giovedì 14 dicembre 2017

Seminario fondamentale Istituto freudiano di Milano del 2 Dicembre 2017. Docente invitato: Daniel Roy

SEMINARIO Libro VI,  “Il desiderio e la sua interpretazione”

Daniel Roy


Questo seminario è un oggetto particolare, è un vero e proprio «mattone»; questo contrasta fortemente con il suo oggetto, il desiderio, «uccello celeste», «furetto» impossibile da catturare come potrà indicare Lacan in numerose occasioni.
È ben questa la posta in gioco di una analisi: come permettere all’analizzante di assumersi come soggetto della sua enunciazione al livello del desiderio inconscio del quale, come nevrotico si difende. E come si difende? Lacan precisa che «l’essenza della nevrosi consiste molto precisamente in questo…che ciò che è dell’ordine del desiderio s’inscrive, si formula, nel registro della domanda» (149 Ed. Fr). È qui dunque che la nevrosi si rivela per ciò che è, passione del significante, nella misura in cui la domanda, che è il medium di ogni messa in gioco di significanti, è al contempo per il nevrotico la via d’accesso al desiderio e la trappola nella quale è catturato, costretto all’impotenza mascherata da impossibilità, sottratto a ogni soddisfazione, dunque alla sua libera circolazione.
L’operazione dell’analista, commisurata unicamente in termini di «interpretazione», consisterà così nel diffrangere la domanda del soggetto che viene a parlare in analisi a partire da ciò di cui si lamenta, di sdoppiarla in domanda che si articola e s’inscrive in un discorso preso in una intenzione di significazione, e domanda che va ad articolarsi nel registro dell’Altro nei termini che sono presi in un’intenzione di godimento, di soddisfacimento, zavorrati della forza pulsionale del suo essere vivente.
L’interpretazione opera in questo sdoppiamento tra la dimensione del discorso, dell’enunciato che fa esistere un soggetto che «vuole dire» qualche cosa, e la dimensione di un Altro discorso, quello dell’inconscio che fa esistere un altro soggetto che non sa quello che vuole e che tuttavia si trova improvvisamente convocato a rispondere col suo essere di vivente sessuato alla questione di ciò che desidera. Poiché è in questo movimento che sorge il desiderio, come momento dove il soggetto deve rispondere, tramite le condizioni che gli sono state date dall’Altro, a una sfida che sfugge precisamente a questo Altro, in un punto, come indica Lacan nel Seminario VI, «dove l’Altro non sa».
È questo movimento che esegue Lacan nella costruzione del suo grafo, è ciò che si effettua in questo seminario, ed è in questi termini che, in quest’epoca, Lacan considera sia possibile svolgere un’analisi nel corso della quale il nevrotico potrà spostare il proprio desiderio dal campo della domanda per percepire «realmente» (565 Ed. Fr.) l’oggetto del suo fantasma, fantasma sul quale il suo desiderio si regola.

I primi due capitoli si presentano come un programma, quello che Lacan fissa per questo anno 1958-59, dopo il suo seminario su «Le formazioni dell’inconscio» nel quale aveva costruito il suo grafo, che diverrà definitivamente il grafo del desiderio in questo nuovo seminario (lo presenta già così nel seminario V, capitolo XXI, 392 Ed. Fr.). La posta in gioco per Lacan è ristabilire la nozione di desiderio nell’esperienza analitica, là dove dominavano nozioni vaghe come «affettività», «i sentimenti positivi e negativi», ecc. Noi lo comprendiamo bene oggi poiché siamo invasi dal ritornello sul «vivere le proprie emozioni», «ritrovare le proprie sensazioni», «la fiducia in sé stessi»…
Vediamo come introduce questa questione:
-si dice che la psicoanalisi è una «terapia», quindi un mezzo di guarigione;
-io Lacan, dico che è un «trattamento psichico»: cosa vuol dire? Si tratta forse di trattare lo psichico? È un trattamento dove il mezzo è psichico?
Allora, precisa:
-è un trattamento che riguarda dei fenomeni marginali e residui della vita psichica (sogni, lapsus, motti di spirito) e fra questi, alcuni s’isolano in quanto «sintomi», che Lacan definisce in termini d’inibizione (vediamo Amleto all’orizzonte). Oggi noi non metteremo in primo piano l’inibizione per parlare invece dei sintomi, di tutte le modalità di esagerazione, di passare oltre il limite, «non posso evitare di …». Ed è piuttosto significativo considerarli come « residui » della vita sociale, dei discorsi padroni e del trionfo degli oggetti. E in fondo, la psicoanalisi non si propone affatto di fronte a questi fenomeni di margine come una terapia, ma al contrario come una modalità di trattamento possibile. Questo seminario sul desiderio, che ne mette in valore il suo posto nella nevrosi, si presenta così oggi per noi come «un preliminare a ogni trattamento possibile dei fenomeni marginali» che fanno sintomo nel sociale: dall’ADHD alle dipendenze, passando per PTSD.
-è un trattamento che ha lo scopo di modificare la struttura di difesa che caratterizza la nevrosi, difesa contro il desiderio inconscio, nel quale l’operatore sarà precisamente il desiderio stesso. Ecco uno stranissimo trattamento che tratta la difesa contro il desiderio attraverso il desiderio. Com’è dunque possibile?
La risposta di Lacan è la seguente: di fronte al desiderio impedito, inibito, vietato, censurato, del nevrotico, si tratta di restituire il posto a questo desiderio e, così facendo, alla sua autentica funzione d’energia libidica. 
E per far questo, bisogna che la psicoanalisi si determini sull’interpretazione che darà quando appariranno queste zone di difesa nel discorso dell’analizzante, per liberare il desiderio dai suoi ostacoli. Occorre interpretare il soddisfacimento rifiutato, inibito, o l’oggetto fuori portata, troppo vicino o troppo lontano? Il desiderio è sempre legato alla sua interpretazione e l’interpretazione, come atto dell’analista, è sempre legato alla concezione che questi ha degli obiettivi del trattamento analitico: riconciliazione con un buon e saggio godimento; felice sposalizio con l’oggetto d’attrazione? E Lacan precisa (18 Ed. Fr.) che la psicoanalisi ha a disposizione, attraverso la sua esperienza, concetti che fanno a pezzi tali intenti idealizzanti: da un lato la pulsione che diffrange il godimento in molteplici frammenti, pezzi di godimento, dall’altro il fantasma che lega il soggetto a un oggetto singolare precisamente caratterizzato, ma del quale il soggetto nevrotico si mantiene a distanza nella sua esistenza.

E Lacan sottolinea che, se c’è effettivamente un’energetica del desiderio da rilanciare nella cura, questa ha un solo e unico punto d’appoggio, la parola del soggetto. La costruzione del grafo di Lacan non è null’altro che la costruzione della macchina significante del desiderio così come s’effettua nella cura.
Una cura analitica funzione come un «mulino a parole» (22 Ed. Fr.), allo stesso modo di un mulino ad acqua. In un mulino ad acqua, il flusso del fiume fa girare la ruota a pale che, per mezzo di diversi meccanismi, trasforma questa energia in energia meccanica, che attiva la mola, che va a macinare i grani di frumento o le olive. Nel mulino a parole che è la cura, il flusso della parola attiva la ruota a pale (l’Altro) per dare del significante da macinare (il messaggio) alla mola del desiderio.
Ed eccoci, con questa metafora, nel primo tempo della costruzione del grafo. Siamo qui molto facilitati, nella nostra presentazione, dal fatto che Lacan aggiunge delucidazioni preziose nel secondo capitolo. In questo capitolo Lacan indica «la simultaneità delle quattro traiettorie» che strutturano il grafo.

  1. Il soggetto passa sotto le strettoie dell’ordine significante: «tu hai tenuto conto del tuo incontro con l’Altro che parla e tu ne porti la marca I(A) ».
Delta designa in questo schema «il soggetto del bisogno», soggetto supposto dirà Lacan differente dal soggetto parlante. Si deve sottolineare questo, che dal momento in cui si è inscritti nella domanda, è il bisogno che diviene supposto, e così per l’essere parlante il bisogno è sempre secondo in rapporto al campo della domanda, ed è sempre sotto la dipendenza dell’interpretazione dell’Altro («fare del grido appello»: hai fame? sete? male? fai un capriccio ?ecc…), che ascolta un desiderio. Cosa resta del bisogno, si domanderà Lacan? Una condizione assoluta che si deposita nel carattere imperativo della domanda che risuona nella voce e nella singolarità delle condizioni del desiderio.
Questo tempo è importante in quanto sottolinea il «tempo della parola» come legame tra la sincronia dei significanti nel codice (l’Altro come tesoro dei significanti) e la diacronia dei significanti nella catena della domanda. Come afferma Lacan: la solidarietà sincronica del codice assicura la solidità dell’affermazione diacronica della domanda. Nel codice, i significanti sussistono insieme, non esistono che come differenti gli uni dagli altri (il dizionario), possono dunque essere detti solidali. Ebbene Lacan afferma che è questa solidarietà che contamina la domanda primaria, quella prima di ogni forma di risposta del soggetto (detto «primo»). Nella misura in cui il soggetto si costituisce attraverso il suo passaggio nei significanti dell’Altro, «le strettoie», vi si aliena come a qualcosa di consistente, vi crede, ma facendo ciò fa consistere la domanda come una «formula», un oracolo, donandogli come una «oscura autorità» (da qui l’importanza che si sollevi la questione del desiderio di questo Altro: cosa vuole da me?).
All’inverso, nel movimento inaugurato per costituire l’interpretazione del soggetto che costituirà «il messaggio», i significanti non circolano sotto questa forma «locale» ma in modo «frammentato», cioè con le caratteristiche proprie al loro codice.
Pensate al bambino piccolo che impara a parlare e che gioca con le parole deformandole, ritessendole a modo suo, è già un modo di diffrangere la dimensione sempre imperativa di ogni domanda, di introdurre del gioco di fronte all’onnipotenza dell’Altro.
Ma la soluzione che Lacan indica in questo capitolo è quella designata come «identificazione con l’Altro onnipotente della domanda», un’identificazione attraverso un significante che nell’Altro designa l’autorità dell’Altro, è la matrice dell’Ideale dell’io come luogo di solidità e di solidarietà: luogo in cui possiamo assicurarci della stabilità di un discorso comune e della solidarietà degli elementi che lo compongono (luogo ideale poiché consistente e completo). Lacan ce lo fa scoprire nominando ciò che si opera in questa identificazione come «funzione rivelatrice», un’azione simbolica di «rivelazione». Rivelazione dell’alterità dell’Altro. Lacan illustra questo punto attraverso il gioco del «cucù» che la madre istituisce con il suo piccolo: 1) la frammentazione della presenza fa esistere l’assenza 2) il sorgere della presenza sul fondo dell’assenza («cucù» che scatena il sorriso) 3) l’instaurarsi del gioco, dove l’assenza e la presenza non sono più subiti ma desiderati (il riso).
Là dove v’era alternanza subita, del più e del meno, questa è sussunta attraverso una funzione d’ordine simbolico che trasforma assenza e presenza come qualcosa che può essere scelto e desiderato. Questa è la funzione di rivelazione, tale e quale appare nella Bibbia, svelamento di ciò che è nascosto, esilio del divino in sé e dispiegamento fuori di sé. Intendiamo qui degli elementi che entreranno successivamente nella funzione del fallo, che indica il punto in cui l’Altro manca.

  1. Eccoci già nella costruzione del secondo piano del grafo, concernente il soggetto che assume l’atto di parlare (44 Ed. Fr.); non è più solamente la linea della domanda, la linea dell’enunciato, che è sempre «dell’Altro» poiché costituito di significanti prelevati nell’Altro, è la linea dove si pone la questione della scelta dei significanti, di una decifrazione che si pone la questione: da dove vengono questi significanti?
Da qui s’inaugurano tre tragitti:
-la linea orizzontale in alto che è quella in cui si sostiene il soggetto dell’enunciazione, colui che è in questione in un’analisi, dal momento che la linea orizzontale in basso permette di situare solo il soggetto dell’enunciato, il «Je» che appare nella frase e che è un significante come un altro, allorché l’altro «Je» risulta dall’articolazione significante in quanto  «atto di parola». Questo «Je» è quello che si fa responsabile di ciò che si dice, che si pone nelle conseguenze di ciò che si dice; non solamente di ciò che dice, ma di ciò che si dice che lo interessa e che lo concerne. È tutta la dimensione dell’operazione analitica. Il soggetto e l’Altro sono presi nell’arco di un’altra funzione simbolica che Lacan nomina in questo seminario «la funzione vocativa» dove prende a prestito ugualmente la formula al discorso del Vangelo: «Alzati e cammina!».
-l’esplorazione della struttura dell’Altro: che l’Altro, e dunque il soggetto, possa scegliere i significanti che lo rappresentano indica la presenza in questo Altro di due principi, il principio di commutatività che apre il campo della metafora e dunque della moltiplicazione di significanti («tu hai il diavolo in corpo»), e il principio di similitudine, che apre il campo della metonimia, che gioca con la prossimità della forma, della sonorità, dei significanti per produrre l’effetto «poetico» («la Terra è blu come un’arancia»)
-il desiderio dell’Altro: le due operazioni precedenti sono sottese attraverso quest’ultima che è quella che conta. Mi dice questo, ma cosa vuole? Questa domanda si esplora in una analisi, si attualizza nel transfert; ma fondamentalmente, il soggetto viene in analisi perché in un punto preciso è sorta la questione del suo desiderio, e per Lacan la questione del desiderio si formula in italiano «Che vuoi?» «La questione di che cosa voglia è posta all’Altro» (25 Ed. Fr). È veramente a livello del Che vuoi? che possiamo dire che il soggetto riceve dall’Altro il suo messaggio sotto una forma inversa.
Si tratta in fondo di allentare la morsa nella quale si trova preso il soggetto e il suo desiderio, la morsa che si forma ogni volta che ripieghiamo l’enunciazione del soggetto sull’enunciato.
Il transfert è innanzitutto un’operazione che riguarda l’Altro, è un’operazione di frammentazione dell’Altro attraverso la questione del desiderio. Frammentazione dell’Altro vuol dire qui che negli enunciati, sulla linea della domanda, s’isolano dai significanti che contano per il soggetto, quelli che hanno preso valore di godimento, quelli di fronte ai quali, dirà Lacan, il soggetto si è trovato in fading, diviso : è il punto che Lacan designa come luogo del tesoro dei significanti, il luogo in cui si contano secondo il loro valore pulsionale. 
Questo «transfert» di un significante della linea dell’enunciato sulla linea dell’enunciazione è presentato da Lacan come «una metonimia dell’essere» (34 Ed. Fr.) il cui nome è il desiderio, che s’inscrive ora sulla linea intermedia. Ciò che, del suo essere vivente, non può iscriversi nel significante, che gli rinvia solamente una divisione soggettiva, trova rifugio in questo intervallo fragile, sempre minacciato di ripiegarsi sulla domanda. Il fantasma si presenta qui come un angolo che impedisce questa chiusura, come un osso nella ricerca dell’ideale da presentare all’Altro.
È questo osso che Lacan introduce allo stesso modo nella teoria e nella pratica analitica formulando questo nuovo avanzamento: il desiderio si regola sul fantasma e non sull’oggetto.
Il diavolo innamorato di Jacques Cazotte ci fornisce una bellissima metafora.
Noi vediamo articolarsi questo doppio movimento che Lacan nomina terza tappa della costruzione del grafo: di fronte al desiderio dell’Altro, il soggetto è hilflos, inerme. Cosa avrà da offrire? Come far fronte? Si difende, dice Lacan, col suo io, e più precisamente interponendo la relazione immaginaria, luogo delle relazioni di prestanza, di sottomissione o di fallimento. Qui (30 Ed. Fr) Lacan opera uno spostamento: non si tratta solamente di giochi di specchi, ma della posizione del soggetto in un rapporto «flessibile con l’altro». E così il luogo di uscita, il luogo di riferimento del desiderio va a fissarsi sul fantasma, che inscrive questo rapporto flessibile del soggetto all’altro.
Ciò che il soggetto non vede, ciò a cui è cieco, è che questa scenografia immaginaria nella quale crede poter reperire il proprio desiderio non è che un montaggio, del quale lo sceneggiatore è l’inconscio, dove i significanti zavorrati della forza della pulsione erigono gli assi sui quali la scena della sua vita si svolge. (54 Ed. Fr.) Il momento in cui qualche cosa del discorso dell’essere viene a disturbare il messaggio a livello della domanda: è il sintomo analitico, è su questo punto di «disturbo» che si concentra l’interpretazione.
Ma non dimentichiamo «il piano ammezzato» che Lacan situa nella retro-azione della conclusione del processo in I(A): è il momento nel quale l’io si pone di fronte la stretta dell’Es nella domanda, momento in cui si scatena il Super-io, «discorso primitivo, puramente imposto e marcato da una profonda arbitrarietà, che continua a parlare». Resterà allora da mettere questo Super-io alla prova delle sue radici pulsionali, del suo godimento che vocifera per bucarne il rigonfiamento, in X.

Per Alvare, gli assi portanti del simbolico restano al loro posto fino alla fine, persistendo accanto alle illusioni nelle quali è preso, portato dal suo desiderio «Biondetta» del quale ha dimenticato l’origine: nato dalla questione che indirizza all’Altro del sapere e all’Altro che detiene il godimento. In questo posto Biondetto/Biondetta svolge la sua parte l’oggetto d’attrazione per il suo desiderio, dapprincipio sempre irraggiungibile, che si sottrae, che fallisce, illustrando bene il posto di sostituto imaginario di S barrato: Alvare è piuttosto mal posizionato-mal barrato.

Possiamo domandarci qual è l’attualità di occuparsi nello studio di questo grosso volume che raccoglie delle concezioni di uno psicanalista degli anni 58-59 del secolo scorso! La questione del desiderio è ancora attuale? Si ma è un desiderio «modulo» godimento: so ciò che voglio ma non ne godo oppure è quello ciò che voglio ma è troppo invadente come godimento. Per esempio questa giovane ragazza, analizzanda in erba, che si presenta come direttrice di una startup che mette in valore le specificità delle donne nell’azione pubblica, certa di avere trovato qui la giusta espressione della sua rivolta contro il padre e il suo sostegno alla causa persa della made e che, d’altro canto, ha incontrato il suo «punto di panico» nella messa in atto della libertà sessuale rivendicata e contrattualizzata nella sua relazione di coppia, facendosi oggetto sessuale per un uomo dagli incontri fortemente idealizzati. 
Da un lato lei mi presenta una scultura del suo io pienamente consistente, nella quale cristallizza un desiderio di emancipazione femminile, dall’altro lato si precipita a testa bassa nel suo fantasma, nel momento in cui diviene madre e in cui «stabilisce» una vita famigliare.
Niente di questi due aspetti fa enigma per lei, si lamenta di non godere a sufficienza dal suo successo sociale, o piuttosto che altri siano suscettibili di goderne più di lei, e lei teme di godere troppo di questo incontro sessuale che la spaventa.
Gli enigmi del piacere impallidiscono di fronte all’esigenza del godimento! La domanda è allora essenzialmente una domanda di coaching, management del desiderio per ottimizzare i godimenti.
E ciò che si presenta in una esperienza individuale ha il suo corrispondente nel collettivo sulla forma d’un management dei desideri perché si regolino sull’economia dei godimenti: management degli Stati per fare in modo che i desideri trovino i loro corrispondenti in termini di godimento legittimo, management dei mercati per i godimenti « in più», per i plusgodere, management delle reti parallele diversamente mafiose per il regolamento dei godimenti illegittimi, delle droghe e della pornografia fino al traffico di corni di rinoceronte!


Traduzione di Andrea Aldrovandi

venerdì 13 ottobre 2017

Seminario fondamentale Istituto freudiano di Milano del 25 Febbraio 2017. Docente invitato: Andrés Borderías

LO SCHEMA OTTICO E L’OGGETTO a, NEI CAPITOLI 3,4,6,7,9 E 10 DEL SEMINARIO X L’ANGOSCIA

Buongiorno, vi ringrazio della presenza. Il tema che mi è stato proposto è “L’oggetto a e lo schema ottico” nei capitoli 3,4,6,7,9 e 10 del Seminario L’ Angoscia. Seguiremo questo filo che percorre la prima metà del seminario, nelle parti dedicate a “La struttura dell’angoscia” e alla revisione dello statuto dell’oggetto.
Nel leggere questi capitoli si può notare la grande varietà di temi e riferimenti che Lacan percorre per mettere in moto il suo “laboratorio”: un quadro degli affetti, una lettura critica della dialettica hegeliana, il ritorno di Amleto ancora sulla scena, l’interrogare il fenomeno del perturbante della mano attraverso Hoffman, la risorsa della topologia e una lunga serie di fenomeni clinici come la depersonalizzazione, il lutto, l’acting out e il passaggio all’atto. Infine, attraverso questi capitoli, lo schema ottico e lo stadio dello specchio vengono rivisitati e riformulati.
Cercherò di estrarre la logica di questo movimento che ha un punto di capitone, a pag. 47 dell’edizione in spagnolo, nel capitolo III, quando Lacan afferma, a proposito della misteriosa identificazione di Amleto con Ofelia: “lo statuto di oggetto del desiderio, […] ne convengo, non è ancora stato precisato. Ed è proprio questo che si tratta di approfondire quest’anno, affrontando l’angoscia” [Lacan, J. Il seminario X. pag. 42].
L’angoscia, come ci ricorda Miller, non è il vero obiettivo del seminario, ma una via di accesso privilegiata per una nuova definizione dell’oggetto, una via molto più certa di altre che ha seguito in precedenza. Questa via conduce inoltre a una riformulazione dei concetti anteriori e in un certo senso alla formulazione dello schema ottico. Lo dice appena inizia il seminario, in prima pagina: “L’angoscia è precisamente il punto di incontro dove vi attende tutto quello che è stato il mio discorso precedente. Vedrete come ora potranno articolarsi tra loro un certo numero di termini che forse, sino a oggi, non vi sono sembrati sufficientemente collegati” [Lacan, J. Il seminario X, pag 5].
Questo seminario è quindi un laboratorio nel quale Lacan utilizza l’angoscia come un attrezzo per avanzare nella sua riconcettualizzazione dell’oggetto, poiché Lacan cerca di formulare la dimensione reale, dello stesso, e darle un nuovo statuto a partire della sua dimensione libidica, di godimento. Come conseguenza, riesamina la castrazione, per approfondire lo statuto della mancanza al di là dell’immaginario. Questo è il cuore concettuale.
Il principio della fenomenologia dell’oggetto angosciante, dell’oggetto che causa l’angoscia, è la nozione che c’è sempre un certo vuoto che bisogna preservare, incluso nel campo visivo e nell’amore – afferma J.-A. Miller nella sua introduzione al seminario – e dal suo riempimento totale sorge la perturbazione nella quale si manifesta l’angoscia. La fenomenologia dell’oggetto angosciante parte dallo stadio dello specchio e Lacan la presenta a partire da questi primi capitoli, dove dispiega le sue condizioni a partire da una nuova nozione dell’oggetto a e di - phi.
Lungo il seminario, e specialmente in questi capitoli, lo schema ottico è oggetto di una lenta decostruzione poiché Lacan cerca un nuovo statuto dell’oggetto al di là dello speculare. Riformula tutto il campo del narcisismo scegliendo come particolare via d’ingresso la revisione critica della dialettica del desiderio hegeliano, il che produrrà an passant un modo di superarla definitivamente. Come dice all’inizio del capitolo III, dopo la critica all’articolazione hegeliana sviluppata nel capitolo precedente del desiderio: “si vorrebbe un’articolazione più precisa tra lo stadio dello specchio e il significante […] l’angoscia ci permetterà di ripassare per l’articolazione che mi è stata richiesta” [Lacan, J. Il seminario X. pag. 33].
Nei primi due capitoli, Lacan costruisce la tabella degli affetti, nei quali esplora i limiti del significante per analizzare lo statuto dell’angoscia. Lacan cerca di catturare l’angoscia nelle reti del significante, cioè, di situarla in un quadro concettuale. Questa tabella non riesce tuttavia a dirci cosa sia l’angoscia. Ci dice sopratutto ciò che non è.
Pe analizzarla convenientemente in questi primi capitoli, Lacan torna ai fondamenti del suo insegnamento anteriore e specialmente alla categoria del desiderio. Mette in relazione così l’angoscia e il desiderio, come principio di una lenta elaborazione e di una decostruzione che punta a separarle, una volta trovate entrambe i loro posti precisi. Questo divide il seminario in due grandi movimenti: nel primo, nel quale si situano i capitoli che riformulano lo schema ottico, tenta di situare l’angoscia in relazione col desiderio e l’oggetto angosciante. Nel secondo movimento, opera uno spostamento per situarla in relazione col godimento reale e non più con il desiderio. L’angoscia appare quindi come un mezzo per catturare il reale del godimento.
Al cuore stesso del secondo movimento del seminario, c’è un’articolazione importante: all’inizio in questi capitoli, l’angoscia è causata dall’oggetto a, c’è quindi un’anteriorità dell’oggetto in relazione con l’angoscia. Diciamo che l’oggetto a è causa dell’angoscia, nel campo visivo è prevalente e il fenomeno del perturbante è grande protagonista. Alla fine Lacan invertirà l’ordine: l’angoscia diverrà produttrice dell’oggetto a e dirà che l’angoscia designa “Das Ding”, termine precursore dell’oggetto a. L’angoscia è equivalente alla Cosa, ma la Cosa non è equivalente all’oggetto a. C’è un’anteriorità logica della Cosa rispetto all’oggetto a. La Cosa è una figura del godimento che precede l’oggetto, il che situa l’angoscia come precedente l’oggetto e, similmente, anche precedente l’io ancora non costituito. C’è una sostanzialità dell’angoscia che trasforma il reale inconcepibile della Cosa in un oggetto reale, logicamente concepibile. La sequenza sarà quindi Cosa-angoscia-oggetto, o Godimento-angoscia-oggetto. L’angoscia è produttiva.
Successivamente Lacan accentua la differenza: la Cosa come il reale puro, mentre l’oggetto a diviene sembiante del reale. Sono le due modalità della lettura dell’angoscia come “segnale del reale”: segnale dell’oggetto nell’io o segnale della Cosa. Sia come sia, segnale dell’oggetto o segnale della Cosa, l’angoscia annuncia la mancanza originale costitutiva del soggetto. L’angoscia è ormai in sé stessa una difesa contro il reale irrappresentabile. Non ci difendiamo della difesa. Lacan insiste «La difesa non è contro l’angoscia, ma contro ciò di cui l’angoscia è il segnale» [Lacan, J. Il seminario X, pag. 150]. In effetti, l’angoscia è, cito, “La risposta al pericolo più originario, all’insormontabile Hilflosigkeit, all’abbandono assoluto dell’ingresso nel mondo” [Lacan, J. Il seminario X, pag. 149].  Di fronte a quest’abbandono, l’angoscia è il male minore, è una risposta che attenua questa esperienza dolorosa della mancanza originaria. Possiamo dire che manca la “mancanza”, grazie all’azione difensiva dell’angoscia. L’angoscia è al tempo stesso segnale e difesa, un modo di accomodare l’oggetto reale senza soffrire una disperazione assoluta. Lo schema ottico nel capitolo X mette in risalto questa variazione della concezione dell’angoscia.
Nell’ultimo capitolo del seminario Lacan torna al piano scopico ma già riformulato, non appare lo schema ottico, la via che ha scelto per cogliere l’oggetto si è spogliata del suo involucro immaginario e il ricorso allo schema ottico è caduto per sempre.

APPROSSIMAZIONE HEGELIANA
Cercheremo ora di seguire il filo che ci porta dalla dialettica hegeliana allo stadio dello specchio via l’angoscia.
Lacan si allontana da Hegel. Hegel, mediante la nozione di concetto, punta a ridurre tutte le cose al significante, afferma che “il concetto è la Cosa”. Non c’è né resto reale, né mancanza irriducible. All’inizio del seminario, Lacan prova qualcosa di simile quando sceglie come titolo al primo capitolo “L’angoscia nella rete dei significanti”. Va a pescare il reale dell’angoscia nella rete del significante, tramite il simbolico. Lacan tuttavia opta per Kierkegaard rispetto all’universo hegeliano del concetto. Quando il filosofo danese scrive Il concetto di angoscia, pone in realtà il “concetto di ciò che fugge al concetto”. Il concetto è qualcosa di reale, inassimilabile in termini razionali. C’è un resto non razionale, che sfugge a tutte le teorie. Ecco perché l’angoscia non è riducibile a una dottrina scientifica.
Lacan indica che esistono due concezioni dell’angoscia nella dottrina analitica classica. La prima: l’angoscia è un pericolo contro il quale dobbiamo difenderci. In questo caso sarebbe un segnale che annuncia il ritorno del rimosso. Possiamo chiederci perché il soggetto mobilizza «un segnale maggiore» per prevenire un pericolo infinitamente più leggero – il ritorno del rimosso non è alla fine così pericoloso come pare… Lacan infatti rifiuta questa versione: per lui l’angoscia non è causata dalla rimozione o dal ritorno imminente del significante. Freud stesso abbandona questo parere a partire da Inibizione, sintomo e angoscia e propone la logica inversa: è l’angoscia che causa la rimozione. Da qui sorge la domanda inedita: se non è il ritorno del rimosso, cosa causa l’angoscia? Per Freud l’angoscia è sempre un’angoscia di castrazione il cui agente è il padre edipico. In poche parole, la paura del padre che proibisce il godimento. Lacan, rivede la castrazione e invalida la causa edipica dell’angoscia.
All’inizio del seminario X Lacan concepisce l’angoscia come segno del desiderio dell’Altro, che giustifica il titolo del capitolo II “L’angoscia, segno del desiderio”. Partiamo dalla formula che Lacan prende da Hegel: “Il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro”. La formula permette di mettere in relazione l’angoscia col desiderio: l’angoscia è segno – nell’io, afferma Freud – del desiderio dell’Altro (vedi l’apologo della mantide religiosa). L’angoscia sorge di fronte alla domanda: Cosa vuole l’Altro quando mi guarda con insistenza? Cosa vuole da me? Qual è il suo desiderio? Quest’apologo fa sorgere l’inquietante dimensione del desiderio all’introdurre un’alterità radicale, che non mi permette di riconoscermi, nel quale l’identificazione fa emergere l’incognita dell’oggetto che sono per l’Altro. Vediamo qui un tentativo di fondare l’angoscia a partire dall’enigma del desiderio attribuito all’Altro. Questo desiderio enigmatico implica un’inquietante stranezza, nelle parole di Freud, e introduce il fenomeno del perturbante, nella misura in cui fa emergere la dimensione dell’oggetto enigmatico, oggetto che emerge della commozione dell’identificazione: chi sono…cosa sono?
L’uomo, puntando a un oggetto, passa prima da un desiderio di desiderio, fa del desiderio un suo oggetto. Il soggetto cerca prima di tutto, al di là dell’oggetto, un desiderio, qualche Altro che desideri. La logica isterica insegna molto a riguardo: sono un soggetto desiderante se passo dall’Altro desiderante. In termini lacaniani, sono in posizione di soggetto diviso dalla mancanza, se passo dall’Altro affetto anche lui dalla mancanza, A barrato. Ciò spiega la necessaria dipendenza del soggetto in relazione all’Altro.
L’Altro senso della formula hegeliana, è il seguente: io desidero l’oggetto che l’Altro desidera. Quell’oggetto forse non aveva molta importanza per me, ma ora mi interessa perché l’Altro lo desidera. Questo fa parte della logica dell’ossessivo, che comincia a desiderare ancora sua moglie se capta che l’Altro uomo s’interessa a lei, oppure se lui stesso si interessa alla donna di un altro. Non è la posizione desiderante dell’Altro ciò che conta, non è un desiderio di desiderio, ma l’oggetto del desiderio che mette in moto il proprio. Attraverso l’Altro, io incontro un oggetto che aggancia il mio desiderio, un oggetto a. Si tratta qui di un oggetto del desiderio catturato nel mio fantasma, e che non è, ovviamente, l’oggetto reale che causa il mio desiderio.
In Sovversione del Soggetto, testo contemporaneo a questo seminario, Lacan fa un’inversione: la dialettica diviene un avatar dell’asse immaginario, con tutte le conseguenze possibili in termini di rivalità e aggressività. Nell’asse immaginario, in effetti, l’altro è un simile, vuol dire che è catturato dagli effetti dello stadio dello specchio. Lo speculare rimane nel cuore della dialettica hegeliana, trionfo dell’immaginario, ma è un immaginario carico di libido.
Alla fine del capitolo II, Lacan fa un passo in più. Troviamo lì una tabella che racchiude in forma schematica il risultato della critica alla concezione hegeliana del desiderio, e che mette in questione lo statuto dell’oggetto del desiderio come concepito fino a quel momento, come un oggetto equivalente alla sua immagine significantizzata. Diciamo che Lacan comincia a estrarre, a separare e a differenziare la dimensione del godimento dell’asse immaginario. Questo schema a p.43 presenta l’alienazione del soggetto nel campo dell’Altro come risultato che produce il soggetto diviso dal significante – dato che gli manca l’essere e la sua rappresentazione dipende dai significanti dell’Altro – e un Altro anche lui barrato, poiché manca del significante che permetterà al soggetto di nominare e colmare il suo essere. Quest’Altro risulta inoltre inaccessibile o, almeno, direttamente inaccessibile.
Abbiamo un resto da questa divisione, l’a, che è la parte dell’essere del soggetto che l’Altro non riesce a designare in termini significanti. Quell’a non entra nella contabilità significante! È il motivo della furia valutativa che vorrebbe ridurla al significante! È anche il segno del fallimento della via hegeliana, di qualsiasi progetto di sapere assoluto, poiché è irreducibile all’ordine simbolico.
Il “resto” del processo d’iscrizione nell’Altro è la parte non rappresentabile del mio essere, la parte di cui non riesco ad appropriarmi, la parte inconcepibile che non dà posto a nessun’identificazione. Se non c’è identificazione significante per quel resto, informe, ciò vuol dire che quella parte di me stesso non è specularizzabile e che sfugge all’immagine. Abbiamo quindi un oggetto al di là dell’immagine e che tuttavia è una parte del mio essere. È un anticipo di ciò che l’anno seguente chiamerà operazione di separazione.
Questa concezione dell’oggetto implica una conseguenza:

IL FANTASMA
Il soggetto si cerca nell’Altro e cosa trova? Un significante per identificarsi – che produce $ – e un resto non identificabile, l’a. Quel resto, eterogeneo al significante, è alloggiato nell’Altro nello schema di pag. 43, cioè, a sinistra, così come il soggetto barrato. I due sono il frutto del passaggio dall’Altro, il che vuol dire che gli ingredienti del fantasma, $ e a, fantasma tramite il quale sostengo il mio desiderio, sono situati dal lato dell’Altro. L’oggetto alloggiato nell’Altro è una proprietà che concerne il soggetto nevrotico, che preferisce percepire l’oggetto nell’Altro. Quest’Altro è chi regge lo specchio piatto grazie al quale il soggetto riesce a percepire qualcosa di sé stesso e dei suoi oggetti. Ma ciò che percepisce è un riflesso, un’immagine scritta i´(a), un’immagine virtuale dell’immagine narcisista, reale. Ecco perché situa l’oggetto a nell’Altro equivale a un uso fallace dell’oggetto. L’oggetto che costruisce Lacan nel seminario X non è l’oggetto desiderabile percepito nello specchio che sostiene l’Altro. È un oggetto che non è visibile perché non appare nel campo speculare inquadrato dall’Altro. La causa del desiderio, a, non è l’oggetto desiderato. Non bisogna confonderli. L’oggetto desiderato è l’agalma che brilla con splendore. L’oggetto causa è, al contrario, del lato dello scarto … ciò che causa il mio desiderio – rimosso – è uno scarto del quale non voglio sapere nulla e che non è nemmeno visibile.
Così lo formula Lacan nel capitolo VIII La causa del desiderio: Oggi vorrei riuscire a dirvi un certo numero di cose su quello che vi ho insegnato a designare come oggetto a, verso il quale vi orienta l’aforisma da me promosso la volta scorsa a proposito dell’angoscia, e cioè che essa non è senza oggetto. L’oggetto a si pone al centro del nostro discorso. Se s’iscrive nella cornice di un seminario che ho intitolato L’angoscia, è perché è essenzialmente per questa via che è possibile parlarne. Il che vuol dire anche che l’angoscia è la sua sola traduzione soggettiva. La lettera a che interviene qui è stata introdotta da molto tempo. Si è annunciata nella formula del fantasma in quanto supporto del desiderio, ($◊a), $ desiderio di a.” [Lacan, J. Seminario X, pag. 109]. Successivamente, nella pagina seguente, Lacan differenza l’oggetto del desiderio che si situa “davanti” al soggetto, dall’oggetto causa, che non partecipa dell’intenzionalità del soggetto, e che situa “dietro”, invisibile per il soggetto.
Isolare la causa in un’analisi implica estrarre del campo dell’Altro l’oggetto che il mio fantasma ha scelto come desiderabile. Si tratta di fare l’esperienza di quell’oggetto nell’analisi, il che non è possibile senza la messa in gioco nel transfert. In questo modo, l’analisi riduce il fantasma all’esperienza della pulsione, cioè, all’esperienza di un oggetto pulsionale che ha una relazione stretta con l’oggetto a. Quell’estrazione dell’oggetto a del campo dell’Altro è il tempo essenziale della passe in una cura ed è il momento di concludere. Un ottimo esempio è la passe di Patrick Monribot.

LO SCHEMA OTTICO
Ciò che ha portato Lacan allo stadio dello specchio nell’anno 1946 è stato il concetto freudiano di narcisismo, da dove apprende che la libido era di natura narcisista, iscrivendo così il godimento nell’ordine speculare. Il risultato è stato che la pulsione è stata messa come dipendente dall’immagine, sotto un principio di simmetria e reciprocità, a-a´, che indica la trasfusione e commutazioni della libido narcisista rispetto all’oggetto e viceversa. La libido circola così del narcisismo dall’io all’oggetto. È ciò che giustifica la presenza della dialettica del desiderio hegeliana nello schema. Questa presa della libido da parte dell’immagine, è sottoposta all’ordine simbolico, che Lacan introduce nello schema, ordine simbolico incarnato dall’Altro, rappresentato dallo specchio piatto, e dal quale dipendono le identificazioni del soggetto. Negli anni seguenti, Lacan ha reso più complesso questo schema, fino a culminare nella versione della pag. 44, prima del primo schema semplificato.
In questi capitoli si succedono varie versioni diverse dello schema ottico, versioni più semplici. La grande novità di questi schemi è l’introduzione, nel primo schema semplificato, del non specularizzabile, indicato con due matemi: -phi (è la prima volta che Lacan lo introduce nello schema ottico) e a (che per la prima volta non riflette la sua immagine virtuale, a´). È come se la presenza invisibile del reale nello schema immaginario avesse come effetto lo svuotamento, la semplificazione progressiva, fino alla sparizione del suo insegnamento. Siamo alla fine di questa via speculare per abbordare l’oggetto, che apre ad altre risorse, come la topologia o la logica con i diagrammi di Venn.
Vediamo nella parte sinistra dello schema il corpo. Questo corpo è scomposto tra i  fiori, che rappresentano l’oggetto parziale a e l’immagine della forma del corpo, riflessa nello spazio reale sullo specchio sferico, che produce un’immagine che Lacan denomina “immagine reale” i(a). Questa immagine è investita dalla libido narcisista del corpo, ed è la matrice dell’io la cui immagine appare riflessa nell’Altro, come i´(a). Nello schema 2 che si trova in Nota sulla relazione di D. Lagache: Psicoanalisi e struttura della personalità, abbiamo i fiori-oggetto a sul cassetto, e il vaso-realtà del corpo, sotto lo stesso, per segnalare il poco acceso che abbiamo a lui, la sua “oscura presenza”.
Se prendiamo ora lo schema semplificato di pag. 44, vediamo che Lacan ci scrive a (ritirando il disegno dei fiori dello schema) e scrive anche - phi. Dopo scrive lo specchio dell’Altro, l’Altro come specchio, l’Altro che convalida le immagini narcisistiche, ma non scrive più a´ nel lato destro dello specchio piatto, perché l’oggetto a non è specularizzabile.
Lacan insiste nel gesto del bambino piccolo che si gira verso l’Altro per vedere se guarda l’immagine. Se la valorizza, in modo che l’acceso alla sua immagine non passa solo attraverso l’immagine reale ma attraverso lo specchio dell’Altro, che produce l’immagine virtuale, ideale, dell’immagine reale: i´(a) di i(a). E aggiunge - phi senza spiegare nulla. È la prima volta che introduce nello schema - phi.
Cos’è questo - phi? Freud lo prende come mancanza del pene materno, cioè, dall’immagine anatomica. Ma Lacan non abborda il - phi a quel livello, che è quello dell’immagine, ma a partire dalla libido e dà una definizione libidica. “Non tutto l’investimento libidico passa attraverso l’immagine speculare. C’è un resto. [...] In tutto quello che è localizzazione immaginaria, il fallo si presenterà sotto forma di una mancanza. Nella misura in cui si realizza qui, in i(a), quella che ho chiamato l’immagine reale – immagine del corpo che funziona, del materiale del soggetto, come propriamente immaginaria, cioè libidinizzata – il fallo appare in meno, come uno spazio bianco. Sebbene il fallo sia indubbiamente una riserva operativa, non solo non è rappresentato a livello immaginario” [Lacan, L. Seminario X, pag. 44]. Abbiamo il - phi riferito a una riserva libidica e dall’altro lato, una mancanza nell’immagine.
Da Altro lato, cos’è quell’a del quale Lacan afferma che non appare nell’immagine? Dobbiamo vedercela con qualcosa che non ha forma. Quando Lacan introduce lo speculare, introduce la forma, l’immagine della forma del corpo, ma ciò lascia mascherato ciò che è investito in questa forma. L’investitura libidica è in realtà quella che apporta all’immagine il suo peso e la sua importanza per il soggetto. Quindi, in fondo, i(a) scrive la forma più che il quantum di affetti, il quantum di libido – termine freudiano. La relazione speculare non è una relazione con la forma, ma con una forma libidicizzata.
Lacan spiega che l’immagine reale funziona nell’aspetto materiale del soggetto come propriamente immaginaria, vuol dire, libidicizzata. La forma non fa per sé stessa l’immaginario. Ecco perché si tratta di un’erotologia. Evidentemente, non c’è immagine dell’investitura libidica. Cos’è un’investitura libidica? È una forma che interessa, che accattiva, eccita…ma quella dimensione non si vede nell’immagine! In questo senso, quando Lacan parla delle relazioni speculari, si tratta di “i”, l’immagine, più a, ascrivendo quel quantum d’investimento. Ma a non si vede come tale.
L’immagine speculare non è più che parziale dell’ordine del visibile, diviene visibile dalla sua investitura stessa. Quindi, a scrive una mancanza: ciò che non vedo nell’immagine e che non appare neanche nell’immagine virtuale.
Ma ora c’è una nuova portata del - phi, dal momento che Lacan fa del - phi la “riserva libidica”. Non si tratta più della perdita vitale né dell’operazione della perdita, ma della perdita di rappresentazione, di visibilità, del godimento autoerotico, “benché legata a un organo” [Lacan J. Seminario X, pag. 44] che permane nel corpo ed è suscettibile di “entrare in azione per la soddisfazione del desiderio” [Lacan J. Seminario X, pag. 45]. Vediamo qui uno scivolamento verso un privilegio del godimento come primo tempo nella costituzione del desiderio.
Ciò che rende veramente complesso e difficile analizzare - phi in questo seminario è il fatto che quando Lacan scrive - phi, pare riassumere l’insieme di ciò che produce la meccanica complessa della mancanza d’oggetto, precisamente per apportare il contrario della mancanza, o della perdita, a sapere, sua presenza lì dove non lo si afferra. A loro volta, in vari momenti Lacan utilizza - phi per segnalare la dimensione del fallo come l’oggetto immaginario, nel vecchio uso della castrazione, o per indicare il movimento stesso della perdita e lo spostamento del godimento. Infine, bisogna armarsi di pazienza e seguire i dettagli della sua articolazione ogni volta, perché non c’è un senso univoco di questo concetto.
Miller segnala che lungo il seminario si accentua lo statuto reale del fallo. Il - phi diviene un fallo de-significantizzato e de-immaginarizzato, punta al pene reale, al fallo organo: si tratta dell’eccitazione del pene del piccolo Hans, all’origine della sua angoscia. È la fobia che l’angoscia non riesce a risolvere, con quella macchia sulla bocca del cavallo che dà conto dell’oggetto a
Il fallo appare come un meno, come uno spazio bianco, perché punta a quella riserva operatoria, tema che Lacan aveva già accennato in Sovversione del soggetto.
In fondo, la prima investitura speculare dell’immagine lascia una parte nel lato dell’essere, del lato del soggetto: non tutto può essere investito nell’immagine, c’è un resto d’investitura libidica, una riserva. Questo è un punto essenziale per analizzare ciò che chiama la castrazione immaginaria: Lacan dice che si tratta della relazione tra - phi e la costituzione di a. “Da un lato, la riserva inafferrabile immaginariamente, benché legata a un organo che invece è ancora, grazie a Dio, perfettamente afferrabile: questo strumento che comunque dovrà di tanto in tanto entrare in azione per la soddisfazione del desiderio, il fallo. Dall’altro a, che è in quel resto, quel residuo, quell’oggetto il cui statuto sfugge allo statuto di oggetto derivato dall’immagine speculare, ossia sfugge alle leggi dell’estetica trascendentale” [Lacan, J. Seminario X, pag 45].
Quindi, - phi significa due cose: la parte della libido che non passa dall’immagine e che resta in riserva per spostarsi all’immagine e anche il fatto che quella mancanza, quella parte di libido, quella riserva strumentale separata dall’immagine, non appare nel campo dell’immagine. Non si tratta quindi della privazione della madre. Il fallo che manca all’immagine non ha specificità maschile né femminile.
Nel mondo delle immagini libidiche non abbiamo accesso all’immagine reale, ma all’immagine virtuale. Le immagini reali sono una costruzione di Lacan, alla quale si può accedere dallo specchio. Dice Lacan, pag. 51: “Ho scritto in alto (- phi) perché dovremmo portarlo lì, la prossima volta. Meno phi non è più visibile, più sensibile, più presentificabile lì di quanto lo sia qui, sotto i(a), dato che non è entrato nell’immaginario” [Lacan, J. Seminario X, pag. 45].

Trascrizione testo e ricerca citazioni nell’edizione italiana: Florencia Medici.

Redazione testo: Alberto Tuccio

lunedì 9 ottobre 2017

Programma Sezione clinica Milano







LINK:   http://www.istitutofreudiano.it/sezioni-cliniche/sezione-clinica-milano.html

Segreteria Organizzativa

Via Daverio, 7 - 20122 Milano
E-Mail: infomilano@istitutofreudiano.it

Iscrizione

La domanda di ammissione va inviata entro il 20 novembre 2017 alla Segreteria organizzativa.
L'iscrizione risulterà effettiva dopo l'accettazione della domanda e il pagamento della quota d'iscrizione.
Quota Intera: 300 €
Quota Studenti (fino a 26 anni): 200 €
Quota SLP: 150 €

Commissione di coordinamento

Antonio Di CiacciaPresidente dell’Istituto freudiano
Marco FocchiDirettore sede di Milano

Luogo

Tutte le attività si svolgono presso la sede di Milano.


Il Seminario fondamentale è costituito da due insegnamenti: uno teorico, che prevede la lettura e il commento di un testo di J. Lacan, e uno pratico che prevede l’esposizione di casi clinici che evidenzieranno il valore operativo della teoria.

Seminario fondamentale

Testo di riferimento
Il Seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione, Einaudi 2016

2 dicembre 2017

Docente invitato: DANIEL ROY
Caso clinico presentato da: FRANCESCA SENIN
Coordina: MARCO FOCCHI

27 gennaio 2018

Docente invitato: CLOTILDE LEGUIL
Caso clinico presentato da: EMANUELA D'ALESSANDRO
Coordina: FABIO GALIMBERTI

3 marzo 2018

Docente invitato: MIRIAM CHORNE
Caso clinico presentato da: ROSSELLA SFERRAZZO
Coordina: GIUSEPPE POZZI

14 aprile 2018

Docente invitato: ANTONIO DI CIACCIA
Caso clinico presentato da: KATIA ROMELLI
Coordina: ADELE SUCCETTI

22 settembre 2018

Docente invitato: VICENTE PALOMERA
Caso clinico presentato da: SANDRA CAMMARATA
Coordina: PIETRO BOSSOLA

Orari

Seminario teorico: ore 9:30 - 13:00
Seminario di casi clinici: ore 14:00 - 16:00 


Seminario Tematico

Psicoanalisi e Istituzioni

Intervengono
GIOVANNA DI GIOVANNI, GIUSEPPE POZZI, GIULIANA KANTZA'
Date
  • 20 gennaio 2018
  • 4 febbraio 2018
  • 1 marzo 2018
Orario 9:30 - 13:00

Seminario Tematico

Qualcosa che la psicoanalisi può insegnare sulla democrazia

Intervengono
LUISELLA BRUSA, DONATA ROMA, ALBERTO VISINI
Date
  • 12 maggio 2018
  • 15 settembre 2018
  • 13 ottobre 2018
Orario 9:30 - 13:00

Gruppo 1

La clinica psicoanalitica delle psicosi in Freud e Lacan

Date

  • 20 gennaio 2018
  • 17 febbraio 2018
  • 17 marzo 2018
  • 12 maggio 2018

Orario

14:30 - 16:00

Docenti

MARCO FOCCHI, DOMENICO COSENZA

Gruppo 2

La politica dell'analista tra costruzione del caso e direzione della cura

Date

20 gennaio 2018 ore 16:00 - 17:30
17 febbraio 2018 ore 16:00 - 17:30
17 marzo 2018 ore 16:00 - 17:30
12 maggio 2018 ore 16:00 - 17:30
15 settembre 2018 ore 14:30 - 16:00 *
13 ottobre 2018 ore 14:30 - 16:00 *

Docenti

FEDERICA FACCHIN, MARCELLO MORALE