sabato 14 luglio 2012

Sulla Scuola e sul concorso per dirigerla II


Al Sottosegretario di Stato
Dott. Marco Rossi Doria
Faccio seguito al mio primo scritto inviato alla Sua persona  in data 6 maggio 2012, con questo nuovo che raccoglie recenti riflessioni di coda, che il concorso per dirigenti scolastici e le caratteristiche fenomenologiche che ha assunto e di cui vengo a conoscenza, mi spingono a sviluppare.
La posizione assunta dalla “popolazione” di docenti  esclusi dal conseguimento delle prove orali, soprattutto dopo l’accesso ai loro scritti ed averli quindi riesaminati, ha via via rivelato,  una radicale trasformazione di pensiero sul merito, categoria di per sé astratta, e sull’ingranaggio meritocratico, tutt’altro che astratto ed ascrivibile all’insieme di norme decretate di volta in volta ex novo dai rappresentanti dell’ordine emissario del momento.
In particolare, l’iniziale sgomento, il cui peso paralizzante aveva assunto le forme di un silenzio assordante, di un vuoto dal peso schiacciante, di un urlo munchano senza suono, ha trovato la propria via d’accesso al senso, in una logica resistente al fallimento mortifero: proprio il rientrare in contatto con i propri elaborati restituisce agli autori ciò che significa elaborare, con un giusto peso e la parola per dirlo. 
Molti docenti, anche in una rilettura di riscontro à plus yeux, che ha accreditato loro il valore ottimale del lavoro esposto, hanno avuto conferma dell’intenzionale ambivalenza giocata dagli effetti del lavoro della commissione: il taglio eliminatorio che desse corpo al merito attraverso un’idea utilitaristica del rifiuto, ha finito invece per togliere definitivamente il velo alla reale strategia operata.
Proprio l’accesso e la rilettura dei singoli scritti, richiesti in massa dai docenti “bocciati”, spinti dal desiderio rivelatorio di una verità altra, oltre la barriera del voto valutativo, ha maturato la conferma di ciò che a loro è stato comunicato : un rifiuto sapientemente subliminato all’interno dell’ingranaggio concorsuale : il rifiuto a leggere, il rifiuto a comprendere e, soprattutto, il rifiuto ad apprendere dalle varie “esperienze”in quei testi  elaborate, condizione questa di cui, già nel mio scritto a Lei inviato, avevo fatto riferimento. 
In altre parole, ciò che finora la scuola ha sempre adottato come oggetto di lavoro, il sapere ed il linguaggio per tradurlo, definirlo e sapervi attingere, non è ciò che è stato adottato dalle commissioni esaminatrici : esse lo hanno rifiutato.
In un’ipotesi immaginaria, è come se il significante “commissario/a”, ed il suo identificarvisi, da parte dei soggetti preposti, avesse imposto un regime disciplinare tuttavia indisciplinato ovvero, rivolto a chiunque, alla massa-docente, anche a coloro che, proprio dalle Università, hanno conseguito riconoscimenti “di sapere”, così conferiti dalle stesse facoltà. 
Non si tratta di riconoscimenti  che la Commissione può individuare nell’elenco istituzionale dei titoli dei candidati bensì, come si conviene alle onorificenze, sono visibili solo attraverso una sapiente lettura dei compiti.
Bastava saperli leggere.
L’impressione che ne è sortita, invece, è stato un movimento numerico valutativo che molto ricorda la logica di un altro significante in auge al momento:  “SPREAD”. 
La sua etimologia non ha origini greche né latine, sul piano linguistico. Lo spread segue ed insegue persecutoriamente un suo significato attraverso la grammatica numerica ed il suo discorso è il grafico. Esso decide ora del bene e del male sociale ed economico di tutti gli stati europei. Esso decide se il popolo greco apparterrà o no alla comunità Europa che, sul piano linguistico, dialettico e filosofico, i greci hanno generato.
Decapitare la genitorialità presuppone un’analisi prospettica sugli effetti de-generativi che possono derivarne, con buona pace delle ipotesi progressiste e futuriste (progresso e civiltà sono spesso pensati con il medesimo significato e dunque confusi come sinonimi) e, la richiesta evidenziata alle prove orali del concorso per dirigenti scolastici di mostrare un sapere onnisciente e nozionistico sul modello del data-base, funzionale ad uno spread scolastico e come tale de-umanizzato, mostra non tanto l’eliminazione di docenti che non sanno, quanto il rifiuto persecutorio del loro sapere umanizzante, contrassegnato dal fenomeno dell’esperienza e, dunque, non arginabile numericamente.
Tale meccanismo ha finito per mostrare un ammanco nel bilancio delle risorse, che nella scuola si chiamano “risorse umane” 
Inarginabile, tuttavia, sembra essere stato anche il desiderio di una lettura propria e non imposta, evocando capacità inalienabili, da parte del nutrito numero dei docenti che hanno avuto valutazione negativa ai propri  scritti.
Gli autori degli elaborati eliminati, non hanno trovato risposta alla propria esclusione. La risposta ha giocato un ruolo di assenza,  pur se in modo molto ben articolato. 
L’identificazione di una NON risposta all’esclusione e le modalità assunte per articolarla, conducono,  in modo assolutamente speculare, alla mancanza di risposta che spieghi l’ammissione.
In altre parole coloro che sono stati esclusi, esaminati i propri scritti, sono consapevoli dell’evidente mancanza di errore così come coloro che sono stati ammessi, pur felici di esserlo, non ne comprendono le ragioni, senz’altro validissime, ma ad essi ignote. 
Gli esclusi e gli ammessi non sanno perché sono stati posti in un di qua o in un di là del numero 21.
Anche gli esami orali, con un curioso sistema di “pesca” degli interrogativi da porre ai candidati lombardi, dopo avere registrato numeri davvero elevati di eliminati per essere l’ultima fase di un percorso così straordinario,  ha posto in essere non tanto la natura ittica dei candidati, bensì la consapevolezza che si sia trattato sì di un percorso ad ostacoli, ma di natura non correlata al sistema “scuola”. Alcuni di loro avevano ottenuto punteggi elevati agli scritti (oscillanti da 25, a 28).
In Lombardia questa modalità concorsuale, ha posto in evidenza una lettura inequivocabile dell’unico oggetto di concorso, cui il sistema scuola deve assoggettarsi: il dominio sulla scuola stessa. Ciò che rende inequivocabile tale lettura, sono gli eccessi manifestati dalle commissioni esaminatrici nel rivelare tale natura. Condizione questa che consente di intravedere uno squilibrio oggettivo tra le finalità del concorso e la funzione energicamente espulsiva assunta dalle commissioni.
La notizia che, in Lombardia, un ingente numero di insegnanti, circa un centinaio ma forse molti di più, sia ricorso al T.A.R., ha consegnato l’immagine  inconfutabile di un  disastroso effetto  fallimentare della strategia medesima.
Tale rapporto numerico indicativo di un sociale e del suo muoversi, contrapposto alla rigidità numerico-valutativa utilizzata, pare rappresentare il risultato-boomerang sortito dalle modalità adottate dalle commissioni esaminatrici, così ossessivamente intese a sviluppare, in modo allargato, il senso di fallimento tra i docenti.
Questa situazione ha   evidenziato due aspetti significativi. 
Il primo riguarda il riscontro dei docenti, sapiente per esperienza e non per diritto divino, capace di ricondizionare gli effetti più frustranti  nella formulazione di un linguaggio a loro proprio, comune, non autistico,  come, al contrario, un predominio individualistico presuppone. 
Il secondo aspetto, del tutto parallelo al primo, in ordine di rilevanza , ma decisamente opposto sul piano delle significanze, è proprio la condizione di eccessiva ossessività con cui le commissioni sono state identificate e le immagini ossidanti che ha sortito,  di un vuoto dialettico ma soprattutto di pensiero unicamente orientato ai dettami del dominio.
Le impreviste reazioni dei commissari fronteggiati da ostacoli del tutto inaspettati come un ricorso in massa e di cui rilevo e leggo alcune testimonianze, chiariscono, dal lato organizzativo del concorso, una totale assenza di adesione al sistema che faccia legame, come nelle aree del sociale dovrebbe essere, mostrando, a tratti, produzioni individualistiche  che fanno difetto con qualsiasi sistema. 
Il dominio sulla scuola e non della scuola riporta ad un significato sociale-educativo storicamente interessante, soprattutto nel’attuale momento politico in cui mentre si “operano” i tagli alla scuola pubblica, con le regole che sottostanno al sistema di distribuzione del danaro pubblico, si finanziano le scuole private, che sappiamo essere per lo più di stampo cattolico.
C’è da chiedersi se l’ipotesi di un processo di de-umanizzazione della scuola pubblica, almeno per quanto riguarda quella Lombarda, così “elettivamente” predisposta in una posizione geograficamente “alta”, non sia intesa a favorire un’accesso privilegiato al contatto con Dio o al contratto con l’Essere, il Verbo, appunto, nel miracoloso tentativo di trasformare l’oggetto simbolico della scuola (essere e verbo ma assolutamente con lettera minuscola) in materia.
È curioso osservare come le ultime legislazioni in materia di scuola, precedenti a quella attuale, siano state promosse da rappresentanze femminili. È  proprio l’accezione cattolica  a suggerire  come il femminile sia luogo prediletto e simbolo di incondizionato amore.
Curioso anche osservare come  questo concorso si sia rivelato una sorta di territorio di caccia che ben poco dell’amore per la scuola riferisce. Esso sembra avere assunto l’onere di una crociata che, anche nelle declinazioni al femminile,  pare identificarsi  in una battaglia dall’ordine fallico,  testimoniando così quanto quest’ultimo e la sua metafora siano andati perduti, come pure, forse,  la metafora cui il termine scuola rimanda.
Elsa Forner