evidenza la radice trou del verbo (ndt.).
[21] A. Rimbaud, Sensazione”, in op. cit., p. 11.
[22] S. Freud, “Lettera a Fliess, n. 46, in Lettere a Wilhelm Fliess (1887-1904), Bollati Boringhieri, Torino 1986.
[23] A. Rimbaud, “Una stagione in Inferno”, in op. cit., p. 211.
[24] Lacan, rispondendo a degli studenti di filosofia, si riferisce alla sua clinica per dire che la funzione sociale della malattia mentale è l’ironia: “Quand vous aurez la pratique du schizophrène, vous saurez l’ironie qui l’arme, portant à la racine de toute relation sociale”. [Quando avrete esperienza della pratica con la schizofrenia, voi capirete che l’ironia che la arma è la radice di tutte le relazioni sociali (ndt)]. Cfr. J. Lacan, “Réponses à des étudiants en philosophie sur l’objet de la psychanalyse, 19 Febbraio 1966 , in Les Cahiers pour l’analyse, Epistémologie de l’Ecole Normale Supérieure, n. 3, mai-juin 1966.
[25] J.-A. Miller, Clinique ironique, in Revue de La cause freudienne, n. 23, 1993.
[26] Qui l’autore scompone la parola francese per sottolineare il legame con la civiltà: “authenti-cité” (ndt.).
[27] P. Lacadée, La demande de respect”, in Le malentendu de l’enfant, op. cit, p. 325.
[28] Film scritto e realizzato da Abdellatif Kechiche, uscito nelle sale nel 2004.
[29] J.-A. Miller, Du nouveau!… Introduzione alla lettura del Seminario V di J. Lacan, Ed. Rue Huysmans, Paris 2000.
[30] A. Rimbaud, “Lettera a Ernest Delahaye – 5 Marzo 1875”, in op. cit., p. 476.
[31] A. Rimbaud, “Lettera a Georges Izambard – 13 Maggio 1871”, in op. cit., p. 448.
[32] J. Lacan, Radiofonia/Televisione, Einaudi, Torino 1982, p. 97.
[33] J. Lacan, Il seminario. Il libro X, Einaudi, Torino 2007, p. 281.
[34] J. Lacan, Il seminario. Libro XI, Einaudi, Torino 2003.
[35] J. Lacan, Il seminario. Libro XI, Einaudi, Torino 2003.


Philippe Lacadée
Traduzione di Federica Facchin