giovedì 26 gennaio 2017

Seminario del 3 dicembre 2016 Docente invitato: Jean-Luis Gault

Vorrei ringraziare i miei colleghi milanesi per l’invito, e tutte le persone che sono venute qui stamane per lavorare con noi.
Il seminario sull’angoscia è stato pubblicato da J.-A. Miller, il quale ne ha fatto un’introduzione alla lettura tenendo sei lezioni, dall’aprile al giugno del 2004, pubblicate in due numeri, il n°58 e il n°59, della rivista della Scuola “La cause freudienne”. Queste lezioni sono state pubblicate in italiano con il titolo: L’angoscia. Introduzione al seminario X di Jacques Lacan. È a partire dalla lettura fatta da Miller che vorrei introdurvi questo seminario.
L’angoscia è un affetto, questo è chiaro. Ci sono diversi affetti: per esempio la tristezza, il rimorso, la colpa, ma tra questi l’angoscia, nella clinica, nella pratica e nella teoria psicoanalitica, ha uno statuto privilegiato. Sin dall’inizio, sin da Freud, non è considerata come gli altri affetti: l’angoscia è un affetto unico, è un operatore centrale nell’elaborazione di Freud.
Nella sua prima teoria delle psiconevrosi di difesa, Freud concepisce l’angoscia come un prodotto della libido. In un’ultima revisione teorica, Freud situa l’angoscia nella sua relazione con l’inibizione e il sintomo, dove essa appare come l’operatore del rimosso, in francese le moteur refoulement: è concepita come la causa del rimosso.
L’angoscia conserva uno statuto privilegiato nell’insegnamento di Lacan, da cui questo seminario. Non abbiamo un seminario sulla tristezza, sul rimorso, sulla colpa, ma abbiamo un seminario sull’angoscia a causa dello statuto particolare che essa ha nella teoria, nella clinica e nella pratica analitica.
Possiamo parlare di angoscia lacaniana, per indicare lo statuto particolare che prende in questo seminario l’angoscia, la quale non è mai considerata come un disturbo o una disfunzione e mai si pone la questione del suo trattamento. Questo non è un seminario sull’angoscia come disturbo da trattare o da curare.
A dire il vero il seminario X non è un seminario sull’angoscia, questo è il primo punto utile per orientarsi nel seminario. Non è un seminario sull’angoscia perché Lacan ha scelto questo affetto come tema del suo decimo seminario in quanto costituisce una via d’accesso privilegiata all’oggetto a minuscola. Questa è la vera scommessa del seminario: considerare che l’angoscia sia una via d’accesso privilegiata all’oggetto del desiderio.
Il vero tema di questo seminario è la ricerca dell’oggetto del desiderio, del desiderio nella sua declinazione con il suo oggetto, dato che al suo inizio non abbiamo ancora l’oggetto a. Lacan parte dalla questione: qual è il vero oggetto del desiderio? È a partire da qui che vedremo la costruzione progressiva di quello che chiamerà l’oggetto a, ma siamo all’inizio di questa costruzione.
La questione che dunque orienta Lacan nella sua elaborazione di questo seminario è: qual è l’oggetto del desiderio nella sua relazione con l’amore e con il godimento? La mappa teorica che orienta Lacan è: il desiderio nella sua relazione con l’amore, con il godimento e qual è il vero oggetto del desiderio.
Nei nove seminari precedenti fino a questo dell’anno accademico 1962/63, Lacan aveva compiuto uno sforzo di riformulazione della clinica e della teoria freudiana nei termini del significante. Aveva trasformato, tradotto, i concetti freudiani a partire dalla sua ripartizione immaginario/significante e cercando di significantizzare tutti questi concetti: il desiderio, l’amore, l’oggetto, il corpo, ecc.
Il seminario precedente, sull’identificazione, si conclude sull’affetto d’angoscia: essa  appare quando il soggetto è messo a confronto con l’enigma del desiderio dell’Altro. Questo seminario rimane come un punto interrogativo: il soggetto non sa quello che l’Altro vuole da lui e prova un affetto d’angoscia. L’enigma del desiderio dell’altro è angosciante, si presenta come una questione: tu che vuoi? Tu che mi guardi, mi parli, ecc.
Questa è la situazione clinica dell’angoscia.
Nell’anno ‘56 Lacan aveva fatto un primo seminario sull’angoscia, quello sulla relazione d’oggetto, ma a partire dall’osservazione della fobia di un bambino: Hans. Lacan aveva notato che la fobia del cavallo era una risposta sintomatica dell’angoscia del bambino. Aveva situato ciò che aveva già fatto Freud: prima, Hans prova angoscia e dopo ventiquattro ore appare la fobia, la paura del cavallo. All’inizio il piccolo Hans non sa cosa accade ma prova un’angoscia diffusa e dopo qualche tempo situa l’angoscia nella paura del cavallo.
Questo sintomo, la fobia, legato al significante cavallo – Lacan interpreta il cavallo come un significante – non assorbe completamente l’angoscia, rimane un resto d’angoscia al di là della paura. Rimane un resto, il bambino rimane angosciato dalla visione della macchia nera sulla bocca del cavallo. È un punto importante, attira l’attenzione di Lacan che in questo momento è focalizzata sul punto d’angoscia: non sa come rispondere a questo problema ma lo situa, lo sottolinea, lo nota. C’è un resto: non si sa cosa sia la macchia sulla bocca del cavallo, ma provoca un po’ di angoscia.
Lacan ritrova questa questione dell’angoscia nell’ultima lezione del seminario sull’identificazione. È l’angoscia che prova il soggetto di fronte alla questione del desiderio dell’Altro. Lo sforzo di Lacan di tradurre la clinica e la teoria psicoanalitica lascia un resto. È la problematica all’inizio del seminario X: c’è qualcosa che resta, non teorizzato. Un resto che passa attraverso la rete dei significanti.
Lacan aveva usato il concetto di “rete dei significanti” per captare tutti i concetti freudiani e aveva raccolto una serie di cose sul desiderio, sulla fobia, ecc., ma appare un resto che la rete dei significanti non può captare. Questa è la problematica che deve affrontare Lacan dall’inizio del seminario sull’angoscia.
L’angoscia fa parte di questo resto che scappa attraverso la rete dei significanti. L’angoscia è l’affetto che segnala questo resto. Si manifesta sul piano clinico come angoscia perché non ha una risposta significante. Cosa rimane allora? L’affetto d’angoscia. Quando possiamo avere un significato abbiamo infatti una risposta e siamo tranquilli. È la funzione della paura del cavallo: si lascia il cavallo fuori e a casa non c’è problema. Invece no, si mantiene sempre un resto che sfugge alla cattura dei significanti e ciò produce angoscia.
In questo resto, però, incontriamo anche il desiderio, e questa problematica è il punto di partenza del seminario. Il desiderio, il desiderio dell’Altro, come causa dell’effetto d’angoscia.
Così le prime due lezioni del seminario sono intitolare da J.-A. Miller: la prima L’angoscia nella rete dei significanti e la seconda L’angoscia segno del desiderio.
Con questo seminario Lacan apre un cantiere teorico completamente nuovo rispetto alle elaborazioni anteriori. Per quasi dieci anni Lacan aveva proceduto alla significantizzazione dei concetti freudiani, adesso si confronta con un campo dell’esperienza soggettiva che sfugge alla dimensione significante. Il registro che sfugge alla rete dei significanti è quello che dobbiamo chiamare reale.  Logicamente ciò che non è preso dal significante o dall’immaginario, ciò che non possiamo catturare, vale a dire che non è simbolizzabile e neanche immaginarizzabile, lo dobbiamo chiamare reale. Per questo, a metà del seminario, incontriamo la lezione dodicesima che s’intitola L’angoscia, segnale del reale. Lacan inizia con L’angoscia segno del desiderio, ma dopo dieci lezioni situa giustamente l’angoscia come segnale del reale, e se ne coglie il motivo.
Lacan si orienta a partire dall’angoscia per costruire una nuova concezione del desiderio e produrre una nuova nozione dell’oggetto che è in funzione nel desiderio, in relazione con il desiderio, oggetto che chiamerà con un nuovo nome, ovvero oggetto a. Nuovo nome perché non ha niente a vedere con le sue precedenti concezioni dell’oggetto. Lacan aveva già parlato dell’oggetto, ma qui sta scoprendo una nuova categoria d’oggetto, completamente inedita nella teoria analitica.
A p. 42, Lacan parla dello statuto dell’oggetto del desiderio: “tale statuto […] è proprio ciò che si tratta di approfondire quest’anno, affrontando l’angoscia”, o ancora a p. 48 “Tramite l’angoscia, il fenomeno dell’angoscia ma anche il suo posto, che vi insegnerò a precisare, si tratta di approfondire la funzione dell’oggetto nell’esperienza analitica”, o ancora alla fine del seminario a p. 356 “[…] ho indicato che la funzione angosciante del desiderio dell’Altro è legata precisamente a questo: non so quale oggetto a io sia per tale desiderio”.
Non cambia solo il concetto di desiderio, nel seminario cambiano anche il concetto di oggetto e altri cambiano valore. La lettura del seminario può risultare difficile perché Lacan conserva le stesse parole (desiderio, castrazione, fallo, oggetto, amore, ecc.) ma nel proseguire delle lezioni esse cambiano valore. Quando incontriamo uno di questi termini non siamo sicuri di sapere quale sia il suo valore: quello anteriore o quello nuovo che Lacan sta scoprendo? 
Per esempio il cambio di valore del fallo e della castrazione conduce Lacan a riformulare la sua concezione della posizione femminile e della posizione maschile. Cambia anche valore la prima concezione lacaniana del corpo.
Abbiamo situato il punto di partenza del seminario, ma il seminario non ha uno sviluppo lineare, Lacan prende diverse vie di ricerca, certe saranno abbandonate, tuttavia c’è un asse principale intorno al quale si ordinando i grandi rimaneggiamenti concettuali.
Vediamo quali sono questi rovesciamenti. Ne ho situati cinque.


 Il corpo

Vediamo cos’accade al concetto di corpo in questo seminario. Iniziamo dalla terza lezione: Dal cosmo all’Unheimlichkeit. Tutti i lettori di Freud devono conoscere Unheimlichkeit. È importante riconoscere almeno la parola Heim, in inglese “home”: casa.

Das Unheimliche [S. Freud, Il perturbante (1919), in Opere vol. IX, Bollati Boringhieri] è un articolo di Freud nel quale studia le condizioni di questo fenomeno d’angoscia: angoscia di fronte a qualcosa di estraneo ma nel quale si scopre qualcosa di se stessi, ad esempio l’apparizione del doppio scatena l’Unheimlichkeit. La familiarità appare nel mondo esterno come Unheimlichkeit: Un ha un valore privativo, “che non” appartiene all’ Heim, ovvero la casa. Quindi questo fenomeno s’incontra fuori dalla “casa”.




In questa lezione Dal cosmo all’Unheimlichkeit Lacan riconsidera la funzione dell’immagine del corpo come oggetto del desiderio. Fino a questo seminario Lacan aveva costruito l’oggetto del desiderio sull’immagine del corpo: tutti gli oggetti d’amore concatenati al desiderio sono oggetti legati all’immagine del corpo: “io amo ciò che di me ritrovo nel mondo”. L’immagine del corpo allo specchio, speculare, dava forma a tutti gli oggetti del desiderio.
In questo seminario Lacan prende in conto un dato nuovo che indica così a p. 46: “L’investimento dell’immagine speculare è un tempo fondamentale”.




Da una parte l’io e nello specchio la sua immagine. Secondo Freud tutta la libido che si trova nella parte dell’io, questa libido investita nel corpo proprio, può essere investita nell’oggetto. C’è come una trasfusione di libido. Questa è la prima concezione freudiana riformulata da Lacan con il suo specchio, come interpretazione del narcisismo freudiano a partire dallo stadio dello specchio.
In questo seminario Lacan dice “L’investimento dell’immagine speculare – alla destra (vedi foto) – è un tempo fondamentale della relazione immaginaria – e aggiunge – fondamentale in quanto ha un limite”. Questa è la novità: ha un limite questo investimento! Non tutto l’investimento libidico passa attraverso l’immagine speculare, rimane un resto, un resto libidico. Non tutta la libido passa nell’investimento oggettuale, c’è un resto che rimane nel corpo proprio: ecco la novità! C’è un limite a questo investimento!
È interessante vedere che qui troviamo le parole “resto”, “residuo” e la formula “non tutto”, la quale avrà tutto uno sviluppo nei seminari successivi.
Lacan si serve del modello dello stadio dello specchio: da un lato abbiamo il corpo reale, il corpo proprio, e dall’altro abbiamo la sua immagine. Secondo il modello del narcisismo freudiano, che Lacan riprende con il suo stadio dello specchio, tutta la libido situata nell’atto dell’Io, può passare dall’altra parte e investirsi nell’oggetto.
Adesso Lacan si rende conto che questo non è vero: non tutto l’investimento libidico passa attraverso l’immagine speculare. Non tutto: rimane un resto di libido. Questo resto libidico lo dobbiamo situare come un resto reale. Non lo possiamo spostare, rimane là dov’è. Questa è la novità che Lacan trova in questo momento: c’è un resto, che è un residuo libidico che si mantiene a livello del corpo proprio. È un resto reale. Questo resto è la fonte della costruzione dell’oggetto a. Questo resto Lacan lo scrive: a.
Non è lo stesso “a” che c’era prima nella parte sinistra (vedi foto), perché quello era un “a” che stava per “io”. A destra è in parte resto libidico, che sarà la fonte dell’oggetto a.
Lo schema ottico che Lacan ha utilizzato fino a questo momento lo si ritrova modificato: il primo schema ottico presentava un’immagine completa di uno specchio, mentre in quello introdotto ora, con la considerazione dell’investimento libidico, nell’immagine manca qualcosa, c’è un buco, l’immagine non è più completa.



Nell’immagine investita libidicamente c’è sempre un buco, che corrisponde al resto dal lato del soggetto del corpo proprio. Nell’immagine manca qualcosa, c’è un buco, e Lacan prende gli esempi nei testi di Karl Abraham, il quale aveva notato come in diversi casi, nei sogni di una donna che ha un fidanzato o un marito appaia l’immagine dell’altro, dell’uomo, ma senza i genitali. Questo non è il risultato di una volontà di castrarlo ma più fondamentalmente ci indica che l’immagine non è completa, soprattutto relativamente a questo investimento libidico. C’è un bianco nell’immagine, manca qualcosa: questa è la vera struttura dell’immagine, ma non si vede! Mai! Fatto salvo per questi sogni, normalmente il mondo ci appare completo, ma Lacan ci indica che il mondo è visibile e tranquillo perché c’è questo buco. Possiamo vedere tranquillamente perché c’è questo buco, manca qualcosa nel mondo: questo ci rilassa.
Lacan indica questa mancanza come un meno: - φ, dove φ (phi) sta per fallo, ma per indicare attraverso il meno (-) la sottrazione libidica che esiste nell’immagine del mondo, dell’Altro. Dal lato del soggetto rimane un resto libidico: è qua l’oggetto a.
Dunque è a questo resto che Lacan dà lo statuto di un oggetto. Questo oggetto non appare nel campo visibile, rimane sconosciuto ma esiste a livello libidico: non esiste a livello immaginario, non si può vedere, non esiste a livello simbolico, non lo possiamo simbolizzare, ma lo possiamo provare. Provare per esempio come angoscia.
Questo oggetto non è come gli altri che appartengono al campo del visibile o al campo del significante. Lacan ci dice di più: “La condizione del mondo visibile è questa mancanza nell’immagine. È questa estrazione libidica che rende il mondo visibile”. Dalla parte del soggetto rimane “quel resto, quel residuo, quell’oggetto, il cui statuto di oggetto è derivato dall’immagine speculare […]” [J. Lacan, Il Seminario. Libro X. L’angoscia (1962-1963), Einaudi, 2007, p.45] . Ora lo statuto del corpo è ripartito in due parti differenti: una parte del corpo che può avere un’immagine, che può essere rappresentato da un’immagine e un altro che non ha immagine, non ha immagine speculare. È l’esperienza dell’angoscia che porta Lacan a questa considerazione e lo fa a partire dall’Unheimlichkeit descritto da Freud.
Lacan s’interroga: quando sorge l’angoscia davanti a una certa immagine? Quando un meccanismo fa apparire qualcosa nel posto del - φ. Qui, dove non dovrebbe esserci qualcosa, qualcosa avviene per otturare questo buco: allora sorge l’angoscia. Sorge quando questo oggetto a, appare sotto la forma di qualcosa, che fa sì che, nonostante non dovrebbe esserci, ci sia qualcosa, ci sia un oggetto del mondo che viene a otturare questo buco. Da lì sorge l’angoscia.
Come abbiamo visto con l’Unheimlichkeit possiamo situare Heim, la casa, dalla parte sinistra del disegno, mentre Unheim appare fuori. Ciò che appariva dalla parte della casa appare fuori e questo è angosciante: vedere se stesso all’esterno è un’esperienza angosciante.
Questa è la costruzione, l’interpretazione dell’Unheimlichkeit data da Lacan ed è l’interpretazione che ne deduce con sua modificazione della costruzione dello stadio dello specchio.
Lacan dice a p.46/47 “L’angoscia sorge quando un meccanismo fa apparire qualcosa al posto di - φ, qualsiasi cosa. […] Così come ho affrontato l’inconscio con il Witz, quest’anno affronterà l’angoscia con l’Unheimlichkeit. L’Unheimlich è ciò che appare nel posto in cui dovrebbe stare - φ.
Finalmente Lacan dà la struttura più generale dell’angoscia: “L’angoscia sorge quando viene a mancare la mancanza”, questo è un dato clinico sempre verificato. L’angoscia sorge quando la mancanza viene a mancare.
In questa prima parte del seminario X, Lacan usa il suo schema ottico per situare le apparizioni angoscianti dell’oggetto. Nell’ultima parte del seminario lo schema ottico sparisce, Lacan abbandona il riferimento al corpo speculare per considerare il corpo come fonte di godimento. Lui che aveva sempre situato il corpo in relazione all’immaginario, alla fine del seminario X lo considera come fonte di godimento, contenitore di un elemento libidico: è una modificazione decisiva del suo concetto di corpo. Lacan passa dall’apparizione angosciante dell’oggetto a, primo passo, alle sue separazioni erogene, perché scopre che attraverso queste apparizioni angoscianti c’è un elemento libidico, quindi erogeno.
Il modello di quest’oggetto, che fa capire a Lacan il legame tra angoscia e libido/godimento, è l’oggetto anale, la cui separazione dal corpo è fonte di godimento. C’è la separazione e c’è il godimento ma c’è anche l’angoscia che sta all’inizio di tutto il processo. L’esempio scelto da Lacan è quello dell’uomo dei lupi: incontriamo questa congiunzione tra angoscia e godimento nell’esperienza del ragazzo laddove il momento d’angoscia è seguito dalla produzione dell’oggetto anale fonte di godimento. Abbiamo tutto questo processo: l’angoscia, produzione di un oggetto tramite la separazione e il godimento. Appare quindi un legame tra angoscia e godimento che produce un oggetto attraverso la separazione. Questa congiunzione tra angosciante ed erogeno si trova nella connessione che Lacan nota tra orgasmo e angustia.
L’esempio è quello del soggetto maschile che nel momento di un esame è angosciato perché non può finire in tempo la redazione del suo compito. Non ha tempo per finire e si angoscia. Interviene il maestro per prendergli il foglio e prova un orgasmo con un’eiaculazione. Lacan vede qui la relazione tra il momento più intenso dell’angoscia, la separazione con la necessità di lasciare questo oggetto e l’orgasmo.
È a partire da questo rovescio che introduce il corpo delle zone erogene, nel posto del corpo speculare appare un nuovo statuto del corpo. Dal corpo speculare al corpo delle zone erogene.
Il corpo è strutturato da queste zone erogene che determinano lo statuto degli oggetti a: agli oggetti freudiani – orale, anale e fallico – Lacan aggiunge l’oggetto voce e l’oggetto sguardo.
Con questo cambiamento dello statuto del corpo, appare un oggetto che si relazione all’angoscia. Nel seminario IV Lacan riprende l’affermazione di Freud secondo il quale l’angoscia non ha oggetto. Il piccolo Hans si ritrova angosciato ma senza poter dire che cosa lo angoscia.
Non può situare un oggetto dell’angoscia perché l’angoscia non ha un oggetto nel mondo visibile, non ha un oggetto nel mondo dei significanti. Da lì Freud considera che l’angoscia non ha oggetto, invece la paura ha un oggetto perché cura l’angoscia, dato che l’angoscia trova attraverso la paura un oggetto, il cavallo ad esempio. Rimane però un resto d’angoscia.
Nel seminario IV Lacan considera, dopo Freud, che l’angoscia non ha oggetto ma in questo seminario X, Lacan dice che l’angoscia non è senza oggetto! Frase un po’ particolare in francese perché non dice che l’angoscia ha un oggetto ma dice “non è senza” oggetto”, ciò vuol dire che dobbiamo situare un oggetto in relazione all’angoscia.
Abbiamo visto l’apparizione di un oggetto nel campo visivo dove dovrebbe esserci una mancanza  scatena l’angoscia. Vediamo la relazione tra un oggetto e l’angoscia. Qual è l’oggetto angosciante? Non è un oggetto particolare, è qualsiasi cosa venga a otturare la mancanza: questo è un effetto di angoscia. La novità è di non considerare un oggetto visibile, significantizzabile. Non si tratta di un simbolo, ma di qualcosa di strutturato. La struttura della mancanza è otturata e questo scatena l’angoscia. L’oggetto a è questo: una struttura che si viene a modificare e, dove dovrebbe esserci una mancanza, questa mancanza non c’è più.
L’oggetto dell’angoscia non è dunque un oggetto come gli altri: non è un oggetto immaginario e non è neanche un oggetto significantizzato. L’angoscia produce quest’oggetto particolare che è l’oggetto a minuscola. Lacan qui considera l’angoscia come produttrice. La nozione dell’oggetto è cambiata nel seminario dell’angoscia, è totalmente rielaborato, Lacan ha revisionato il concetto di oggetto.
A Lacan interessa la macchia nera sulla bocca del cavallo, questo residuo del tutto singolare, al fine di ottenere un nuovo oggetto nella teoria analitica, l’oggetto a. Si vede come questa macchia, che aveva individuato alcuni anni prima, diventa l’appoggio per la costruzione di un oggetto molto particolare.
Nella costituzione dell’oggetto dell’angoscia interviene questo taglio, la coupure, la separazione, opposta alla funzione del tratto significante che interveniva anteriormente nella definizione dell’oggetto simbolizzato. Era il tratto significante che definiva l’oggetto, adesso lo statuto dell’oggetto a è posto in relazione al taglio.


  L’angoscia di castrazione

Il secondo cambiamento di valore riguarda l’angoscia di castrazione, nozione freudiana che Lacan conserva nei seminari anteriori al seminario X e che di nuovo incontriamo qui. La quarta lezione è infatti intitolata da J.-A. Miller Al di là dell’angoscia di castrazione,.
Lacan nota che per Freud l’angoscia di castrazione era l’ultimo termine dell’esperienza del nevrotico nell’analisi. Questo è situato molto chiaramente, nella p. 50 scrive “Che cosa ci ha detto Freud a questo riguardo? Che l’ultimo termine a cui è arrivato elaborando questa esperienza, il suo punto di arrivo e di arresto, il termine per lui insuperabile, è l’angoscia di castrazione.” Lacan si domanda: “Questo termine è forse insuperabile?” è una questione mai posta anteriormente, non era in questione questo termine finale dell’angoscia di castrazione, qua sì. Ancora si chiede: “Che cosa significa questo arresto della dialettica analitica dinnanzi all’angoscia di castrazione? Non vedete già, nel semplice uso dello schematismo che impiego, delinearsi la via per cui intendo condurvi?”. Lacan ha visto che c’era un passaggio, una via, e come la parola “resto”, la parola “via” la incontriamo spesso in questo seminario: la via presa da Lacan per esplorare che cos’è l’oggetto a, che cos’è l’oggetto del desiderio, è la via dell’angoscia.
A questa via si oppone un’altra via, che aveva utilizzato precedentemente: la via dell’amore. Qui in questo seminario la via dell’angoscia si sostituisce alla via dell’amore.
Lacan ci dice che c’è un passaggio per andare al di là dell’angoscia di castrazione: “L’apertura che vi propongo, la dialettica che qui vi mostro, permette di articolare che non è affatto l’angoscia di castrazione in quanto tale a costruire l’ultima impasse del nevrotico”.
Considerare che l’angoscia di castrazione non è l’ultima impasse del nevrotico è una completa novità. Seguendo la via dell’angoscia Lacan ci propone di superare l’ostacolo concettuale del complesso di castrazione nella teoria analitica. Per fare questo, per superare questo ostacolo, riformula in modo inedito l’esperienza dell’angoscia di castrazione. Lacan conserva la stessa espressione “angoscia di castrazione”, usato da lui e da Freud da sempre, ma per darle un contenuto nuovo.
Facciamo un salto fino alla lezione diciottesima La voce di Yahweh. Lacan riprende la questione dell’angoscia di castrazione, il problema del complesso di castrazione legato al mito dell’omicidio del padre, a partire da un articolo di Reik sullo shofar, che nella tradizione ebraica è un grosso corno che fa risuonare un suono molto particolare e rimanda a un certo sacrificio nella storia mitica del popolo giudaico.
Lacan dice a p. 277: “Se seguiamo quanto osiamo sperare sia solo una metafora di Reik, è il muggito di toro accoppato che si fa sentire ancora nel suono dello shofar”. Si tratta del sacrificio del toro e del suo muggito ed è un riferimento a questo suono dello shofar legato al muggito del toro che si sacrifica e dunque rimanda all’al di là dell’omicidio del padre. Lacan prosegue “Diciamo, più semplicemente, che è il fatto originario inscritto nel mito dell’omicidio del padre a dare il via a quello per cui dobbiamo, pertanto, cogliere la funzione nell’economia del desiderio, vale a dire che si proibisce, come impossibile da trasgredire ciò che costituisce nella sua forma più fondamentale il desiderio originario.” Lacan vede attraverso questo esempio il legame tra proibizione, omicidio del padre, angoscia di castrazione; ma aggiunge: “Esso è tuttavia secondario rispetto a una dimensione che dobbiamo affrontare qui, ovvero il rapporto con quell’oggetto essenziale che funge da a, la voce […]”. Dunque qui Lacan dice che il desiderio originario è legato alla proibizione, è la proibizione che fa nascere il desiderio, ciò che è proibito diventa oggetto di desiderio e l’oggetto del desiderio si raggiunge solo nella trasgressione: proibizione, oggetto proibito, oggetto desiderato, necessità della trasgressione per raggiungere questo oggetto perché si deve trasgredire la proibizione.
Questa è la conclusione ortodossa e all’inizio di tutto questo c’è l’omicidio del padre. Dopo aver rinunciato a tutto questo, in conformità con l’ortodossia freudiana, Lacan aggiunge: “Esso è tuttavia secondario”, tutta questa costruzione che dà conto della costituzione del desiderio e del suo oggetto è una costruzione secondaria: il tempo primo è quello del rapporto con la voce. Prima di tutta la proibizione, la relazione con questo oggetto non ha niente a che vedere con la trasgressione perché è una relazione immediata, diretta, senza l’ostacolo della proibizione, della trasgressione; questa è la novità che introduce Lacan per considerare questo concetto di angoscia di castrazione. C’è una relazione primaria con l’oggetto che non ha niente a che vedere con la castrazione.
Nella teoria analitica, dove c’era il complesso di castrazione come termine originario, Lacan inscrive ora l’oggetto a come elemento primario, viene prima dell’angoscia di castrazione. Nell’ortodossia freudiana l’oggetto è creato dalla proibizione, è sempre un oggetto proibito, ora Lacan situa l’oggetto al di qua di tutta la proibizione. Al contrario sottolinea ora Lacan: “Il soggetto ha un rapporto originario con questo oggetto a come pezzo di corpo, fonte di un godimento”.
Dunque non è affatto l’angoscia di castrazione a costituire l’ultimo termine dell’esperienza del nevrotico, l’ultimo termine dell’esperienza del nevrotico è da situare per il soggetto nel suo rapporto con la presenza di questo elemento di godimento nel suo corpo, questo oggetto a.
Non si tratta più di castrazione, non è una sottrazione, è una presenza, presenza nel corpo di questo elemento libidico situato da Lacan in relazione a queste zone erogene da dove sorgono questi oggetti: la voce, lo sguardo, l’oggetto anale, l’oggetto orale, ecc.
Dunque l’angoscia non è l’angoscia di castrazione, vuol dire che l’angoscia non è in rapporto con una mancanza, al contrario, l’angoscia è in relazione con una presenza, la presenza di un oggetto che non dovrebbe incontrarsi in quel posto dove c’è una mancanza. Lacan lo dice così a p. 59: “Che l’angoscia non è il segnale di una mancanza, ma piuttosto di qualcosa che si deve concepire a un livello raddoppiato, in quanto è il difetto dell’appoggio che la mancanza dà.” Vale a dire che il soggetto trova un appoggio nella mancanza e l’angoscia sorge quando la mancanza fa difetto. Questo è il raddoppiamento di cui Lacan stava parlando.
La mancanza manca quando è annullata da una presenza: l’esperienza più angosciante per il bambino, sottolinea Lacan, non è l’assenza della madre, come si ripete, ma la sua troppa presenza. Quando fa difetto la mancanza che fa del bambino desiderio, quando la madre gli sta sempre addosso, questo rapporto con il desiderio è perturbato.


 Il fallo

Il terzo cambiamento di valore tocca il fallo. Prima di questo seminario Lacan poteva scrivere: “il fallo dà corpo al godimento nella dialettica del desiderio”. Nel seminario X il godimento si libera dalla prigione fallica: non è il fallo ma sono gli oggetti a che danno corpo al godimento. È ciò che Lacan cerca di rianimare con gli organi del corpo che divengono degli organi di godimento e non dei significanti. Il godimento impossibile da negativizzato anteriormente veniva rappresentato dal significante scritto con il phi maiuscolo (Φ) mentre in questo seminario sono gli oggetti a a indicarlo: c’è una sostituzione dove a prende il posto di Φ.
Il – φ abbiamo visto essere la scrittura della mancanza, anteriormente in relazione con la castrazione, ora abbiamo visto che – φ è in relazione alla struttura fondamentale che fa si che nell’immagine, nel mondo immaginario, nel mondo del significante, manchi qualcosa. Questo qualcosa è presente dal lato del soggetto sotto la forma dell’oggetto a ma non ha nulla a che vedere con la castrazione.
Il – φ che incontriamo nel seminario non è affatto lo stesso che conoscevamo anteriormente, non è il simbolo della castrazione. Lacan situa il – φ come una proprietà dell’organo maschile, che sta tutto all’opposto della sua immagine di potenza, in quanto si tratta della detumescenza che colpisce l’organo nel godimento. Il phi che era l’immagine della potenza, adesso è – φ e non è in relazione a un agente che fa intervenire la castrazione ma è in relazione a una proprietà anatomica.
In questo seminario Lacan intraprende una critica del fallo immaginario: quello che appare nel corpo visivo, nell’immagine dell’uomo si vede quest’organo. Ultimamente c’è un film su un pornoattore italiano conosciuto nel mondo, Rocco Siffredi, che è l’immagine della potenza. Come lo interpreta Lacan questo? Per lui ciò che appare nel campo visivo riguarda il fallo in quanto immaginario, vale a dire una funzione scopica. Il fallo immaginario è un’immagine della potenza, si tratta di immaginare questa illusione della potenza: è un’immagine e basta, non è un reale, è soltanto l’illusione della potenza. Il – φ nel seminario sull’angoscia è un fallo designificantizzato, deimmaginarizzato, è ciò che Lacan chiamava anteriormente “il pene reale”. Nell’angoscia ciò che è determinante è il fallo organo che si oppone al fallo significante.
Vediamo le conseguenze di questo cambiamento di valore del fallo rispettivamente nel soggetto femminile e maschile. Quando si regola sul fallo significante la castrazione ha come fondamento l’assenza del pene nel versante femminile, ne consegue un sentimento di inferiorità della donna su un piano immaginario. Nella dialettica simbolica la donna entra con il segno meno (-) – tutto questo è l’ortodossia freudiana – perché la sua mancanza d’oggetto è il fallo significantizzato, l’oggetto simbolico fallico, da cui l’incidenza del fantasma fallico – che esiste nell’uomo come nella donna – che è quello di credersi in qualche modo provvista di fallo, credere la madre provvista di un fallo. Tutto questo esiste a un livello inconscio e come testimonianza di questo fantasma fallico ne risulta, nell’ortodossia freudiana, un effetto di complicazione nella posizione femminile rispetto al desiderio, perché deve attraversare questa relazione con il fallo con il quale non ha niente a che fare.
Sulla strada del desiderio s’incontra il fallo significante – posizione femminile secondo Freud e Lacan fino a questo seminario – mentre il fallo organo si scopre sulla strada del godimento. “Quando si mette in funzione il fallo organo le conseguenze sono diverse – dice Lacan nel seminario X – nell’uomo l’organo si negativizza esso stesso nella sua operazione copulatoria nel momento della detumescenza”. All’opposto Lacan formula rispetto alla donna: “alla donna non manca niente”, la donna non ha niente a che vedere con il fallo organo dunque non le manca niente. È l’uomo che incontra la castrazione sotto la forma della detumescenza nel proprio corpo a livello dell’organo, quindi Lacan, nella sua nuova interpretazione del complesso di castrazione, sostituisce la detumescenza alla castrazione.
Che cos’è la detumescenza? È un certo “non potere”, non poter continuare. È l’uomo che si ritrova alle prese con la mancanza in questo momento, o meglio è l’uomo che è alle prese con la sparizione dell’organo. L’organo nella sua funzione non può operare, sparisce questo organo strumento, e dunque per l’uomo il rapporto al desiderio e al godimento si rivela più complicato attraverso questa esperienza.
Dal lato femminile la posizione soggettiva è più semplice, nel rapporto con il godimento una donna non perde niente, in quanto al desiderio essa ha un rapporto diretto che non è mediato, non ha – φ come intermediario. In questo seminario il fallo non è più implicato come significante ma come organo, come strumento del godimento nella copulazione, il fallo significante appare come uno specchietto per le allodole, come emblema di una potenza immaginaria, falsa, che conduce il soggetto maschile a un’impostura quando crede di avere questa potenza.
Anche una donna può identificarsi con questa immagine illusoria della potenza, ciò la conduce alla mascherata: fare il fallo, mascherata descritta dalla psicoanalista Joan Rivière.
In questa nuova congiuntura concettuale la donna appare come più vera e più reale, come intitola una lezione del seminario sull’angoscia: “La donna, più vera e più reale”.
L’oggetto fallico e la sua mancanza sono implicati nella sessualità femminile solo in un tempo secondo. La problematica fallica non è primaria nella donna, ne è catturata solo attraverso l’uomo. Una donna che ha un rapporto semplice con il proprio desiderio può essere angosciata di fronte al desiderio di un uomo. Lacan a questo riguardo dice: “Un vero desiderio d’uomo angoscia il soggetto femminile”.


 L’oggetto del desiderio

Anche l’oggetto del desiderio risulta affetto da un cambiamento di valore. Con il seminario sul transfert Lacan aveva avanzato la teoria dell’oggetto del desiderio come agalma, parola greca trovata da Lacan nel testo di Platone, che significa: cosa preziosa. Socrate contiene la cosa preziosa: lui che all’apparenza è poco affascinante, contiene una cosa preziosa che fa di lui l’oggetto del desiderio, l’oggetto dell’amore. L’agalma è contenuto da un soggetto che gli dà un suo valore, ma l’agalma è anche la bellezza della sua anima (alma). Apparentemente un tale sembra brutto, ma nel cuore ha qualcosa di prezioso: questo è il fondamento dell’oggetto d’amore, ma Lacan aveva concepito il desiderio a partire dall’amore.
Nel seminario del transfert l’agalma è questo oggetto desiderabile che si presenta nel campo visivo davanti al soggetto, e il desiderio mira a questo oggetto. L’agalma è un oggetto che si presenta davanti al desiderio. Il desiderio si dirige verso questo oggetto, l’agalma è l’oggetto mira: desiderato dal soggetto.
Invece, nel seminario sull’angoscia, Lacan scopre un altro oggetto in relazione con il desiderio. Lacan rivela un oggetto che ha una funzione di causa del desiderio. C’è un’opposizione tra l’oggetto causa che Lacan sta scoprendo in questo seminario, oggetto causa che causa desiderio, e l’oggetto agalma ovvero quello che il desiderio cerca di trovare nel mondo, oggetto mira da intendere come l’oggetto a cui mira, a cui si rivolge, in francese objet visée, si può anche dire oggetto bersaglio.
Il nuovo oggetto scoperto da Lacan in questo seminario non è, però, l’oggetto che il desiderio sta cercando di raggiungere nel mondo ma l’oggetto che causa il desiderio: è un’altra cosa. Il desiderio scatenato dall’oggetto causa troverà nel mondo un altro qualsiasi oggetto per la sua soddisfazione.
Ci sono due tempi per la messa in funzione del desiderio: prima l’oggetto che causa il desiderio scatena il desiderio e dopo un qualsiasi oggetto presente nel mondo darà soddisfazione al desiderio. Allora il vero oggetto qual è? Non è l’oggetto a cui si mira, ma è l’oggetto che causa il desiderio ad essere il vero oggetto!
Questo oggetto che causa il desiderio è costruito sulla base del resto libidico che abbiamo già incontrato, così il nome che Lacan sceglie per questo oggetto causa è la parola palea, in modo tale da rispondere alla parola greca agalma. Palea designa lo scarto, il resto, quello che si butta via, lo strame, come lo si trova nel testo di San Tommaso.
Lo statuto dell’oggetto bersaglio è l’agalma, mentre per l’oggetto causa è piuttosto dell’ordine della palea, rifacendosi così sempre all’organo anale che resta paradigmatico della funzione dell’oggetto causa.
Nel seminario sul transfert Lacan nota che Alcibiade fa di Socrate l’oggetto bersaglio del suo desiderio, Socrate prende questo posto a causa della presenza nascosta in lui dell’agalma, l’oggetto affascinante; in questo caso il desiderio è concepito a partire dall’amore, in cui il paradigma dell’oggetto affascinante è il fallo (Φ). Nel seminario sull’angoscia Lacan restituisce l’oggetto al suo posto d’oggetto causa, l’oggetto viene riportato nel posto della causa sotto la forma del resto o dello scarto.
In questo senso abbiamo una svalorizzazione del desiderio, lo scopo del desiderio è sempre uno scopo falso, un equivoco sull’oggetto che conta, e così il desiderio appare come un equivoco perché questo oggetto che vediamo nel mondo è sempre un oggetto falso e c’è qualcosa di equivoco nel desiderio perché questo oggetto non si vede ma è la causa, che è sconosciuta in sé ed è da scoprire attraverso l’analisi. L’analisi non è analizzare la relazione del desiderio con un oggetto bersaglio, perché è un oggetto falso, è sempre un’illusione, ma l’elemento determinante del desiderio è la sua causa, che è da scoprire per interpretare e analizzare ciò che è il desiderio. L’oggetto bersaglio è affascinante ma si rivela un’illusione. In questo punto Lacan evoca per un istante il buddismo e ne riprende un’asserzione secondo cui il desiderio non è che illusione. Il desiderio è illusione quando lo consideriamo a partire dall’oggetto bersaglio, a partire dal suo scopo nel mondo.
A dire il vero lo statuto del desiderio è appeso a un oggetto differente da quello a cui tende. L’oggetto agalma, l’oggetto bersaglio, è un oggetto falso, un oggetto posticcio. L’oggetto autentico, veritiero del desiderio è l’oggetto che causa il desiderio, ma questo rimane sconosciuto per il soggetto. Il desiderio autentico è tale in quanto non conosce il suo oggetto, in quanto non conosce l’oggetto che lo causa. Il vero desiderio non è il desiderio conscio ma è il desiderio che rimane rimosso cioè inconscio. La formula che Lacan usa in questo seminario “io ti desidero anche se non lo so” esprimendo così questa nescienza del desiderio.
Il posto autentico dell’oggetto a è dal lato del soggetto, non è fuori, non è dal lato dell’Altro: l’oggetto a, a lui indivisibile, è in quanto fallace che si trova nell’altro.
Questo è il punto di partenza di Lacan, situare l’oggetto a dal lato del soggetto come questo resto libidico causa del desiderio, ma nell’ultima lezione del seminario Lacan cerca di situare questo oggetto dal lato dell’Altro. È un’operazione molto complicata che Lacan tenterà di risolvere con la costruzione di alienazione e separazione, elaborata in Posizione dell’inconscio.
L’oggetto definito come un resto irriducibile alla simbolizzazione del luogo dell’Altro, dipende tuttavia da questo Altro. Non è un elemento significante situato nell’Altro ma ha un posto nell’Altro. Questa costruzione Lacan la lascia per gli anni successivi, dove svilupperà l’articolazione tra l’oggetto a e la sua posizione nell’Altro.
È la via dell’angoscia che conduce Lacan alla scoperta dell’oggetto causa, invece la costruzione dell’oggetto bersaglio è appoggiata sull’oggetto d’amore.







 Le due vie: la via dell’amore e la via dell’angoscia

J.-A. Miller aveva commentato questo aforisma che incontriamo  nel seminario dell’angoscia: “Solo l’amore permette al godimento di accondiscendere al desiderio”. Questa frase ci fa capire che desiderio e godimento sono due strutture diverse: ci vuole l’amore per passare dal godimento al desiderio.
Lacan si applica a mantenere a dal lato del soggetto, perché? Perché l’oggetto a, è una trasformazione del godimento del proprio corpo. Abbiamo visto questo resto libidico trasformato e convertito in questo oggetto a. Invece il desiderio è un’altra cosa, è la relazione con l’Altro. C’è una faglia tra desiderio e godimento: il godimento situato dal lato del soggetto, questo resto libidico nel proprio corpo, e il desiderio che è la relazione con l’Altro.
Si deve considerare la relazione tra desiderio e godimento perché si deve situare, per Lacan, l’introduzione dell’Altro nel mondo del soggetto. A livello del godimento non c’è uscita verso l’Altro, tuttavia sappiamo che esiste la relazione con l’Altro: non siamo ognuno nella sua prigione, ognuno nel suo autismo. Esiste la relazione con l’Altro, ma la questione che Lacan ci vuole far considerare è come situare il godimento, che è qualcosa di completamente autistico, e la relazione con l’Altro.
Il godimento ha come luogo il proprio corpo, mentre il desiderio è relazione con l’Altro. Nel seminario sull’angoscia Lacan introduce l’amore come mediatore tra godimento e desiderio. L’amore è mediatore perché sposta o falsifica l’oggetto a, rendendolo agalma: è la trasformazione e falsificazione dell’oggetto a - scarto, palea - in un oggetto agalmatico, attraverso l’amore, che permette la relazione d’amore e dunque la relazione con l’Altro.
Ma l’angoscia non è mediatrice, Lacan dice essere mediana.
Allora J.-A. Miller propone quest’altro aforisma per rendere conto della posizione mediana dell’angoscia: “Solo l’angoscia trasforma il godimento in causa del desiderio”.
Abbiamo visto che abbiamo un oggetto, abbiamo un resto di godimento, situato dal lato del soggetto. L’angoscia trasforma questo resto di godimento in un oggetto a, causa del desiderio, ovvero l’angoscia permette la trasformazione di questo oggetto di godimento in un oggetto causa del desiderio, che permette di stabilire la relazione con l’Altro attraverso questo oggetto a. Dunque l’aforisma proposto da Miller.
Abbiamo qui la soluzione, l’uscita dall’autismo del godimento, per stabilire la relazione con l’Altro, attraverso l’angoscia, con la produzione di quest’oggetto causa e lo scatenarsi del desiderio.
Così l’angoscia funziona come un operatore che produce l’oggetto causa secondo Lacan. L’angoscia lacaniana è un’angoscia produttrice, così abbiamo due al di qua del desiderio, ognuno che apre una via diversa per esplorare lo statuto del desiderio e del suo oggetto.




Ponendo una losanga lacaniana, abbiamo il godimento e le due vie dell’amore e dell’angoscia, che sono due al di qua del desiderio. Nella sua prima parte dell’insegnamento, Lacan aveva esplorato la via dell’amore come al di qua del desiderio, adesso Lacan scopre, attraverso la via dell’angoscia, il secondo al di qua..






Dobbiamo pensare l’articolazione tra desiderio e godimento. Il godimento è sempre un al di qua del desiderio. Il desiderio è una trasformazione del godimento ma sono due strutture diverse. Se fino a questo punto dell’insegnamento Lacan aveva preso la via dell’amore per arrivare al desiderio, ora nel seminario X attraverso la via dell’angoscia sviluppa una nuova concezione del desiderio.
Lacan dice, alla fine del seminario sull’angoscia: “Il momento in cui viene messa in gioco la funzione dell’angoscia è precedente alla cessione dell’oggetto”. Prima l’angoscia e dopo la cessione dell’oggetto, ciò vuol dire che l’angoscia è produttrice di questo oggetto.
Lacan dà un esempio dell’articolazione tra angoscia e produzione di un oggetto, con il caso dell’uomo dei lupi e del suo sogno ripetitivo in cui si può ricostruire l’episodio di una defecazione. Questo esempio della produzione dell’oggetto anale è il modello dell’angoscia come operatore che produce l’oggetto causa: prima angoscia, produzione dell’oggetto anale, godimento.
A partire da questo modello di produzione dell’oggetto Lacan dettaglia le separazioni anatomiche dell’oggetto a e con questo primo esempio concepisce gli altri esempi: sguardo, voce, orale, come oggetti separati dal corpo proprio. Sono separazioni naturali dell’oggetto prelevato sul corpo e precisamente senza l’intervento di un agente che sarebbe l’Altro come agente della castrazione. Adesso non c’entra l’intervento dell’Altro castratore ma si tratta di un’operazione puramente anatomica, di separazione di un oggetto dal corpo. Esempio: l’oggetto anale.
J.-A. Miller conclude così la sua presentazione del seminario sull’angoscia: “L’oggetto a è l’effetto principale del linguaggio”. Adesso abbiamo l’agente della castrazione che è il linguaggio. Il nome stesso dell’angoscia riveste l’operazione mortifera del significante. Il significante, tutte queste separazioni e l’angoscia, come effetto del taglio del significante sull’organismo. L’angoscia è l’affetto per eccellenza che connota la produzione dell’oggetto a, cioè l’effetto principale del linguaggio sul godimento.

Trascrizione di Alberto Tuccio