Seminario fondamentale
Istituto Freudiano di Milano
17 ottobre 2020
Docente invitato: Miriam Chorne
Un nuovo annodamento dell’Altro e del godimento
Testo di riferimento: J. Lacan, Seminario XVI. Da un Altro all’altro
Capitoli di riferimento: VII-VIII- IX
Sono molto lieta di essere finalmente con voi, questo seminario si sarebbe dovuto tenere il 13 marzo, ma il coronavirus l’ha impedito. Non sappiamo ancora come sarà il mondo dopo pandemia, ma possiamo già iniziare a sperimentare un grande cambiamento: ci ritroviamo attraverso lo schermo, siamo insieme, ma in un altro modo.
Ringrazio l’Istituto del Campo Freudiano e in particolare Marco Focchi per l’invito a lavorare con voi, che mi fa tanto piacere. Devo spiegarvi tre capitoli difficili, ma prima voglio raccontarvi, perché mi piacciono questi capitoli, malgrado la loro difficoltà.
In primo luogo mi entusiasma la capacità di Lacan per fare di Pascal un uomo, un uomo vivo, un uomo complesso. Trovo che sia un tratto straordinario che caratterizza la sua comprensione dei personaggi dei quali si occupa. Lo ha mostrato molte volte, ad esempio nelle descrizioni di tutti i personaggi del Simposio, o quando ci parla di Sade, o in questi capitoli quando ci parla di Pascal. Nell’affresco che fa di loro, nonostante il prestigio e la fama, non emergono dei personaggi fossili, degli uomini di cartapesta. Lacan era un grande letterato e la trattazione che fa di Pascal è straordinaria, piena di umore.
Quel che emerge è un uomo non soltanto religioso, difensore della credenza nell’esistenza di Dio, non è nemmeno soltanto un grande scienziato, matematico e logico, ma Lacan lo descrive anche in quanto uomo del suo tempo, come tutti i suoi contemporanei interessato alla scommessa in termini di guadagno, di profitto, cioè un uomo pienamente capitalistico. Ci mostra anche che nella scommessa di Pascal la vita stessa, nella sua totalità, si riduce a un elemento di valore. E ci spiega che la funzione correlativa a quella del plusgodere nella scommessa è la funzione del mercato. “Essa sta alla base dell’idea che Pascal maneggia con la straordinaria cecità di chi, come lui si trova proprio all’inizio del periodo dello scatenamento di questa funzione del mercato. Se Pascal ha introdotto il discorso scientifico, non dobbiamo dimenticare che egli è anche colui che, perfino nei momenti più estremi del suo ritiro e della sua conversione, voleva inaugurare una Compagnia di omnibus parigini” (p.17).
Questo aspetto di Pascal non era scappato neanche ai suoi critici. Voltaire e Diderot hanno definito la scommessa come una mostruosità logica e come cinicamente utilitaria.
Ho trovato particolarmente commovente l’affresco di Pascal come uomo angosciato. Lacan afferma che tutta l’argomentazione di Pascal sulla convenienza della scommessa è soprattutto indirizzata a se stesso. Vuole tranquillizzarsi perché è atterrito, impaurito. Pascal è l’uomo che ha scritto “Il silenzio eterno di questi spazi infiniti mi spaventa”. Come per tutti noi, il pathos di Pascal è l’incertezza.
Lacan aveva definito il soggetto come causato dal rapporto inter-significante: quest’affermazione però, al tempo stesso, ci impedisce di cogliere il soggetto. Lo psicoanalista francese s’interroga anche su che cosa conferisca al soggetto l’unità che ha finora permesso di sostenerlo nella sua pretesa sufficienza ma il soggetto è lungi dal essere sufficiente: è incerto o sta nella incertezza. Tuttavia si unifica come soggetto attorno alla formula del fantasma, attorno all’essere di a e ciò si coglie bene in questo seminario del plusgodere.
Pascal soffre di questa incertezza e lo dice in diversi modi, ad esempio: “Navighiamo su un mezzo vasto, sempre incerti e galleggianti, spinti da una punta all’altra. Se appare qualcosa alla quale abbiamo pensato di attaccarci e assicurarci, si muove e ci abbandona; se lo inseguiamo sfugge, scappa con eterna fuga. Per noi, niente si arresta.”
A mio avviso è ammirevole il modo in cui Lacan ha saputo importare altri discorsi in quello della psicoanalisi. Un’operazione senza nessuna cerimonia, senza complimenti esagerati: “sequestrava” un concetto, lo smontava e lo ricostruiva trasformato per le necessità di rinnovamento della psicoanalisi.
Esempi sorprendenti in questi capitoli sono: l’utilizzazione tanto della logica come della matematica per elaborare il concetto di ripetizione, la divergenza tra l’Uno significante e l’Uno del godimento, dell’oggetto plusgodere attraverso la serie di Fibonacci e il numero aureo; o la teoria dei giochi per parlare delle decisioni che un soggetto deve prendere. È anche straordinaria la costruzione omologica di plusgodere sulla base del concetto marxista di plusvalore, che costituisce uno sforzo per trasformare il godimento dalla forma massiva, com’era concepito nel seminario dell’Etica, in una specie di fondo di godimento, in un concetto di godimento misurabile.
Lacan dice che quando Pascal parla di una vita felice rispetto della scommessa, la sua incarnazione è l’oggetto del plusgodere. “Cos’altro è afferrabile nel termine felice se non la funzione che si incarna nel plusgodere?”. Aggiunge “D’altronde non abbiamo bisogno di scommettere sull’aldilà per sapere che cosa esso vale là dove si svela in una forma nuda. Perversione è il suo nome.” In un altro brano dice che il godimento masochistico è la forma più caratteristica, la più sottile che abbiamo dato alla funzione causa del desiderio (p.129).
La scommessa di Pascal e le trasformazioni dell’etica
Lacan presenta la scommessa di Pascal dicendo che non è quasi un testo, “è solo un foglietto di carta piegato in quattro che è stato trafugato dalle tasche di Pascal dopo la sua morte. È una scrittura che si sovrappone a se stessa, che si ingarbuglia, si interseca, si annota.” Lacan approfitta del suo commento per burlarsi dei professori. Ne è stato fatto un testo, sicuramente, “per il diletto dei professori. Anche se il diletto è durato poco, poiché non ne sono mai riusciti a fare alcunché.”
Il fatto che sia un enunciato che non tiene ha stupito le persone che si sono occupate di questo argomento. Com’è che qualcuno di cui si ha la convinzione che fosse capace di un certo rigore abbia potuto proporre qualcosa così insostenibile?
Sainte-Beuve, ad esempio, mostrando il suo disorientamento perfino si domandò: “Non è che semplicemente ci troviamo di fronte a un malato, un visionario, un allucinato? Pascal, insomma non ha, nei suoi ultimi anni di vita smarrito la ragione?”
Quanto alla scommessa l’idea è che conviene credere che Dio esiste perché si rischia di meno che a non credere. Se infatti Dio non esiste, si spreca una vita di durata finita, ma se Dio esiste si guadagna una beatitudine eterna. Lacan riprende questa affermazione e mostra che la maggior parte degli autori valorizzano nel testo di Pascal l’aspetto estensivo della posta in gioco. Cioè si paragona se il guadagno di ottenere una infinità di vite felici vale di più che i piaceri ai quali si rinuncia. Lacan ci mostra che il principio fondamentale del gioco è che quando la puntata viene fatta è già perduta. Per questa ragione considera che il rapporto di estensione ha fatto smarrire i critici di Pascal, mentre Lacan sfugge a questo ostacolo come vedremo in seguito.
All’inizio della sua spiegazione Lacan afferma che nella scommessa interviene qualcosa che si può riassumere così: si rinuncia ai piaceri. Questo atto di rinuncia sta a fondamento della vita cristiana. È anche il principio su cui s’installa una certa morale che possiamo chiamare moderna.
Nel capitolo VII Lacan si occupa delle trasformazioni dell’etica nella storia in termini dei rapporti tra il godimento e il soggetto. Lacan, orientato dagli studi di Max Weber che lega il sistema capitalistico alla morale puritana e alla accumulazione del capitale, propone un’idea dell’impresa capitalistica nella quale i mezzi di produzione non sono messi al servizio del piacere. La società attuale è cambiata a questo riguardo e Lacan solo un anno più tardi, nel Seminario XVII, segnalerà le trasformazioni che hanno portato a una società di consumo, dove il desiderio è messo al servizio della produzione di oggetti supposti soddisfare e che ogni volta si trasformano in oggetti più deludenti. Sorprende la capacità di previsione di Lacan rispetto a dinamiche in atto nella società oggi. Quando Lacan parla, in questo capitolo, della assolutizzazione del mercato annuncia con un dire precursore la globalizzazione attuale.
Nel seminario XVI, Lacan sottolinea che l’accumulazione sulla base della rinuncia ai piaceri, è talmente importante, escludente quasi, nella società capitalistica, che per riabilitare il dispendio un autore come Georges Bataille ha dovuto fare un vero sforzo. Impegno comunque qualificato da Lacan come timido dato che non è giunto a nessun successo: non è riuscito a cambiare quello che possiamo chiamare il nostro stile di vita, ma soltanto a gettare un dubbio su di esso.
Nel suo libro La parte maledetta, Bataille oppone un altro principio a quello “miserabile” dell’utile, che secondo gli economisti governerebbe la produzione, la conservazione e il consumo: la dissipazione improduttiva, il bisogno di distruggere, il gesto dilapidatore delle ricchezze di cui testimonia il potlàc.
Si coglie così perché interessi a Lacan una riflessione non incentrata sulla necessità ma sul suo contrario: è il “lusso”, il capriccio, la spesa, il puro godimento, ciò che pone all’uomo i problemi fondamentali. La psicoanalisi rappresenta una frattura di fronte alla morale qui chiamata antica, una frattura tra la psicoanalisi e tutta la filosofia dai greci fino a Kant.
La critica della confusione propria della morale antica tra il Bene come valore morale e il benessere, lascia fuori tutti i piaceri che si allontanano dal tono giusto, cioè di tutta la vita sessuale che è fondamentalmente perversa. Si tratta di una morale di controllo, di dominio, una morale di amo.
Con Kant si produce un taglio nella storia, una vera frattura ma allo stesso tempo, si trattiene l’esilio del godimento, ed è questo il motivo che ha portato Lacan a scrivere “Kant con Sade”; perché Sade è la verità di Kant, nella misura in cui l’opera sadiana rivela la dimensione di godimento nella legge morale. Tutta la filosofia ha lasciato fuori della sua riflessione la questione del godimento, che soltanto la psicoanalisi pone nel centro del discorso.
In questo seminario riferito all’uso della logica, la teorizzazione lacaniana è ancora a metà del cammino rispetto al concetto del godimento e a quello di oggetto. Lacan si oppone a Pascal nel senso che per lui, la vita stessa, nella sua totalità, si riduce a un elemento di valore. “Strano modo di inaugurare il mercato del godimento nel campo del discorso!”, ironizza. Ma solo più tardi, nel Seminario XX Ancora, segnalerà radicalmente l’inutilità del godimento: “Non serve a niente”.
In questo seminario è ancora presente l’idea del oggetto a come molteplicità, come nel Seminario X, L’angoscia, inteso come una estrazione corporale. “Poiché è l’organismo a inaugurare il gioco, l’oggetto può assumere la forma di quelle entità evanescenti di cui ho già fornito l’elenco, che va dal seno alla deiezione e dalla voce allo sguardo.” Sono altrettante le fabbricazioni del discorso della rinuncia al godimento. La leva di tale fabbricazione è la seguente: attorno a tali entità può prodursi il plusgodere. Sebbene la novità è di proporre l’oggetto (a) come una consistenza logica, cosa che giustifica il singolare. L’oggetto (a) appare come consistenza logica che il corpo deve soddisfare tramite diverse estrazioni del corpo.
Miller ha intitolato la prima parte del Seminario “L’inconsistenza dell’Altro”, il godimento manca nell’Altro e lo fa inconsistente. L’oggetto (a), invece è un perno, il perno della consistenza.
L’introduzione della logica
È difficile esporre questi capitoli che tengono insieme la logica e la matematica con le riflessioni strutturaliste sul linguaggio. Alcuni, all’epoca, mostravano una certa fretta di uscire da questo habitat mentre Lacan mostrava qualche remora.
Da una parte si tratta dello sforzo permanente di Lacan per trovare un modo ogni volta più scientifico di parlare della esperienza analitica. Se nel primo insegnamento utilizzava la linguistica e la riflessione strutturalista per avere una lettura rigorosa, seria, (così dice Lacan alla pagina 12), nel periodo inaugurato da questo seminario e che si conclude col Seminario XX Ancora, è possibile apprezzare un’evoluzione continua: prima con l’utilizzo della logica matematica, e dopo con la topologia. Lacan ha il proposito di approcciarsi al godimento in termini che non significano l’abbandono della parola e il linguaggio, ma un intreccio diverso.
In questo seminario vediamo alcune tracce, ad esempio nelle prime pagine il riferimento al disagio provato da Althusser nell’essere considerato strutturalista, e anche il riferimento a una certa critica dello strutturalismo da parte di alcuni considerati fino a quel momento strutturalisti di punta come Roland Barthes e, in particolare, Foucault.
Nel capitolo VI ci sono anche tracce della controversia con i linguisti funzionalisti, dove Lacan si burla di Georges Mounin, senza nemmeno dire il suo nome (tipica modalità della politica culturale di Lacan: esplicitava solo il nome degli intellettuali che riconosceva e rispettava).
Lacan riprende la proposta dei linguisti del funzionalismo che lasciano la linguistica ai linguisti universitari, Mounin, ma anche André Martinet il maestro di Mounin, prendendo un orientamento che, nel nome della ricerca della scientificità, torna indietro alla naturalizzazione del linguaggio. Lacan descrive questa posizione come una vera regressione allo stato ante di Saussure della esplorazione sulla lingua, dove si perde il progresso epistemologico raggiunto. (La creazione saussureana aveva fatto della linguistica una scienza galileiana, nel senso di Koyré. Una scienza galileiana della cultura.) Questa controversia è tutt’ora attuale.
I linguisti universitari pretenderebbero riservarsi il privilegio di parlare del linguaggio, motivo per cui ritengono abusivo l’utilizzo che Lacan fa dello sviluppo del linguaggio per sostenere il suo insegnamento. Lacan accetta di lasciare loro la linguistica, e con la sua abituale disinvoltura afferma “io faccio linguisteria”, giacché alla psicoanalisi interessa lalingua (lalangue), cioè l’incidenza della lingua nel reale del corpo. Ribadisce la dipendenza del soggetto dal significante e per tanto cede la linguistica in quanto rivendica di occuparsi del linguaggio, perché è con il linguaggio “che tratto quando pratico la psicoanalisi”.
Il seminario XVI ha un carattere di ricerca, quasi un atelier di concetti, ma a partire dalla logica e dal linguaggio il concetti di godimento resta ancora molto legato al significante. Come detto è un seminario di passaggio e ciò lo si può cogliere anche rispetto al concetto freudiano di ripetizione.
L’introduzione della matematica per parlare della ripetizione
In questo seminario c’è un tentativo di dare un valore in termini numerici al godimento che culmina con l’utilizzo della teoria degli insieme, nonostante sia già presente dall’inizio in un altro concetto matematico: la serie di Fibonacci. Questo è un punto di oscillazione tra il Lacan classico a quello del ultimo insegnamento.
Nel seminario II Lacan aveva descritto la ripetizione come una ripetizione significante in quanto mortificante mentre nel seminario XVI comincia a fondare quello che svilupperà nei seminari posteriori: una ripetizione di godimento. Tuttavia la presenza del significante è ancora massiccia come schemi, formule, e l’utilizzo stesso della matematica in fine.
La successione di Fibonacci, ad esempio, è presa per indicare un fenomeno di ripetizione, dove quello che si ripete è una successione di numeri che obbediscono a una regola di formazione. La ripetizione dei primi due numeri dà il terzo e a partire da essi tutto il resto, come la metonimia nei primi anni del suo insegnamento. La ripetizione di un elemento diverso va verso un limite: il numero aureo. Questo numero è utilizzato da Lacan per mostrare che il godimento si perde e si recupera come a, oggetto plus-godere.
Con lo stesso principio possiamo creare diverse serie. Prendiamo, ad esempio, 1,1: con questi due numeri possiamo costruire una serie i cui termini sono prescritti. La regola è che il terzo termine proviene della addizione dei due precedenti e sarà così fino al finale.
1 1 2 3 5 8 13 21 …
Abbiamo poi una concatenazione significante che obbedisce a una regola, una legge di formazione.
Proseguendo via via per la sequenza, il rapporto risulta alternativamente maggiore e minore della costante limite. Invece il rapporto tra un numero di Fibonacci e il suo successivo tende al reciproco della sezione aurea.
Lacan l’utilizza per distinguere l’oggetto (a). S’utilizza il simbolo fi per scrivere il numero aureo. Propongo la seguente formula:
obj.a = 1/fi
Quello che è necessario cogliere è che l’oggetto plusgodere (a), appare come un elemento diverso dalla serie superiore dei numeri, la serie di Fibonacci, ma che è calcolabile. La conseguenza è che si trasforma in un elemento di natura matematica che comporta un’omogeneità con il campo significante.
Lo schema cambia negli ultimi tre capitoli, è più semplice perché arriva direttamente dalla teoria degli insieme, e propone un’equivalenza tra l’oggetto (a) e l’insieme vuoto. Perché cercare questa equivalenza? Perché l’insieme vuoto è un valore che sorge del tutto significante messo in un insieme. L’insieme vuoto, come l’oggetto (a), non appartiene all’insieme come un elemento ma come un sub-insieme. (Per avere una spiegazione più ampia di questo tema rimando alla Nota 7 di Miller, presente nel Seminario XXIII e anche agli articoli riferiti al tema nel suo testo pubblicato in spagnolo con il titolo Matemas). La rappresentazione dell’oggetto (a) attraverso il sub-insieme vuoto risponde meglio al concetto di castrazione, per Lacan riportato impetuosamente nel discorso dalla psicoanalisi, dopo la forclusione effettuata dal capitalismo. Nel testo “Parlo ai muri” Lacan dice che il capitalismo lascia fuori il godimento, le cose del amore, mentre il discorso analitico li fa rientrare, e in questo modo lega ambedue i discorsi.
Ma portando la riflessione un po’ più lontano, Lacan propone in questo Seminario, anche che il godimento è la sostanza di tutto quello di cui parliamo nella psicoanalisi (p.45). Riprenderà questo problema nel seminario Ancora dove parlerà di sostanza di godimento (substance jouissante). Volle tradurre sostanza con l’ousia greca che si distingue rigorosamente della supposizione, del soggetto sempre supposto (hypokemenon). Nel seminario XVI dice che si tratta d’introdurre alla funzione strutturale del plus di godimento, cioè che fuori di questo vincolo il godimento è come un fondo informe, non è strutturale, è un traboccare di godimento. Ma questo modo, quello del Seminario XVI , il modo strutturale finirà per essere insufficiente (dirà dopo “L’oggetto (a) non è sufficiente per parlare del godimento”) e porterà Lacan ai nodi.
L’ introduzione del plusgodere
Vorrei adesso prendere un’altra questione che come ho già detto converge nella scommessa.
Fino dalle prime pagine Lacan pone come insegna del seminario alcune parole che scrive alla lavagna: L’essenza della teoria psicoanalitica è un discorso senza parola.
Quale sarebbe un discorso senza parola? Un discorso logico-matematico per raggiungere in qualche modo il reale, il godimento.
Ho utilizzato il condizionale come d’altra parte fa Lacan ad esempio nel titolo del seminario XVIII Di un discorso che non sarebbe del sembiante, per enfatizzare che si tratta di una ipotesi: se ci fosse un discorso del reale, il quale non c’è, perché il reale è impossibile a dire.
Questa impossibilità non impedisce di cercare in una teoria, come quella di Marx, i concetti necessari per continuare l’esplorazione della pratica analitica prendendo in conto la dimensione reale.
Lacan considera che sia Freud che Marx siano stati sovversivi rispetto della conoscenza nel proporre la dimensione del sintomo. Come definisce qui la dimensione del sintomo? Esso parla. “Parla perfino a quelli che non sanno ascoltare. Esso non dice tutto, nemmeno a quelli che sanno farlo. La promozione del sintomo è il giro decisivo.” (prime pagine del seminario XVIII)
Perché è il giro decisivo? Tanto il marxismo come la psicoanalisi sono stati qualificati come teorie del sospetto. Questo nome proviene dal fatto che entrambi considerano che c’è un sintomo che deve essere decifrato, la cui verità è nascosta e deve essere svelata.
In Il capitale, Marx spiega che nel pagamento del lavoro come una merce qualunque, il sembiante di questo pagamento – il salario, lo stipendio – nasconde il fatto che il capitalista beneficia di un lucro extra. Paga per il lavoro dell’operaio soltanto il necessario per fare sì che il lavoratore viva e si riproduca, ma strappa un eccedente, la differenza tra quello che l’operaio produce e quello che necessita per vivere: il plus-valore.
In rapporto con questa verità nascosta, Lacan perfino si trattiene su una immaginaria conversazione tra il proletario che sta lavorando con uno strumento primitivo e il capitalista. Proprio Marx aveva già raccontato questa scena dove il capitalista fa valutare al proletario quanto di più potrebbe produrre se avesse migliori mezzi di produzione (che lui il capitalista potrebbe mettergli a disposizione). Quello che non dice è che se la produttività fosse maggiore il beneficio non sarebbe per il lavoratore, ma plus-valore per il capitalista.
Questa immaginaria conversazione si conclude con un elemento che Lacan mette in risalto: il riso del capitalista, il godimento che il capitalista ottiene da questa operazione. Mi è piaciuta molto l’osservazione di Lacan quando spiega che il concetto di plus valore come quello del plus godere mostrano che il plus s’ottiene come una specie di gag perché qualcosa rimane elusa, l’effetto del motto di spirito ruota attorno al rapporto intrinseco fra il riso e l’elisione (p. 59). Similmente accade con il modo di parlare di Lacan, che è un maestro dell’uso elusivo del linguaggio. L’esistenza di una fessura, una minuscola fuga del significato e fonte principale del godimento che produce il suo stile.
Il concetto di plus-godere, introdotto in questo seminario, serve al fine di avviare la dimensione del godimento, ma di un godimento misurato, contabile, numerabile, omologo a quello del plus-valore. Lacan parla di omologia a pag. 39 all’inizio del capitolo III “Topologia dell’Altro”: “Parlare di omologia significa dire che il loro rapporto non è di analogia. (…) Il rapporto fra il plusgodere e il plusvalore ruoti attorno alla funzione dell’oggetto a.”
Quando parliamo di omologia accenniamo che occupa un luogo simile nella struttura. L’analogia è fondamentalmente immaginaria, mentre l’omologia è simbolica. Un esempio: poco tempo fa, a causa della crisi del coronavirus si sono riuniti i ministri di sanità dell’Unione Europea, tra di loro c’erano ministri e segretari di Salute Pubblica dei vari Stati. Erano tutti omologhi: quelli che occupavano quel determinato incarico nella rispettiva struttura di governo del loro paesi. Rimanevano fuori tutti le altre considerazioni più immaginari, non aveva nessuna importanza se erano simpatici, bruni o bionde, o qualsiasi altro carattere immaginario.
La funzione del plusgodere appare come effetto di discorso ed essa dimostra che la rinuncia al godimento è un effetto del discorso stesso. C’è rinuncia di una parte e recupero dall’altra.
Nella misura in cui il mercato definisce come merce qualsiasi oggetto del lavoro umano, tale oggetto ha in sé qualcosa del plusvalore. Il plusgodere è ciò che permette d’isolare la funzione dell’oggetto (a), che può diventare una cifra.
È per questa ragione che Lacan prende la scommessa di Pascal. Perché il godimento, i piaceri, come dice Pascal, s’inscrivono nella partita come una puntata, cioè come significante. Nelle partite in cui Pascal era così tanto interessato era proprio il significante monetario quello che era sul tavolo e tutte le dimostrazioni di Lacan in questo seminario obbediscono allo stesso principio: mettere in valore il carattere valutabile, cioè significante, del godimento.
La teoria dei giochi
Dopo il breve riassunto di alcuni fili (l’introduzione della logica matematica e il plusvalore nella ricerca di un godimento calcolabile) fondamentali per pensare la questione della scommessa, torniamo a essa per dire che l’interesse di Pascal nella regola delle parti era condivisa da molti altri uomini nel suo tempo (qualche libertino contemporaneo di Pascal l’aveva consultato su come si dovessero condividere le poste quando, per qualsiasi ragione, si dovesse interrompere la partita). Lacan spiega che della regola delle parti bisognerebbe parlarne a lungo per mostrare la sua importanza nel progresso della teoria matematica. Non esiste nulla di più avanzato, afferma, riguardo ciò di cui si tratta per noi a proposito del soggetto.
Non c’è nulla che isoli in modo più puro del cosiddetto gioco quelli che sono i nostri rapporti con il significante, giacché si tratta di una pratica definita dal fatto che comporta un certo numero di mosse che hanno luogo all’interno di determinate regole. In apparenza di questa questione non ci interessa nient’altro che la manovra più gratuita nell’ordine della combinazione e tuttavia la questione riguardante le decisioni da prendere, che non emerge da nessun’altra parte con così tanta forza e necessità come nel campo del gratuito. La questione della decisione si lega al concetto di scelta forzata già formulato nel precedente insegnamento lacaniano, ad esempio nel Seminario XI.
Nella scommessa di Pascal manca tutto ciò che fa parte delle condizioni ammissibili in un gioco. Gli sforzi compiuti dagli autori per razionalizzare in qualche modo quello che per Pascal era effettivamente il riferimento, finiscono tutti per dimostrare che le cose non quadrano, ed egli doveva proprio essere il primo a saperlo.
In tutti i casi la posta in gioco secondo Pascal dev’essere valutata sul piano numerico e la maggioranza degli autori invece inciampano sul se valga la pena di scommettere.
Pascal considera numericamente la posta ma anche l’incertezza: scrive perfino che rispetto a una probabilità di guadagno possiamo supporre un’infinità di probabilità di perdita, introducendo dunque l’elemento probabilità come numerico, cosa esclusa nella regola delle parti, la quale presuppone la parità della probabilità.
Lacan dice che se insiste sul numerale è perché in altri punti Pascal enuncia che a scommettere sull’incertezza fondamentale – ossia c’e un partner o no? – si ha una probabilità su due, vale a dire: Dio esiste o non esiste, non è numerale. È escludente.
Miller, nel suo commento del Seminario Da un Altro all’altro (che si trova nel suo Illuminations profanes, inedito), evidenzia come si ritrovi il simbolo dell’infinito proprio quando la partita che si gioca è incarnata da quella che propone Pascal nella sua scommessa. La separazione del soggetto e dell’Altro che è là iscritta, è fatta per indicarne la posizione iniziale dell’analizzante e dell’analista. L’analista è l’Altro nella misura in cui è capace di dare “la risposta che uno non aspetta”.
Un esempio tratto dalla mia pratica clinica penso possa mostrare che tutto ciò di cui stiamo parlando sono concetti attuali, quotidiani, operativi. Ricevo da prima dell’estate un giovane uomo che si era costruito un mondo un po’ complicato ma del quale sembrava relativamente soddisfatto. Lavorava in una comunità lontana da Madrid dal lunedì fino al giovedì. La sua sposa lavorava in un’altra comunità giovedì e venerdì, mentre lui rimaneva con i figli a casa. Stavano tutti insieme nel corso del weekend. Dieci anni prima si era innamorato di una donna più giovane di lui, con l’intenzione di sposarla perché era una donna serena, che sarebbe piaciuta ai suoi genitori. È una versione leggermente modificata della classica degradazione generale della vita erotica osservata da Freud: una vita conveniente, in assenza dell’amante verso cui quest’uomo non si sentiva impegnato. Il desiderio non era mai in gioco. Ha vissuto tranquillo in questo modo circa dieci anni. Fino al giorno in cui il marito della sua amante scoprì il rapporto e lo minacciò di dire tutto a sua moglie.
Quando è arrivato in studio era disperato, non sapeva cosa fare e a un certo punto, sorridendo, mi ha detto: “So che non mi dirà cosa fare”. La frase aveva la forma di una negazione classica, era proprio quello che mi domandava: Mi dica cosa desidero. Ovviamente non gliel’ho detto e la psicoanalisi è iniziata.
Torniamo più sul piano teorico. L’affermazione di Pascal sul guadagno incontestabile è insostenibile. È chiarissimo che in questo calcolo non c’è nulla che si imponga di per sé, e che alla proposta della scommessa si può opporre “che quello che ho, lo tengo, e che con questa vita ho già il mio bel da fare”.
Pascal allora rincara la dose e ci dice che questa vita non è niente. Sarebbe a dire?
Ma l’obiezione regge sempre: non è che a puntare in un tale gioco scommetto troppo? Figura nella scommessa stessa. Il presunto contraddittore, che altri non è se non proprio Pascal (in un ragionamento tipicamente analitico Lacan dice che il foglietto lo vedeva solo lui), riceve l’immediata risposta: non potete non scommettere, perché ne siete già impegnato.
In che cosa? Non si è impegnati per nulla, a meno che non ci si ritrovi nella circostanza per cui è necessario prendere una decisione. Che cosa è una decisione? Nella teoria dei giochi, come si dice ai giorni nostri, la decisione è una struttura, cioè è calcolabile perché esiste una logica della scelta.
Solo che, a questo livello della scommessa, se siete costretti a prendere una decisione, qualunque essa sia delle due che si propongono, se siete in ogni caso impegnati, lo siete a partire del momento in cui venite interrogati in questo modo, e da Pascal, vale a dire nel momento in cui vi autorizzate a essere Io in questo discorso.
L’esistenza di Io
La vera dicotomia non è fra Dio esiste e Dio non esiste. Il problema diventa diverso dal momento in cui Pascal ha affermato non già che non sappiamo se Dio esiste, ma che non sappiamo né se Dio è, né che cosa è. Come i contemporanei hanno colto la faccenda riguardante Dio sarà dunque una faccenda di fatto, il che vuol dire una faccenda di discorso, dato che non c’è fatto se non enunciato. Ecco perché, per quanto riguarda Dio, dipendiamo interamente dalla tradizione del libro.
Ma ciò che è veramente in gioco nella scommessa è se Io esiste o non esiste? Cioè che la scommessa non verte sulla promessa di una vita futura ma sull’esistenza di Io. Lacan non utilizza più il termine soggetto, che vale come soggetto dell’inconscio ma Io, il quale esprime il soggetto della parola dove c’è anche in gioco il godimento e che prelude al parlessere (parlêtre). È un concetto forgiato da Lacan per designare in un corpo il connubio tra la Cosa che parla, l’inconscio, e la Cosa che non parla, l’Es.
Si può dedurre qualcosa ulteriore a condizione di mettere al posto giusto la funzione della causa così come si situa a livello del soggetto, vale a dire l’oggetto (a). Il soggetto qui cerca la consistenza della verità, che non trova in sé stesso, fallirà anche a trovarla nell’Altro, la troverà soltanto nel unico elemento consistente, l’oggetto (a) che fa la coerenza del soggetto e che fa pure la sua stoffa. Questo aspetto non sarà pienamente riconosciuto fino al seminario Ancora, dove Lacan aggiungerà alle due sostanze ammesse da Descartes (pensiero ed estensione), la sostanza “jouissante”, godente.
“L’essenza della scommessa sta precisamente tutta nel ridurre la nostra vita a quella cosa che possiamo, così, tenere nell’incavo di una mano.” (p.116), cioè l’oggetto (a).
L’Uno e il piccolo (a)
“La cosa più difficile da pensare è l’Uno” comincia Lacan il capitolo che prende il titolo “L’Uno e il piccolo a” e ci parla del tratto unario, trait unaire, l’einziger Zug che aveva prelevato da Freud, riferito a una delle forme della identificazione.
Nel tratto unario risiede l’essenziale dell’effetto della ripetizione, per noi analisti, nel campo in cui abbiamo a che fare con il soggetto. Ma c’è un altro Uno che oggi ci interessa di più, l’Uno del marchio. Si tratta della ripetizione legata in modo determinante a una conseguenza che Freud designa come l’oggetto perduto.
Essenzialmente del fatto che il godimento è preso di mira in uno sforzo di ritrovamento e che può esserlo solo a condizione di essere riconosciuto per effetto del marchio.
Lacan considera che la forma singolare del Nome-del-Padre nella questione della scommessa, si trova nell’enunciato in testa al foglietto: croix ou pile, cioè pone l’azzardo al comando, la ripetizione nel senso di tyche, non di ripetizione significante, automaton, di accordo con i termini utilizzati nel Seminario XI, I quattro concetti fondamentali. Lacan lo chiama il reale assoluto. Si tratta esclusivamente del reale come arresto, fissazione.
Il godimento, rispetto dell’Altro è un assoluto per il soggetto. Il termine è ben fatto per distinguere il godimento rispetto dell’Altro, giacché nell’Altro tutti i termini sono relativi e si tengono come sistema. L’Altro è così poco un assoluto che si pone la questione della sua garanzia.
Ma non è solo il partner a costituire l’interesse della scommessa, c’è anche la posta in gioco. Che Pascal possa porre nei termini in cui la pone la questione della nostra misura in relazione al reale assoluto presuppone che abbia compiuto un certo passo: modificare radicalmente l’approccio all’Io del giocatore. Lo ha fatto operando qualcosa che Lacan chiama “un esorcismo”, perché? Il giorno in cui Pascal scoprì la regola delle parti produsse un cambiamento fondamentale nel proporre la perdita alla base del gioco, nel suo principio. Il gioco esiste soltanto a partire da questo dato, per cui la puntata si trova sul tavolo e, se così si può dire, in una massa comune. Pascal risponde in base a quello che viene chiamato il triangolo matematico, già scoperto da un certo Tartaglia, e tornando a Archimede (che Tartaglia aveva tradotto) e alle sue legge di massimo e minimo.
Laddove la questione dell’attrattiva della vincita deformava, deviava, la riflessione dei teorici, questa purificazione iniziale consente di enunciare correttamente come operare con la posta in gioco: è perduta. La questione è di interesse analitico. Se c’è un’attività il cui avvio implica fondamentalmente l’assunzione della perdita, quella è certamente la nostra, nella misura in cui già nell’adesione a una qualche regola, vale a dire una concatenazione significante, si tratta di un effetto di perdita. “La nostra esperienza nell’analisi ci confronta in ciascun momento con un effetto di perdita”.
Lacan obietta l’attribuzione di questa perdita a un qualunque danno immaginario e dice “Questo effetto simbolico s’inscrive nell’apertura beante che si produce fra il corpo e il suo godimento, in quanto è l’incidenza del significante, o del marchio, vale a dire di quello che prima ho chiamato tratto unario, a determinarla o ad aggravarla”.
Lacan dice che non sappiamo niente né della natura di a e neanche della natura dell’Uno ma ciò che è importante è che così si determina un rapporto tra a e l’Altro. “Si delinea dunque un rapporto fra l’effetto della perdita, l’oggetto (a), e il luogo che chiamiamo l’Altro, senza il quale non potrebbe prodursi.” (pagina 123)
Lacan aggiunge: per vedere che la perdita non è senza rapporto con il modo in cui funzioniamo come desiderio è sufficiente osservare la passione del gioco.
Il tratto unario
Lacan sottolinea che c’è qui qualcosa di molto singolare: si produce una proporzione già nelle cifre, nei segni scritti, nonostante non sappiamo nulla né della natura della perdita e neanche dell’Uno, sappiamo soltanto cos’è il tratto unario.
L’Uno unario è un punto ideale a cui si accede per identificazione. Serve anche alla formazione della massa e Lacan sostiene che abbia una struttura omologa a quella della sessuazione maschile.
L’ Einziger Zug è un tratto unico, ma non è quello che rende unico chi lo possiede, cioè non fa la sua singolarità. Quelli che s’identificano a quel tratto unario risultano automaticamente identificati tra loro (fanno massa). Per questo la propria singolarità è sostituita dal tratto comune. Una storia di Alphonse Alias è utilizzata dallo psicoanalista G. Arenas, per illustrarne in modo umoristico che il tratto unario non fa unico, singolare. Uno dice: “Sono una persona stile Balzac, bevo troppo caffè; sono una persona stile Napoleone, mia moglie si chiama Josefina …” e noi possiamo dire parafrasando Alponse Allais, sono una persona stile Lacan, fumo sigarette culebra … o ancora più paradigmatico, indosso una cravatta a farfalla, quindi sono una persona stile Lacan. Negli anni ‘80, c’erano analisti nella scuola di psicoanalisi analisti che indossavano papillon come se quello li facesse diventare Lacan. Si vede bene che non qualsiasi tratto serve per essere singolare, anzi serve al contrario per fare massa. I baffi di Hitler ad esempio.
Lacan propone un’altra omologia, più interessante per noi oggi, tra il tratto unario e l’Uno della ripetizione. Si tratta di un’altra definizione di tratto unario. “Il tratto unario è quello con cui si marca la ripetizione come tale. La ripetizione non fonda nessun tutti, ne identifica niente, perché (…) non può avere prima ripetizione. Non può cominciare, evidentemente, che la seconda volta, che in questo modo risulta essere quella che inaugura la ripetizione.”
Notate che Lacan non dice che il tratto unario sia l’Uno della ripetizione, ma che con il tratto unario si marca la ripetizione. “Qualunque cosa può servire per scrivere l’Uno della ripetizione (…) soltanto dev’essere facile ripetere come figura”. Riprende così la concezione del tratto unario come puro marchio, come la tacca, che distingue ripetizioni, per contarle senza numerarle. Per questo dice il tratto unario è “il marchio come tale”. Il segno del cacciatore primitivo sulle pareti della grotta, o il cowboy che nei film segna una tacca sulla sua arma ogni volta che ammazza qualcuno.
Scriviamo ora il rapporto fra l’1 determinante, il marchio, e l’effetto di perdita:
1
a
Se si tratta di perdita appare evidente che questo rapporto deve essere uguale alla congiunzione, tramite una e aggiuntiva, fra l’1 e il segno della perdita: a.
1 = 1+a
a
Osservate che anche qui si tratta del rapporto tra un elemento significante l’1 (fondamento dell’identificazione soggettiva originaria) e un altro diverso, l’oggetto (a), come resto del godimento. Lacan sottolinea anche che la sola ragione che ci impone di partire da essi – é una partenza arbitraria – è che iniziando da essi scriviamo. Questi elementi non si collocano da nessuna parte, in un qualsiasi reale che sembri potere corrispondere a questa scala. Solo che questa scala non possiamo scriverla senza di loro.
Lacan cerca di dare un’evidenza matematica della genesi di a in virtù, unicamente, dell’Uno in quanto marchio. Per farlo poggia sulla costruzione che risulta dall’uso più semplice di questo Uno in quanto, una volta ripetuto, prolifera, giacché esso viene posto soltanto per tentare la ripetizione del godimento, per ritrovarlo in quanto è già fuggito.
Il primo Uno, inscritto per ritrovare ciò che originariamente non era marchiato già lo altera, dato che in origine non era segnato. Esso si pone dunque nella fondazione di una differenza.
Questo punto originario – a cui Lacan si riferisce mediante l’esperienza di soddisfazione e alla sua differenza rispetto a ciò che si ritrova – fa della ripetizione la chiave di un processo che ci pone la questione di sapere se, una volta avviato, possa o no trovare il proprio termine. Cioè la questione della fine dell’analisi, terminabile o interminabile, e chiedendo se il processo che prende avvio per il soggetto a causa della ripetizione, con la ripetizione come origine, abbia o non abbia un proprio limite.
Come stanno le cose per quanto riguarda la genesi di questo Altro? Possiamo distinguerlo dall’Uno che precede l’1, ossia dal godimento. Si tratta della differenza tra l’Uno del godimento che Lacan scrive in lettere e che precede l’1 unario del marchio. Come misurarlo? Se abbiamo consolidato l’<1+a> e ne abbiamo fatto la somma con la massima cura, è perché proprio a partire da (a) nel suo rapporto con 1 possiamo sperare di prendere in modo analogico, la misura di quello che è l’Uno, del godimento, riferendoci a quella somma supposta realizzata.
Il rapporto fra a come mancanza acquisita dall’Altro, e 1, come il campo completato dell’Altro che potremmo edificare, possiamo renderlo come presentato a pagina 129:
1 (Uno) 1 a
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“È qualcosa che noi analisti conosciamo e che ritroviamo. È quello che si chiama godimento masochista, ed è la forma più caratteristica, la più sottile che abbiamo dato alla funzione causa-del-desiderio”.
Nel brano del capitolo XVI seminario XI dedicato all’operazione di separazione, soprattutto a pagina 210 (la questione è ancora formulata in termini linguistici), si riferisce allo stesso problema: il primo oggetto offerto al desiderio dell’Altro è la propria scomparsa. “Il primo oggetto che egli propone al desiderio parentale, il cui oggetto è sconosciuto, è la sua propria perdita. Può perdermi? Il fantasma della sua morte, della sua scomparsa, è il primo oggetto che il soggetto deve mettere in gioco in questa dialettica e, in effetti, lo mette”. Lo sappiamo da mille fatti, per esempio dall’anoressia mentale. Lacan illustra lì il godimento masochistico, con il caso di Gide.
Questo capitolo è prezioso così come l’articolo degli Scritti, “Posizione dell’inconscio” per avere una approssimazione di quello a cui punta qui Lacan quando parla di godimento masochistico. Non è la perversione masochistica, che richiede una costruzione complessa come quella della nevrosi, ma l’utilizzazione dell’identificazione all’oggetto perduto come un modo analogo di assumere la perdita, la posizione di scarto, rappresentata da a al livello del plusgodere. Nel caso della perversione Lacan ci mostra come il soggetto nel suo sforzo per costituire l’Altro come un campo articolato unicamente nelle modalità di quel contratto sul quale Deleuze ha posto l’accento “per supplire all’imbecillità fremente che regna nella psicoanalisi, il soggetto gioca sulla proporzione che si sottrae, accostandosi al godimenti per la via del plusgodere.”
Il libro di Deleuze al quale si riferisce Lacan Presentazione di Sacher-Masoch, pubblicato da Bompiani nel 1978; e in una versione posteriore Il freddo e il crudele pubblicato da SE nel 1991. Esiste anche anche una preziosa intervista a Deleuze di Madeleine Chapsal pubblicata originalmente nell’aprile del 1967 in La quinzaine littéraire, dove Deleuze dice che vorrebbe studiare il rapporto tra letteratura e clinica psichiatrica, perché è possibile che uno scrittore vada più lontano nella descrizione della sintomatologia che uno psichiatra . L’illustra con Sacher-Masoch che – come altri scrittori – ha fatto del fantasma l’oggetto della sua opera, quando in generale il fantasma per altri autori è soltanto l’origine della propria opera.
Lacan ha sottolineato come in fondo si tratti proprio di questo nella scommessa di Pascal. L’infinito su cui poggia la scommessa è l’infinito del numero.
Se prendiamo questa infinità e l’acceleriamo con l’istituzione della successione di Fibonacci, la quale è esponenziale in quanto i numeri da essa generati crescono geometricamente e non aritmeticamente. (Questo modo di crescere che è per noi di tanta funesta attualità, con la quotidiana informazione della crescita di contagiati di coronavirus). Tale serie genera nella misura in cui ci allontaniamo dalla sua origine, la proporzione che si articola in a. Man mano che i numeri crescono, a interviene in maniera costante, nella sua forma inversa, 1/a, la quale è tanto più sorprendente in quanto annoda l’1 ad a.
Lacan indica che a può essere insignito della funzione del numero aureo, che si calcola nella serie di Fibonacci se mettiamo in rapporto ciascuno dei suoi termini con il termine successivo:
1/2 2/3 3/5 5/8 8/13 13/21
e così via, si ottiene un risultato, che tende molto presto a inscrivere i primi due decimali e tutti i decimali di seguito. Corrisponde a quell' a = 0,618, e via di seguito, chiamato numero aureo.
Che dire della scelta di a? S’interroga Lacan. L’abbiamo scelto perché ci siamo trovati davanti al problema di sapere come raffigurare ciò che si perde per il fatto di porre arbitrariamente l’1 inaugurale, ridotto alla sua funzione di marchio. Ma la scelta di a non ha nulla di arbitrario, perché è il rapporto limite di un termine della serie di Fibonacci con quello successivo. La perdita che stiamo considerando costituisce all’orizzonte del nostro discorso il plusgodere: non è altro che un effetto della posizione del tratto unario.
La conclusione importante è che la differenza tra il soggetto del godimento e il soggetto diviso dal marchio resta irrimediabile. Si può dire che a è ciò che condiziona la distinzione fra l’Io che sostiene il campo dell’Altro e può totalizzarsi come campo del sapere e l’Io del godimento. Totalizzandosi, l’Io del sapere non perverrà mai alla propria sufficienza, quella che si articola nel concetto hegeliano del Selbstbewusstsein. Infatti, proprio commisurata alla sua perfezione, resta totalmente escluso l’Io del godimento. È un’affermazione di straordinaria portata: esiste la tentazione di porre che il soggetto del sapere come che sa se stesso ed è quello che Lacan riferisce in questi capitoli rispetto al Selbstbewustein hegeliano, il quale trascina dietro di sé praticamente tutte le teorie della conoscenza, persino quelle più di avanguardia. È l’importanza di sostenere che la divisione originale non è soppressa in nessun momento.
Lacan aggiunge qui una piccola nota clinica quando si chiede cos’è che tende a proporre la figura di un sapere assoluto come ideale che un giorno potrebbe essere portato a compimento. Risponde: “è l’isterica”.
Risulta rilevante che unicamente in questo a può essere colto quel che ne è del godimento rispetto quel che si crea con l’apparizione di una perdita.
Lacan finisce l’ultimo capitolo di questi tre qui trattati, con la presentazione di una matrice nella quale sono inscritti i dati nella modalità in cui si annotano i risultati della cosiddetta teoria dei giochi e suggerisce altrettante posizioni soggettive, da pensare non soltanto in rapporto a Dio ma più ampiamente. Per farlo combina da una parte che il soggetto sappia che Dio esiste o che Dio non esiste e dall’altra parte che sia a favore o contro. Ottiene così diverse figure dove la scelta determina altrettanti risultati. Le più notevoli sono: quella del soggetto che crede nell’esistenza di Dio e sceglie di perdere la infinità di vite infinitamente felici deliberatamente; quella del soggetto che suppone sapere che Dio non esiste e che comunque sceglie di impegnarsi e perdere a, esistono molti soggetti che hanno mollato a senza curarsi della immortalità dell’anima, ad esempio quelli che chiamiamo saggi; infine c’è chi si tiene a e dorme fra due guanciali, Lacan si domanda se questa tranquillità non è un po’ fatta di indifferenza.
Concludo un’altra ironia di Lacan, questa volta in rapporto con le considerazioni sulla Grazia, interessante e divertente. Il dogma, dice, testimonia come la misericordia di Dio sia più grande della sua giustizia, giacché Egli estrae alcuni eletti quando dovremmo essere tutti all’inferno, “Mi meraviglio che questa frase abbia potuto apparire scandalosa, poiché è assolutamente chiaro e manifesto che l’inferno non si è mai potuto immaginarlo al di fuori di che ci capita tutti i giorni. Voglio dire che in inferno ci siamo già”.
Il paziente di cui vi ho parlato prima conosceva bene cosa è costruirsi un inferno quotidiano. Non s’ingannava e ricordava ogni volta in cui di nuovo, in modo ripetuto, mollava il suo desiderio.