giovedì 17 maggio 2018

Seminario fondamentale Istituto freudiano di Milano del 14 aprile 2018. Docente invitato: Araceli Fuentes


Testo di riferimento: Il seminario. Libro VI, Il desiderio e la sua interpretazione.
Capitoli: 8,9 e 10.


Questo commento si soffermerà sui capitoli 8,9 e 10 del seminario VI, facendo tuttavia riferimento anche ad alcuni elementi delle due lezioni successive, necessari per capire il sogno di Ella Sharpe. Questo è un seminario del 1958/59, ma la sua lettura è sorprendente e fornisce insegnamenti analoghi a quelli dell’ultimo Lacan. Non so se accada lo stesso qui in Italia ma in Spagna è di moda l’ultimissimo Lacan e molti si convincono che non serva più leggere il primo Lacan: invece è fantastico. Per esempio in queste lezioni si parla dell’affetto, tema successivamente ripreso nel Seminario XX e alla fine dell’insegnamento sulla passe.

Introduzione
Nel commento a questo sogno riportato da Ella Sharpe, Lacan la elogia e la critica al contempo. Per lui nella pratica analitica si tratta di leggere: l’analista legge l’enunciazione del soggetto dopo averlo invitato a parlare senza censurarsi. In questo modo si constata che è impossibile parlare senza prender posizione, non c’è un modo neutro di parlare. Parlando c’è in gioco un‘enunciazione e la posizione del soggetto è una posizione di fronte al godimento: è su questo che si basa la pratica della psicoanalisi, ovvero sulla possibilità di leggere l’enunciazione. Non c’è psicoanalisi senza la lettura dell’enunciazione: questo è quello che differenzia la psicoanalisi da qualsiasi forma di psicoterapia. L’introduzione di Lacan al sogno consiste nel differenziare l’enunciato dall’enunciazione; inoltre in questi capitoli ci sono osservazioni molto sottili sulla psicologia del bambino, per esempio su come il significante entra nella psicologia dell’infante, snodi fondamentali per quanti lavorano in questo ambito.
Perché Lacan elogia Ella Sharpe? In primo luogo perché Ella Sharpe non disconosce la dimensione significante di quel che succede in analisi, anche senza poterla formulare teoricamente ci fa riferimento, questo forse grazie alla formazione letteraria da cui proveniva. Per Lacan, Ella Sharpe concepisce il desiderio nello stesso modo in cui lui lo sta elaborando e cioè distinguendolo dalla domanda e dal bisogno. L’esempio che Lacan prende da questo caso è quando il paziente, che si chiama Mister Robert, dice della propria automobile: “I love it” (la amo) invece di “I like it” cioè mi piace. Da questo esempio Lacan deduce che Ella Sharpe sa che il desiderio è diverso dal bisogno e si presenta, in questa occasione, come un capriccio.
La distinzione tra enunciato ed enunciazione si evidenzia già nella prima lezione intitolata “Il messaggio della tossettina”. Con l’enunciato non c’è nessuna difficoltà, è quello che si racconta, ciò che viene riferito del sogno e che si presenta come un tutto: nel grafo del desiderio si situa sulla linea inferiore.
Localizzare l’enunciazione è invece più complicato: dov’è l’enunciazione del sogno? Quando raccontiamo un sogno emerge sempre la stessa domanda: cosa significa il sogno? Il sogno si presenta come un enigma, non sappiamo il suo significato, è un significato che sta al di là dell’enunciato. L’enunciazione è sempre presente nel sogno, è presente come domanda, cioè: che cosa significa questo sogno? Questa è la domanda dell’enunciazione, ma dov’è la risposta?
Già Freud aveva evidenziato come quel che dice il sognatore rispetto al sogno formi una parte dell’enunciazione e sia necessario coglierlo nel momento in cui s’interpreta il sogno. I commenti del sognatore sul proprio sogno, l’impressione che il sogno gli ha lasciato (es. se fosse un sogno vivido, se gli sembrasse enorme, se avesse dubbi su questo sogno, se lo avesse dimenticato, ecc.), sono parte dell’enunciazione e quindi sono una chiave per l’interpretazione. Essi sono fondamentali anche per capire in che momento del transfert ci si trova: i sogni non si producono in un momento qualsiasi, e nel momento in cui si producono hanno un’importanza per il transfert.
Lacan chiama “accento” del sogno tutti i commenti che il soggetto fa sul proprio sogno; nel grafo li troviamo nella linea a trattini, nella parte superiore, che indica l’enunciazione. Si può dire quindi che l’accento del sogno indichi l’enunciazione e il fatto che la linea sia tratteggiata indica il suo carattere frammentario, carattere che è lo stesso del significante, quindi questa enunciazione, questo accento è frammentario perché il significante stesso è frammentario, vale a dire che l’enunciazione la troviamo nel significante non nel significato.
Quando un bambino dice “questa notte ho sognato” c’è qualcosa di ambiguo in questa espressione; non è facile sapere quando un bambino inizi a sognare però può capitare anche che egli abbia colto che noi sogniamo e raccontiamo i nostri sogni e quindi utilizzi questa possibilità per raccontare qualcosa riprendendo l’enunciato dell’adulto “ho sognato”. I sogni dei bambini sono al limite della fabulazione, se il bambino utilizza questa formula per raccontare lo fa con qualcosa che sta al di là dell’enunciato, qualcosa che utilizza per giocare con gli altri: gioca il gioco di un’interrogazione e di una fascinazione. Prima della sua scomposizione significante il sogno si presenta come un tutto, nonostante ciò il soggetto deve situarsi in rapporto all’enunciato del sogno ed è in questa presa di posizione che trasmette tutti i suoi accenti, per esempio se aderisce o no a quello che ci racconta, questa è già una presa di posizione del soggetto rispetto al sogno: per esempio un soggetto può raccontare un sogno e al tempo stesso può negarlo; c’è un esempio famoso di Freud in cui il sognatore dice “ho sognato mia madre, ma non era mia madre”. Quando qualcuno racconta un sogno è già presente come soggetto nell’enunciato nel fatto stesso di dire “ho fatto un sogno”, poi prende posizione, per esempio può dire “ho fatto un sogno, ma è roba da nulla” e questo fa parte dell’accento del sogno, cioè la presa di posizione del soggetto.
Una paziente mi racconta: “ho sognato che stavo attraversando un ponte, fatto di corde e di tavole di legno; mentre lo attraversavo mi chiamava per telefono un’amica che mi chiedeva aiuto, e non sapevo come risponderle, non la sentivo e in quel momento mi rendevo conto” - questa frase “in quel momento mi rendevo conto..” appartiene all’accento del sogno, è un commento sul sogno - “che il ponte era molto fragile, il telefono mi cadeva e vedevo che c’era il vuoto: mi assaliva un senso di vertigine”. Ci sono diversi momenti in questo racconto dove possiamo vedere la posizione del soggetto rispetto al sogno: il primo è quando dice “non è niente”, poi quando mi segnala che è nel momento in cui non può rispondere alla domanda che si rende conto che il ponte è fragile, il momento in cui le cade il telefono e nel momento in cui vede il vuoto e prova un senso di vertigine. Diciamo che quando smette di rispondere alla domanda, questa persona con cui lavoro richiede che risponda a molte domande, sorge il vuoto, un vuoto che ha a che vedere con il desiderio e che lei sente come vertigine. Gli accenti sono i diversi modi di enunciazione, in conformità con i quali il soggetto assume più o meno l’esperienza del sogno, vale a dire che l’enunciazione è frammentaria, quel che il soggetto coglie o no non occorre sia la totalità del sogno, può prelevare anche solo una frase o un frammento di frase: questo significa che la catena dell’enunciazione, quella in alto, tratteggiata, è più breve che quella dell’enunciato, in modo tale che è impossibile tradurre automaticamente un elemento della catena dell’enunciato con un altro elemento della catena dell’enunciazione.
Nella storia della psicoanalisi, in un certo periodo, l’interpretazione era quasi automatica: se hai sognato una tal cosa significa la tal altra. La difficoltà dei giapponesi con l’inconscio e con la psicoanalisi ha a che vedere con il fatto che i giapponesi hanno un codice stabilito per interpretare quello che dicono, come se avessero due enunciati.
La non equivalenza fra le due catene significa che l’effetto soggetto si produce soltanto di tanto in tanto: quando c’è effetto soggetto? Quando salta un significante dell’enunciato e se ne impone un altro al suo posto; per esempio, una paziente voleva dire “perché il mio matrimonio” e dice invece “perché il mio patrimonio” e cambia completamente, e soprattutto cambia l’intenzione di quello che voleva dire; basta il cambio di un fonema, la “p” al posto della “m”. In questo momento del suo insegnamento Lacan non ha ancora definito il soggetto come rappresentato da significanti, però sottolineando l’alterità dell’inconscio che non può essere sussunta dall’io, prende l’enunciazione come un effetto soggetto, vale a dire non ha ancora detto che il significante rappresenta un soggetto per un altro significante, però parla dell’effetto soggetto in relazione all’enunciazione: è qui che si situa il soggetto nel sogno, che non è la persona che racconta il sogno, ma il soggetto dell’inconscio.
Per concludere l’introduzione all’analisi del sogno va detto che il desiderio è quel che permette al soggetto di tenere una posizione rispetto alla domanda, perché nelle lezioni precedenti Lacan si preoccupa di differenziare il desiderio dalla domanda - distinzione dimenticata dai post-freudiani - e il desiderio è la posizione del soggetto rispetto alla propria domanda.
Un esempio: un’analizzante ogni seduta mi si rivolge dicendo “Araceli, guarda” e in questo modo esprime una domanda di essere guardata dall’analista; per altro verso nella sua vita quotidiana incarna lo sguardo in quanto attrae lo sguardo. Lacan distingue lo sguardo dalla visione: lo sguardo è quello che attrae gli sguardi. Se per esempio ho una macchia sul vestito, sicuramente tutti immediatamente guarderanno la macchia, per questo che Lacan prende la macchia come esempio di sguardo. Questa donna, che è una donna elegante, sempre ben vestita, lei stessa incarna lo sguardo; lavora in un ambiente dove ci sono molti uomini però si lamenta che nessun uomo la guardi. Da poco si è accorta, grazie a una collega, che un uomo che lavorava con lei ha dovuto essere spostato in un altro luogo perché non smetteva di guardarla, ossia lei incarna lo sguardo, ma non vede quello che le passa davanti al naso, è stato necessario che la collega le dicesse “ma non ti sei accorta? Quest’uomo stava tanto a guardarti che hanno dovuto spostarlo da un’altra parte!”; in realtà lei è cieca rispetto al desiderio, chiede lo sguardo dell’Altro, però per non vedere, e la sua posizione in fin dei conti è “guardami, ma non toccarmi”. D’altra parte c’è qualcosa di molto interessante nella sua domanda, perché in castigliano il significante “mira”, cioè “guardami” come quello che mi dice, include l’ira, quindi c’è lo sguardo e al tempo stesso l’ira stessa di cui soffre. C’è voluto un bel po' prima che riuscisse a confessarlo.

Affetti e desiderio
Lacan nel seminario XX Ancora, dirà che l’affetto è un effetto della lingua sul corpo, un effetto dell’incorporazione della struttura del linguaggio. È sorprendente che nel seminario VI introduca l’affetto come ciò che connota l’essere del desiderio, l’essere che si situa nel fantasma; per capire bisogna tener conto del fatto che il significante non può dire tutto: il significante non dice l’essere del soggetto, non dice il godimento del soggetto; quindi come cogliamo, come arriviamo a ciò che sfugge al significante? Attraverso l’affetto, che qui Lacan considera come ciò che connota l’essere del desiderio del soggetto. Per cogliere questo passaggio è necessario riferirsi allo scritto La direzione della cura dove Lacan parla della mancanza-a-essere introdotta dal significante: se noi esseri parlanti sperimentiamo una mancanza-a-essere - una mancanza d’essere, di sapere, di avere – questo è dovuto al significante, non alla cattiveria dell’Altro; la mancanza-a-essere è strutturale e Lacan la chiama anche castrazione. Il soggetto parlante a causa della propria mancanza-a-essere, cerca un complemento per questa mancanza, e Lacan ha parlato delle passioni dell’essere come questa ricerca di un complemento. In questa lezione Lacan parla dell’amore, dell’odio e dell’ignoranza come degli affetti di una posizione del soggetto rispetto all’essere; per esempio, una donna può cercare un complemento alla propria mancanza-a-essere nell’amore, un soggetto può rispondere con l’odio alla mancanza-a-essere o può ignorare la mancanza-a-essere. Lacan dice qui che l’affetto non è qualcosa che stia fuori dal discorso e designa la posizione del soggetto rispetto all’essere nella sua dimensione simbolica.
Alcuni affetti, come ad esempio la collera, sono il risultato dell’irruzione del reale nella dimensione del simbolico. Dice Lacan: “La collera non è nient’altro che l’affetto che si produce quando il reale giunge nel momento in cui abbiamo fatto una bella trama simbolica e in un momento in cui tutto va bene, nell’ordine, la legge, il nostro merito e la nostra buona volontà, d’improvviso ci rendiamo conto che le viti non entrano nei buchi”, insomma i conti non tornano, la chiave non entra nella toppa. C’è un momento in cui uno è entusiasta del simbolico, fa dei piani meravigliosi e il reale viene a interrompere questa meraviglia e produce un affetto di collera nel soggetto, la collera è il segno del fatto che il reale è venuto a rompere questa bella trama simbolica. L’affetto può essere in rapporto anche con l’intrusione del desiderio: l’affetto indice del desiderio è l’angoscia, l’angoscia di fronte all’enigma del desiderio dell’Altro.

Il desiderio nel sogno
Ella Sharpe riprende la concezione freudiana del sogno come strada maestra per arrivare all’inconscio e Lacan lo sottolinea dato che altri psicoanalisti se ne erano discostati. Per la psicoanalista inglese era anche di fondamentale importanza il momento in cui veniva fatto il sogno, in quanto indicatore rispetto al transfert; un sogno per esempio può essere la risposta dell’analizzante a un intervento dell’analista.
Come detto nell’interpretazione del sogno è assolutamente rilevante anche ciò che il paziente dice prima di raccontare il sogno, ovvero l’accento del sogno: il paziente può commentare ad esempio che fu un sogno lungo, tremendo, durò secoli, che ci sarebbero volute tutte le sedute per raccontarlo. Mister Robert dice “non si preoccupi, non voglio annoiarla con questa storia, perché tanto non me lo ricordo, però fu un sogno eccitante, pieno di peripezie, pieno di interesse, mi svegliai accalorato e sudante, deve essere il sogno più lungo che ho fatto in tutta la vita”. Tuttavia il paziente racconta una scena molto breve, si evidenzia quindi la differenza tra l’accento, cioè il fatto che ha detto che è un sogno lungo, enorme ecc.., e quello che racconta, ovvero una scena molto breve, una scena che possiamo riassumere in questi termini: sta facendo un viaggio con la moglie intorno al mondo, incontra un’altra donna con la quale ha un gioco sessuale. La donna vorrebbe avere un rapporto sessuale con lui, è lei a prendere l’iniziativa, cosa che il paziente dice aiutarlo molto: anche questo commento fa parte dell’accento, dell’enunciazione del sogno. La donna stava sopra di lui, voleva introdurre il suo pene nella vagina, ma lui non era d’accordo e lei restava delusa, tanto che lui pensava di doverla masturbare.
Prima osservazione di Lacan: bisogna tener conto del fatto che l’analista è una specie di Sherlock Holmes, fa attenzione ai piccoli dettagli, ai dettagli discordanti per esempio. Il paziente è inglese e quando dice “stavo viaggiando con mia moglie intorno al mondo” usa un’espressione dissonante dalla formulazione inglese che invece sarebbe “stavo facendo il giro del mondo con mia moglie”: il paziente, quindi, cambia la costruzione, cambia il posto del complemento, mette prima la moglie e poi il mondo, mentre in inglese la costruzione sarebbe “intorno al mondo con mia moglie”. Per Lacan questo cambio è un indice dell’enunciazione, nel sogno non sappiamo cosa volesse dire, però il fatto che abbia cambiato l’ordine della frase vuol dire qualcosa.
La seconda notazione si rifà a un’osservazione del sognatore, il quale, dopo aver raccontato il sogno, commenta che per dire “dovevo masturbarla” abbia utilizzato il verbo to masturbate in una forma transitiva, quando in inglese non può essere usato così, perché è un verbo intransitivo. L’osservazione del paziente sull’uso che fa del verbo forma parte dell’enunciazione del sogno: quest’uso introduce un’ambiguità, l’ambiguità fra “la masturbo” e “mi masturbo” ed entrambe le cose sono presenti nel sogno, con quest’uso “erroneo” del verbo. Nel sogno la donna voleva avere un rapporto con lui, voleva introdurre il pene nella propria vagina, ma lui non era d’accordo, perché? Lui non era d’accordo e lei era delusa, per cui è stato necessario masturbarla o che si masturbasse lei stessa se non era d’accordo.
Prima del racconto del sogno, Ella Sharpe ci ha dato alcune informazioni sul suo paziente: ci ha detto che è un uomo che ha dovuto smettere di lavorare perché poteva aver troppo successo, è uno di quegli uomini che si trattengono, si frenano di fronte al successo, questo provoca una sorta di esaurimento. L’analista spiega di lavorare a un piano alto e spesso accade di riconoscere ormai i passi tipici dei pazienti, questo paziente si contraddistingue per essere molto silenzioso e anche il giorno in cui le aveva raccontato il sogno lo era stato. La Sharpe lo descrive come un paziente molto corretto, sempre più o meno uguale, che ha un atteggiamento difensivo e tuttavia, quando lei si aspetta che si comporti con l’abituale correttezza, succede qualcosa di inatteso: il soggetto arriva alla porta, tossisce e non solo... parla del fatto di aver tossito, aggiungendo “è molto irritante che succeda qualcosa che non puoi controllare, questo deve avere un suo scopo”.
Dopo questa considerazione l’analista gli aveva domandato “che scopo potrebbe avere?”; allora Mister Robert aveva associato: “questa tosse fa parte di quelle cose che capiterebbero entrando in una stanza nella quale ci sono due amanti”. Gli era capitato di entrare in una stanza dove si era appartato suo fratello con la sua fidanzata, così Mister Robert aveva tossito antecedentemente all’entrare, perché qualora fossero stati abbracciati tra loro sarebbe stato meglio che si accorgessero della sua presenza e che sciogliessero l’abbraccio prima che lui entrasse, per non provar vergogna. A questo punto l’analista gli aveva chiesto: “e perché tossire prima di entrare qui?”. Mister Robert aveva risposto “è assurdo! Non sarei invitato a entrare se ci fosse qui qualcuno, non vedo la necessità di tossire, tuttavia questo mi ricorda una fantasia che ho avuto, quella di essere in una stanza dove non avrei dovuto essere e di pensare che qualcuno avrebbe potuto pensare che io ero lì per impedire che qualcuno entrasse e m’incontrasse lì e io l’aggredissi come un cane. Questo qualcuno avrebbe pensato ‘ah, solo un cane’.” “Solo un cane?” aveva rimandato l’analista e Mister Robert: “questo mi ricorda un cane che si era strofinato contro la gamba masturbandosi. Mi vergogno a raccontarlo perché non l’ho fermato, qualcuno avrebbe potuto entrare…”, in quel momento aveva tossito un po' e poi aveva raccontato il sogno.
Quindi, per riassumere, nelle associazioni abbiamo:
·         tossire per separare due amanti;
·         stare dove non si dovrebbe essere e per dissimularlo abbaiare come un cane;
·         un cane che si masturba sulla sua gamba.
Il ricordo del sogno sorge dopo la tosse a sua volta emersa successivamente alle associazioni su di essa stessa: tutte queste verbalizzazioni hanno a che fare con l’enunciazione del sogno.
La tosse senza dubbio era un messaggio rivolto all’analista, però un messaggio di cosa? L’interpretazione di Lacan è: tossisco perché se lei sta facendo qualcosa che la diverte, ma non le piacerebbe esser vista, allora è il momento di finire. Nel suo racconto il paziente dice che per nascondere, camuffare la sua presenza in una stanza, si metterebbe a latrare come un cane: questo si presenta con la caratteristica del fantasma, il fantasma del cane che latra.
Cos’è fondamentale in questo fantasma? Che lui è altro, si presenta come altro, come un cane che latra e essere altro è una maniera di non essere. In presenza dell’Altro lui non c’è e non è niente.
Ma prima chi è? Ricordiamo che nel sogno si tratta di una donna, una donna che vuole il suo pene e la relazione con la donna fa parte della situazione; se il soggetto vuole che la sua partner femminile si masturbi, si occupi di sé stessa, lo fa sicuramente perché lei non si occupi di lui, e questo è quello si evince da quanto evidenziato dal verbo to masturbate. Lacan interpreta il cattivo uso del verbo come qualcosa di relativo all’enunciazione del sogno che indica una difficoltà del soggetto nel separare l’elemento maschio e l’elemento femmina. Questa difficoltà di separare uno dall’altro avviene in maniera masturbatoria e non genitale e questo femminizza il soggetto.

La critica di Lacan all’interpretazione di Ella Sharpe
Lacan evidenzia e critica il divario tra le sottili osservazioni che fa Ella Sharpe e il modo in cui interpreta lasciandosi guidare dalla teoria - una teoria dove non è chiaramente situato l’ordine simbolico - e questo la porta a fare un’interpretazione immaginaria del sogno. L’analista britannica interpreta il sogno in termini di onnipotenza del soggetto, basandosi su affermazioni come quella del giro del mondo o sull’enormità del sogno e invece lasciando da parte le sue osservazioni, cioè quello che fa lei con la teoria che interpreta. Lacan nota come però dimentichi che quando si parla di onnipotenza è l’onnipotenza del discorso e non del soggetto, infatti in questo paziente ciò che emerge è più che altro un’impotenza; invece Ella Sharpe interpreta la sua difficoltà non come un fallimento, ma come una paura di andare troppo bene. Perché avrebbe paura che le cose gli vadano bene?
Una delle risposte di Lacan si riferisce al gioco del tennis dove il paziente ha qualche problema, fa fatica a mettere nell’angolo il proprio avversario e a vincere la partita. Lacan dice cose molto interessanti sul gioco del tennis, lo magnifica poiché permette il manifestarsi dei problemi inconsci dei giocatori, cosa non difficile da constatare, per esempio se pensiamo a Rafa Nadal che nel suo momento di forma migliore non poteva vincere su Federer, oppure pensate Đoković, veramente ottimo tennista, ma non riusciva a vincere; poi in un determinato momento cambia e si trasforma in un terminator: il momento in cui gioca con la Serbia! Si taglia i capelli, s’identifica con la Serbia, diventa un mostro del tennis e nessuno può batterlo. Successivamente ha iniziato ad avere altri problemi perché voleva essere amato, ma non si può vincere ed essere amati, e sfortunatamente per lui è caduto in mano a una specie di Guru, di Marbella, in Spagna, che predica l’amore. Risultato: non prende più una palla.
La lettura della Sharpe dell’impotenza del paziente rispetto al mettere l’avversario all’angolo va nella direzione della paura di manifestare la propria potenza; così facendo situa il transfert sull’asse immaginario, sul piano duale. Questa interpretazione ha delle conseguenze, si producono dei sintomi transitori: il paziente le racconta di essersi fatto pipì nel letto, ed è un uomo di una certa età, le racconta di aver perso una partita di tennis, alla fine della quale aveva preso l’avversario per il collo e quasi lo aveva ammazzato; certo non la stessa cosa di vincere la partita. Per Lacan la Sharpe sa solo articolare sul registro della rivalità immaginaria, vale a dire che non sa articolare le cose sul registro simbolico, perché questo registro non c’è nella teoria che lei utilizza e per via dei suoi pregiudizi teorici, si lascia sfuggire qualcosa che è presente nel sogno.
Nel sogno dove la donna dalle labbra carnose prende l’iniziativa, all’analista britannica sfugge che lui non mette il pene nella vagina, come la donna del sogno avrebbe voluto, ma ci mette qualcos’altro: il dito. Non è certo la stessa cosa masturbare l’altro e mettere in gioco il fallo in questo abbraccio: è questo il problema che le sfugge a prescindere dalla sottigliezza delle sue osservazioni. Le associazioni del soggetto hanno fatto emergere la fantasia di essere in una stanza dove non avrebbe dovuto essere, pensando che qualcun altro sarebbe potuto entrare – Lacan situa qui il desiderio della fantasia - e per impedirlo avrebbe abbaiato come un cane. Il capitolo, infatti, s’intitola Il fantasma del cane che abbaia: ecco dov’è il desiderio.
Lacan non interpreta il desiderio attraverso il senso o la comprensione, ma a partire dalla logica: “se il soggetto s’immagina di essere dove non dovrebbe essere, è perché non è dove dovrebbe ed è una conseguenza logica”, ovvero: se dice che è dove non dovrebbe, è perché non è dove dovrebbe. Questo è il desiderio in gioco in questo fantasma, posto che la caratteristica principale del soggetto è che non è dov’è e per questo ricorre a un cane, quindi non si tratta di capire il fantasma. Lo stesso succede con gli affetti: quanto più comprensibile è un affetto, tanto meno è motivato; per esempio, quando un paziente piange, non bisogna dare per scontato che pianga perché è triste, bisogna capire il perché.
Nel fantasma è un cane e il soggetto come tale appare eliso, non è lui nella misura in cui c’è Altro, però questo cane, nella misura in cui è lui stesso, non è lì, l’animale reale ha una relazione con il soggetto, perché il paziente ci ha informato del fatto che il cane si masturba, del fatto che esista la possibilità che qualcuno entri e quindi “che vergogna!”, la situazione sarebbe insostenibile. Il soggetto letteralmente sparisce di fronte a quest’Altro testimone di ciò che succede. Nel fantasma del cane che abbaia, la cosa fondamentale è che lui non è lì, il soggetto non c’è.
C’è qualcosa che succede sempre e cioè che il soggetto sparisce di fronte all’oggetto del fantasma, solo che in questo fantasma non solo si tratta di sparire, ma di far sparire: per esempio la tosse serve per far sparire qualcosa che sta al di là della porta dell’analista. Il motivo fondamentale per questo soggetto è sparire, per questo Lacan riprende da Jones il termine di aphanisis: l’oggetto interessante non è mai qui, il soggetto non è mai dove lo si aspetta, scivola da un punto all’altro in una specie di gioco di prestigio, ma a differenza di Jones che utilizzava il termine per indicare il timore della castrazione, per Lacan l’aphanisis nei nevrotici va intesa come un’articolazione insufficiente con la castrazione. Lacan dirà, in un altro momento, che non c’è virilità possibile se questa non è confermata, consacrata dalla castrazione. La castrazione per Lacan è un’operazione simbolica, un’operazione fondamentale; come scrive ne Il significato del fallo, il fallo è un significante, è il significante del desiderio dell’Altro ed è nell’Altro che il soggetto tenderà ad averne accesso, ma sempre come velato. La castrazione fondamentalmente vuol dire la castrazione dell’Altro e per questo Lacan parlerà della prova del desiderio dell’Altro nel bambino, vale a dire quando il bambino si domanda: “al di là di quello che mi chiede mia madre, cosa desidera?”. La prova del desiderio dell’Altro è fondamentale per la vita. La castrazione invece di essere un problema come lo pone Jones è una necessità, è qualcosa che è indispensabile per sostenersi nel desiderio. Come abbiamo visto recentemente nel Congresso dell’AMP dove son stati presentati molti casi di psicosi ordinaria, sono casi dove la funzione fallica è preclusa e i soggetti han dovuto cercare dei modi non standard per tentare di supplire a questo fallimento.

L’articolazione del fantasma con il sogno
Lacan fa una differenza interessante nel confrontare il fantasma e il sogno. Il primo lo ha articolato a partire dalle associazioni sulla tosse, da qui emerge il fantasma di essere il cane che abbaia: a partire dell’accento dell’enunciazione del soggetto sul proprio sogno Lacan può articolare il fantasma del cane che abbaia. Questo fantasma costituito a partire dalla tosse e dalle associazioni mette l’accento sul soggetto, mentre nel sogno l’accento cade sull’oggetto. Quale oggetto?
L’oggetto è una vagina in prolasso; è un’immagine, ma un’immagine significante. Mister Robert dice: “il sogno è molto vivido nella mia mente, non ho avuto un orgasmo, ricordo che la sua vagina mi prendeva il dito, le vedevo i genitali di fronte, il fondo della vulva, qualcosa di grande come un cappuccio mi faceva sobbalzare: era quello che la donna usava nelle sue manovre per avere il mio pene. La vagina sembrava chiudersi intorno al mio dito e il cappuccio sembrava estraneo.” In questo sogno è in gioco l’oggetto: è un’immagine molto elaborata di un prolasso vaginale.
Da qui Lacan racconta l’aneddoto di una regina svedese molto virile che ebbe un prolasso vaginale, commentato dal suo medico con l’ironica affermazione: “alla fin fine si è vista la sua vera natura”, perché nel prolasso vaginale il collo della vagina fuoriesce e sembra un pene. Lacan si riferisce a questa immagine come un guanto rovesciato, la riprenderà nel 1975 per parlare della relazione di Joyce con Nora, dicendo che Nora calza a Joyce come un guanto: la lettura solita di Lacan è che una donna è un sintomo per un uomo mentre Nora non è un sintomo per Joyce perché il sintomo di Joyce è la sua scrittura, semmai Nora gli calza come un guanto. La geometria del guanto rivoltato è quel che resta dell’immaginario per far esistere la relazione che non esiste tra i sessi: sappiamo che il guanto di una mano non va bene per l’altra mano, c’è una dissimmetria nello specchio, però se rivoltiamo il guanto annulliamo questa dissimmetria ed è quello che riguarda l’ossessione fallica che nel guanto è raffigurata dal bottoncino.
Queste questioni possono scivolare facilmente verso l’immaginario, è successo così per i post-freudiani: per esempio assimilare la bocca alla vagina, il seno della madre, il fantasma di divorazione ecc… però non è questo il caso, perché quello che il paziente associa con quest’immagine è con un gioco di parole in inglese. Si tratta qui nuovamente di una difficoltà del soggetto nel separare il maschile dal femminile come nell’uso del verbo to masturbate. Nell’immagine della vagina in prolasso, dove c’è uno spostamento verso il basso delle pareti e quello che appare all’orifizio genitale è la testa del collo dell’utero, non si tratta per Lacan della donna fallica, che sarebbe un’interpretazione immaginaria, e neppure dell’utero materno perché quello che associa il soggetto è un gioco poetico verbale. Lacan prende dell’immagine la piega di un cappuccio che il soggetto ha descritto con precisione, dove il soggetto mette il dito e non mette altro, cioè non mette il pene. Si tratta di un’immagine molto elaborata, questo elemento del sogno ha un valore significante e in questo punto si manifesta qualcosa della relazione del desiderio con il fantasma, perché il desiderio deve adeguarsi al fantasma. È l’immagine che cattura ogni manifestazione sessuale.
Mister Robert descive: “il sogno è molto vivido in mente, non ho avuto orgasmo, ricordo che la vagina mi prendeva il dito, vedevo i suoi genitali di fronte e il fondo della vulva”, Lacan commenta che aveva la forma di un cappuccio ed era quello che la donna usava nelle sue manovre per avere il pene del paziente, il quale dice “la vagina sembrava stringersi intorno al mio dito”. Ripete Lacan che questa immagine del sogno presentifica un guanto rivoltato, mentre Ella Sharpe la interpreta nuovamente come onnipotenza, un’onnipotenza sul cui fondo c’è una fantasia masturbatoria: due posizioni agli antipodi insomma. Per lui quel che vediamo è che il soggetto si fa piuttosto piccolo di fronte a questa specie di appendice tentacolare, osa al massimo mettere un dito, però in ogni caso questo oggetto significante distanzia il soggetto dalla sua potenza sessuale: non ci mette lì il pene.
Ribadendo la confusione abituale tra l’onnipotenza che viene attribuita al soggetto e l’onnipotenza della parola, Lacan mostra come il soggetto abbia dei problemi con la parola, infatti ogni volta che come avvocato deve intervenire è preso dalle fobie. Il padre del paziente era morto quando aveva tre anni e secondo quello che gli avevano raccontato le sue ultime parole erano state: “mio figlio deve prendere il mio posto”; una frase ambigua: non si sa se deve prendere il suo posto come vivo o come morto. Quindi per un verso ha difficoltà a usare la parola nel suo lavoro come avvocato e per l’altro verso si serve della parola per non essere, per essere da un’altra parte e mentre è molto difficile per lui parlare come avvocato lo è anche far parlare suo padre, che non può immaginare vivo, tant’è che si emoziona pensando che una volta deve aver ascoltato il padre parlare.
Lacan si domanda: “non è curioso che in tutto il sogno ci sia un gioco di prestidigitazione intorno al fallo? Se il fallo c’è dov’è?” e si risponde che il fallo lo ha la signora, la donna, ed è quel che il soggetto non vuol mettere a repentaglio. La donna è la moglie nel sogno, è con la moglie che sta facendo il giro del mondo e quel che nel sogno è eliso è invece il fallo perché non lo mette in gioco. Quindi l’onnipotenza non sta dalla parte di Mister Robert, sta dalla parte delle signore, compresa l’analista e occorre che questo cambi.
Successivamente ci sono una serie di associazioni che vanno dall’immagine del cappuccio, a una strana caverna, una borsa di mazze da golf, la capote di un’automobile fino a la coppia reale che sta nella sua automobile: sono elementi estratti dalle ultime due lezioni e Lacan spiega che “qui siamo già nella scena del fantasma” riferendosi al momento in cui il re e la regina restano chiusi nella capote dell’automobile. Continua Lacan: “Si troverannno nella stessa posizione e intanto noi avremo sentito il riso degli dei olimpi”. Fa riferimento a un quadro che è Marte e Venere presi nella rete di Vulcano, visibile nel Kunsthistorisches Museum di Vienna: c’è una coppia presa nella rete di Vulcano mentre gli dei immortali ridono assistendo alla commedia del fallo. Questa fantasia del re e la regina avvolti nella capote parla della difficoltà di separare i genitori e della difficoltà di separare in loro il principio maschile e quello femminile. Quello che qui si propone come obiettivo dell’interpretazione è una specie di circoncisione psichica: che cos’è questa vagina in prolasso? È come una borsa del prestigiatore che ha o non ha qualcosa, questa specie di presenza e non presenza del soggetto ha un altro volto che è quello che incontriamo nella masturbazione in cui è implicita la presenza di un elemento femminile ma c’è anche il prepuzio nell’immagine della vagina prolassata. Alcuni ricordi di Mister Robert mostrano una relazione tra lui e il rapporto sessuale dei genitori, lui dov’era? Apparentemente era nella sua camera, nella culla: nella stessa misura in cui è legato, chiuso, fermo può godere soltanto del suo fantasma e partecipare attraverso questa attività che è la minzione compulsiva. Lacan offre una notazione clinica: spesso in prossimità del coito genitoriale verifichiamo nei soggetti un falso godimento prodotto dalla minzione, è la teoria dell’enuresi.
In cosa si trasforma? Si trasforma in questa partner che ha talmente bisogno di lui da dover far tutto, e questo lo femminizza in quanto è impotente come uomo. Detto altrimenti: per questo soggetto c’è un’apprensione fantasmatica radicalmente masturbatoria del desiderio genitale e questo è il suo problema. Il problema del soggetto è che per lui c’è un’apprensione, una presa fantasmatica masturbatoria del desiderio genitale, cioè può aver presa sul desiderio genitale solo come masturbazione perché non può mettere in gioco l’organo e questo è il suo problema.
Quindi dov’è il fallo? Nel sogno nelle associazioni niente indica che il fallo sia un organo aggressivo come interpreta Ella Sharpe e neppure che il soggetto tema delle rappresaglie per questa aggressione. Lacan propone di accordare l’interpretazione con la topologia soggettiva invece di un’equivalenza immaginaria tra elementi e il senso di questi elementi, non si tratta di senso ma di luoghi e di relazioni, luoghi del soggetto, dell’Altro con la A maiuscola e del simile. Come lo presenta Ella Sharpe questo soggetto è in una profonda assenza rispetto a quel che dice, le sue parole sono mediate, però quando si presenta con la tosse, anche lì non c’è; è un soggetto che media sempre le sue parole e sembra che quando tossisce sia presente, e invece no, tossisce per non esserci, vale a dire che anche quando tossisce non è presente, la tosse gli serve per far sparire qualcosa, qualcosa che sta dietro la porta: in questo caso la passione del suo analista e in un’altra occasione per separare una coppia di amanti.
Nel sogno c’è il suo partner sessuale, la donna, e anche sua moglie e lui stesso; con la partner lui si sottrae, lei chiede il pene, ma lui mette soltanto un dito, così il fatto di far sparire è il tema fondamentale del soggetto, però mentre nel fantasma quel che sparisce è il soggetto, non c’è, nel sogno quello che non c’è è il fallo. Non sappiamo cosa fa sparire, però vediamo che nel fantasma in cui abbaia è il soggetto a esser fatto sparire mentre nel sogno è il fallo quello che non è posto in gioco, che è fatto sparire. Masturbare l’altro non è la stessa cosa che mettere in gioco il fallo e il gesto della donna, “to get my penis”, di ottenere il pene, mostra che il fallo non è lì, che qualcosa si sottrae e non solo per volontà del soggetto, ma per un accidente della struttura, cioè c’è qualcosa nella struttura del soggetto che fa sì che per lui sia difficile mettere in gioco il pene. Per questo soggetto si tratta sempre di non far le cose, far le cose non è cosa sua, anche quando parla di una frase in un libro è “non c’è niente di buono in noi”: l’oggetto buono non è lì. Di nuovo si conferma che si tratta del fallo perché in questa frase, che ha preso da un libro inglese molto noto, c’è un errore che va nella stessa direzione dell’idea che il fallo non c’è.
Inoltre c’è un ricordo da piccolino, quando lui tagliava le stringhe dei sandali della sorella: con questa sorella ha una relazione speciale, c’è un’identificazione con lei che conosciamo perché sostiene di non avere ricordi anteriori agli 11 anni, proprio l’età della sorella alla morte del padre. A proposito del padre morto che non poteva immaginare vivo, l’analista dice: “il paziente ha la stessa difficoltà con me, non ha pensiero su di me” e l’errore dell’analista è di mantenersi in silenzio perché crede che in questo soggetto non ci sia niente che indichi che vuole essere aiutato, sembra che chieda piuttosto di rimanere nascosto. Che non abbia nessun ricordo è molto aderente a questa posizione di stare sotto la capote, di stare legato al letto, quindi al fallo che non è dove lo si aspetta: tuttavia nel sogno si situa nella misura in cui è fuori gioco. Nel sogno il fallo è rappresentato da sua moglie, con lei fa il giro del mondo, non è spettatrice della sua avventura sessuale, semmai è presente in quanto colei che ha il fallo.
Il tabù più grande è la partner femminile come Altro per il suo potere che domina l’economia il desiderio del paziente e per questo c’è un riferimento a quella che si chiama “la donna tabù”: sua moglie è il suo fallo e per questo ha fatto quel lapsus dicendo che andava “con la moglie intorno al mondo”, invece di usare la corretta costruzione inglese ovvero “andavo a fare il giro del mondo con mia moglie”. L’analista mette l’accento sull’onnipotenza nella frase “intorno al mondo”, ma ciò che si deve far apparire in analisi è quello che il soggetto non vuol sapere: e in questo caso per farlo bisogna rendersi conto che l’analista è una donna.
Perché questo soggetto non vuole sacrificare il fallo? La risposta di Lacan è che per lui il significante fallico è identico a tutto quel che si è prodotto nella relazione con sua madre, perciò l’importante nell’analisi sarebbe stato reintrodurre la relazione nascosta del soggetto con la moglie, che è la portatrice del fallo.
In questo soggetto la prudenza è ciò che fa ostacolo al suo desiderio, nello stesso modo in cui la posizione di essere legato lo aveva fatto nella sua infanzia: dev’essere ben legato perché il significante fallo sia da un’altra parte. La formula della assunzione della castrazione per Lacan è che l’uomo non è uomo senza avere il fallo, e la donna è senza averlo, in modo che l’onnipotenza - che Ella Sharpe mette da tutte le parti - non sia del soggetto ma dell’Altro. Mister Robert non vuole perdere la sua dama, perché è dal lato della dama che sta l’onnipotenza, l’onnipotenza è dell’Altro e per questo non può litigare, non può arringare come avvocato e neppure può contendere come giocatore di tennis, perché per litigare è necessario porsi nel luogo dell’Altro e in questo caso l’Altro è la moglie che non deve essere castrata. Nella misura in cui il soggetto non può porre in gioco il fallo, nella misura in cui il significante del fallo è inerente all’Altro, il soggetto è bloccato.
Anche l’analista, però, s’impedisce di litigare con il soggetto, anzi quando si presenta una barriera che lei potrebbe superare non lo fa perché non si rende conto dell’attenzione che vi ponga il soggetto, l’interpreta come un’aggressione paterna ma non è così, il padre è morto sepolto. Per questo soggetto non è venuto il momento di accettare che le donne siano castrate. Non che una donna non abbia il fallo come lui dimostra ironicamente, ma che l'Altro come tale per essere incluso nel linguaggio è castrato, non ce l’ha. Questo è proprio quello che non ammette e per questo sua moglie è fuori gioco e neppure guarda la scena in cui lui è con l’altra; il soggetto non giunge a dire che il fallo è nella donna, tuttavia è così nella misura in cui Ella Sharpe è lì ed una donna. Sarebbe stato opportuno che lei si accorgesse di essere lì come donna e che osasse disputare la sua causa, che il paziente osasse discutere la sua causa di fronte a una donna: è ciò che fa problema per quest’uomo e infatti lo evita. Dall’altra parte, siccome Ella Sharpe non si rende conto di quanto succede, lo incita a servirsi del fallo come di un’arma. Per concludere si può dire che la cosa più nevrotizzante non è la paura di perdere il fallo, non è la paura della castrazione: il motivo più fondamentale della nevrosi è non volere che l’Altro sia castrato.

Trascrizione di Michela Di Costa
Redazione di Alberto Tuccio