Testo di riferimento: Jacques Lacan, Il seminario. Libro
X. L'angoscia, Einaudi 2007.
I. Introduzione
Nell'accingermi
a preparare la conferenza di oggi mi sono chiesta quale sia il rapporto tra il
tema di questo seminario e la situazione attuale. Mi piacerebbe partire da qui
per affrontare la questione da tre punti di vista.
Primo:
in che tipo di mondo viviamo? Non c'è dubbio che lo si possa definire l'impero
dello sguardo. Definizione che può essere correlata a ciò che Jacques-Alain
Miller (d’ora in avanti JAM) chiama “l'ascesa allo zenith del sociale
dell'oggetto a”. Basta solo accendere la TV per farsi un'idea di quello
di cui sto parlando. Che cos'è tutta questa spazzatura che ci scruta
costantemente dallo schermo televisivo? A che tipo di invasione stiamo
assistendo in termini di show televisivi popolari? Si tratta di spettacoli
intimamente collegati alla funzione dell'oggetto e del corpo: accumulatori
compulsivi, tatuaggi, chirurgia plastica, deformità. Un'esibizione universale
che ci spinge a ripensare le nozioni cruciali lacaniane quali finzione,
sembiante, verità.
Secondo:
come si manifesta la sofferenza a noi psicanalisti? Ci troviamo davanti a
disturbi d'angoscia mai visti sino ad ora. Tuttavia di cosa stiamo parlando
quando parliamo di angoscia? Non mi addentrerò nella dimensione problematica
della traduzione di termini tedeschi e freudiani. Ma sarebbe auspicabile che li
aveste in mente. Potremmo affermare che la sofferenza si manifesta tra due
diverse polarità: il polo della schiavitù dal godimento, in cui il soggetto è
nella posizione di essere servo di un oggetto (tutte forme di dipendenza) e il
polo della padronanza assoluta (di cui l'anoressia è il paradigma, ma lo è
anche la psicoterapia come ideologia). La Depressione come segno dei nostri
tempi colora pervasivamente l'intero spettro. C'è una sorta di caduta
generalizzata del desiderio accompagnata nei casi migliori dalla mancanza di
speranza, e, nei peggiori, da una forma di cinismo che sfocia nella
canaglieria. Tutto ciò esige un aggiornamento della nozione di inconscio inteso
sia come sapere rimosso sia come supposto sapere. I tipi di richiesta che
riceviamo nei nostri studi privati come nelle istituzioni non sono indipendenti
dalla situazione che connota la nostra società.
E
infine, dato che sempre meno ci capita di incontrare soggetti con sintomi
strutturati simbolicamente in relazione all'Ideale, sotto forma di un conflitto
riferito a ciò che Lacan definisce nel suo seminario le “morti finali del
desiderio”, siamo minacciati dalla questione di cosa costituisca la specificità
della prassi analitica e del suo discorso al giorno d'oggi. Per parafrasare E.
Laurent “parole e corpi divengono entità separate nell'attuale disposizione
dell'Altro della civilizzazione”. Laddove Freud scoprì l'annodamento tra le
parole e il corpo, sotto forma di quello che definì il sintomo, attualmente
assistiamo a una crescente disconnessione, sia sul piano soggettivo sia nei
discorsi dominanti o egemonici. Non possiamo non porci questa domanda, dato che
in questo stesso seminario Lacan definisce molto chiaramente quale sia lo scopo
dell'analisi (p.259): “l'analisi si è sempre posta come fine - e tutt'ora è
così - quello di svelare il desiderio”.
Al
fine di collegare l'obiettivo dell'analisi con la costituzione del soggetto
stesso, così come viene percepito attraverso l'esperienza analitica, Lacan
cercherà di riarticolare nel suo seminario tre nozioni: la domanda dell'Altro,
il desiderio dell'Altro, e il godimento dell'Altro.
Nel
seminario successivo, l'undicesimo, Lacan aggiungerà a questi concetti la
dimensione della conoscenza dell'Altro.
Al
giorno d'oggi ciò che prevale è il corto circuito della dimensione della
conoscenza. Da ciò deriva la crescita dell'angoscia. All'aumento dell'angoscia
corrisponde quella dell'oggetto. Ma vedremo come l'oggetto del consumo, i tre
oggetti dimensionali che ci accompagnano nel nostro quotidiano, con cui ci
riempiamo, sono precisamente, in quanto causa di desiderio, quelli che otturano
e bloccano il funzionamento dell'oggetto a.
Non
possiamo certo affermare che gli sforzi di Lacan per formalizzare in questo
seminario le relazioni tra corpo e linguaggio ci forniscano la chiave per
accedere all'imperativo del godimento, all'istinto di morte, a quell' “ordine
di ferro” con cui ci confrontiamo al giorno d'oggi, ma in ogni caso questa è la
nostra scommessa.
II. Il seminario
Il
seminario X si divide in quattro parti:
Introduzione
alla struttura dell'angoscia/Revisione dello statuto dell'oggetto/L'angoscia
tra godimento e desiderio/Cinque forme dell'oggetto a piccolo che
include 8 capitoli; Le palpebre di Buddha/La bocca e l'occhio/La voce di
Yahweh/Ciò che entra dall'orecchio/I cinque livelli nella costituzione
dell'oggetto a/Il rubinetto di Piaget/ Dall'anale all'ideale/Da a ai- Nomi-del-Padre.
− Quali
sono i termini fondamentali?
Angoscia/Oggetto/Desiderio/Soggetto/Altro/Godimento
− Quali
le definizioni sinora?
Angoscia
segno di desiderio/Angoscia è ciò che non inganna/non c'è angoscia senza un
oggetto/Angoscia come segnale del Reale
Definizione
dell'oggetto a : ciò che resta della divisione nel campo dell'Altro
attraverso la presenza del soggetto. Alla nascita non si è ancora soggetti
parlanti: si è individui in quanto con un organismo e un corpo, ma non si è
ancora soggetti parlanti. C'è una costituzione circolare dell'oggetto che non è
cronologica ma logica. Ciò che accomuna tutte le forme e gli stadi dell'oggetto
è la funzione che esso svolge: la ricerca di Lacan è quella di stabilire come
ciascuno sia collegato alla costituzione del soggetto nel luogo dell'Altro e
come lo rappresenti.
$
& a a ---> $
Sappiamo
che Freud ha elencato una serie preliminare di questi oggetti, identificandone
tre: seno, escrementi e fallo a cui aggiunse come sottocategoria denaro e prole
- che corrispondono ai cinque parametri di perdite, i cinque oggetti
pulsionali. Come sappiamo l'insegnamento di Lacan si sviluppa in parte
criticando come i concetti di Freud siano stati ripresi dai postfreudiani, in
particolare da coloro che cercarono di vedere nel suo lavoro una teoria dello
sviluppo. Già nel 1956 Lacan dedicò un intero seminario, il IV, a ri-situare la
nozione dell'oggetto in psicoanalisi.
Ma
se a quel punto ciò che era in palio era una robusta dimostrazione che la
relazione oggettuale conta più della relazione del soggetto umano con tutte le
possibili forme di “perdita” o “assenza di oggetto” (nella privazione della
triade, nella frustrazione e nella castrazione) in accordo con i tre registri
dell'esperienza, Reale, Immaginario e Simbolico, a questo punto del suo
insegnamento nel seminario X c'è
qualcosa di diverso in gioco. Potremmo dire che da qui in poi l'oggetto inizia
a recuperare la sua consistenza, che non sarà fisica ma logica.
Dopo
aver chiarito lo stato dell'oggetto in quanto immaginario nelle relazioni
dell'Ego con l'altro piccolo, l'identificazione fondamentale con l'immagine
nella loro costituzione nel campo speculare in quello che viene definito stadio
dello specchio, separandolo dalle identificazioni proprie dell'agganciamento
del soggetto alla catena dei significanti tramite S1, i tratti unari
dei significanti padroni sotto i quali il soggetto crede di rappresentarsi,
Lacan ora sposta l'attenzione in modo del tutto diverso sul reale del corpo e
sulle dinamiche della pulsione. Come fa un organismo a trasformarsi in un
corpo? Prima la risposta era: totalmente attraverso il linguaggio. Ma anche se
l'Altro è simbolico, è linguaggio pre-esiste al soggetto, la domanda è che cosa
avviene nelle vicissitudini dell'incarnazione di questo astratto Altro
dall'Altro nella realtà, incarnato in una presenza soggettiva attraverso la
cura primordiale o la sua mancanza?
Differentemente
dal primo periodo del suo insegnamento Lacan, qui - citando JAM - l’oggetto
“non appare come il prodotto di una struttura articolata, ma come il prodotto
di un corpo frammentato. Senza dubbio questi oggetti rispondono a una struttura
comune, una struttura del bordo, una struttura di tagli che ora si sono
radicati nel corpo”.
Consentitemi
ora una digressione: possiamo affermare che esistono almeno tre teorie del
corpo nell'opera di Lacan:
a) la
prima è quella del corpo speculare costruito attraverso le norme dell'Ego
Ideale, il cui fondamento poggia sulla principale legge che lo regola, vale a
dire il Nome del Padre. Qui siamo nel campo della clinica strutturale. Ma anche
qui troviamo una clinica del corpo: il corpo frammentato dello schizofrenico,
la moltiplicazione delle immagini dell'individuo nella paranoia, la
dissoluzione immaginaria nell'isteria dove il corpo è sensibile alle metafore,
alle metonimie etc. Questa è la clinica della legge fallica in quanto
organizzatrice del corpo: ciò che è chiaro nell'analisi lacaniana della fobia
come mappa del corpo minacciato dalla castrazione e anche nella sua analisi
della perversione come modalità di produrre il fallo immaginario per rinnegare
la minaccia stessa.
b) la
seconda, che corrisponde al seminario su cui stiamo lavorando, riguarda il
corpo dove l'armonia delle leggi simboliche e immaginarie è scosso
dall'introduzione del Reale nella forma dell'oggetto a. Si tratta di un corpo topologico con un
buco centrale che ha un bordo - la zona erogena di Freud - attorno a cui è
costruita la superficie del corpo. Solo quando questa superficie è creata può
avvenire l'identificazione speculare. A questa operazione se ne aggiunge
un'altra simbolica: la castrazione che consiste nella simbolizzazione del buco
in quanto mancanza e che dà al corpo una certa unità. Qui ci troviamo nel campo
della clinica delle nevrosi, dove la relazione tra corpo e angoscia si gioca
allo scoperto e delle psicosi dove la relazione tra oggetto e immagine è in
posizione preminente.
c) la
terza corrisponde al più recente insegnamento lacaniano e riguarda la clinica
dell'evento di corpo. Qui ciò che è primordiale non è l'immagine speculare, né
il buco topologico, ma lalangue e l'incidenza del godimento Uno sulla sostanza
vitale. L'inconscio viene definito come “il mistero dell'essere parlante”. Non
approfondirò oggi questo argomento, ma è importante sottolineare come molte
definizioni e affermazioni nel seminario X che possono sembrare certe o
definitive in realtà cambino. Anche molte delle impasse e delle questioni
irrisolte troveranno una loro riformulazione soltanto dieci o quindici anni
dopo.
- Le palpebre di Buddha
Nell'ultima
parte del seminario X all'inizio Lacan ritorna alle citazioni sulla
circoncisione per ricordare che “qui si tratta proprio di una relazione
permanente con un oggetto perduto in quanto tale. L’oggetto a in quanto
tagliato presentifica una relazione essenziale con la separazione” (p. 231).
Lacan
in questo seminario tocca diversi punti: le tre grandi religioni, Ebraismo,
Cristianesimo e Buddhismo e ognuna nella sua specifica forma viene utilizzata
per illustrare aspetti della dialettica del desiderio nella costituzione del
soggetto (e dell'esperienza dell'angoscia). Nelle prime due metà del seminario
vediamo come l'angoscia viene pensata in relazione a un determinato incontro
col desiderio dell'Altro; un'esperienza limite e un segnale del confine dell'ego.
In questa seconda parte del seminario l'angoscia viene considerata come una
modalità di difesa dal godimento.
L'angoscia
verrà esaminata nelle diverse forme assunte in relazione ai tipi di oggetto
parziale, l'oggetto a. La separazione da una specifica parte del corpo
sta a simbolizzare per il soggetto ora alienato la relazione fondamentale col
suo corpo.
Come
detto, le cinque forme dell'oggetto a sono inserite in un unico elenco
perché hanno in comune almeno una caratteristica: la loro funzione. Lacan
concepisce l'idea che per il parlêtre ci sia una funzione d'oggetto. A
differenza degli oggetti che conosciamo, quelli che possiamo condividere,
scambiare etc., nella psicoanalisi lacaniana l'oggetto a non è una cosa,
ma una funzione.
Lacan
nel capitolo VII di questo seminario dice che “questo oggetto lo indichiamo con
una lettera. La notazione algebrica ha una sua funzione. È come un filo
designato a permetterci di riconoscere l'identità dell'oggetto nelle diverse
incidenze con cui ci appare”. La tesi di Lacan è che la funzione causale negli
esseri umani è collegata alla categoria dell'oggetto, dato che Lacan ritiene
che sia proprio la nozione di causa che il discorso scientifico chiaramente
svela. Al posto della causa la scienza valuta connessioni significative,
correlazioni, leggi e equazioni. La causa è una funzione che riveste una grande
importanza nell'apprendimento spontaneo, la conoscenza del linguaggio corrente,
perché è la causa che prende il posto del buco, del vuoto o dell'assenza che è
di per sé la caratteristica del desiderio. In tal modo esiste di base uno stato
di insoddisfazione del desiderio. C'è un buco. A livello conscio lo definiamo
causa. È così che definiamo il buco: la causa di (il “perché?” dei bambini). La
causa è ciò che appare nella separazione tra le parole e ciò che è reale. Come
se l'oggetto a non potesse essere definito senza includervi la sua
caratteristica fondamentale: quella di essere perduto. “È una porzione di noi
stessi che viene catturata nella macchina e non può essere recuperata. Come
oggetto perduto, ai diversi livelli dell'esperienza corporea in cui si
verifica, è il sostegno, il substrato autentico di qualsiasi funzione della
causa”.
La
vera e propria nozione di inconscio dipende da questo buco, da questa impossibile
coincidenza tra la coscienza che conosce e l'oggetto della conoscenza. Dietro
al fallimento della conoscenza, del soggetto della conoscenza che sta a
indicare lo spazio vuoto dove la causa mente, c'è quest'altro oggetto e il suo
correlato: l'angoscia. Questo oggetto è parziale. L'angoscia come correlato
dell'oggetto è un'esperienza affettiva sperimentata nel corpo; e questa
esperienza è caratterizzata, come dice Lacan, da una certezza radicata e
assolutamente non ambigua.
Nella
dialettica della causa che costituisce l'origine della vita del soggetto, il
corpo non partecipa nella sua totalità, ma interviene come una parte, una parte
separata “in virtù del coinvolgimento nella dialettica significante, c'è sempre
nel corpo qualcosa che è sacrificato, inerte... la libbra di carne.” È la libbra di carne che il soggetto paga
come prezzo della sua umanizzazione, per poter trovare il suo spazio nel campo
dell'Altro. “Il resto è ciò che sopravvive all'ordalia della divisione del
campo dell'Altro attraverso la presenza del soggetto”. Questo resto è
ciò che sopravvive alla prova dell'incontro del soggetto con il puro
significante. Divenendo un soggetto desiderante attraverso questo taglio,
assoggettandosi a una legge che governa l'economia del desiderio, il soggetto
mantiene sempre questa relazione con l'oggetto perduto, quella parte di noi
stessi del nostro essere vivente, del nostro “corpo” in quanto contiguo al
reale a cui abbiamo rinunciato, perdendolo, proprio per incontrare il simbolico
in quanto esseri parlanti.
Per
Lacan questo è il senso e il significato del complesso di castrazione: una
perdita immaginaria sostituita da una perdita simbolica. L'angoscia separa e
mantiene una distanza tra il desiderio e il godimento e tuttavia allo stesso
tempo indica il secondo (il godimento) come un segnale di quel resto e della
relazione col reale dopo che il taglio del significante situa il soggetto
nell'ordine simbolico. La questione principale qui verte sul fatto che l'Altro
è Altro perché c'è un resto: l'oggetto a. Quando ciò non avviene, quando
il soggetto rifiuta di dividere l'Altro, l'Altro è Uno e il soggetto tiene
l'oggetto in tasca. Una delle conseguenze sarà che la conoscenza non verrà
pensata come a un soggetto nella scena dell'Altro: l'effetto prodotto sarà una
certezza diversa dall’ dell'angoscia, propria alla psicosi e correlativa al
rifiuto dell'inconscio in quanto tale.
Allo
scopo di approfondire la sua spiegazione Lacan confronterà la tradizione
cristiana con quella buddista. Egli afferma che cercherà di descrivere qualcosa
sulla funzione del desiderio, riportando la sua esperienza nel corso di un
viaggio in Giappone avvenuto nello stesso anno. Nel 1971 Lacan tornerà in
Giappone (per tenere un seminario e partecipare alla presentazione della prima
traduzione di alcuni suoi Ecrits in giapponese). Al suo ritorno Lacan teorizzò
che la scrittura ideografica giapponese avesse una funzione paragonabile a
quella di un litorale tra conoscenza e godimento (Lituraterra, in J. Lacan, Altri
Scritti, Einaudi, Torino, 2013). Un modo nuovo di capire cosa può essere
recuperato e come, attraverso la scrittura, della funzione di scarto o resto
dell'oggetto a. Ma ciò avviene molti anni dopo, quando la
concettualizzazione del soggetto si è avvicinata al parlêtre e al sinthomo (vedi
la terza clinica del corpo citata precedentemente).
Ci
sia consentito dire che a questo punto Lacan si serve del buddhismo per parlare
dell'oggetto sguardo, mentre si rifà all'esperienza talmudica per affrontare il
tema dell'oggetto voce (Shofar). Lacan si chiede: quale principio regola la
pratica del buddhismo? Il desiderio è illusione. Non ha né supporto né sbocco
né scopo. Ciò ovviamente se rapportato a quella che vorrebbe essere una verità
definitiva. Tuttavia Lacan afferma che nel buddhismo questo viene scritto in
una specifica forma di negazione: il che implica che ciò non può essere
identificato con una riduzione a qualcosa di insignificante. Si tratta di una
forma di “non avere” sia dall'oblatività dell'ossessivo (ti ho dato tutto,
tutto per l'Altro) sia dal godimento da privazione tipico del soggetto
isterico: proprio al punto in cui potrei raggiungere la soddisfazione, svengo,
scappo, rinuncio, sparisco. Non riconosco questo comportamento come dovuto al
mio volere, lo attribuisco all'Altro - più spesso all'altra donna.
Come
fa l'oggetto a entrare nella dialettica del desiderio? Non più come il riflesso
o il doppio del soggetto né come la proiezione immaginaria di ciò che uno è, ma
piuttosto come quello che mi era stato strappato via (tagliato): le conseguenze
cliniche riguardano le varie direzioni che il soggetto intraprenderà per
recuperare ciò che gli è stato tolto.
Le
palpebre della statua lignea sembrano essere state speciale oggetto di
venerazione. Mentre la maggior parte delle statue buddiste ha sempre una
fessura come occhio che lo rende né chiuso né mezzo chiuso, ma in una
particolare posizione dovuta alla pratica meditativa, in questa statuta di
legno, che sta descrivendo, non si può osservare nessuna fessura dell’occhio:
“ha semplicemente a livello degli occhi una cresta aguzza” (p. 247) che dà solo
l’impressione, grazie al riflesso del legno, della presenza, sottostante, di un
occhio ammiccante.
In
che senso allora il desiderio è illusione? Nel senso che “è sempre indirizzato
altrove, a un resto costituito dal rapporto del soggetto all'Altro”. Si noti
qui che il punto di cambiamento, il cambio di rotta verso qualcosa al di sotto
della dialettica del desiderio è annunciato. Ecco perché Lacan insiste che “a
ogni stadio nella strutturazione del desiderio, se vogliamo capire che cosa è
coinvolto nella funzione del desiderio, dobbiamo verificare quello che
definisco il punto di angoscia”. Ciò significa, tra l'altro, che il desiderio e
specialmente la posizione del soggetto desiderante, non possono essere spiegati
pienamente attraverso la sua produzione dal Simbolico e dall'Immaginario nella
struttura del linguaggio.
S A
a angoscia
Il Punto di Angoscia
Questo
capitolo termina con l'annuncio di ciò che sarà coinvolto in ogni stadio:
·
Nello stadio orale c'è una certa relazione tra
la domanda e il desiderio velato della madre.
·
Nello stadio anale la domanda della madre si
manifesta come desiderio.
·
Nello stadio della castrazione fallica appare il
-phi, fa ingresso la negatività con particolare riferimento allo
strumento del desiderio quando il desiderio sessuale in quanto tale si
manifesta nel campo dell'Altro.
Ma
Lacan aggiunge che “il processo non si ferma a questi tre stadi. Perché? Perché
al suo limite dobbiamo interfacciarci con la struttura dell'oggetto a in
quanto qualcosa di separato.”
La
questione fondamentale verso la quale Lacan cerca di condurci a questo punto è:
come può avvenire che dal livello di castrazione si giunga al miraggio
dell'oggetto del desiderio? O per metterla in termini diversi, come può
qualcosa di ciò che si è perduto nella strutturazione del desiderio attraverso
la perdita dell'oggetto essere recuperato come desiderio. Questa è la domanda
cruciale che ha delle implicazioni per la concezione lacaniana della fine dell'analisi
intesa sia come suo fine sia come suo termine.
II. La bocca e l'occhio
C'è
un abisso, una distanza, tra la mancanza e la funzione del desiderio
nell'azione strutturata dal fantasma (fondamentale) e dalla vacillazione del
soggetto nella sua relazione con l'oggetto parziale. C'è una non coincidenza
(un'impossibilità di far coincidere due buchi) che genera angoscia; e, per
giunta, l'angoscia è l'unica evidenza che ci consente di avvicinarci alla
verità di questa perdita. Ecco perché a questo stadio nella strutturazione del
desiderio, se si vuole comprendere ciò che è coinvolto nella funzione del
desiderio, si deve situare quello che Lacan chiama il punto di angoscia.
In
tal modo Lacan cerca di individuare il punto dove è avvenuto il taglio prodotto
nello sviluppo dell'organismo che diverrà l'essere umano; egli cerca di fare
ciò guidato da due precedenti domande.
Anche
se la fase orale risulta cronologicamente originaria, come mai è
strutturalmente originaria? Per quale motivo si deve ricondurre ad essa
l'eziologia di tutti gli inceppamenti e anomalie che incontriamo nella
strutturazione del desiderio?
Nel
leggere questo seminario vedrete come Lacan fa riferimento continuo alla
biologia, all'etologia, alla fisiologia, nell'affrontare queste tematiche. Già
qui egli fa uso della fisiologia nell'ordine dei mammiferi per fare un'analogia
tra lo svezzamento e la separazione alla nascita. Ciò verrà riformulato
nell'ultimo capitolo del seminario. Il lattante ha con la mammella un rapporto
analogo a quello con la placenta: Lacan definisce questo rapporto di tipo
parassitario e ambocettivo (semiparassitario). Soltanto quando l'Altro
primordiale diventa soggetto, si apre la possibilità della soggettivazione.
Ecco
perché Lacan può affermare che, in relazione all'oggetto ambocettore che è il
seno, l’unità indifferenziata dell'oggetto ambocettore e del seno, il punto di
angoscia è a livello della madre. “Nel bambino l'angoscia della mancanza della
madre è l'angoscia del prosciugamento del seno. Il luogo del punto di angoscia
non si confonde con il luogo in cui si stabilisce la relazione con l'oggetto
del desiderio”.
La
mammella diverrà in seguito un oggetto fantasmatico; ma il punto di angoscia
per quel che riguarda la pulsione orale, il punto in cui il soggetto si
rapporta con la sua mancanza è “deportato”/collocato nel campo dell'Altro. A
livello della pulsione orale il punto di angoscia si situa nell'Altro (perché
il soggetto dipende dall'esistenza della madre: nella domanda all'Altro).
Come
distinguere tra punto del desiderio e punto d'angoscia? C'è una separtizione
fondamentale: non separazione, ma partizione all'interno, su cui si baserà la
strutturazione del desiderio e, in rapporto a ciò, il punto di angoscia che si
collocherà nel corpo della madre.
Questo
è quanto Lacan ci anticipa: nello stadio orale c'è una relazione tra la domanda
e il velato desiderio della madre. Tuttavia sarà – logicamente - possibile un
rovesciamento di questa relazione tra il punto di desiderio e quello di
angoscia soltanto con l'accesso alla fase fallica e della castrazione.
Freud
aveva già scoperto l'equivalenza tra orgasmo e alcune forme di angoscia,
l'erotizzazione di situazioni angoscianti o, al contrario, la possibilità di
avere un orgasmo all'apice di una situazione angosciosa. Ciò
che si trova nell'orgasmo è la certezza legata all'angoscia.
Ed è
proprio per questa ragione che Lacan afferma che l'orgasmo non viene raggiunto
così comunemente. L'omologo del punto di angoscia orale è l'orgasmo stesso come
esperienza soggettiva.
A
questo punto dobbiamo riflettere sulla certezza che definisce l'atto in senso
psicanalitico (non l'acting out né il passaggio all'atto) ma l'atto (che è
sempre privo di garanzia, senza l'Altro) e per mezzo del quale il soggetto
acconsente ad attraversare il punto di vacillazione di ciò che egli è nel suo
fantasma – il suo dissolversi come soggetto simbolico e la riduzione al suo
stato di oggetto.
Il
nevrotico per definizione è colui che si mantiene a distanza dal suo agire:
evitando l'atto, procrastinando, posponendolo, cortocircuitandolo per mezzo di
falsi agiti, annullandolo, o sottraendo il corpo all'atto stesso. In tal modo
Lacan ci indirizza verso il seguente problema: se il desiderio è illusorio
poiché si rivolge sempre altrove, a un resto, dove si può trovare la certezza?
Lacan afferma: “Nessun fallo permanente, nessun fallo onnipotente, è tale da
chiudere in modo pacificante la dialettica del rapporto del soggetto con
l'Altro e con il Reale”. Qui Lacan ritorna al problema dell'analisi terminabile
e interminabile e all'impasse costituita dal complesso di castrazione di Freud,
per arrivare ad affermare categoricamente che la funzione dell'inganno,
dell'illusione sottesa alla dialettica del desiderio non è affatto l'ultima
parola e non è il punto in cui l'analista dovrebbe indietreggiare definendolo
un confine o anche un limite.
- La voce di Yaveh
A
causa dell'esperienza dell'angoscia ci siamo trovati nella necessità di
aggiungere all'oggetto orale, anale e fallico – ciascuno generatore e
correlativo di un determinato tipo di angoscia – altri due livelli dell'oggetto
(occhio/sguardo e orecchio/voce).
Tra
voce e sguardo non c'è un contrasto strutturale.
Nel
campo spaziale, attraverso la formula i(a), la mia immagine, la mia presenza
nell'Altro non ha resto. Non posso vedere cosa perdo in questo campo.
Ogni
qualvolta il desiderio è proiettato nell'immagine, la castrazione viene elisa a
livello del desiderio. Ma la forma scopica dell'oggetto a, quella
connessa al desiderio scopofilico, è ciò che manca, non è speculare, non ha
riflesso e non può riflettere. È precisamente ciò che non entra nello specchio:
la macchia, l'occhio bianco del cieco, un rattoppo. È nel campo visivo - dove
abbiamo a che fare con sembianti, apparenze – che l'oggetto a si trova
al suo grado zero, e in tal modo il desiderio visivo maschera l'angoscia di ciò
che manca essenzialmente al desiderio.
“Il
rapporto reciproco del desiderio con l'angoscia si presenta, a questo livello
specifico, in una forma radicalmente mascherata, che è legata alle funzioni più
illusorie della struttura del desiderio.”
Che
dire del campo speculare e della dimensione dello sguardo che Lacan ha
introdotto già nella prima parte del seminario? L'occhio è quello che porta nel
campo visivo gli oggetti esistenti, tuttavia lo sguardo è qualcosa di diverso.
Il mondo visibile dipende dall'occhio di chi vede, tuttavia questo occhio è in una posizione di
dipendenza da qualcosa che precede i nostri occhi, che consiste nella pre-esistenza
dello sguardo.
Qui
Lacan distingue tra vedere e essere visti “vedo solo da un punto, ma nella mia
esistenza vengo guardato da tutti i lati”. L'aspetto del vedere che rimane in
effetti dopo l'operazione della castrazione simbolica, resta legato alla
pulsione in quanto reale mancanza. Lacan afferma “l'occhio e lo sguardo –
questa è la divisione in cui la pulsione si manifesta a livello del campo
scopico”. Lo sguardo è invisibile all'occhio, tuttavia lo circonda e lo
incorpora. È questo che in relazione agli oggetti invisibili è eluso e che tuttavia
opera come causa del desiderio nel campo visivo. Lacan sottolinea che
innanzitutto noi siamo guardati, siamo dapprima oggetto dello sguardo nello
spettacolo del mondo e che il fatto di “essere guardati da ogni angolazione” è
cancellato dalla vita che si risveglia quando l'occhio fisico funziona in
rapporto agli oggetti visibili, tuttavia questa esperienza dello sguardo può
ritornare potentemente nei nostri sogni. Lacan riassume la sua interpretazione
della funzione dello sguardo attraverso due aforismi che determinano la
relazione del soggetto con lo sguardo o l'effetto dello sguardo sul soggetto:
tu non mi guarderai mai dal posto in cui io ti vedo; e ciò che io guardo non è
mai ciò che voglio vedere. Nel contemplare una rappresentazione, sia un dipinto
sia una scultura o altro oggetto di arte plastica, l'occhio cerca di rilassarsi
dallo sguardo, aldilà di tutte le apparenze non c'è questo “nulla” dello
sguardo.
Qui
la dimensione scopica della pulsione è la stessa funzione dell'oggetto a
come quella da cui il soggetto si è separato dall'organo allo scopo di
costituirsi come soggetto. Lo sguardo sostituisce il simbolo della perdita, il
fallo, non in quanto tale, ma nella misura in cui avverte la mancanza
attraverso l'operato della castrazione complessa. L'oggetto a è
estremamente evanescente nella sua funzione di simboleggiare la perdita
centrale del desiderio (-φ). L'oggetto a nel campo visivo corrisponde allo
sguardo come opposto all'occhio. Nel campo visivo lo sguardo è fuori, io sono
colui che viene guardato. La caratteristica dello sguardo consiste nel
neutralizzare il difetto in noi stessi e nell'Altro. Di conseguenza si tratta
di un oggetto particolarmente agalmatico che ci conduce alla contemplazione e
ci libera dalla castrazione.
La
voce, al contrario, quando la si prende in considerazione in quanto separata
dall'uso che ne facciamo nel discorso o nella musica, vale a dire nella sua
dimensione di oggetto di taglio, si situa precisamente agli antipodi dello
sguardo. È lo shofar, questo corno a cui Lacan implicitamente si riferisce nei
suoi Scritti “Sovversione del Soggetto” e che qui considera insieme allo studio
di Theodor Reik. Lo shofar rappresenta la voce in un modo esemplare, staccato
dal significante nella sua forma separabile. Stando all'interpretazione
lacaniana dei testi biblici, lo shofar rappresenta la “voce di Dio”. Criticando
l'uso di Reik del modello analogico, ciò che Lacan sta cercando di isolare qui
è quello che egli chiama la “specifica dimensione vocale”. Vale a dire il
(residuo) che rimane dall'operazione del discorso in quanto atto, quando il
sistema formale che il linguaggio diviene si incarna nella pronuncia.
Ciò
che resta di questa operazione e che Lacan chiama la “voce” come oggetto a,
viene definito come “scarti, foglie morte, sotto forma delle voci smarrite
della psicosi, come pure il carattere parassitario, sotto forma degli
imperativi interrotti del Super-io” stanno a testimoniare.
Possiamo
affermare che in qualche modo è questo che induce Lacan a piazzare lo sguardo e
la voce alle estremità opposte dell'oggetto
a.
Lo
guardo viene per primo perché esso annulla completamente la distanza
dall'oggetto a. È il punto zero della distanza tra la mia imperfezione e
quella dell'Altro. Al contrario la voce è il punto infinito che accresce la
distanza tra la mia imperfezione e quella dell'Altro, e viene quindi
interpretata attraverso la colpevolezza. Il comando, dice Lacan, a cui il
soggetto è assoggettato, aldilà del contenuto, del muggito, viene collegato al
ricordo, alla memoria e quindi alla ripetizione.
- Il fallo evanescente
Affronterò
soltanto due punti per quanto riguarda questo capitolo. Nello specifico quello
relativo a ciò che Lacan chiama “i resti morti del desiderio”. Questo è
importante perché, nella clinica delle nevrosi, ciò che è in gioco (a
repentaglio) è sempre una impasse riguardo al desiderio. Il primo sintomo che
il soggetto porta è il suo ego: in altre parole, dice JAM, la delusione sulla
sua identità. C'è un inciampo o qualcosa smette di funzionare e ciò è il segno
che la risposta che è stata data alla dialettica del desiderio del soggetto si
dimostra con l'Altro insufficiente, bloccata, spezzata, difettosa etc. C'è
sempre qualcosa dell'ordine della vacillazione di una o più identificazioni
quando una persona si rivolge a un analista. La delusione sulla propria
identità significa che tutti i punti di riferimento di cui il soggetto si era
servito per affermare una data idea di sé non hanno più alcun senso.
La
domanda posta da Lacan in questo capitolo è: come fa l'oggetto a passare
attraverso -phi? O per metterla in termini diversi: come fa l'oggetto,
l'oggetto parziale della pulsione a essere connesso e incluso nella logica
fallica? La risposta è: attraverso la castrazione. E come abbiamo già sentito
molte volte in questo seminario, per la psicanalisi ogni angoscia è un'angoscia
di castrazione. È per questo motivo che Lacan può affermare che il
fallo immaginario (-phi) opera
dovunque, attraverso tutti i livelli della relazione tra il soggetto e
l'oggetto a.
In tutti
gli stadi il fallo immaginario svolge una funzione mediatrice, eccetto, dice
Lacan, nello stadio fallico (ad es. una notte fuori casa, un motteggio,
flirtare, etc.). Per supportare questa idea Lacan riprende la scena primaria,
cioè seguendo la modalità del girarvi attorno e riferendosi alla struttura
propria del campo visivo. Nel caso dell'Uomo dei Lupi egli isola una doppia
risposta del soggetto alla ricostruzione della scena fantasmatica: l'immagine
dell'albero pieno di lupi in cui egli si identifica col fallo eretto
rappresentato dall'albero; e l'atto della defecazione che Lacan mette in
relazione con il punto di angoscia in cui qualcosa è dato, offerto, anche
sacrificato all'Altro.
Riandando
all'equivalenza introdotta nei capitoli precedenti tra orgasmo e angoscia,
Lacan cerca di stabilire come ci sia – nell'istante dell'orgasmo - una
minaccia alla difesa dell'Ego.
Avendo
stabilito l'impossibilità di congiunzione tra il godimento dell'uomo con quello
della donna, Lacan definisce il rapporto di angoscia con il fallo così: “Ed è
proprio perché il fallo non realizza, se non nella sua evanescenza, l'incontro
dei desideri, che esso diventa il luogo comune dell'angoscia” (p.282). La
domanda principale è: che cosa viene richiesto dall'Altro nel rapporto sessuale?
Tali
sono le vie in cui si presenta la realizzazione genitale, in quanto essa
porrebbe un termine a quelle che potremmo chiamare le impasse del desiderio se
non ci fosse l'apertura dell'angoscia. Ma l'esperienza analitica rivela
qualcos’altro che è nella misura in cui viene chiamato come oggetto di
propiziazione in una congiunzione in impasse che il fallo, rivelandosi mancare,
costituisce la castrazione stessa come un punto del rapporto del soggetto con
l'Altro che è impossibile aggirare.
A
questo punto troviamo un'ulteriore indicazione della portata di ciò che questo
seminario annuncia – come punto cardine - vale a dire la futura svolta del 1964
con la separazione da Freud e dal Nome-del-Padre: la castrazione non è più
intesa come la conseguenza della minaccia paterna (la paura di perdere), ma
piuttosto l'angoscia di castrazione è specificatamente indirizzata a una
non-corrispondenza dei desideri, all'impossibilità di un oggetto che risolverà
il desiderio del soggetto soddisfacendo contemporaneamente il desiderio
dell'Altro. (L'imminenza della perdita attraverso cui l'oggetto sarà prodotto).
La
protezione che la funzione del fantasma fondamentale nella manovra che il
nevrotico sostiene consiste nel trasformare questa impossibilità nel “non
essere capaci, in grado”, vale a dire in impotenza (o debolezza).
- Ciò che entra
dall'orecchio
In
questa lezione si torna a cercare di afferrare il fallo evanescente nella
relazione tra i sessi. Sebbene Lacan non abbia ancora formulato la sua teoria
“non esiste relazione sessuale”, qui notiamo come egli si separi
definitivamente da Hegel e dal materialismo dialettico. Non è possibile alcuna
sintesi. Ciò naturalmente significa, a livello di desiderio e godimento, che, a
differenza di Freud, la sessualità è concepita da Lacan come un campo dove non
c'è “integrazione” e nessuna supremazia finale sulle altre, ma che la relazione
del soggetto con la soddisfazione, attraverso l'oggetto, rimane parziale ed
essenzialmente frammentata.
Ciò
che Lacan sta cercando qui di formulare è “come l'alternativa tra desiderio e
godimento può trovare il suo punto di passaggio.” “Il fallo - egli sostiene -
dove è atteso come qualcosa di sessuale, appare solo come mancanza, e questo è
il suo collegamento con l'angoscia” (pp. 293-294). Ma per rivelare come
l'oggetto a riesce ad accedere alla cosa, per svelare il punto di
passaggio, Lacan afferma che dobbiamo ritornare alle sue origini: questo punto
di passaggio ha a che fare con una doppia operazione. Una di incorporazione e
l'altra di sacrificio. Lacan prosegue spiegando la fisiologia dell'orecchio e
dell'udito in relazione all'acquisizione del linguaggio da parte dei neonati,
per cercare di formulare come il soggetto deve essere costituito nel campo
dell'Altro da cui riceve il suo proprio messaggio – chi sono Io? - in
forma invertita: “Tu sei..” (thou art in inglese antico you are).
Un
risonatore di tipo tubolare, nel quale si produce una vibrazione a patto che ci
sia un vuoto in cui possa risuonare. Il monologo ipnopompico dei bambini
intorno all'anno nella fase che precede l'addormentamento – che Lacan paragona
alla futura funzione del sogno – è un fenomeno osservato che Lacan usa per
illustrare la costituzione dell'oggetto a in quanto resto (tra S e Altro): una
voce staccata dal suo supporto. In questo circuito Lacan
rivela il punto di rottura: la voce risponde a ciò che viene detto, ma non può
risponderne (perché risponda dobbiamo incorporare la voce come l'alterità di
quello che si dice).
Per
questo preciso motivo quando è staccata da noi la nostra voce ci appare come un
suono estraneo. È proprio della struttura dell'Altro costituire un certo vuoto,
il vuoto della mancanza di garanzia. Se questa cassa di risonanza non si
incarna nell'altro primordiale, le cose si complicano (ospedalizzazioni).
Questa voce, situata in relazione al discorso, non è modulata, ma articolata.
Dice Lacan: “è la voce in quanto imperativa, in quanto reclama obbedienza o
convinzione”.
- Il rubinetto di Piaget
L'oggetto
dell'analisi è la scoperta di un desiderio. Ma tuttavia, attraverso l'angoscia,
ciò verso cui Lacan ci indirizza, è che l'oggetto a non è l'oggetto del
desiderio che si cerca di svelare nell'analisi, bensì la sua causa. È perché il
soggetto dipende da questo Altro per la sua costituzione che il suo desiderio
si trova appeso a questa relazione tramite la costituzione antecedente di a.
Lacan illustrerà questo concetto tramite il sintomo ossessivo: andare a
controllare che il rubinetto del gas sia chiuso. Se il soggetto non lo fa, si
risveglia l'angoscia. Qui Lacan sostiene che l'angoscia appare prima del
desiderio. Perché l'analisi inizi il soggetto deve riconoscere questo sintomo e
che è così che funziona e avere una vaga idea, una convinzione, un'intuizione,
porsi la domanda che ci sia una causa dietro a tutto ciò. Per ciò che concerne
quanto tutto questo giustifichi la costituzione dell'inconscio, Lacan – tramite
gli esperimenti di Piaget – arriva a mettere in evidenza la cosa più importante
nell'osservazione del monologo dei bambini: vale a dire che essi non sanno ciò
che stanno dicendo, ma lo dicono lo stesso. Uno non ha bisogno di sapere che
conosce qualcosa per saperla. Questo è il punto di intersezione tra l'inconscio
come “S” e l'Id freudiano come “It” (in inglese, ndr.).
A
dispetto della costruzione immaginaria-simbolica che l'individuo considera
essere il suo sé e la sua realtà, oltre l'inconscio, persino contro di esso:
l'inconscio parla e gode.
La
costruzione di a nella relazione tra S e Altro quindi si può cogliere
attraversi i 5 oggetti parziali della pulsione.
S a %
- Oggetto Orale: il bisogno nell'Altro (a livello
dell'Altro = dipendenza ---> disgiunzione del soggetto da a =
seno, come parte del mondo interno di S e non del corpo della madre).
L'oggetto del bisogno del soggetto si pone nel campo dell'Altro.
- Oggetto Anale: la domanda è nell'Altro:
educazione ---> che cosa rimane di questa richiesta dell'Altro. Qui il
soggetto, che ora si identifica con l'articolazione della sua domanda, si
trova nel campo dell'Altro. È al livello anale che il soggetto ha la prima
opportunità di riconoscersi in un oggetto.
- Oggetto Fallico: il godimento è nell'Altro.
Dialettica di -phi ---> definita dalla mancanza di un
oggetto (più vicino all'angoscia: quando al posto della mancanza emerge
qualcosa).
4.
Oggetto Scopico: potenza nell'Altro. Qui siamo
al livello del fantasma e del luogo del miraggio del desiderio umano (puissance – tout-puissance and
impuissance ovvero potenza-onnipotenza
e impotenza). Oggetto sguardo: né l'occhio che guarda (sia quello del soggetto
sia dell'Altro) né l'oggetto feticcio che soddisfa l'occhio, ma quello che
guarda senza vedere e così disturba il campo visivo.
- Oggetto Invocativo: il desiderio dell'Altro
(questo avviene quando il desiderio dell'Altro deve emergere in forma
pura).
- Dall'anale all'ideale
La logica costituzione dell'oggetto è circolare e non
cronologica:
Fallica
Anale
Scopica
Orale
Invocatoria
(Super io)
Nello
stadio fallico la funzione a è rappresentata da una mancanza, il fallo
mancante che costituisce la disgiunzione che unisce desiderio a godimento. Cosa
permette di unire desiderio e godimento? (vale a dire mancanza e soddisfazione):
una disgiunzione fondamentale. Quando questa disgiunzione non avviene, ovvero
quando il fallo e la sua correlativa significazione non sono operativi, il
desiderio e il godimento non sono disgiunti e perciò l’uno non può essere la
difesa/limite contro l’altro.
Gli
altri quattro stadi sono regolati da questa fondamentale forma dell'oggetto
a che è il fallo: il pezzo mancante che consente una dialettica tra gli
altri, persino una regolazione di essi. Degli altri quattro Lacan enfatizza il
fatto che abbiano delle corrispondenze: l'orale con la voce e l'anale con lo
sguardo.
Focalizzando
la strutturazione del desiderio nella nevrosi ossessiva, Lacan riassume quali
sono i fatti anatomici che mettono l'essere umano – sempre che lo si intenda
tagliato fuori dalla natura a causa del linguaggio – nella condizione di
organizzare il circuito pulsionale in una forma particolare: la costituzione
dei mammiferi, il funzionamento fallico dell'organo copulatorio, la plasticità
della laringe umana rispetto all'impronta fonematica; il valore anticipatore
dell'immagine speculare; la prematurazione neonatale del sistema nervoso.
Citando
Jones, Lacan introduce gli elementi chiave per proporre ciò che nei suoi Ecrits definisce “una erogeneità
respiratoria”, che porta a immaginare l'aria come oggetto ansiogeno, e che
potrebbe aiutarci a considerare una serie di fenomeni clinici correlati alla
respirazione (si consiglia l'articolo di O. Zack). Lacan tornerà su questo
argomento nella sua ultima lezione di questo anno.
Per
quanto riguarda l'oggetto anale, Lacan privilegia un approccio a questo tema
partendo dalla prospettiva dell'ideale, vale a dire della sublimazione. Altrove
egli ci rimanda esplicitamente all'idea che la civiltà inizia con la creazione
di impianti di fognatura. Ciò che è cruciale a questo livello è come
l'escremento registra la soggettivazione attraverso la domanda dell'Altro.
In
questo senso possiamo dire che i livelli orali e anali sono livelli di
costituzione dell'oggetto-soggetto intimamente connessi al registro della
domanda, mentre lo scopico e l'invocatorio – sguardo e voce – riguardano il
desiderio. Cos'è il desiderio? È il residuo, il resto dell'operazione tra
bisogno e domanda. Torneremo su questo argomento.
Al
bambino si chiede di trattenere e di espellere. L'escremento diventa qualcosa
che acquista il valore di essere – almeno momentaneamente – ciò che può
soddisfare la domanda dell'Altro. Ma, aldilà di tutto questo e poiché ciò può
assumere per l'Altro un valore agalmatico (che non è sempre così), esso svela
la dimensione dell'oggetto in quanto cedibile, che può essere ceduto o
trattenuto. Poiché questo è il caso, esso entra a far parte della dialettica di
castrazione, vale a dire di angoscia fallica. La pupù è ottenuta su richiesta e
ammirata. Ma la seconda fase di questa domanda spinge alla sublimazione: non
giocare con la pupù, piuttosto colora qualcosa o gioca col fango. L'ambigua
ricognizione propria di questa fase lascia il soggetto pronto per il movimento
ossessivo: Sono grande/Sono merda – Amo il mio prodotto/Lo odio. Il narcisismo
può divenire la gabbia da cui l'ossessivo osserva questo oggetto – questa merda
– con cui si rapporta in maniera ambivalente (sia si tratti del suo ego o dei
suoi oggetti o del suo analista). Come dice Lacan il suo sì – e – no.
“Il
sintomo proviene da me ma tuttavia non proviene da me.” Dobbiamo sottolineare
che questa è una condizione perché un sintomo sia analizzabile.
Che
cosa avviene quando il desiderio, quello sessuale, entra in scena nella fase
seguente? Il fallo, afferma Lacan, in quanto evanescente, è per l'umanità il
mezzo per le relazioni tra i sessi.
5
|
voce
|
a
|
Desiderio dell’Altro
|
4
|
immagine
|
Potenza dell’Altro
|
|
3
|
desire
|
angoscia (-phi)
|
godimento
dell'Altro
|
2
|
traccia
|
domanda
dell'Altro
|
|
1
|
angoscia
|
a
|
desiderio x
dell’Altro
|
Ciò
che Lacan qui enfatizza, come già sviluppato nelle precedenti sezioni del
seminario – è come la crescita del godimento dell'Altro conduce inevitabilmente
all'angoscia della caducità dell'organo in quanto spiega l'insaziabilità del
desiderio (basti pensare a come certe donne sostengono l'uomo, lo completano,
lo supportano, assicurandosi che la detumescenza non lo renda impotente o come
certi uomini che indietreggiano innanzi al fantasma inconscio della voracità
femminile: adesso lei vuole questo ma cosa vorrà quando cesserà l'erezione?).
Per
colmare il desiderio dell'Altro, l'ossessivo deve far ricorso alla domanda: far
sì che l'Altro glielo chieda. Egli chiede di essere chiesto.
L'oggetto
anale si ricongiunge con l'oggetto fallico nel suo stato di traccia, che indica
un certo territorio dove aldilà dei suoi confini il soggetto non è più al
sicuro; Lacan lo definisce anche la sua firma, la funzione di a come
rappresentativa del soggetto. Ma è al prossimo livello che l'ossessivo
concluderà la sua posizione: nell'annodamento tra il riflesso speculare, il
sostegno narcisistico del dominio di sé e il luogo dell'Altro. Nel registro in
cui il desiderio si collega con la potenza, la forza, esso diviene impossibile:
l'ossessivo non giunge mai al fondo della sua ricerca di soddisfazione
(relazione con Dio etc.). Il fantasma ossessivo di ubiquità (onnipresenza),
come lo inquadra Lacan, può essere contrastato da un fantasma isterico di
sparizione, di invisibilità: se l'ossessivo si fonda nel desiderio attraverso
questa “onnipresenza”, l'isterica lo fa attraverso il “non essere da alcuna
parte”.
L'ossessivo
non solo ti dice ciò che pensa, ma anche ciò che tu pensi; l'isterica indica
piuttosto l'impotenza fondamentale del padrone che ha creato per affermare il
suo essere, parla per enigmi e non si riconosce nel gioco di specchi in cui lei
stessa si perde. Desiderio in quanto impossibile e desiderio in quanto
insoddisfatto sono i modi dell'irraggiungibilità per il soggetto nevrotico
intrappolato tra domanda e desiderio. È perciò che Lacan afferma che tra il
secondo e il quarto stadio ciò che viene inquadrato è l'impossibilità che
separa il godimento dal desiderio a livello sessuale.
- Di un cerchio non
riducibile a un punto
A
questo punto Lacan definirà la principale caratteristica dell'oggetto a
in quanto pezzo separabile dalla pulsione: la sua natura cedibile. I punti di
fissazione della libido sono sempre bilanciati con momenti che la natura offre
alla potenziale struttura della cessione soggettiva. Il seno, gli escrementi,
abbiamo visto – il fallo – etc. Ed è in questa cessione che l'oggetto si
costituisce in quanto perduto e può perciò operare come causa del desiderio.
Questo movimento, dice Lacan, è primario per quanto riguarda la costituzione
del soggetto nella catena, nell'Altro, nell'inconscio: esso riguarda il corpo
prima che si costituisca come una superficie.
Qui
Lacan rivedrà alcuni termini da lui usati nella tavola presentata all'inizio
del Seminario: emozione, turbamento, imbarazzo, sono termini troppo vicini a
una psicologizzazione dell'argomento, secondo Lacan. Propone una riformulazione
del grafico dell'angoscia che ora viene organizzato intorno a un “non sapere” e
a un “non essere capace”. Il desiderio come difesa contro un altro desiderio è
la formula che Lacan propone per la nevrosi. Nel seguente e ultimo capitolo il
grafico verrà di nuovo modificato (p. 349).
Poiché
l'oggetto manca nel senso reale nella terza fase, poiché l'incontro con un
altro corpo implica necessariamente l'incontro di due desideri e “data
l'impossibilità di soddisfare al livello di questo stadio (-phi) il suo
proprio oggetto appare” l'oggetto del fantasma, nella sua funzione di tappo
(torus).
XII. Da a ai Nomi–del-Padre
Nell'ultimo
capitolo Lacan riassume le fasi della formazione dell'angoscia. Abbiamo visto
che la tesi di Lacan è che per capire come opera l'angoscia abbiamo bisogno di
comprendere il processo di simbolizzazione dell'oggetto. L'angoscia viene
definita come un segnale di fronte a un pericolo vitale - anche per Freud – ma
un pericolo che è collegato “alla caratteristica specifica al momento
costitutivo dell'oggetto a”. Il segnale si attiva prima della cessione
dell'oggetto. La funzione angosciante del desiderio dell'Altro è collegata al
fatto che io non so quale oggetto a io sia per questo desiderio. Il
pericolo è: che cosa diverrò se io metto questo oggetto nel campo dell'Altro?
(mi divorerà, mi smerderà, mi deriderà etc.). Ecco perché il taglio della
seduta non è arbitrario: la sessione viene interrotta nel punto imminente alla
cessione.
Quando
il neonato si separa dall'ambiente liquido e si viene a trovare in un ambiente
completamente Altro, separato dalla placenta da cui era avvolto: il prototipo
dell'idea di a. A chi appartiene? In ogni caso si tratta di qualcosa che deve essere
perduto: inoltre esso è costituito come tale, come a, da e attraverso la
sua effettiva perdita. Qui c'è una risignificazione del trauma della nascita:
qualcosa di traumatico relativo non alla separazione dal corpo della madre, ma
dal fatto di essere catapultato in un ambiente radicalmente Altro. Un non
identificato Altro con il suo enigmatico desiderio che costituiscono lo sfondo
di ogni situazione in cui emerge l'angoscia. È solo quando questo Altro è
nominato che l'angoscia può essere sconfitta, afferma Lacan nell'ultima pagina
del seminario X.
A
questo punto inaugurale di angoscia primordiale, la manifestazione del lattante
consiste nel grido, un grido che gli sfugge nel momento stesso in cui viene al
mondo: ciò che qui è fondamentale è che il neonato non può fare niente se non
cedere questo grido. Ora si trova nel campo dell'Altro e nulla potrà mai
ricongiungerlo al mondo precedente. Questa è la differenza con tutte le forme
dell'oggetto che seguiranno. L'organismo abbandona l'ambiente primordiale
acquatico e si sposta in un ambiente aereo. Questo è il salto che chiamiamo
trauma. L'inspirazione in sé di questa Alterità di cui l'angoscia sarà sempre
il segnale.
Qui
“l'aria occupa un posto fondamentale all'interno delle variabili di cui Lacan
si sta occupando in quel periodo: il punto zero della serie che installa nel
corpo una topologia di bordi. Lacan sottolinea come fondamento esistenziale il
respiro (ruach in ebraico = vento, vanità nell'Ecclesiaste), e
l'influenza sperimentata come tale che primordialmente taglia fuori lo stato
dell'oggetto. Questo confine oggettivo tra il sostegno vitale garantito
dall'ossigenazione per via materna e l'inizio del riflesso respiratorio è
soggettivato al prezzo dell'angoscia e fa dell'aria un oggetto che installa una
topologia primaria dei bordi”. L'angoscia è il passaggio che apre a ciò che
precede il desiderio e al suo oggetto (-phi) ed è perciò che “può
trasformare il godimento in una causa di desiderio”, stabilendo un confine tra
l'Uno e l'Altro.
Il
Seminario si conclude con alcune inestimabili annotazioni cliniche: su Amleto,
lutto e melanconia, mania e alcuni schemi per una clinica differenziale a
seconda che ci si trovi con un misconoscimento o una non-funzione dell'oggetto a.
Che ci sia un a che stabilizza il soggetto o esso/a sia lasciato alla
pura e semplice infinita e ludica metonimia della catena dei significanti.
L'oggetto a, tagliato nel processo di separazione, testimonia l'alterità
dell'Altro, che l'Altro non è Uno. Questo è ciò che il nevrotico non riesce a
riconoscere e non vuole sapere.
Traduzione
di Enrica Goldfluss
Revisione
di Alberto Tuccio