lunedì 17 giugno 2013

Seminario del 13 aprile 2013 Docente invitato: ANTONI VICENS


Credo che Television sia quasi una lettera d’amore tra Lacan e Jacques-Alain Miller. Miller non è presente nell’immagine televisiva ma nella voce che pone le domande. La voce che si sente, che è fra l’ironica e la sarcastica, incisiva nelle sue domande, fa parlare l’opinione pubblica, fa il ruolo del provocatore di Lacan, e si vede nel viso di Lacan la soddisfazione d’essere interpellato in questo modo da Miller.
Questo momento corrisponde al ritorno di Miller alla psicoanalisi. Il primo incontro di Miller con Lacan è stato nel ’64, durante l’undicesimo Seminario. Miller lo ha raccontato tante volte: fu un colpo di fulmine fra i due. Miller faceva parte di un piccolo gruppo, ma di esso soltanto lui è diventato psicoanalista. 
François Regnault è stato insegnante dell’università di Parigi, ha formato generazioni di psicoanalisti senza esserlo. Miller diceva di François Regnault: “è lui che capisce Lacan”. Dopo il ‘64 è venuto il ’68 e Miller prende la via del maoismo. 
In questo periodo Lacan subì un assalto nel suo studio. Lacan conosceva gli attori del maggio ‘68 perché erano sul divano, tra gli altri Eric Laurent, che racconta di come Lacan spostasse le sedute per consentirgli di andare alle manifestazioni. 
Vi fu un dibattito fra Lacan e Regnault, e Miller era contento di questo dialogo, diceva che non poteva leggerlo senza piangere, poi lo ha pubblicato nella rivista Ornicar?.
Lacan ha detto perché non era un uomo di sinistra, racconta molto bene perché non credeva alle utopie. 
In questo momento di ritorno di Miller alla psicoanalisi parla con la voce del pubblico, ma sono anche le sue domande.
È un periodo interessante dell’insegnamento di Lacan. Television è coevo del seminario Ancore. Miller aveva iniziato il lavoro di trascrizione dei seminari, dunque sa leggere e porre domande nell’incontro di Television. Nel testo ci sono dei segni d’amore. Questo libricino è fatto tra Lacan e Miller. 
In questo periodo Lacan stava trattando il suo seminario Dei nomi del padre, del quale fece una sola lezione. Miller lo ha chiamato “Il seminario inesistente”. 
Lacan stava esplorando la teoria dei nodi, che è una teoria sul corpo. Freud concepisce il corpo come ciò che sta in una relazione d’infinito con la mente, crea il concetto di “pulsione” per comprendere la relazione tra la materia somatica e la substantia pensante, ma mantenendo sempre l’impossibilità di tale incontro. 
Nel seminario Dei nomi del padre vi è un lavoro di Lacan contro Freud e il concetto stesso di pulsione. Lacan lavora sul concetto di “godimento” che proviene da quello di “pulsione” ma è qualche cosa di diverso, evoca l’equivoco dell’unica sostanza. C’è una derivazione spinoziana nel comprendere il godimento come unica sostanza.
Nel seminario Ancora Lacan evoca la sostanza estesa e la sostanza pensante, possiamo parlare del godimento come di una terza sostanza, una sostanza volente. 
Negli Scritti si trova la rilettura che Lacan fa della pulsione di Freud, nella ripartizione tra bisogno, domanda e desiderio. 
Dopo l’operazione che accade dall’analisi dell’angoscia, il concetto di desiderio permette di estrarre l’oggetto a come un oggetto che è da un lato somatico e dall’altro non somatico.
La visione e lo sguardo sono due cose diverse che hanno un rapporto con la voce che si sente e si ascolta. Sentire e ascoltare non sono la stessa cosa. Adesso l’oggetto a acquisiva sostanza, una dimensione duale, un unico oggetto con modalità proprie che prendeva corpo a partire dalla visione del corpo come confine, bordo. Per esempio, si può vedere nell’architettura barocca il grande uso che si fa dei bordi, come in certi templi Rococò dove il gioco dei bordi e delle forme organizza lo spazio architettonico in un modo che sembra la proiezione geometrica e topologica del corpo umano, con le forme dell’orecchio, delle labbra, delle palpebre e i bordi più in basso del corpo. Sono tutti segni di desiderio per l’Altro. Qui Lacan lavora su un’altra idea del corpo, non solo bordi ma anche buchi, ridotti a scrittura nell’anello del nodo borromeo. Credo che il nodo borromeo si produca nell’epoca barocca. 
In Television c’è la presenza del corpo. Lacan parla di “passare per il corpo”: il discorso dell’Altro non si fa senza il corpo. Come entra il corpo nell’inconscio? Cos’è un corpo dal punto di vista del godimento? I bordi sono una condizione, sono una sorta di scrittura. Andiamo verso quello che quasi potremmo concepire come una sorta di metascrittura, la traccia, ciò che viene prima della scrittura, e che porterà Lacan allo studio della scrittura cinese come una scrittura più vicina al godimento. Per i cinesi è inconcepibile che per scrivere noi insegniamo ad appoggiare il pugno sulla tavola affinché la lettera sia regolare. Un giapponese scrive in piedi, tutto il corpo scrive, sin dalla pianta del piede. Il gesto che raccoglie la scrittura orientale è gesto di tutto il corpo. Noi tagliamo il corpo a livello del pugno per fare una lettera.
Ho avuto una paziente che aveva sposato un giapponese. Lei era spagnola. La suocera le aveva donato un libro scritto da lei stessa. Questo era il dono di qualcosa di molto personale, privato. In questo libro mostrava delle frasi, un contenuto, ma era anche la traccia del suo corpo, un ossequio di gran fiducia, un segno d’amore molto diretto. In qualche modo l’artista sa che la traccia di una pennellata ha la qualità di essere traccia di godimento del pittore stesso. È il corpo stesso di cui l’artista fa dono. C’era un artista che faceva una sfilata davanti ad un pubblico, nudo, non era bello, camminando come una modella e lasciando cadere il sangue, flagellandosi, lasciava la traccia del suo sangue. Questa era l’opera d’arte. 
In Dei nomi del Padre, il seminario che Lacan sta svolgendo nello stesso periodo in cui fa la trasmissione televisiva, troviamo una critica della nozione di cammino applicata alla vita, critica la concezione della vita come viaggio. Tutti quelli non zimbelli della struttura fanno della vita un viaggio. Questi erranti non credono di percorrere una mappa, credono alla consistenza di un Altro che gli preesiste. Questa mappa sarebbe lo sviluppo della natura dell’uomo, ma questo fa di loro degli stranieri della vita. Quello che Freud ci dice è che la psicoanalisi porta qualcosa di diverso nel mondo dei discorsi, diverso dalla nozione della vita come via, come cammino. Alla fine della Traumdeutung troviamo che il sogno non ha nessuna funzione per la divinazione dell’avvenire. Ma, dice Lacan, si potrebbe vedere questa domanda come una domanda sull’avvenire del mondo dopo la scoperta dell’inconscio. Questa scoperta ci insegna che la domanda, sempre la stessa, deve essere differenziata dal desiderio, che è sempre lo stesso: dov’è la liberta? In questo testo, la libertà viene definita da Lacan come non essere zimbelli, non lasciarsi ingannare per la struttura, non credere di sapere tutto. La libertà è quella della sorpresa, del sorgere del desiderio. La domanda si tiene nella dimensione dell’immaginario, credendo che l’Altro sia completo. Ma il desiderio suppone che l’Altro sia inconsistente e che non siamo nel mondo per dargli consistenza. Il vero desiderio si confonde adesso con la domanda. Freud ci ha insegnato l’inconsistenza dell’Altro, quello che chiamiamo Inconscio. In Spagna c’è un famoso poema che parla della vita come di un cammino, ma un poeta controverso ha scritto invece come risposta: “Nessuno trova il suo cammino, il cammino si fa sfuggendo nel cammino”. Il pensare si fa sfuggendo nel pensiero. Freud ha costruito il concetto di pulsione partendo da quello che dal corpo non si può sfuggire: il sesso e la morte. Il fatto di avere un corpo ci lascia legati, in una maniera impossibile da disfare, al sesso e alla morte. Di questo sappiamo qualcosa. Crediamo di sfuggire al sesso con la felicità. Si parlava del caso di un signore: “Cosa domanda l’analizzante?”. La felicità. Vuole sfuggire il sesso. Il sesso non è la felicità. E crediamo di sfuggire la morte con quello che chiamiamo vita. Questo è errare. Credere di sapere qualcosa su sesso e morte significa non prendere sul serio la Traumdeutung, in altre parole non dare ascolto ai nostri sogni, alle nostre formazioni inconsce, alla sorpresa dell’inconscio. 
L’imperativo etico, nel seminario sull’etica, formulava di non cedere sul desiderio. Ora l’imperativo etico della psicoanalisi diventa: essere lo zimbello. Lacan stesso se lo domanda: “Sono abbastanza zimbello dell’inconscio che mi causa?”. Siamo portati a considerare fisso ciò che appartiene al nostro corpo, i neuroni, i tessuti, le cellule che lo compongono li consideriamo fissi al fine di trasformarli con dei mezzi materiali, molecole che inghiottiamo, interventi chirurgici, impianti, protesi. C’è un filosofo che ha detto il peggio sulla psicoanalisi, ma ha detto qualcosa d’interessante sulla protesi. Il processo materiale che porta nel corpo più protesi è avvenuto tra le due guerre. Dopo la prima ci furono molti mutilati, nasce così la ricerca sulle protesi. C’è una fotografia di un battaglione di mutilati con le protesi che fanno il saluto fascista: la protesi fa meglio la funzione che l’organo. Nella modernità il nostro corpo sta diventando come una sorta di macchina imperfetta tale per cui tutto il corpo sarebbe migliore con le protesi. Un cervello fatto di circuiti, muscoli più perfetti artificiali, etc... Tutti portiamo una protesi: occhiali, denti... questo cambia la vita, ma non sappiamo se la migliora. Vediamo trasformare il corpo con queste protesi, dal lato del sesso con il Viagra, ma questo non è il sesso ma una parte, l’organo. Per quanto riguarda la morte: l’allungamento della vita porta difficoltà. Il ministro della salute giapponese ha detto che sarebbe meglio si morisse prima, nei giapponesi la speranza di vita è la più alta mondo e ciò non va bene per il capitale, per lo stato. Ma il corpo non è fisso, è cambiante. È fisso nell’immaginazione di chi inventa la protesi. Quello che resta veramente fisso è il desiderio. Il godimento è variabile. Godere è variare, lo ha detto anche Freud. Il godimento vuole la variazione. Gli stoici avevano fatto del godere il meno possibile il loro imperativo, all’opposto gli epicurei avevano costruito un’etica del piacere. Se l’illuminismo ha riportato all’etica degli stoici, oggigiorno l’utilitarismo è un ritorno all’etica epicurea. Ci si difende dall’accusa dell’ideologia dei porci a godere tutto il tempo, ma Lacan fa notare che i porci non vanno alla ricerca del piacere, restano addormentati nel fango. Lacan considera gli epicurei qualcosa da celare. Supponiamo un godimento al di là del piacere. I porci non cercano la variabilità del godimento, si difendono dal godimento. 
Il godimento non si può arrestare, così la nostra clinica sembrava limitata alla possibilità di occuparci del desiderio fisso, sempre lo stesso, cercando quello che è fisso nel desiderio nella sua apparenza. Il soggetto desidera delle cose diverse, ma in questa diversità vediamo che c’è una fissazione, la struttura del fantasma che regola il suo rapporto con la castrazione. La psicosi si presentava come limite alla libertà, come limite del debito che costituisce il desiderio. Nel desiderio c’è un debito: “Dobbiamo una vita alla natura”, ripeteva Freud, da qui viene il desiderio.
Ma la clinica della psicosi permette a Lacan di stabilire il nuovo strumento clinico di questo debito al di là dell’Edipo e della castrazione. Come afferma nel seminario Dei nomi del padre: “C’è meno ciframento nel godimento”. Questo è il lavoro che Lacan sta sviluppando al momento di Television. In effetti, si fa soltanto ciframento del sogno, dice Lacan. Qui Lacan relativizza il valore delle formazioni dell’inconscio. Questo ciframento del sogno si fa dentro i limiti dei tropi, nella metafora e nella metonimia, cioè nei nomi del padre. Il ciframento del godimento trova come frontiera quello che nella matematica è designato come limite. “Il linguaggio è fatto così”, dice Lacan, non può mai andare oltre un limite, quello che è segnato per la mancanza di una scrittura del rapporto sessuale. Il limite del linguaggio, del ciframento, è l’impossibilità della scrittura del rapporto sessuale. Parliamo senza limite di tempo, cifriamo, ma non ci sono parole per dire la cifra del rapporto sessuale. Parliamo senza limite per fare senso, ma il rapporto sessuale non ha un senso. Nello scritto “Lo stordito” parla di “o uno o l’altro”: se abbiamo il senso non abbiamo il sesso, se abbiamo il sesso non abbiamo il senso, mai entrambi. Il rapporto sessuale è un buco, un reale che il linguaggio tappa senza mai arrivare al limite di ricoprirlo, anche nel senso matematico di saturare questo buco, riempirlo nel senso di non arrivare mai a celarlo completamente. La rimozione è sempre un insuccesso. 
Lacan, come ha confessato, nei primi dieci anni del Seminario legge Freud dal punto di vista di un transfert negativo, dal Seminario XI inizia il suo lavoro direttamente contro Freud. Freud ha creato qualcosa che non sapeva nemmeno lui dove portasse, si lasciava portare dalla sua scoperta ma non aveva le parole per dirla. Freud si è attenuto sempre alla dottrina della scuola antivitalista del suo maestro Brunet.
Dopo il modello strutturale Lacan ne cerca uno completamente diverso, che non trova. Judith Miller racconta che Lacan andava alle sette della mattina al laboratorio di ricerca biologica dove Dener lavorava sui nodi. Era molto interessato a queste ricerche recentissime. Cercava non un modello ma una prossimità come l’aveva trovata per un dato periodo nello strutturalismo. In questo momento Lacan non è strutturalista. Questo dramma di Lacan noi lo abbiamo ereditato, e il nostro lavoro consiste nel trovare una soluzione. È importante capire tale posizione drammatica dell’insegnamento di Lacan. Ciò protegge dal fascino del fanatismo della ripetizione di citazioni. È per questo che il lavoro di trasmissione non finisce mai, perché non è la trasmissione di un sapere costituito, enciclopedico, ma è la nostra posizione sopra questo sapere. Freud l’ha del reale, che lui stesso aveva svelato con la sua scoperta, e di questo buco del sapere che crea il reale. Lacan evocava per esempio Karl Marx che ha trovato un reale, il reale del capitalismo, e il sapere che ha prodotto viene a trasmettere la scoperta di questo reale con un’esagerazione, con qualche cosa di più, una vera scoperta. Rousseau con il suo testo sul contratto sociale ha trovato il reale del contratto sociale, cioè l’impossibile del contratto sociale. Tutte le teorie del contratto sociale lo presentavano come un possibile, Rousseau è stato il primo a mostrarlo come un impossibile, e da ciò è scoppiata una rivoluzione. I rivoluzionari leggevano Il contratto sociale e per capirlo hanno fatto una rivoluzione. Quando uno scienziato o un saggio scopre qualche frammento di reale scoppia una rivoluzione. Newton ha fatto qualche cosa del genere. Galileo ha fatto scoppiare una rivoluzione scientifica. Il reale produce un sisma nella civiltà, nella cultura, e Freud lo ha fatto. 
Bisogna capire la distanza fra il reale e il sapere che siamo capaci di trasmettere, di capire, di questo reale. È un buco nel sapere. Qual è la natura di tale rivoluzione? È un segno di amore. L’amore viene sempre a tappare il buco prodotto per il reale con un non voler sapere. L’amore e il transfert hanno questo valore contraddittorio, coprono il buco di un reale che è stato svelato, e il lavoro psicoanalitico procede con questa oscillazione. Non si può svelare il reale in un istante. C’è un’oscillazione che si produce tra il frammento del reale e la figura dell’amore, oscillazione che dura fino a che la psicoanalisi finisce, ma il reale continua ad essere attivo. 
In Television impariamo che l’inconscio non è dell’ordine dell’istinto. L’istinto serve soltanto alla sopravvivenza. L’inconscio include la morte dell’essere parlante nella forma della sua esclusione. L’inconscio include la morte. Non ci sarà mai una rappresentazione della morte nell’Altro, ma è questo che lo fa incompleto, mancante. Dobbiamo dunque farcela con la mancanza, e l’espediente più corrente è l’amore. L’amore e la morte sono anche presenti negli animali domestici. Ci sono “animali-uomo”, come dice Lacan, fatti per l’uomo, e sono affetti dell’esistenza dell’essere parlante. Se non esistesse l’essere parlante non ci sarebbero né la natura, né i gatti, né i cani, né le vacche, neanche il grano per esempio, che è una specie vegetale addomesticata, così come gli alberi da frutto addomesticati per l’uomo. Questi animali sono percorsi per i sismi dell’inconscio, ma il percorso è molto breve, è il percorso di qualche parola che causa effetti soggettivi. Ciò vale anche per la morte, come quelle storie che rivelano che i cani sanno qualche cosa del pericolo di morte del proprietario. Lacan risolve il percorso molto breve dell’inconscio di questi animali domestici a partire dal fatto che qualche parola causa degli effetti soggettivi su di loro. Qui Lacan pone l’inconscio più dal campo della parola che dal campo del linguaggio. La linguisteria è la parola del soggetto, ma qual è questo soggetto? Aristotele aveva definito una sorta di soggetto, sottoposto a tutte le operazioni del logos, del nous. L’anima di Aristotele era la forma del corpo, la sua causa formale, ma questa forma include un mondo che è di accordo con il corpo. Per Aristotele il corpo è adeguato alla natura. Tutto è adeguato alla natura finalistica di Aristotele. Dunque, l’anima dell’uomo è anche l’anima della natura. La biologia partecipa di questa natura dell’anima come forma del corpo, come supposizione della somma delle sue funzioni. Dice Lacan: “è la stessa voce di Aristotele”, ma possiamo anche leggere che è la stessa via, cioè la supposizione di un cammino che disegna un percorso che porta alla morte. Abbiamo visto la critica di Lacan all’idea della vita come di un cammino. 
In Television, Lacan fa riferimento alle teorie di un biologo tedesco, Uexküll, il cui campo d’interesse era stato come fanno gli animali a percepire e a soggettivare il loro ambiente, chiamando tale ambiente Umvelt per distinguerlo dall’Ungebung. Umvelt è il mondo soggettivo e l’Umgebung è il mezzo oggettivo dove vive, quello che chiamiamo anche habitat. Uexküll ha studiato la soggettività animale dal punto di vista della sua Umvelt. L’animale è un soggetto sottomesso a un campo di segno. Umvelt è il mondo intorno che circonda. Ha cercato di fare una teoria della significazione, quel che si distingue dal puro valore geometrico, matematico, aritmetico di un segno, ovvero le combinazioni. Era uno dei problemi dello strutturalismo: il significante aveva un valore logico, dove è il significato? In Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi Lacan completa la teoria del significante col pensiero hegeliano che accosta la parola e la morte: perché ci sia un senso la cosa deve morire, la parola uccide la cosa. Gli elementi dell’Umvelt farebbero parte della vita del soggetto, sarebbero certi per una sorta di volontà di vivere, di interesse del soggetto. In una specie si potrebbero identificare quali segni costituiscono Umvelt. Per esempio, per una zecca l’Umvelt sarebbe composto dall’odore dell’acido mutilico delle ghiandole sebacee dei mammiferi, la temperatura di 37 gradi e la pelosità. Un esempio più poetico è la ragnatela: il ragno riesce a fare una ragnatela che rappresenta, dice, il vuoto della forma di una mosca, del suo peso, del suo volo e della sua forza di impatto, perché i suoi fili sono tali da essere invisibili per l’occhio della mosca. È la soggettività del ragno che fa una trappola invisibile per la preda, trasforma la mosca in preda. Questa è una forma del rapporto con l’Umvelt. La ragnatela entra nell’Umvelt del ragno esibendo la significazione di preda. La ragnatela è una parte del corpo stesso del ragno, come un organo proprio. Supponiamo che il ragno sia spostato in altro ambiente, forse le mosche saranno troppo grandi o troppo piccole per la ragnatela che sa fare, e ciò significa impossibilità dell’utilizzo e dunque la morte. Il modello dell’Umvelt è una grande armonia musicale tra tutti gli elementi della natura. Come se il ragno avesse un’anima, perciò Uexküll lo chiama soggetto. Questo modo di significazione sarebbe l’anima, modo di rappresentare la molteplicità delle rappresentazioni dei corpi che rispondono all’idea generale della natura.
Lacan concepisce il rapporto corpo-anima quasi alla rovescia, si potrebbe dire che il corpo è la forma dell’anima. Vi è un cambiamento nell’insegnamento di Lacan: il soggetto dell’inconscio non tocca l’anima che per il corpo. Rovesciando la prospettiva, l’uomo pensa con il corpo, ma non direttamente. Questa è una frase molto importante: “Pensiamo con il corpo”, non con l’anima. L’uomo deve pensare perché il suo corpo è ritagliato grazie alla struttura del linguaggio. Non abbiamo un corpo naturale, abbiamo un corpo già ritagliato per la natura del linguaggio. È stata la prima scoperta di Freud: le paralisi isteriche si definiscono per i nomi delle parti del corpo, non per l’anatomia. Questo presuppone che l’anatomia abbia qualcosa di naturale e abbia anche un apparato significante che ritaglia il corpo a partire da un ideale meccanico. Dopo, dice Lacan, la cesoia può spostarsi all’anima e la dimostrazione viene dal sintomo ossessivo. L’ossessivo evita i tagli dei pensieri, ovvero deve rispettare certi tagli come evita le giunture del pavimento nel camminare. Il pensiero è disarmonico per quello che riguarda l’anima, non c’è armonia. Se l’anima di Aristotele riportava sul nous, cioè un’anima del mondo, un’armonia tra l’anima e l’universo, qui al contrario il pensiero è disarmonico per quello che riguarda l’anima, cioè l’uomo pensa male. Pensa male sul suo corpo, non sa molto bene cosa sia il suo corpo, non sa un granché del suo godimento. La psicoanalisi è un voler sapere qualcosa del godimento che è nel posto di causa del pensiero, cioè il corpo si interpone tra il godimento e il pensiero. Il pensiero è indirizzato a se stesso. Per Aristotele l’anima si prolunga nel nous, è cioè il fantasma di compiacenza del pensiero con l’anima del mondo.
L’anima del mondo ha un valore ironico. Il concetto di “anima del mondo” è di Hegel e si riferisce al termine che usa Hegel per parlare di Napoleone, una lettera. “Anima del mondo” ha un valore ironico per quelli a cui Lacan s’indirizzava in Television, gli autori del maggio ‘68 che avevano già iniziato ad abbandonare l’illusione dell’imperativo “godete senza intralci”. Il riferimento si può trovare in una lettera di Hegel scritta dopo la battaglia di Vienna, quella che apriva il passo di Napoleone verso Berlino. Quando Napoleone visitò a Berlino la tomba di Federico il Grande, il suo ideale, disse ai suoi generali: “Levate il cappello perché se fosse stato qui vivo non avremmo vinto né Vienna né Berlino”. In quel periodo Hegel sta finendo la stesura di Fenomenologia dello spirito, ha scritto il prologo alla fine. È un miracolo che il testo non sia andato perduto, Hegel non faceva copie, inviava le pagine all’editore in un contesto di guerra. Il prologo è un testo fondamentale per capire la storia dell’Europa, del capitalismo e la nascita del potere borghese. Scrive a un amico: “Ho visto Napoleone passare per la strada”, a cavallo, e Hegel: “Ho visto l’imperatore, quest’anima del mondo, uscire dalla città per andare in riconoscimento”. È la sensazione meravigliosa di vedere un individuo come questo, concentrato qui, in un punto, seduto sul suo cavallo, che si stende sul mondo e lo domina. È la nascita di un nuovo Umvelt per l’Europa. Non c’è dubbio che qui il riferimento è a un imperatore del mondo, un uomo qualsiasi che è capace di travolgere l’ordine politico, e a come un soggetto di potere possa condurre alla morte migliaia di soggetti. Il potere si esercita sopra il corpo in modi a volte spaventosi, come la storia insegna.
Il riferimento al potere era già presente in questo testo, quando Lacan ci parla degli animali addomesticati, cioè sottoposti al potere dell’uomo. Sorge il soggetto della politica del sintomo. Politica significa azione del potere, non è soltanto la manovra di potere. Addomesticare è un certo modo di creare delle specie nuove, ma anche di distruggere non la natura ma i nostri rapporti con la natura. 
La nostra morte non è inscritta nell’anima. L’anima non è il segno della nostra immortalità, ma il sintomo della nostra ignoranza della morte. La cura psicoanalitica non è l’accettazione della nostra qualità mortale, ciò era lo scopo della saggezza classica, della filosofia del prepararsi alla morte, le parole non riescono a essere credibili in questo senso, è una finzione comprendere la vita come una strada, rimarremmo nella dimensione della rappresentazione, tanto nel suo senso teatrale quanto nel suo senso psicologico. Ciò cui serve la psicoanalisi, e lo scopo della sua trasmissione, è andare al di là o al di qua della rappresentazione. Recentemente Miller è stato a Barcellona ed ha prodotto degli effetti di transfert, negativo anche. Miller ha parlato del suo corpo, del suo godimento, non ha fatto una rappresentazione. Si è presentato. Si è lasciato parlare. In Spagna la Scuola, al momento, è su effetto della presenza di Miller, non sulla sua rappresentazione, come avrebbe potuto fare come professore. Regnault spiegava l’arte teatrale di Lacan, ma con l’arte teatrale c’era anche la sua presenza, non solo la rappresentazione. Non era un buon attore che sa distaccare la presenza dalla rappresentazione, al contrario rappresentava la sua presenza, non quella di un attore. Questo è ciò che fa l’analista nella cura, non è la rappresentazione della normalità, di uno scopo che mira alla guarigione, ma presenta il suo rapporto alla causa analitica. L’analista è la presenza del risultato della sua analisi, non è un saggio, non può nemmeno essere un ignorante, ma è presenza della voce che produce un effetto di transfert. Perché si fa questo? Perché come psicoanalisti dobbiamo sapere che c’è sempre una rappresentazione che manca, che è quella del reale. Inoltre, supponiamo che questa inconsistenza, la mancanza di tale rappresentazione, sia causa della rappresentazione. Da qui proviene la capacità interpretativa dello psicoanalista nella cura: sa che non c’è risposta finale alle domande. Sa che la formulazione della domanda apre in sé il senso dell’amore, della supposizione di sapere che diventa curativa come causa di parole nuove indirizzata non alla realtà delle cose che lamenta ma alla irrealtà presente nel delirio dell’amore. E il delirio dell’amore presenta una realtà che è più vicina del reale, che non il reale attorno cui si forma la domanda, la lamentazione di quello che fa soffrire. Tutto ciò si condensa in un sapere che chiamiamo inconscio. 
L’inconscio ha due versanti: il senso e il non senso. Tutto fa senso, salvo il rapporto sessuale, la differenza tra i sessi non appartiene alla natura, tantomeno al nous. Tutto il senso che possiamo fare con le parole diventa non senso del rapporto sessuale. Questo non senso si vede nelle parole dell’amore, fino ad essere urlanti, come dice Lacan. L’urlo si vede nella presenza di Lacan in Television, lo fa lui stesso. Questo urlo lo incontriamo in Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi, quando parla di Schreber. Questo urlo si fa palese per ciascuno che va a letto con l’altro, è un segno dell’assenza di rapporto sessuale. 
L’anima non è dunque il segno della nostra immortalità, ma ciò dà consistenza alle parole d’amore. Tutte le parole d’amore fanno riferimento a questo limite e al non senso riuscito, un grido a volte che diventa insulto o una parola grossa che avviene nel buio, nel vuoto. È il limite del versante del senso del segno cifrato del godimento. Non è più la struttura del significante, ma il cifrato del godimento. L’amore fa segno di godimento, trasforma il rapporto più solitario, quello che abbiamo con il godimento, in un messaggio, ma il prezzo è il ridere. La commedia dell’arte fa ridere con i messaggi dell’amore. Arlecchino è il messaggero dell’amore, non il nostro, non trasporta il nostro godere cifrato, ci fa ridere. Arlecchino ci fa ridere perché non parla di noi, ma tutti noi nell’amore siamo commedia dell’arte. Freud cifra questi messaggi nelle formazioni dell’inconscio.
In Television Lacan parla degli affetti, e ad un certo punto riprende il tema del corpo e dei suoi rapporti con il pensiero. Parla degli affetti, “passioni dell’anima”, come sono chiamati da San Tommaso. È un tema platonico. Platone aveva attribuito queste passioni, componenti dell’anima, al corpo. Platone aveva fatto una traslazione dall’anima al corpo, e le passioni erano attribuite al capo, al cuore, all’epitimos, che Lacan traduce con un neologismo surcore, “sovracuore”. In catalano esiste “sovracuore”, significa una grande ansietà, un disagio, crepacuore. Timos rinvia a cuore, petto, sangue. La distribuzione delle passioni in Platone è nella Repubblica, un testo politico, per insistere sul fondamento politico della repressione. Nella società ideale questa parte corrisponde al governo: testa, nous, anima del mondo. Quando Hegel dice: “ho visto l’anima del mondo a cavallo”, Napoleone è il nous di questo momento, l’anima. La passione, la concupiscenza, il desiderio verso un oggetto è attribuita al timos, al cuore, al valore della forza della Repubblica, dei guerrieri. Infine, l’appetito proviene dalla nostra parte corporea, è l’elemento impulsivo, l’ardore del sentimento come quando facciamo una cattiva digestione abbiamo un ardore, un fuoco, un qualcosa che va al di là della funzione ben regolata del corpo, qualcosa che porta al di là, non è naturale, qualcosa che distrugge e colpisce. È in basso, e nella Repubblica corrisponde alla classe degli artigiani e dei lavoratori.  Il rapporto tra le tre parti si può illustrare attraverso il racconto di Leonzio, figlio di Agleone, riportato nella Repubblica. Mentre saliva al Pireo, sotto il muro settentrionale, notò dei cadaveri distesi ai piedi del carnefice. Da un lato desiderava vederli, dall’altro per ripugnanza distoglieva lo sguardo. Per un certo tempo lottò, e si coperse il volto. Alla fine, vinto dal desiderio, spalancò gli occhi e corse verso i cadaveri gridando: “Ecco disgraziati!”, parlando ai suoi occhi, “saziatevi di questo bello spettacolo!”. La spiegazione di Platone è che il desiderio è appetito. Timos ed epitimos fanno la guerra tra loro, ed è necessaria la ragione per riportare ordine. In questo riferimento si sottolinea che il corpo è frammentato dal significante.



Domanda
Lei diceva che il godimento vuole il cambiamento e che il desiderio è fisso. Invece, ho sempre sentito che il desiderio è metonimico, si sposta, non è mai lo stesso, mentre il godimento si ripete e torna sempre allo stesso posto. 

Risposta
Il desiderio mostra in apparenza di volere altra cosa, tuttavia è sempre la stessa, ed esempio l’uomo che lascia una donna e ne trova un’altra che è molto simile alla precedente. Il desiderio è più maschile, fallocentrico. Nella psicosi troviamo assenza di desiderio. Nello psicotico non si può trovare un oggetto fisso di desiderio, ma un godimento con la fissità di un nodo, molto flessibile; un nodo è un impossibile che cambia.
La logica del desiderio fa parte della fase illuministica di Lacan, negli Scritti parla di “battito di lucciole”. In analisi vi è un processo di riconoscimento del desiderio, hegeliano. Il desiderio umano, desiderio dell’essere che parla, non può avere come oggetto che un altro desiderio. Desiderio che si nutre di altro desiderio. Quello che desideriamo è sempre un altro desiderio. Il desiderio dell’uomo è desiderio dell’altro o dell’altra. 
Il proposito illuministico dell’insegnamento di Lacan non è oscurantista ma vi è un’ignoranza: il reale del desiderio ha un nome, l’oggetto della pulsione. Una merda, il seno, uno sguardo, una voce… sono degli oggetti che hanno almeno una faccia, un aspetto di cui si può dire il nome, si possono nominare. Per esempio gli AE possono nominare. Io raccontai la mia analisi cercando di trovare il senso di uno sguardo che appariva in un sogno edipico della mia infanzia: uno sguardo nel buio mi faceva cadere nella scala di casa mia. Questo sguardo era di mio nonno, che aveva una funzione complementare a quella paterna. Dopo, nelle ultime sedute di analisi, ho potuto constatare dietro lo sguardo la voce non di mio nonno, ma di personaggi edipici. L’oggetto voce era nominabile, e mi diceva: “Vattene”, imperativo sentito nella mia vita, ma l’analisi me lo fece ascoltare in altra forma. L’analisi finì quando la mia analista mi disse: “Vada”.
L’idea che qui Lacan critica è vicina alla concezione del desiderio come di un corso che ritorna sempre come circuito pulsionale di andata e ritorno. Il godimento non è così, è molto più anarchico. Nella psicosi non abbiamo l’oggetto di desiderio. Quel che cerchiamo di trovare è il godimento, non l’oggetto di godimento. Il corpo è oggetto di godimento, è fatto per godere, ma non basta. Cosa sia il corpo non lo sappiamo, con Lacan abbiamo idea che sia fatto di nodi, buchi, bordi, i quali, con valore erotico, attirano il desiderio e permettono il circuito di andata e ritorno. In questa epoca Lacan approccia i quattro oggetti pulsionali con la topologia: la sfera, il piano proiettivo, la bottiglia di Klein e il toro. Sono le quattro superfici elementari della topologia. L’oggetto orale è sferico, quello anale è l’anello, lo sguardo è il piano proiettivo, la voce è la bottiglia di Klein, l’oggetto topologico più difficile da immaginare e vedere, quasi invisibile da capire come forma. Sono approcci per trovare come si materializza in oggetto qualcosa di un godimento. Prima del desiderio c’è il godimento. Quando non c’è il supporto del linguaggio il godimento invade, come nella mania e nella schizofrenia. Non so se Finnegans’ Wake di Joyce si possa leggere tra righe. Le linee stesse sono nodi borromei. La combinazione non è un witz. La tecnica per la psicosi non è sempre leggere tra le righe. Tra le righe leggiamo il desiderio, l’oggetto che corre fra le righe. Nella psicosi è il godimento stessa all’opera.
In assenza dell’analista un nevrotico può telefonare, per lui conta sentire la voce dell’analista. Una paziente schizofrenica veniva, faceva la seduta e se ne andava. Veniva angosciata, esasperata, raccontava storie che fan venire i capelli bianchi. In seduta piangeva, prendeva i fazzoletti di carta e ne faceva una palla con le lacrime, quando era completa la buttava nel cesto e si calmava. Cose così fanno segno clinico nella psicosi, come il sudore dello schizofrenico. Della voce non importa ciò che dice, ma la modulazione. Quel che è corpo lo insegna lo schizofrenico, che non ha un corpo. Nella schizofrenia il corpo è ritagliato per lalangue, mentre nell’isteria che è tagliato per l’azione del linguaggio. Nella schizofrenia la traccia del corpo si legge nella scrittura: piena di colori diversi, forme differenti, lettere grandi e piccole. Nella paranoia vi è un’altra qualità di scrittura, c’è una cosmologia, una storia, una metonimia ma senza oggetto. Lalangue è lingua che non ha questo spazio tra le righe, non c’è niente tra le righe, non c’è l’altro e non c’è il desiderio dell’altro. I soggetti psicotici non hanno avuto un’iscrizione qualunque nel desiderio dell’altro. Si presentano come caduti, lasciati cadere dall’altro, e sono perfettamente soli. La solitudine psicotica è una lezione per tutti: è la nostra solitudine. 
L’ultima lezione della psicoanalisi è questa: siamo soli con il godimento. Con il desiderio e con l’oggetto possiamo far rivivere il dono, fare discorso, ma in fondo c’è la solitudine del soggetto col godimento. È questo che fa la libertà umana del soggetto col godimento. Il desiderio non è libero, è legato.
La libertà dello psicotico è mistero, come fanno a essere così liberi? Nella migliore delle ipotesi inventano delle cose. I soggetti geek geniali inventano apparecchi tecnologici che fabbricano la nostra vita. Ma tali oggetti non sono fabbricati per il desiderio, noi nevrotici ne facciamo oggetti di desiderio, per loro sono godimento. 
Il nevrotico s’illude di fare un cammino nella sua vita con il suo desiderio, lo psicotico insegna che la traccia la facciamo con il godimento e non con il desiderio. 

Trascrizione di Emanuela D'Alessandro
Revisione di Giuseppe Perfetto