Vorrei ringraziare i
miei colleghi milanesi per l’invito, e tutte le persone che sono venute qui
stamane per lavorare con noi.
Il seminario
sull’angoscia è stato pubblicato da J.-A. Miller, il quale ne ha fatto
un’introduzione alla lettura tenendo sei lezioni, dall’aprile al giugno del
2004, pubblicate in due numeri, il n°58 e il n°59, della rivista della Scuola
“La cause freudienne”. Queste lezioni sono state pubblicate in italiano con il
titolo: L’angoscia. Introduzione al seminario X di Jacques Lacan. È a
partire dalla lettura fatta da Miller che vorrei introdurvi questo seminario.
L’angoscia è un
affetto, questo è chiaro. Ci sono diversi affetti: per esempio la tristezza, il
rimorso, la colpa, ma tra questi l’angoscia, nella clinica, nella pratica e
nella teoria psicoanalitica, ha uno statuto privilegiato. Sin dall’inizio, sin
da Freud, non è considerata come gli altri affetti: l’angoscia è un affetto
unico, è un operatore centrale nell’elaborazione di Freud.
Nella sua prima teoria
delle psiconevrosi di difesa, Freud concepisce l’angoscia come un prodotto
della libido. In un’ultima revisione teorica, Freud situa l’angoscia nella sua
relazione con l’inibizione e il sintomo, dove essa appare come l’operatore del
rimosso, in francese le moteur refoulement: è concepita come la causa
del rimosso.
L’angoscia conserva uno
statuto privilegiato nell’insegnamento di Lacan, da cui questo seminario. Non
abbiamo un seminario sulla tristezza, sul rimorso, sulla colpa, ma abbiamo un
seminario sull’angoscia a causa dello statuto particolare che essa ha nella
teoria, nella clinica e nella pratica analitica.
Possiamo parlare di angoscia
lacaniana, per indicare lo statuto particolare che prende in questo
seminario l’angoscia, la quale non è mai considerata come un disturbo o una
disfunzione e mai si pone la questione del suo trattamento. Questo non è un
seminario sull’angoscia come disturbo da trattare o da curare.
A dire il vero il
seminario X non è un seminario sull’angoscia, questo è il primo punto utile per
orientarsi nel seminario. Non è un seminario sull’angoscia perché Lacan ha
scelto questo affetto come tema del suo decimo seminario in quanto costituisce
una via d’accesso privilegiata all’oggetto a minuscola. Questa è la vera
scommessa del seminario: considerare che l’angoscia sia una via d’accesso
privilegiata all’oggetto del desiderio.
Il vero tema di questo
seminario è la ricerca dell’oggetto del desiderio, del desiderio nella sua
declinazione con il suo oggetto, dato che al suo inizio non abbiamo ancora
l’oggetto a. Lacan parte dalla questione: qual è il vero oggetto del
desiderio? È a partire da qui che vedremo la costruzione progressiva di quello
che chiamerà l’oggetto a, ma siamo all’inizio di questa costruzione.
La questione che dunque
orienta Lacan nella sua elaborazione di questo seminario è: qual è l’oggetto
del desiderio nella sua relazione con l’amore e con il godimento? La mappa
teorica che orienta Lacan è: il desiderio nella sua relazione con l’amore, con
il godimento e qual è il vero oggetto del desiderio.
Nei nove seminari
precedenti fino a questo dell’anno accademico 1962/63, Lacan aveva compiuto uno
sforzo di riformulazione della clinica e della teoria freudiana nei termini del
significante. Aveva trasformato, tradotto, i concetti freudiani a partire dalla
sua ripartizione immaginario/significante e cercando di significantizzare tutti
questi concetti: il desiderio, l’amore, l’oggetto, il corpo, ecc.
Il seminario
precedente, sull’identificazione, si conclude sull’affetto d’angoscia:
essa appare quando il soggetto è messo a
confronto con l’enigma del desiderio dell’Altro. Questo seminario rimane come
un punto interrogativo: il soggetto non sa quello che l’Altro vuole da lui e
prova un affetto d’angoscia. L’enigma del desiderio dell’altro è angosciante,
si presenta come una questione: tu che vuoi? Tu che mi guardi, mi parli, ecc.
Questa è la situazione
clinica dell’angoscia.
Nell’anno ‘56 Lacan
aveva fatto un primo seminario sull’angoscia, quello sulla relazione d’oggetto,
ma a partire dall’osservazione della fobia di un bambino: Hans. Lacan aveva
notato che la fobia del cavallo era una risposta sintomatica dell’angoscia del
bambino. Aveva situato ciò che aveva già fatto Freud: prima, Hans prova
angoscia e dopo ventiquattro ore appare la fobia, la paura del cavallo.
All’inizio il piccolo Hans non sa cosa accade ma prova un’angoscia diffusa e
dopo qualche tempo situa l’angoscia nella paura del cavallo.
Questo sintomo, la
fobia, legato al significante cavallo – Lacan interpreta il cavallo come un
significante – non assorbe completamente l’angoscia, rimane un resto d’angoscia
al di là della paura. Rimane un resto, il bambino rimane angosciato dalla
visione della macchia nera sulla bocca del cavallo. È un punto importante,
attira l’attenzione di Lacan che in questo momento è focalizzata sul punto
d’angoscia: non sa come rispondere a questo problema ma lo situa, lo
sottolinea, lo nota. C’è un resto: non si sa cosa sia la macchia sulla bocca
del cavallo, ma provoca un po’ di angoscia.
Lacan ritrova questa
questione dell’angoscia nell’ultima lezione del seminario sull’identificazione.
È l’angoscia che prova il soggetto di fronte alla questione del desiderio
dell’Altro. Lo sforzo di Lacan di tradurre la clinica e la teoria
psicoanalitica lascia un resto. È la problematica all’inizio del seminario X:
c’è qualcosa che resta, non teorizzato. Un resto che passa attraverso la rete
dei significanti.
Lacan aveva usato il
concetto di “rete dei significanti” per captare tutti i concetti freudiani e
aveva raccolto una serie di cose sul desiderio, sulla fobia, ecc., ma appare un
resto che la rete dei significanti non può captare. Questa è la problematica
che deve affrontare Lacan dall’inizio del seminario sull’angoscia.
L’angoscia fa parte di
questo resto che scappa attraverso la rete dei significanti. L’angoscia è
l’affetto che segnala questo resto. Si manifesta sul piano clinico come
angoscia perché non ha una risposta significante. Cosa rimane allora? L’affetto
d’angoscia. Quando possiamo avere un significato abbiamo infatti una risposta e
siamo tranquilli. È la funzione della paura del cavallo: si lascia il cavallo
fuori e a casa non c’è problema. Invece no, si mantiene sempre un resto che
sfugge alla cattura dei significanti e ciò produce angoscia.
In questo resto, però,
incontriamo anche il desiderio, e questa problematica è il punto di partenza
del seminario. Il desiderio, il desiderio dell’Altro, come causa dell’effetto
d’angoscia.
Così le prime due lezioni
del seminario sono intitolare da J.-A. Miller: la prima L’angoscia nella
rete dei significanti e la seconda L’angoscia segno del desiderio.
Con questo seminario
Lacan apre un cantiere teorico completamente nuovo rispetto alle elaborazioni anteriori.
Per quasi dieci anni Lacan aveva proceduto alla significantizzazione dei
concetti freudiani, adesso si confronta con un campo dell’esperienza soggettiva
che sfugge alla dimensione significante. Il registro che sfugge alla rete dei
significanti è quello che dobbiamo chiamare reale. Logicamente ciò che non è preso dal
significante o dall’immaginario, ciò che non possiamo catturare, vale a dire
che non è simbolizzabile e neanche immaginarizzabile, lo dobbiamo chiamare
reale. Per questo, a metà del seminario, incontriamo la lezione dodicesima che
s’intitola L’angoscia, segnale del reale. Lacan inizia con L’angoscia
segno del desiderio, ma dopo dieci lezioni situa giustamente l’angoscia
come segnale del reale, e se ne coglie il motivo.
Lacan si orienta a
partire dall’angoscia per costruire una nuova concezione del desiderio e
produrre una nuova nozione dell’oggetto che è in funzione nel desiderio, in
relazione con il desiderio, oggetto che chiamerà con un nuovo nome, ovvero
oggetto a. Nuovo nome perché non ha niente a vedere con le sue
precedenti concezioni dell’oggetto. Lacan aveva già parlato dell’oggetto, ma
qui sta scoprendo una nuova categoria d’oggetto, completamente inedita nella
teoria analitica.
A p. 42, Lacan parla
dello statuto dell’oggetto del desiderio: “tale statuto […] è proprio ciò
che si tratta di approfondire quest’anno, affrontando l’angoscia”, o ancora
a p. 48 “Tramite l’angoscia, il fenomeno dell’angoscia ma anche il suo
posto, che vi insegnerò a precisare, si tratta di approfondire la funzione
dell’oggetto nell’esperienza analitica”, o ancora alla fine del seminario a
p. 356 “[…] ho indicato che la funzione angosciante del desiderio dell’Altro
è legata precisamente a questo: non so quale oggetto a io sia per tale
desiderio”.
Non cambia solo il
concetto di desiderio, nel seminario cambiano anche il concetto di oggetto e
altri cambiano valore. La lettura del seminario può risultare difficile perché
Lacan conserva le stesse parole (desiderio, castrazione, fallo, oggetto, amore,
ecc.) ma nel proseguire delle lezioni esse cambiano valore. Quando incontriamo
uno di questi termini non siamo sicuri di sapere quale sia il suo valore:
quello anteriore o quello nuovo che Lacan sta scoprendo?
Per esempio il cambio
di valore del fallo e della castrazione conduce Lacan a riformulare la sua
concezione della posizione femminile e della posizione maschile. Cambia anche
valore la prima concezione lacaniana del corpo.
Abbiamo situato il
punto di partenza del seminario, ma il seminario non ha uno sviluppo lineare,
Lacan prende diverse vie di ricerca, certe saranno abbandonate, tuttavia c’è un
asse principale intorno al quale si ordinando i grandi rimaneggiamenti
concettuali.
Vediamo quali sono
questi rovesciamenti. Ne ho situati cinque.
Il corpo
Vediamo cos’accade al
concetto di corpo in questo seminario. Iniziamo dalla terza lezione: Dal
cosmo all’Unheimlichkeit. Tutti i lettori di Freud devono conoscere
Unheimlichkeit. È importante riconoscere almeno la parola Heim, in
inglese “home”: casa.
Das Unheimliche [S. Freud, Il perturbante (1919),
in Opere vol. IX, Bollati Boringhieri] è un articolo di Freud nel quale
studia le condizioni di questo fenomeno d’angoscia: angoscia di fronte a
qualcosa di estraneo ma nel quale si scopre qualcosa di se stessi, ad esempio
l’apparizione del doppio scatena l’Unheimlichkeit. La familiarità appare nel
mondo esterno come Unheimlichkeit: Un ha un valore privativo, “che non”
appartiene all’ Heim, ovvero la casa. Quindi questo fenomeno s’incontra
fuori dalla “casa”.
In questa lezione Dal
cosmo all’Unheimlichkeit Lacan riconsidera la funzione dell’immagine del
corpo come oggetto del desiderio. Fino a questo seminario Lacan aveva costruito
l’oggetto del desiderio sull’immagine del corpo: tutti gli oggetti d’amore
concatenati al desiderio sono oggetti legati all’immagine del corpo: “io amo
ciò che di me ritrovo nel mondo”. L’immagine del corpo allo specchio,
speculare, dava forma a tutti gli oggetti del desiderio.
In questo seminario
Lacan prende in conto un dato nuovo che indica così a p. 46: “L’investimento
dell’immagine speculare è un tempo fondamentale”.
Da una parte l’io e
nello specchio la sua immagine. Secondo Freud tutta la libido che si trova
nella parte dell’io, questa libido investita nel corpo proprio, può essere
investita nell’oggetto. C’è come una trasfusione di libido. Questa è la prima
concezione freudiana riformulata da Lacan con il suo specchio, come
interpretazione del narcisismo freudiano a partire dallo stadio dello specchio.
In questo seminario Lacan
dice “L’investimento dell’immagine speculare – alla destra (vedi foto) –
è un tempo fondamentale della relazione immaginaria – e aggiunge – fondamentale
in quanto ha un limite”. Questa è la novità: ha un limite questo
investimento! Non tutto l’investimento libidico passa attraverso l’immagine
speculare, rimane un resto, un resto libidico. Non tutta la libido passa
nell’investimento oggettuale, c’è un resto che rimane nel corpo proprio: ecco
la novità! C’è un limite a questo investimento!
È interessante vedere
che qui troviamo le parole “resto”, “residuo” e la formula “non tutto”, la
quale avrà tutto uno sviluppo nei seminari successivi.
Lacan si serve del
modello dello stadio dello specchio: da un lato abbiamo il corpo reale, il
corpo proprio, e dall’altro abbiamo la sua immagine. Secondo il modello del
narcisismo freudiano, che Lacan riprende con il suo stadio dello specchio,
tutta la libido situata nell’atto dell’Io, può passare dall’altra parte e
investirsi nell’oggetto.
Adesso Lacan si rende
conto che questo non è vero: non tutto l’investimento libidico passa attraverso
l’immagine speculare. Non tutto: rimane un resto di libido. Questo resto
libidico lo dobbiamo situare come un resto reale. Non lo possiamo spostare,
rimane là dov’è. Questa è la novità che Lacan trova in questo momento: c’è un
resto, che è un residuo libidico che si mantiene a livello del corpo proprio. È
un resto reale. Questo resto è la fonte della costruzione dell’oggetto a.
Questo resto Lacan lo scrive: a.
Non è lo stesso “a” che
c’era prima nella parte sinistra (vedi foto), perché quello era un “a” che
stava per “io”. A destra è in parte resto libidico, che sarà la fonte
dell’oggetto a.
Lo schema ottico che
Lacan ha utilizzato fino a questo momento lo si ritrova modificato: il primo schema
ottico presentava un’immagine completa di uno specchio, mentre in quello
introdotto ora, con la considerazione dell’investimento libidico, nell’immagine
manca qualcosa, c’è un buco, l’immagine non è più completa.
Nell’immagine investita
libidicamente c’è sempre un buco, che corrisponde al resto dal lato del
soggetto del corpo proprio. Nell’immagine manca qualcosa, c’è un buco, e Lacan
prende gli esempi nei testi di Karl Abraham, il quale aveva notato come in
diversi casi, nei sogni di una donna che ha un fidanzato o un marito appaia
l’immagine dell’altro, dell’uomo, ma senza i genitali. Questo non è il
risultato di una volontà di castrarlo ma più fondamentalmente ci indica che
l’immagine non è completa, soprattutto relativamente a questo investimento
libidico. C’è un bianco nell’immagine, manca qualcosa: questa è la vera
struttura dell’immagine, ma non si vede! Mai! Fatto salvo per questi sogni,
normalmente il mondo ci appare completo, ma Lacan ci indica che il mondo è
visibile e tranquillo perché c’è questo buco. Possiamo vedere tranquillamente
perché c’è questo buco, manca qualcosa nel mondo: questo ci rilassa.
Lacan indica questa
mancanza come un meno: - φ, dove φ (phi) sta per fallo, ma per indicare
attraverso il meno (-) la sottrazione libidica che esiste nell’immagine del
mondo, dell’Altro. Dal lato del soggetto rimane un resto libidico: è qua
l’oggetto a.
Dunque è a questo resto
che Lacan dà lo statuto di un oggetto. Questo oggetto non appare nel campo
visibile, rimane sconosciuto ma esiste a livello libidico: non esiste a livello
immaginario, non si può vedere, non esiste a livello simbolico, non lo possiamo
simbolizzare, ma lo possiamo provare. Provare per esempio come angoscia.
Questo oggetto non è
come gli altri che appartengono al campo del visibile o al campo del
significante. Lacan ci dice di più: “La condizione del mondo visibile è
questa mancanza nell’immagine. È questa estrazione libidica che rende il mondo
visibile”. Dalla parte del soggetto rimane “quel resto, quel residuo,
quell’oggetto, il cui statuto di oggetto è derivato dall’immagine speculare […]”
[J. Lacan, Il Seminario. Libro X. L’angoscia (1962-1963), Einaudi, 2007,
p.45] . Ora lo statuto del corpo è ripartito in due parti differenti: una parte
del corpo che può avere un’immagine, che può essere rappresentato da
un’immagine e un altro che non ha immagine, non ha immagine speculare. È
l’esperienza dell’angoscia che porta Lacan a questa considerazione e lo fa a
partire dall’Unheimlichkeit descritto da Freud.
Lacan s’interroga: quando
sorge l’angoscia davanti a una certa immagine? Quando un meccanismo fa apparire
qualcosa nel posto del - φ. Qui, dove non dovrebbe esserci qualcosa, qualcosa
avviene per otturare questo buco: allora sorge l’angoscia. Sorge quando questo
oggetto a, appare sotto la forma di qualcosa, che fa sì che, nonostante
non dovrebbe esserci, ci sia qualcosa, ci sia un oggetto del mondo che viene a
otturare questo buco. Da lì sorge l’angoscia.
Come abbiamo visto con
l’Unheimlichkeit possiamo situare Heim, la casa, dalla parte sinistra del
disegno, mentre Unheim appare fuori. Ciò che appariva dalla parte della casa
appare fuori e questo è angosciante: vedere se stesso all’esterno è
un’esperienza angosciante.
Questa è la
costruzione, l’interpretazione dell’Unheimlichkeit data da Lacan ed è
l’interpretazione che ne deduce con sua modificazione della costruzione dello
stadio dello specchio.
Lacan dice a p.46/47 “L’angoscia
sorge quando un meccanismo fa apparire qualcosa al posto di - φ, qualsiasi
cosa. […] Così come ho affrontato l’inconscio con il Witz, quest’anno
affronterà l’angoscia con l’Unheimlichkeit. L’Unheimlich è ciò che appare nel
posto in cui dovrebbe stare - φ.”
Finalmente Lacan dà la
struttura più generale dell’angoscia: “L’angoscia sorge quando viene a mancare
la mancanza”, questo è un dato clinico sempre verificato. L’angoscia sorge
quando la mancanza viene a mancare.
In questa prima parte
del seminario X, Lacan usa il suo schema ottico per situare le apparizioni
angoscianti dell’oggetto. Nell’ultima parte del seminario lo schema ottico
sparisce, Lacan abbandona il riferimento al corpo speculare per considerare il
corpo come fonte di godimento. Lui che aveva sempre situato il corpo in
relazione all’immaginario, alla fine del seminario X lo considera come fonte di
godimento, contenitore di un elemento libidico: è una modificazione decisiva
del suo concetto di corpo. Lacan passa dall’apparizione angosciante
dell’oggetto a, primo passo, alle sue separazioni erogene, perché scopre
che attraverso queste apparizioni angoscianti c’è un elemento libidico, quindi
erogeno.
Il modello di
quest’oggetto, che fa capire a Lacan il legame tra angoscia e libido/godimento,
è l’oggetto anale, la cui separazione dal corpo è fonte di godimento. C’è la
separazione e c’è il godimento ma c’è anche l’angoscia che sta all’inizio di
tutto il processo. L’esempio scelto da Lacan è quello dell’uomo dei lupi:
incontriamo questa congiunzione tra angoscia e godimento nell’esperienza del
ragazzo laddove il momento d’angoscia è seguito dalla produzione dell’oggetto
anale fonte di godimento. Abbiamo tutto questo processo: l’angoscia, produzione
di un oggetto tramite la separazione e il godimento. Appare quindi un legame
tra angoscia e godimento che produce un oggetto attraverso la separazione. Questa
congiunzione tra angosciante ed erogeno si trova nella connessione che Lacan
nota tra orgasmo e angustia.
L’esempio è quello del
soggetto maschile che nel momento di un esame è angosciato perché non può
finire in tempo la redazione del suo compito. Non ha tempo per finire e si
angoscia. Interviene il maestro per prendergli il foglio e prova un orgasmo con
un’eiaculazione. Lacan vede qui la relazione tra il momento più intenso
dell’angoscia, la separazione con la necessità di lasciare questo oggetto e
l’orgasmo.
È a partire da questo
rovescio che introduce il corpo delle zone erogene, nel posto del corpo
speculare appare un nuovo statuto del corpo. Dal corpo speculare al corpo delle
zone erogene.
Il corpo è strutturato
da queste zone erogene che determinano lo statuto degli oggetti a: agli
oggetti freudiani – orale, anale e fallico – Lacan aggiunge l’oggetto voce e
l’oggetto sguardo.
Con questo cambiamento
dello statuto del corpo, appare un oggetto che si relazione all’angoscia. Nel
seminario IV Lacan riprende l’affermazione di Freud secondo il quale l’angoscia
non ha oggetto. Il piccolo Hans si ritrova angosciato ma senza poter dire che
cosa lo angoscia.
Non può situare un
oggetto dell’angoscia perché l’angoscia non ha un oggetto nel mondo visibile,
non ha un oggetto nel mondo dei significanti. Da lì Freud considera che
l’angoscia non ha oggetto, invece la paura ha un oggetto perché cura
l’angoscia, dato che l’angoscia trova attraverso la paura un oggetto, il
cavallo ad esempio. Rimane però un resto d’angoscia.
Nel seminario IV Lacan
considera, dopo Freud, che l’angoscia non ha oggetto ma in questo seminario X,
Lacan dice che l’angoscia non è senza oggetto! Frase un po’ particolare in
francese perché non dice che l’angoscia ha un oggetto ma dice “non è senza”
oggetto”, ciò vuol dire che dobbiamo situare un oggetto in relazione
all’angoscia.
Abbiamo visto l’apparizione di un oggetto nel
campo visivo dove dovrebbe esserci una mancanza
scatena l’angoscia. Vediamo la relazione tra un oggetto e l’angoscia. Qual
è l’oggetto angosciante? Non è un oggetto particolare, è qualsiasi cosa venga a
otturare la mancanza: questo è un effetto di angoscia. La novità è di non
considerare un oggetto visibile, significantizzabile. Non si tratta di un
simbolo, ma di qualcosa di strutturato. La struttura della mancanza è otturata
e questo scatena l’angoscia. L’oggetto a è questo: una struttura che si
viene a modificare e, dove dovrebbe esserci una mancanza, questa mancanza non
c’è più.
L’oggetto dell’angoscia
non è dunque un oggetto come gli altri: non è un oggetto immaginario e non è
neanche un oggetto significantizzato. L’angoscia produce quest’oggetto
particolare che è l’oggetto a minuscola. Lacan qui considera l’angoscia come
produttrice. La nozione dell’oggetto è cambiata nel seminario dell’angoscia, è
totalmente rielaborato, Lacan ha revisionato il concetto di oggetto.
A Lacan interessa la
macchia nera sulla bocca del cavallo, questo residuo del tutto singolare, al
fine di ottenere un nuovo oggetto nella teoria analitica, l’oggetto a.
Si vede come questa macchia, che aveva individuato alcuni anni prima, diventa
l’appoggio per la costruzione di un oggetto molto particolare.
Nella costituzione
dell’oggetto dell’angoscia interviene questo taglio, la coupure, la
separazione, opposta alla funzione del tratto significante che interveniva
anteriormente nella definizione dell’oggetto simbolizzato. Era il tratto
significante che definiva l’oggetto, adesso lo statuto dell’oggetto a è
posto in relazione al taglio.
L’angoscia di castrazione
Il secondo cambiamento
di valore riguarda l’angoscia di castrazione, nozione freudiana che Lacan
conserva nei seminari anteriori al seminario X e che di nuovo incontriamo qui.
La quarta lezione è infatti intitolata da J.-A. Miller Al di là dell’angoscia
di castrazione,.
Lacan nota che per
Freud l’angoscia di castrazione era l’ultimo termine dell’esperienza del
nevrotico nell’analisi. Questo è situato molto chiaramente, nella p. 50 scrive
“Che cosa ci ha detto Freud a questo riguardo? Che l’ultimo termine a cui è
arrivato elaborando questa esperienza, il suo punto di arrivo e di arresto, il
termine per lui insuperabile, è l’angoscia di castrazione.” Lacan si
domanda: “Questo termine è forse insuperabile?” è una questione mai
posta anteriormente, non era in questione questo termine finale dell’angoscia
di castrazione, qua sì. Ancora si chiede: “Che cosa significa questo arresto
della dialettica analitica dinnanzi all’angoscia di castrazione? Non vedete
già, nel semplice uso dello schematismo che impiego, delinearsi la via per cui
intendo condurvi?”. Lacan ha visto che c’era un passaggio, una via, e come
la parola “resto”, la parola “via” la incontriamo spesso in questo seminario:
la via presa da Lacan per esplorare che cos’è l’oggetto a, che cos’è
l’oggetto del desiderio, è la via dell’angoscia.
A questa via si oppone
un’altra via, che aveva utilizzato precedentemente: la via dell’amore. Qui in
questo seminario la via dell’angoscia si sostituisce alla via dell’amore.
Lacan ci dice che c’è
un passaggio per andare al di là dell’angoscia di castrazione: “L’apertura
che vi propongo, la dialettica che qui vi mostro, permette di articolare che
non è affatto l’angoscia di castrazione in quanto tale a costruire l’ultima
impasse del nevrotico”.
Considerare che
l’angoscia di castrazione non è l’ultima impasse del nevrotico è una completa
novità. Seguendo la via dell’angoscia Lacan ci propone di superare l’ostacolo
concettuale del complesso di castrazione nella teoria analitica. Per fare
questo, per superare questo ostacolo, riformula in modo inedito l’esperienza
dell’angoscia di castrazione. Lacan conserva la stessa espressione “angoscia di
castrazione”, usato da lui e da Freud da sempre, ma per darle un contenuto
nuovo.
Facciamo un salto fino
alla lezione diciottesima La voce di Yahweh. Lacan riprende la questione
dell’angoscia di castrazione, il problema del complesso di castrazione legato
al mito dell’omicidio del padre, a partire da un articolo di Reik sullo shofar,
che nella tradizione ebraica è un grosso corno che fa risuonare un suono molto
particolare e rimanda a un certo sacrificio nella storia mitica del popolo
giudaico.
Lacan dice a p. 277: “Se
seguiamo quanto osiamo sperare sia solo una metafora di Reik, è il muggito di
toro accoppato che si fa sentire ancora nel suono dello shofar”. Si tratta
del sacrificio del toro e del suo muggito ed è un riferimento a questo suono
dello shofar legato al muggito del toro che si sacrifica e dunque rimanda
all’al di là dell’omicidio del padre. Lacan prosegue “Diciamo, più
semplicemente, che è il fatto originario inscritto nel mito dell’omicidio del
padre a dare il via a quello per cui dobbiamo, pertanto, cogliere la funzione
nell’economia del desiderio, vale a dire che si proibisce, come impossibile da
trasgredire ciò che costituisce nella sua forma più fondamentale il desiderio
originario.” Lacan vede attraverso questo esempio il legame tra
proibizione, omicidio del padre, angoscia di castrazione; ma aggiunge: “Esso
è tuttavia secondario rispetto a una dimensione che dobbiamo affrontare qui,
ovvero il rapporto con quell’oggetto essenziale che funge da a, la voce
[…]”. Dunque qui Lacan dice che il desiderio originario è legato alla
proibizione, è la proibizione che fa nascere il desiderio, ciò che è proibito
diventa oggetto di desiderio e l’oggetto del desiderio si raggiunge solo nella
trasgressione: proibizione, oggetto proibito, oggetto desiderato, necessità
della trasgressione per raggiungere questo oggetto perché si deve trasgredire
la proibizione.
Questa è la conclusione
ortodossa e all’inizio di tutto questo c’è l’omicidio del padre. Dopo aver
rinunciato a tutto questo, in conformità con l’ortodossia freudiana, Lacan
aggiunge: “Esso è tuttavia secondario”, tutta questa costruzione che dà
conto della costituzione del desiderio e del suo oggetto è una costruzione
secondaria: il tempo primo è quello del rapporto con la voce. Prima di tutta la
proibizione, la relazione con questo oggetto non ha niente a che vedere con la
trasgressione perché è una relazione immediata, diretta, senza l’ostacolo della
proibizione, della trasgressione; questa è la novità che introduce Lacan per
considerare questo concetto di angoscia di castrazione. C’è una relazione
primaria con l’oggetto che non ha niente a che vedere con la castrazione.
Nella teoria analitica,
dove c’era il complesso di castrazione come termine originario, Lacan inscrive
ora l’oggetto a come elemento primario, viene prima dell’angoscia di
castrazione. Nell’ortodossia freudiana l’oggetto è creato dalla proibizione, è
sempre un oggetto proibito, ora Lacan situa l’oggetto al di qua di tutta la
proibizione. Al contrario sottolinea ora Lacan: “Il soggetto ha un rapporto
originario con questo oggetto a come pezzo di corpo, fonte di un
godimento”.
Dunque non è affatto
l’angoscia di castrazione a costituire l’ultimo termine dell’esperienza del
nevrotico, l’ultimo termine dell’esperienza del nevrotico è da situare per il
soggetto nel suo rapporto con la presenza di questo elemento di godimento nel
suo corpo, questo oggetto a.
Non si tratta più di
castrazione, non è una sottrazione, è una presenza, presenza nel corpo di
questo elemento libidico situato da Lacan in relazione a queste zone erogene da
dove sorgono questi oggetti: la voce, lo sguardo, l’oggetto anale, l’oggetto
orale, ecc.
Dunque l’angoscia non è
l’angoscia di castrazione, vuol dire che l’angoscia non è in rapporto con una
mancanza, al contrario, l’angoscia è in relazione con una presenza, la presenza
di un oggetto che non dovrebbe incontrarsi in quel posto dove c’è una mancanza.
Lacan lo dice così a p. 59: “Che l’angoscia non è il segnale di una
mancanza, ma piuttosto di qualcosa che si deve concepire a un livello
raddoppiato, in quanto è il difetto dell’appoggio che la mancanza dà.” Vale
a dire che il soggetto trova un appoggio nella mancanza e l’angoscia sorge
quando la mancanza fa difetto. Questo è il raddoppiamento di cui Lacan stava
parlando.
La mancanza manca
quando è annullata da una presenza: l’esperienza più angosciante per il
bambino, sottolinea Lacan, non è l’assenza della madre, come si ripete, ma la
sua troppa presenza. Quando fa difetto la mancanza che fa del bambino
desiderio, quando la madre gli sta sempre addosso, questo rapporto con il
desiderio è perturbato.
Il fallo
Il terzo cambiamento di
valore tocca il fallo. Prima di questo seminario Lacan poteva scrivere: “il
fallo dà corpo al godimento nella dialettica del desiderio”. Nel seminario
X il godimento si libera dalla prigione fallica: non è il fallo ma sono gli
oggetti a che danno corpo al godimento. È ciò che Lacan cerca di
rianimare con gli organi del corpo che divengono degli organi di godimento e
non dei significanti. Il godimento impossibile da negativizzato anteriormente
veniva rappresentato dal significante scritto con il phi maiuscolo (Φ) mentre
in questo seminario sono gli oggetti a a indicarlo: c’è una sostituzione
dove a prende il posto di Φ.
Il – φ abbiamo visto
essere la scrittura della mancanza, anteriormente in relazione con la
castrazione, ora abbiamo visto che – φ è in relazione alla struttura
fondamentale che fa si che nell’immagine, nel mondo immaginario, nel mondo del
significante, manchi qualcosa. Questo qualcosa è presente dal lato del soggetto
sotto la forma dell’oggetto a ma non ha nulla a che vedere con la
castrazione.
Il – φ che incontriamo
nel seminario non è affatto lo stesso che conoscevamo anteriormente, non è il
simbolo della castrazione. Lacan situa il – φ come una proprietà dell’organo
maschile, che sta tutto all’opposto della sua immagine di potenza, in quanto si
tratta della detumescenza che colpisce l’organo nel godimento. Il phi che era
l’immagine della potenza, adesso è – φ e non è in relazione a un agente che fa
intervenire la castrazione ma è in relazione a una proprietà anatomica.
In questo seminario
Lacan intraprende una critica del fallo immaginario: quello che appare nel
corpo visivo, nell’immagine dell’uomo si vede quest’organo. Ultimamente c’è un
film su un pornoattore italiano conosciuto nel mondo, Rocco Siffredi, che è
l’immagine della potenza. Come lo interpreta Lacan questo? Per lui ciò che
appare nel campo visivo riguarda il fallo in quanto immaginario, vale a dire
una funzione scopica. Il fallo immaginario è un’immagine della potenza, si
tratta di immaginare questa illusione della potenza: è un’immagine e basta, non
è un reale, è soltanto l’illusione della potenza. Il – φ nel seminario
sull’angoscia è un fallo designificantizzato, deimmaginarizzato, è ciò che
Lacan chiamava anteriormente “il pene reale”. Nell’angoscia ciò che è
determinante è il fallo organo che si oppone al fallo significante.
Vediamo le conseguenze
di questo cambiamento di valore del fallo rispettivamente nel soggetto
femminile e maschile. Quando si regola sul fallo significante la castrazione ha
come fondamento l’assenza del pene nel versante femminile, ne consegue un
sentimento di inferiorità della donna su un piano immaginario. Nella dialettica
simbolica la donna entra con il segno meno (-) – tutto questo è l’ortodossia
freudiana – perché la sua mancanza d’oggetto è il fallo significantizzato,
l’oggetto simbolico fallico, da cui l’incidenza del fantasma fallico – che
esiste nell’uomo come nella donna – che è quello di credersi in qualche modo
provvista di fallo, credere la madre provvista di un fallo. Tutto questo esiste
a un livello inconscio e come testimonianza di questo fantasma fallico ne
risulta, nell’ortodossia freudiana, un effetto di complicazione nella posizione
femminile rispetto al desiderio, perché deve attraversare questa relazione con
il fallo con il quale non ha niente a che fare.
Sulla strada del
desiderio s’incontra il fallo significante – posizione femminile secondo Freud
e Lacan fino a questo seminario – mentre il fallo organo si scopre sulla strada
del godimento. “Quando si mette in funzione il fallo organo le conseguenze
sono diverse – dice Lacan nel seminario X – nell’uomo l’organo si
negativizza esso stesso nella sua operazione copulatoria nel momento della
detumescenza”. All’opposto Lacan formula rispetto alla donna: “alla
donna non manca niente”, la donna non ha niente a che vedere con il fallo
organo dunque non le manca niente. È l’uomo che incontra la castrazione sotto
la forma della detumescenza nel proprio corpo a livello dell’organo, quindi
Lacan, nella sua nuova interpretazione del complesso di castrazione,
sostituisce la detumescenza alla castrazione.
Che cos’è la
detumescenza? È un certo “non potere”, non poter continuare. È l’uomo che si
ritrova alle prese con la mancanza in questo momento, o meglio è l’uomo che è
alle prese con la sparizione dell’organo. L’organo nella sua funzione non può
operare, sparisce questo organo strumento, e dunque per l’uomo il rapporto al
desiderio e al godimento si rivela più complicato attraverso questa esperienza.
Dal lato femminile la
posizione soggettiva è più semplice, nel rapporto con il godimento una donna
non perde niente, in quanto al desiderio essa ha un rapporto diretto che non è
mediato, non ha – φ come intermediario. In questo seminario il fallo non è più
implicato come significante ma come organo, come strumento del godimento nella
copulazione, il fallo significante appare come uno specchietto per le allodole,
come emblema di una potenza immaginaria, falsa, che conduce il soggetto
maschile a un’impostura quando crede di avere questa potenza.
Anche una donna può identificarsi
con questa immagine illusoria della potenza, ciò la conduce alla mascherata:
fare il fallo, mascherata descritta dalla psicoanalista Joan Rivière.
In questa nuova
congiuntura concettuale la donna appare come più vera e più reale, come intitola
una lezione del seminario sull’angoscia: “La donna, più vera e più reale”.
L’oggetto fallico e la
sua mancanza sono implicati nella sessualità femminile solo in un tempo
secondo. La problematica fallica non è primaria nella donna, ne è catturata
solo attraverso l’uomo. Una donna che ha un rapporto semplice con il proprio
desiderio può essere angosciata di fronte al desiderio di un uomo. Lacan a
questo riguardo dice: “Un vero desiderio d’uomo angoscia il soggetto
femminile”.
L’oggetto del desiderio
Anche l’oggetto del
desiderio risulta affetto da un cambiamento di valore. Con il seminario sul
transfert Lacan aveva avanzato la teoria dell’oggetto del desiderio come agalma,
parola greca trovata da Lacan nel testo di Platone, che significa: cosa
preziosa. Socrate contiene la cosa preziosa: lui che all’apparenza è poco
affascinante, contiene una cosa preziosa che fa di lui l’oggetto del desiderio,
l’oggetto dell’amore. L’agalma è contenuto da un soggetto che gli dà un suo
valore, ma l’agalma è anche la bellezza della sua anima (alma). Apparentemente
un tale sembra brutto, ma nel cuore ha qualcosa di prezioso: questo è il
fondamento dell’oggetto d’amore, ma Lacan aveva concepito il desiderio a
partire dall’amore.
Nel seminario del
transfert l’agalma è questo oggetto desiderabile che si presenta nel campo
visivo davanti al soggetto, e il desiderio mira a questo oggetto. L’agalma è un
oggetto che si presenta davanti al desiderio. Il desiderio si dirige verso
questo oggetto, l’agalma è l’oggetto mira: desiderato dal soggetto.
Invece, nel seminario
sull’angoscia, Lacan scopre un altro oggetto in relazione con il desiderio.
Lacan rivela un oggetto che ha una funzione di causa del desiderio. C’è
un’opposizione tra l’oggetto causa che Lacan sta scoprendo in questo seminario,
oggetto causa che causa desiderio, e l’oggetto agalma ovvero quello che il
desiderio cerca di trovare nel mondo, oggetto mira da intendere come
l’oggetto a cui mira, a cui si rivolge, in francese objet visée, si può anche
dire oggetto bersaglio.
Il nuovo oggetto
scoperto da Lacan in questo seminario non è, però, l’oggetto che il desiderio
sta cercando di raggiungere nel mondo ma l’oggetto che causa il desiderio:
è un’altra cosa. Il desiderio scatenato dall’oggetto causa troverà nel mondo un
altro qualsiasi oggetto per la sua soddisfazione.
Ci sono due tempi per
la messa in funzione del desiderio: prima l’oggetto che causa il desiderio
scatena il desiderio e dopo un qualsiasi oggetto presente nel mondo darà
soddisfazione al desiderio. Allora il vero oggetto qual è? Non è l’oggetto a
cui si mira, ma è l’oggetto che causa il desiderio ad essere il vero oggetto!
Questo oggetto che
causa il desiderio è costruito sulla base del resto libidico che abbiamo già
incontrato, così il nome che Lacan sceglie per questo oggetto causa è la parola
palea, in modo tale da rispondere alla parola greca agalma. Palea
designa lo scarto, il resto, quello che si butta via, lo strame, come lo si
trova nel testo di San Tommaso.
Lo statuto dell’oggetto
bersaglio è l’agalma, mentre per l’oggetto causa è piuttosto dell’ordine della
palea, rifacendosi così sempre all’organo anale che resta paradigmatico della
funzione dell’oggetto causa.
Nel seminario sul
transfert Lacan nota che Alcibiade fa di Socrate l’oggetto bersaglio del suo
desiderio, Socrate prende questo posto a causa della presenza nascosta in lui
dell’agalma, l’oggetto affascinante; in questo caso il desiderio è concepito a
partire dall’amore, in cui il paradigma dell’oggetto affascinante è il fallo
(Φ). Nel seminario sull’angoscia Lacan restituisce l’oggetto al suo posto
d’oggetto causa, l’oggetto viene riportato nel posto della causa sotto la forma
del resto o dello scarto.
In questo senso abbiamo
una svalorizzazione del desiderio, lo scopo del desiderio è sempre uno scopo
falso, un equivoco sull’oggetto che conta, e così il desiderio appare come un
equivoco perché questo oggetto che vediamo nel mondo è sempre un oggetto falso
e c’è qualcosa di equivoco nel desiderio perché questo oggetto non si vede ma è
la causa, che è sconosciuta in sé ed è da scoprire attraverso l’analisi.
L’analisi non è analizzare la relazione del desiderio con un oggetto bersaglio,
perché è un oggetto falso, è sempre un’illusione, ma l’elemento determinante
del desiderio è la sua causa, che è da scoprire per interpretare e analizzare
ciò che è il desiderio. L’oggetto bersaglio è affascinante ma si rivela
un’illusione. In questo punto Lacan evoca per un istante il buddismo e ne
riprende un’asserzione secondo cui il desiderio non è che illusione. Il
desiderio è illusione quando lo consideriamo a partire dall’oggetto bersaglio,
a partire dal suo scopo nel mondo.
A dire il vero lo
statuto del desiderio è appeso a un oggetto differente da quello a cui tende.
L’oggetto agalma, l’oggetto bersaglio, è un oggetto falso, un oggetto
posticcio. L’oggetto autentico, veritiero del desiderio è l’oggetto che causa
il desiderio, ma questo rimane sconosciuto per il soggetto. Il desiderio
autentico è tale in quanto non conosce il suo oggetto, in quanto non conosce l’oggetto
che lo causa. Il vero desiderio non è il desiderio conscio ma è il desiderio
che rimane rimosso cioè inconscio. La formula che Lacan usa in questo seminario
“io ti desidero anche se non lo so” esprimendo così questa nescienza del
desiderio.
Il posto autentico
dell’oggetto a è dal lato del soggetto, non è fuori, non è dal lato
dell’Altro: l’oggetto a, a lui indivisibile, è in quanto fallace che si
trova nell’altro.
Questo è il punto di
partenza di Lacan, situare l’oggetto a dal lato del soggetto come questo
resto libidico causa del desiderio, ma nell’ultima lezione del seminario Lacan
cerca di situare questo oggetto dal lato dell’Altro. È un’operazione molto
complicata che Lacan tenterà di risolvere con la costruzione di alienazione e
separazione, elaborata in Posizione dell’inconscio.
L’oggetto definito come
un resto irriducibile alla simbolizzazione del luogo dell’Altro, dipende
tuttavia da questo Altro. Non è un elemento significante situato nell’Altro ma
ha un posto nell’Altro. Questa costruzione Lacan la lascia per gli anni
successivi, dove svilupperà l’articolazione tra l’oggetto a e la sua
posizione nell’Altro.
È la via dell’angoscia
che conduce Lacan alla scoperta dell’oggetto causa, invece la costruzione
dell’oggetto bersaglio è appoggiata sull’oggetto d’amore.
Le due vie: la via dell’amore e la
via dell’angoscia
J.-A. Miller aveva
commentato questo aforisma che incontriamo
nel seminario dell’angoscia: “Solo l’amore permette al godimento di
accondiscendere al desiderio”. Questa frase ci fa capire che desiderio e
godimento sono due strutture diverse: ci vuole l’amore per passare dal
godimento al desiderio.
Lacan si applica a mantenere
a dal lato del soggetto, perché? Perché l’oggetto a, è una
trasformazione del godimento del proprio corpo. Abbiamo visto questo resto
libidico trasformato e convertito in questo oggetto a. Invece il
desiderio è un’altra cosa, è la relazione con l’Altro. C’è una faglia tra
desiderio e godimento: il godimento situato dal lato del soggetto, questo resto
libidico nel proprio corpo, e il desiderio che è la relazione con l’Altro.
Si deve considerare la
relazione tra desiderio e godimento perché si deve situare, per Lacan,
l’introduzione dell’Altro nel mondo del soggetto. A livello del godimento non
c’è uscita verso l’Altro, tuttavia sappiamo che esiste la relazione con
l’Altro: non siamo ognuno nella sua prigione, ognuno nel suo autismo. Esiste la
relazione con l’Altro, ma la questione che Lacan ci vuole far considerare è
come situare il godimento, che è qualcosa di completamente autistico, e la
relazione con l’Altro.
Il godimento ha come
luogo il proprio corpo, mentre il desiderio è relazione con l’Altro. Nel
seminario sull’angoscia Lacan introduce l’amore come mediatore tra godimento e
desiderio. L’amore è mediatore perché sposta o falsifica l’oggetto a, rendendolo
agalma: è la trasformazione e falsificazione dell’oggetto a - scarto,
palea - in un oggetto agalmatico, attraverso l’amore, che permette la relazione
d’amore e dunque la relazione con l’Altro.
Ma l’angoscia non è
mediatrice, Lacan dice essere mediana.
Allora J.-A. Miller
propone quest’altro aforisma per rendere conto della posizione mediana dell’angoscia:
“Solo l’angoscia trasforma il godimento in causa del desiderio”.
Abbiamo visto che
abbiamo un oggetto, abbiamo un resto di godimento, situato dal lato del
soggetto. L’angoscia trasforma questo resto di godimento in un oggetto a,
causa del desiderio, ovvero l’angoscia permette la trasformazione di questo
oggetto di godimento in un oggetto causa del desiderio, che permette di
stabilire la relazione con l’Altro attraverso questo oggetto a. Dunque
l’aforisma proposto da Miller.
Abbiamo qui la
soluzione, l’uscita dall’autismo del godimento, per stabilire la relazione con
l’Altro, attraverso l’angoscia, con la produzione di quest’oggetto causa e lo
scatenarsi del desiderio.
Così l’angoscia
funziona come un operatore che produce l’oggetto causa secondo Lacan.
L’angoscia lacaniana è un’angoscia produttrice, così abbiamo due al di qua del
desiderio, ognuno che apre una via diversa per esplorare lo statuto del
desiderio e del suo oggetto.
Dobbiamo pensare
l’articolazione tra desiderio e godimento. Il godimento è sempre un al di qua
del desiderio. Il desiderio è una trasformazione del godimento ma sono due
strutture diverse. Se fino a questo punto dell’insegnamento Lacan aveva preso
la via dell’amore per arrivare al desiderio, ora nel seminario X attraverso la
via dell’angoscia sviluppa una nuova concezione del desiderio.
Lacan dice, alla fine
del seminario sull’angoscia: “Il momento in cui viene messa in gioco la
funzione dell’angoscia è precedente alla cessione dell’oggetto”. Prima
l’angoscia e dopo la cessione dell’oggetto, ciò vuol dire che l’angoscia è
produttrice di questo oggetto.
Lacan dà un esempio
dell’articolazione tra angoscia e produzione di un oggetto, con il caso
dell’uomo dei lupi e del suo sogno ripetitivo in cui si può ricostruire
l’episodio di una defecazione. Questo esempio della produzione dell’oggetto
anale è il modello dell’angoscia come operatore che produce l’oggetto causa:
prima angoscia, produzione dell’oggetto anale, godimento.
A partire da questo
modello di produzione dell’oggetto Lacan dettaglia le separazioni anatomiche
dell’oggetto a e con questo primo esempio concepisce gli altri esempi:
sguardo, voce, orale, come oggetti separati dal corpo proprio. Sono separazioni
naturali dell’oggetto prelevato sul corpo e precisamente senza l’intervento di
un agente che sarebbe l’Altro come agente della castrazione. Adesso non c’entra
l’intervento dell’Altro castratore ma si tratta di un’operazione puramente
anatomica, di separazione di un oggetto dal corpo. Esempio: l’oggetto anale.
J.-A. Miller conclude
così la sua presentazione del seminario sull’angoscia: “L’oggetto a è
l’effetto principale del linguaggio”. Adesso abbiamo l’agente della
castrazione che è il linguaggio. Il nome stesso dell’angoscia riveste
l’operazione mortifera del significante. Il significante, tutte queste
separazioni e l’angoscia, come effetto del taglio del significante
sull’organismo. L’angoscia è l’affetto per eccellenza che connota la produzione
dell’oggetto a, cioè l’effetto principale del linguaggio sul godimento.
Trascrizione di Alberto Tuccio
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