Tratteremo i primi
cinque capitoli della quarta parte del seminario X, quella intitolata: Le cinque forme dell’oggetto a.
In questi
primi cinque capitoli Lacan costruisce gli oggetti orale, anale, fallico,
scopico e vocale, ma quello che è interessante notare in via preliminare è che
non li costruisce uno per uno, ma uno in
relazione all’altro, vale a dire, innanzitutto, che non si mette in una
prospettiva di sviluppo; vedremo la messa in gioco di questo modo di
presentazione.
Prima di affrontare
più precisamente la costruzione dell’oggetto a, in particolare della forma che gli si dà in questo seminario, vorrei
partire dagli assi di lettura evidenziati da Jacques-Alain Miller nel suo corso
del 2004, durante sei lezioni contemporanee alla pubblicazione di questo seminario
in francese, disponibili anche in italiano. Questi assi di lettura sono indispensabili per orientarsi
nell’insegnamento di Lacan ma anche per situare quella che è la posta in gioco
di questo seminario che Miller definisce come laboratorio della rifondazione
della psicoanalisi, realizzata da Lacan nel seminario XI dopo la sua separazione
dall’IPA. Quindi abbiamo un seminario che pone le premesse della separazione.
In questo seminario Lacan allestisce gli strumenti teorici necessari per andare
al di là dei punti di impasse freudiani, che, a suo avviso, avevano condotto
gli psicoanalisti a chiudere l’inconscio, portando alla mortificazione o alla
psicologizzazione della psicoanalisi.
A pagina 286
dell’edizione francese, Lacan dice che si orienta a partire dal desiderio su
quello che chiama la “rivivificazione del
desiderio”, unica alternativa al fatto di “smarrirsi nella rete infinita del significante, o di cadere nelle vie
più comuni della psicologia tradizionale”. Le “vie più comuni” sono altro, ma
“smarrirsi nel reticolo infinito del significante” è qualcosa che proviene
da Lacan stesso; come dice Miller è “Lacan contro Lacan”. Negli anni ’50
infatti, in particolare ne “La direzione
della cura”, del 1958, Lacan aveva definito il desiderio come “metonimia della mancanza ad essere” e
aveva dato come orientamento, nella formazione degli psicoanalisti, il dito di
San Giovanni puntato al Cielo, nella celebre dipinto di Leonardo Da vinci, per
indicare che la cosa sta altrove. Con la teoria del desiderio si arriva a una
metonimia significante che si può correlare qui a quello che dice Lacan: “smarrirci nel reticolo infinito del
significante”.
La posta in
gioco del seminario X è davvero quindi di rifondare la teoria del desiderio, di
rivivificarla, a partire dalla bussola
di cui Lacan si dota, ossia la bussola dell’angoscia. Anche se il seminario non
s’intitola “Desiderio”, è questo che Lacan mette in gioco. Innanzitutto pone la
problematica dell’atto nei primi due capitoli del seminario, e la ritroviamo
anche alla fine. Questa messa in gioco a partire da Inibizione sintomo e angoscia di Freud, fa da trama al seminario X,
perché vediamo presentificato qui da Lacan, “l’atto”, ovvero ciò che forma un’interruzione nello svolgimento
automatico della catena significante.
Nel momento
in cui Lacan cerca di far uscire la psicoanalisi dal “tutto significante”, si
interessa all’atto: è strategico. In effetti a partire da questo seminario, dallo
scritto Posizione dell’inconscio, e dal
seminario XI, Lacan esplora altri strumenti teorici rispetto a quelli a lungo
condivisi con le discipline strutturaliste - in particolare la linguistica e la
topologia – e ci si rende conto di questo suo nuovo orientamento nelle risposte
che dà alle domande di un giornalista belga, pubblicate in “Radiofonia”. Se ricordate,
una decina d’anni dopo, Lacan rende esplicito proprio di non situarsi nel solco
delle discipline strutturaliste, e precisamente per via dell’oggetto a.
Nel seminario
X siamo all’inizio di questo cambio di orientamento: diviene un vero e proprio
laboratorio dell’oggetto a. Nello
specifico si vede il corpo apparire in tutto il suo splendore di organismo,
cosa nuova per Lacan, e Miller lo sottolinea mettendo in risalto il carattere
naturalistico di questo testo dove Lacan ci parla della placenta, del meconio,
degli involucri corporei del feto, delle mammelle, di un po' di merda e del piccolo
mucchietto (omofono in francese: petitas-petit
a); tutto ciò fa parte – in modo crudo – del vocabolario di Lacan, che ci
parla di tutto questo con molti riferimenti all’etologia, quindi alla dimensione
del corpo come organismo che viene sul proscenio.
Dopo questa
breve introduzione voglio darvi qualche asse di lettura più preciso.
Primo asse
In questo
seminario osserviamo un cambiamento di statuto dell’Altro, da qui “A è costituito e completato da a” (espressione di Marie-Hélène Brousse).
Cosa significa che A è completato da a? La struttura dell’Altro, nel seminario
X, rimane significante, ma c’è un resto: il corpo è inteso vivente (Lacan per
vivente intende dire non significante), il resto è a, introdotto da Lacan come “resto
dell’operazione soggettiva che concerne l’Altro” (definizione di
Jacque-Alain Miller). Con questo cambiamento dello statuto di A vi è la fine della priorità del
simbolico, vale a dire dell’idea che tutto può essere simbolizzato o
simbolizzabile: per esempio, che anche gli organi possano essere trasformati in
significante attraverso l’operazione fallica significante del desiderio dell’Altro
- ovvero il fallo scritto come Φ -; cioè la soluzione attraverso la
metafora, attraverso il fallo, attraverso il Nome-del-Padre.
L’oggetto a non è nominabile, è irriducibile alla
simbolizzazione, quindi in quanto tale, citando Jacques-Alain Miller, “l’oggetto a vale come messa in scacco del Nome-del-Padre, in quanto NDP è l’operatore
maggiore della simbolizzazione”, quindi l’oggetto a è la messa in scacco della metafora. Questo è un passaggio
critico per la psicoanalisi che fino a quel momento aveva fatto della metafora
paterna il punto di capitone. Per anni Lacan ha lavorato su questo punto come
ciò che lui aggiungeva alla linguistica; ora se ne disfa e occorre rendere
conto della costituzione del soggetto in un altro modo.
Nel seminario
X Lacan tenta di rendere visibile il modo in cui si costituisce il soggetto nel
luogo del significante, ma con un resto. Cos’è questo resto? Il resto sono i
pezzi di corpo prelevati sul corpo vivente del soggetto del significante e che
si ritrovano nel luogo dell’Altro. Si vede allora come A sia completato da a,
perché in A, come luogo del
significante, ci sono dei pezzi di
corpo. Ciò è un po' strano perché l’angoscia, per Lacan, è quando un mio pezzo
di corpo tagliato sorge di nuovo nel luogo dell’Altro, quindi quello che c’è di
più intimo in me sorge nell’Altro: da qui nasce l’angoscia.
Come si
realizza questa costituzione del soggetto nel luogo del significante, questo cambiamento
di statuto dell’Altro e del corpo lacaniano? Se pezzi del mio corpo si
ritrovano nel luogo dell’Altro significa che il mio corpo non è contenuto nei
limiti dell’immagine, cioè che il mio corpo non è tutto organizzato dalla
costituzione di un esterno e di un interno. Nei testi di Freud è proprio questo
che si mette al centro della questione del giudizio, per esempio nel testo sulla
formulazione dei principi della realtà
psichica, o nel testo sulla negazione,
vediamo che il soggetto si costituisce come interno e come esterno: qualcosa
rimane dentro qualcosa rimane fuori. L’organizzazione quindi si realizza come
qualcosa di interno o esterno alla realtà psichica.
Perché Lacan
studia queste cinque forme elettive dell’oggetto
a? Non ci sono solo cinque oggetti e
alla fine del seminario vedremo che tutto può assumere funzione di oggetto a, dal momento in cui risponde a certe
caratteristiche di costituzione. Perché dunque queste cinque forme? Lacan le
sceglie per differenziare le diverse logiche secondo le quali l’oggetto a viene messo in funzione di copula tra
il soggetto e l’Altro. Vediamo così che l’oggetto a è qualcosa che ha legame tra soggetto e luogo significante, ma
questa copula non è sempre la stessa perché Lacan, attraverso queste cinque
forme dell’oggetto, studia il bisogno,
la domanda, il desiderio, l’ideale dell’Io e
il Super-Io. Vale a dire: la dinamica
del bisogno rende conto dell’oggetto orale, la dialettica della domanda rende
conto dell’oggetto anale, quella del desiderio del fallo, e la logica della
potenza rende conto dello sguardo e della voce, dove lo sguardo è il versante
ideale mentre la voce è versante del super-Io.
Perché è il
bisogno a essere correlato all’oggetto orale?
Analizziamo
Il capitolo “La bocca e l’occhio”.
Qui il seno è oggetto del corpo del bambino ed è minacciato dal suo esaurimento;
è quindi nell’Altro che vi è l’oggetto di cui ha bisogno, sul suo corpo.
A pagina 350
(ed. francese; p. 329 ed. italiana), Lacan dice: “A livello dello stadio orale, in cui l’oggetto a è il seno, il
capezzolo – quello che volente -, si tratta fondamentalmente di questo. Il soggetto,
costituendosi all’origine e completandosi poi nel comando della voce, - vediamo
quindi già il tragitto dall’orale alla voce,
dall’inizio alla fine – non sa e non può
sapere sino a che punto sia lui stesso quell’essere applicato al petto della
madre in forma di mammella, dopo essere stato quel parassita che affonda le sue
proprie villosità nella mucosa uterina, nella forma della placenta. Egli non
sa, non può sapere, che il seno, che la placenta è la realtà del limite di a rispetto all’Altro. Egli crede che a sia l’Altro e che avendo a che fare con a abbia a che fare con l’Altro, con il grande
Altro, la madre”. Quindi nello stadio orale l’oggetto è perduto come parte
dell’Altro, ed è la prima modalità della costituzione soggettiva del luogo
dell’Altro, ovvero nel luogo significante, come pezzi di corpo dell’Altro. Si
deduce allora che il soggetto perde qui qualcosa del proprio corpo che diventa
parte dell’Altro.
Sul piano anale è invece la domanda a essere in
gioco, l'altro intimo del soggetto: “Chiedilo-Dallo”,
dice Lacan. Le feci sono perdute come parti del proprio corpo e il soggetto ha
la questione: “se lo do dove va a finire?”.
Il piano del fallo
è correlato al desiderio, alla differenza tra sessi mostrata da Lacan in
questi cinque capitoli, per esempio nel capitolo 20 dove spiega che sia l’uomo
che la donna sono il desiderio di fallo come onnipotenza, cioè l’uomo desidera
la bella donna che è il fallo e la donna desidera quello che ha l’uomo. Lacan
osserva però che è - ϕ che li attende.
A pagina 310 (ed. francese; p. 292 ed. italiana), per esempio, dice “[…] la zona in cui i loro desideri li portano
per raggiungersi e dove potrebbero effettivamente coincidere è caratterizzata dalla
mancanza di quello che dovrebbe
essere il loro medium - ovvero (- ϕ)
-. Per ciascuno il fallo, quando
viene raggiunto, è ciò che lo aliena dall’altro”. In Lacan si ha quindi
l’idea che tutti cerchino di raggiungere il fallo e che, se lo si raggiunge,
non si incontra l’Altro. Più probabilmente dove più ci s’incontra è dove c’è – ϕ, Lacan quindi prende il verso
contrario rispetto alla teoria genitale della maturazione sessuale.
Il fallo è una
delle forme dell’oggetto a perché
riguarda la costituzione del soggetto nel luogo dell’Altro, indicata anche in
questo caso da una perdita di un pezzo di corpo. Il fallo è ciò che
immaginarizza la dimensione della perdita e la radicalizza, perché Lacan,
invece di parlare di castrazione, parla di detumescenza. La perdita qui non è evitabile
nell’ordine fallico, non c’è bisogno dell’altro a tagliarci il pene, la
detumescenza è un fenomeno naturale e questo immaginarizza la dimensione della
perdita e, a differenza delle feci, radicalizza tale dimensione, poiché le feci
si riproducono - vengono perdute ma domani ce ne saranno ancora -, mentre se si
taglia il pene questo non cresce più; per questo vi è la radicalizzazione della
perdita nello stadio fallico. Tutto ciò è una prefigurazione del seminario XX, di
ripositivizzare il – ϕ, di fare
un - (-ϕ). Non si tratta di
negare che ϕ sia - ϕ, ma di fare del - (meno) il segreto
del rapporto tra gli uomini e le donne; vale a dire, perché qualcosa del
rapporto tra i sessi passi, che “qualcosa
del godimento accondiscenda il desiderio, grazie all’amore" (frase celebre
che si trova nel seminario XX), ovvero perché ci sia amore tra un uomo e una
donna, bisogna che qualcosa sfugga alla logica dell’onnipotenza del fallo:
questo fa sì che la donna cerchi ciò che fa il fallo e che l’uomo cerchi nelle
donna il fatto che è il fallo. Cito qui, nel capitolo XX, a pagina 312 (ed.
francese; p. 294 ed. italiana) “il φ è nei due sessi ciò che io desidero, ma anche
ciò che posso avere solo con – φ.
È questo meno che risulta essere il mediatore
universale nel campo della congiunzione sessuale”. Quindi non più la positività
del fallo, è il – (meno) ad essere in gioco; ecco la terza forma che Lacan dà
all’oggetto a: orale-bisogno, anale-domanda,
fallo-desiderio.
Le altre due
forme aggiunte al catalogo degli oggetti freudiani sono sguardo e voce: è l'altro
dell’onnipotenza che guarda il soggetto, intima al soggetto, quindi sul piano
dello sguardo abbiamo la funzione
dell’ideale dell’Io, ideale funzione alla quale il soggetto aspira sotto lo sguardo
onnipotente dell’Altro (si è guardati dappertutto in Lacan, lo sguardo non è localizzato);
la voce invece, del super-Io, sono i
comandamenti che si incorporano e che fanno la tessitura della vita del
soggetto, ed è la forma che Lacan esplora a più riprese nell’insegnamento: “tu sei … (ingiunzione)”.
Nei primi due
capitoli di cui abbiamo parlato oggi i primi riferimenti che Lacan, di ritorno
dal Giappone, fa al buddismo, sono quando ricorda di aver visto la statua del Buddha,
con gli occhi chiusi e il taglio degli occhi cancellato dal contatto delle mani
delle monache che per secoli lo hanno accarezzato. Qui Lacan mette in evidenza
la funzione pacificante delle palpebre di
Buddha (p. 268 ed. francese; p. 247 ed. italiana). Lacan ci dice che questa
statua del Buddha ci preserva della fascinazione dello sguardo, indicandolo
tuttavia attraverso le palpebre chiuse. Lacan osserva quindi che la statua si
fa carico del punto di angoscia, perché l’occhio è nella statua, ma chiuso, si
è quindi nel campo speculare ma al contempo non si è troppo guardati.
Per quanto
riguarda la voce, nell’ultimo
capitolo prende l’esempio del monologo del bambino, quello prima dello stadio
dello specchio: quando è da solo fa la lallazione ma basta mettere un altro
bambino nell’infermeria perché il bambino taccia. Lacan prende questo esempio
da Jakobson e lo confronta con un gamberetto, con l’esempio della piccola
dafnia, che incorpora dei grani di sabbia nel suo apparato uditivo, grani di
sabbia necessari al suo equilibrio. Così i processi di incorporazione della
voce sono dei granelli di linguaggio incorporati dal bambino.
Non siamo a
livello del senso perché prima dello stadio dello specchio, ben prima della
padronanza della lingua da parte del soggetto; l’importante è che non siamo sul
piano del soggetto nel significante, ma del corpo vivente, quindi questo incontro
con la lingua non è un incontro di senso. Lacan aggiunge poi che è divertente e
che bisogna ancora versare della limatura di ferro, invece della sabbia, per
poi divertirsi a toglierla: tutto questo per mostrarci come questo linguaggio incorporato
alimenti l’onnipotenza dell’Altro.
Le cinque
forme dell’oggetto Lacan le sceglie in modo elettivo, al fine di mettere in evidenza
i diversi livelli di incorporazione: da parte del soggetto, della funzione
dell’Altro, bisogno, domanda, desiderio, ideale dell’Io, Super-Io. Con questi
oggetti riprende tutta la teoria della psicoanalisi nella prospettiva del pezzo di corpo perduto. Tutto il
precedente Lacan era invece preso nella prospettiva del significante.
Se ricordiamo
la costruzione dei grafi del desiderio, Lacan si impegnava a mostrare come
tutto quello che era sul piano organico passasse per le sfilate del
significante, con un punto di capitone finale, il fallo, che organizzava tutti
gli oggetti di bisogno e domanda nella funzione del desiderio. Qui c’è una
svolta notevole, ed è come se Lacan dicesse: non è così, ciò che si tratta sono
pezzi di corpo che metto nell’Altro. Questo implica un grande cambiamento nello
statuto del corpo.
Secondo asse
Dal seminario
X il corpo non è più soltanto corpo visivo, corpo speculare, vale a dire che
questo corpo visivo deve essere messo in correlazione con l’oggetto sguardo. Nel seminario XI Lacan racconterà la storia di
Petit-Jean, la storia della scatola di sardine, ovvero di quando era un giovane
intellettuale e se aveva voglia di stare in compagnia dei pescatori andava in
barca con loro a pescare sardine. Nel seminario XVI aggiungerà come correlato
implicito che andava a caccia di fanciulle e a farsi delle bevute storiche, e
cose del genere: faceva parte quindi di questo gruppo di uomini, facendo cose
che fanno gli uomini, mettendosi anche a repentaglio nelle partite di pesca a bordo
di queste barchette a guscio di noce. Lacan, in quest’atmosfera un po' maschilista,
vede all’orizzonte qualcosa che brilla: una scatola di sardine. Nel seminario
XVI verremo a sapere che questa scatola era stata buttata dal suo gruppo e che
Petit-Jean gli aveva detto “questa
scatola… tu la vedi? .. lei non ti vede!...ti guarda!”. Qui Lacan dice di sentirsi macchia nel quadro. È una storia molto nota del seminario XI,
piuttosto enigmatica perché Lacan dice che la macchia è correlata all’oggetto
sguardo.
Cosa si può
dire dunque di questo oggetto misterioso, se non se ne fa semplicemente un organo
della pulsione scopica? Lacan correla quest’oggetto a con lo stadio dello specchio, vale a dire che l’oggetto sguardo è
l’oggetto che è necessario perdere per potersi vedere come immagine. Lo si vede
nella psicosi, dove il soggetto psicotico ha difficoltà, a volte, a riconoscersi
nello specchio perché l’oggetto sguardo non è perso. Perdere l’oggetto sguardo
significa collocarlo nell’Altro: “questo mi guarda”. È il “questo mi guarda”
della scatola di sardine, io in quanto guardato sono macchia, salvo essere
protetto dalla dimensione speculare. Lacan aggiunge nel seminario XVI,
legandosi al seminario XI, che lui era in un rapporto identificativo con questi
uomini e che l’osservazione di Petit-Jean fa cadere questa identificazione
speculare, fa cadere i(a), perché quello che dice Petit-Jean nel seminario XVI
è “tu fai macchia”.
Nel seminario
X abbiamo il laboratorio di tutto questo: la relazione tra due corpi; costituita
da Lacan come corpo visuale e corpo delle zone erogene. L’oggetto sguardo è
l’oggetto che è necessario perdere, collocare nell’Altro per potersi vedere come
immagine.
Nei cinque capitoli
all’ordine del giorno, Lacan si riferisce a diversi luoghi in relazione allo spazio.
Non è un’intuizione kantiana, Kant fa dello spazio una dimensione dell’intuizione,
ovvero qualcosa sul piano delle idee, del significante, Lacan invece no, lo
spazio non è correlativo all’idea ma all’occhio, significa che l’oggetto sguardo
è strettamente correlato allo spazio, o che lo sguardo è l’oggetto del campo dell’estensione.
Ciò dice che la teoria lacaniana della visione implica un taglio tra l’immagine
e lo sguardo. Ancora una volta non è un taglio tra il soggetto e l’Altro – come
in tutta la teoria analitica precedente a Lacan che vedeva la separazione come un
problema di attaccamento tra soggetto e Altro -, per Lacan la posta in gioco è
il taglio tra il soggetto stesso e i propri organi. Se volete quello che non si
vede con l’oggetto sguardo è la dinamica in gioco nella costituzione del corpo
pulsionale, poiché l’oggetto scoptico è centrato dall’immaginario nell’oggetto
sguardo; c’è quindi un effetto di occultamento dell’oggetto per via dello
stadio dello specchio.
Su questa
questione di cambiamento d’istituto del corpo ci sono due punti da precisare:
la questione del taglio e la questione dei due corpi. Il taglio è introdotto da Lacan in opposizione al tratto, di cui aveva
parlato approfonditamente nel seminario dell’anno precedente, dicendo che all’inizio
il tratto contrassegna tutto, ma c’è qualcosa che non è contrassegnabile. Cosa
si fa quindi con questo resto? Lo si taglia: il taglio è quello che separa un
resto che non è significantizzabile. Jacques-Alain Miller osserva che “questo termine di taglio deve essere risvegliato,
vivificato”, lo ritiene un concetto fondamentale del seminario sull’angoscia,
ne è lo strumento elettivo. Per risvegliarlo bisogna pensare di opporlo al
tratto. Ciò che presiede nella funzione significante è l’operazione del tratto,
in particolare nell’aufhebung, che ha
come effetto quello di annullare e innalzare. La funzione di tratto s’iscrive nella
funzione di aufhebung, trasforma il
significante e il significabile, mentre la funzione del taglio separa un resto
che per l’appunto non è significabile.
Fino a questo
punto tutto l’insegnamento di Lacan è stato incentrato sulla funzione del
tratto, che contrassegna il soggetto e che da qui lo innalza alla potenza del
significante. Il seminario sull’identificazione ne fa la dimostrazione
sistematica con gli esempi della tacca, della marca, che si sostituisce alla
cosa rappresentata come per esempio il numero di animali uccisi dal cacciatore
primitivo: ogni animale è contrassegnato da una tacca. Gli organi stessi
potevano essere significantizzati ed entrare così nella dialettica significante.
Nella pagina
313 (ed. francese; p.295 ed. Italiana) del seminario X, Lacan dice che la
differenza tra il pensiero dialettico e la nostra esperienza è che noi non crediamo
alla sintesi. Lacan a lungo si appoggia alla dialettica ma qui ne prende esplicitamente
le distanze, dicendo che nella nostra esperienza non c’è dialettica perché non
c’è sintesi, mentre nel testo Intervento
sul transfert Lacan dà come soluzione dell’analisi la dialettizzazione del
particolare nell’universalizzazione del significante. La soluzione hegeliana vede
il sintomo come quello che non è stato simbolizzato, quindi il sintomo a-simbolizzato
ma non non-simbolizzabile, mentre qui Lacan dice che la psicoanalisi non è una
dialettica ma è un resto.
Bisogna
articolare tutto questo con i due statuti del corpo: corpo dello stadio dello specchio e corpo delle zone erogene. Siamo nella prospettiva di A completato
da a, questa costituzione ha avuto
luogo grazie all’operatore del taglio. Prima non si aveva idea, bisogna far passare
tutto ciò che era vivente nel soggetto sotto la barra del significante, facendo
continuare il desiderio come metonimia sotto la barra. Ora ci si separa dai
pezzi di corpo attraverso l’operatore del taglio, con pezzi di corpo che si
mettono nell’Altro, sullo statuto di corpo che questo implica. Cosa vuol dire
mettere pezzi di corpo nell’Altro? Vuol dire che non sappiamo bene dove si
delimita il corpo. Se volete, il corpo dello stadio dello specchio è un corpo che
poteva essere significantizzato, attraverso la significantizzazione dello speculare
e del significato. Nel seminario X l’oggetto a è al tempo stesso disimmaginarizzato e desimbolizzato. È disimmaginarizzato
perché non risponde ai principi della simmetria e al principio dello stadio
dello specchio, ed è desimbolizzato perché non è retto dal fallo. Questo oggetto
quindi non è più trattabile attraverso la simmetria o il significante. Occorre
un altro trattamento: la separazione del resto attraverso il taglio. Quello che
non può essere significantizzabile attraverso la significantizzazione deve
essere separato, come resto, e l’angoscia è l’operatore di questa separazione.
Tutto questo è in un’altra concezione rispetto all’esperienza psicoanalitica,
perché la psicoanalisi viene ricentrata così sulla vita pulsionale.
Questi due
statuti del corpo spiegano perché il seminario si svolga in due movimenti, ed è
ciò che affronta Jacques-Alain Miller.
Primo movimento del seminario. Lacan parla del corpo speculare perturbato
da un’irruzione incongrua, da un oggetto strutturato diversamente che dalla buona
forma, vale a dire che non è retto dal principio della simmetria, non è
orientabile. Quando vediamo una foto vediamo destra e sinistra, nello specchio
anche, ma l’oggetto a è un oggetto
che non è orientabile in base al principio della simmetria ed è per questo che
nel seminario compare il nastro di Möbius, un oggetto non orientabile secondo simmetria. Per
questo è un oggetto incongruo che non si lascia mettere in ordine attraverso lo
stadio dello specchio. Quindi il primo movimento del seminario è il corpo
speculare e ciò che lo disturba.
Secondo movimento del seminario. Qui ritroviamo un oggetto che non è
più affatto speculare, poiché troviamo: la placenta, gli involucri del feto, lo
sguardo, la voce, le feci, il seno ecc., oggetti che non sono del registro
della buona forma, o che non si iscrivono affatto nel campo visivo.
Jacques-Alain Miller dice: “siamo in un
registro in cui non si tratta più di forma ma di zone”: si tratta del corpo
di zone erogene che non è il corpo visivo, è il corpo come organismo, colto
assolutamente fuori dallo specchio, un corpo almeno a-speculare, quando
visibile non specularizzabile, e di cui si capisce che rilascia degli oggetti
conformi alla struttura topologica presentati a partire dall’irruzione
dell’oggetto a nel campo visivo. Per
questo si evidenzia la struttura topologica del nastro di Möbius, come il corpo delle zone
erogene, con le zone di bordo, cioè l’oggetto a che fa copula tra il soggetto e l’Altro. Non si sa bene da che
parte stia, per questo si parla della struttura di Mobius, ed è per questo che l’oggetto
non risponde alla struttura dello stadio dello specchio.
Si ha,
quindi, un cambiamento assolutamente radicale nell’insegnamento di Lacan: prima
era molto chiaro che il corpo era collegato alla formazione dell’Io nello stadio
dello specchio, quindi equivalente al registro dell’immaginario, e il
significante era il registro del soggetto parlante; invece qui appare il corpo
in quanto implicato nella costituzione del soggetto parlante, non più soltanto
il soggetto svuotato dal significante. Il corpo in questione è un corpo
incluso, tutto quello che permette al corpo di essere vivente, vale a dire che
è un corpo che si sovrappone al corpo dell'altro. È per questo che nei primi
cinque capitoli Lacan utilizza una quantità di termini che indicano che i
limiti del corpo pulsionale vanno al di là del corpo speculare, come ad esempio:
ectopia, parassitismo, intrusione,
incorporazione, congiunzione e separazione, ambocettore (è il fallo che è
ambocettore, è tra i due ma non è nessuno dei due). Tutti questi termini sono
utilizzati da Lacan per indicare che quando si tratta del corpo delle zone
erogene non siamo nel registro dell’intero e dell’esterno, il corpo immaginario
diventa semplicemente ciò che sta intorno alla realtà dell’oggetto parziale.
La sola cosa
che conta dell’oggetto a è che è
fondamentalmente separato, e importa poco dove sia, l’importante è che sia
separato, nella scatola di sardine, nel mare, nel partner sessuale, nel libro
che si scrive, conta solo che sia separato e che il corpo immaginario sia ciò
che semplicemente inglobi questa realtà. Qui vengono esposti due assi: nel
primo, lo statuto dell’Altro è A + a,
mentre nel secondo asse vi sono due statuti del corpo, con il corpo immaginario
che è semplicemente il velo del corpo pulsionale.
Terzo asse
C’è un terzo
asse, che emerge dalla lettura di questo seminario, in risposta al testo di Freud
Analisi terminabile e interminabile: la
vera posta in gioco nel seminario è la
fine dell’analisi. Si può trovare una fonte di quel che vi dico nel
capitolo XX, (pagina 292-293 ed. italiana), dove Lacan fa allusione alla rivendicazione
fallica, vale a dire al Penisneid femminile e alla protesta virile dell’uomo, che
sono le due figure del punto di arresto della castrazione nel testo freudiano. A
pagina 293 Lacan dice: “Ecco l’aspetto
che ci permette di svelare l’illusione implicita nella rivendicazione generata
dalla castrazione, in quanto essa copre l’angoscia presentificata da ogni
attualizzazione del godimento”. Si vede qui come Lacan mostri che tutta la
doxa psicoanalitica era costruita sulla rivendicazione fallica e fa emergere come
ciò sia un’illusione: dunque, in questo seminario, interroga tale presupposto
punto di arresto della psicoanalisi, il fine analisi.
La fine dell’analisi,
secondo Freud, è nell’angoscia di castrazione ed è per questo che ci sono due
strategie. Lacan va a restaurare il fallo nel campo scopico, cioè va a fare
della detumescenza un modello della castrazione, e concepirà il resto non più
come un fallo significante del resto, ma come un resto non significabile; assistiamo
all’inversione del fallo come significante del resto al resto come non significabile.
Nel capitolo XIX “Il fallo evanescente. Dall’angoscia
di castrazione all’orgasmo”, Lacan apre con un riferimento misterioso a
Copernico e a Einstein (pagina 279) e parla poi dell’angoscia di castrazione
dicendo che lo stato in questione “[…] non
è appianabile così facilmente come gli ostacoli che si incontrano nel passare
da un sistema concettuale a un altro, per esempio nel passaggio del sistema
copernicano al sistema einsteiniano, che non presenta grandi difficoltà a menti
che siano sufficientemente sviluppate e aperte alla matematica. Si impone
infatti piuttosto rapidamente la constatazione che le equazioni einsteiniane si
collegano a quelle che le hanno precedute, e che le includano come nei casi
particolari - dunque le risolvono interamente”. Cosa fa Lacan? Dice, per
gli spiriti aperti, che le equazioni einsteiniane includono quelle che le hanno
precedute. Non è una rimessa in questione, è l’inclusione di un caso
particolare in un caso più generale, è il caso per tutti gli organi che devono
sparire, non solo il fallo. Quindi Lacan restituisce, con questo riferimento ad
Einstein e Copernico, il fallo come essere caso particolare della castrazione, ed
è per questo che risitua il fallo nel campo scopico. Il fallo è lo spazio dell’organo
nel campo scopico, la detumescenza.
Ecco le strategie di Lacan per andare al di là del punto di arresto di fine
analisi secondo Freud, formulata da Jacques-Alain Miller: “il godimento si libera dell’impalcatura significante della sua prigione
fallica, sono gli oggetti a che danno
corpo al godimento, non è il fallo che dà corpo al godimento”. Miller,
diverse pagine più in là, continua dicendo che “la castrazione è un nome improprio, che è sempre riportata a una evirazione
da parte dell’Altro, come se il godimento fosse vietato da questo personaggio”
e questo fa che Lacan si distingua da Freud, il quale intendeva nella fine
dell’analisi soltanto una rivendicazione fallica - solo la domanda di Φ - e che Lacan svela come una
illusione nel seminario X. Il commento di Lacan è “se c’è un oggetto perduto non vale la pena farne malattia”, la
posta in gioco è dire che la castrazione è la detumescenza, non è per colpa
dell’altro che non si è sempre in erezione. Far sì quindi che l’analisi si
fermi sulla rivendicazione fallica è un errore e non è affatto fondato sulla realtà
dell’etero castrazione, vale a dire una castrazione da parte dell’Altro come
agente della castrazione. Il problema del punto di arresto dell’analisi per Freud
è la credenza nel Φ e Lacan è
perfettamente logico nel dire “se si vuole
arrivare a capo della propria analisi bisogna smettere di credere al Φ“. Questo è un problema perché l’orientamento
della psicoanalisi, come lo ha concepito Lacan fino a questo momento, era la
sublimazione del godimento attraverso il significante del fallo, una specie di aufhebung del godimento attraverso il significante,
e siccome non c’è significante ultimo, il fallo veniva come significante che
non ha significato per sublimare il resto.
La differenza
tra concepire il fallo come significante del resto o resto come non significante
è questo, ovvero, invece di fare Φ
come operatore della psicoanalisi, Lacan fa l’oggetto a come operatore e dunque l’idea che se si fa così la rivendicazione
fallica si rivela un’illusione, detto fatto, e non vale più la pena spaccarsi
la testa con il Penisneid, la protesta virile, ecc.
È sempre la
strategia di Lacan fare dell’impossibile prodotto da Freud il punto di leva
della psicoanalisi. Questo è sistematico in Lacan, vale a dire che lui stesso
opera attraverso il resto, ovvero che c’è un sistema significante che produce
sempre un resto per via dell’eterogeneità del vivente e del simbolico ma questo
resto non è sempre identico a se stesso, perché il resto è prodotto del sistema
significante, non è un resto all’origine. Questa è un’altra inversione rispetto
a Freud che analizza quasi tutto salvo quello che resta, ovvero la fissazione
libidica alla radice del sintomo (vedi la conversazione di Freud sulle vie delle
formazioni del sintomo), mentre per Lacan il
resto è prodotto, vale a dire che si può produrre un altro resto e il
discorso analitico è una macchina per produrre un resto particolare. Non è il
resto che c’è, ma un resto che si produce grazie al movimento di un discorso
analitico, per questo, per Lacan, l’analisi può finire. Non si tratta di ritrovare
un punto che non era simbolizzabile per struttura e di simbolizzarlo, al
contrario si tratta di produrre qualche cosa che costituisca una
simbolizzazione per quello che non è simbolizzabile.
Andando un
po' più avanti si arriva alla prospettiva dell’evento di corpo, il sintomo come
evento di corpo, quello che Eric Laurent ha definito come “gli effetti del significante sul corpo prima dell’emersione del
soggetto parlante”, vale a dire che l’effetto del sistema del linguaggio
sul corpo prima dell’istituzione del soggetto che potrebbe dirne qualche cosa.
Dunque dalla
struttura c’è un resto, ed è un resto che di struttura, per sua struttura, non
è né immaginarizzabile, né simbolizzabile; perciò la psicoanalisi è un
dispositivo per l’invenzione di una soluzione, non è un dispositivo per ritrovare
quello che si è perduto. La parola significante, il significante primario, S1,
S2, l’essere di godimento, è qualcosa per cui si trova una soluzione
uno per uno, un resto dove il soggetto grazie all’analisi trova una soluzione.
Questo orientamento, che è il nostro per quanto riguarda la psicoanalisi,
comincia nel seminario X.
La quarta questione,
correlata a questo punto, vede che quando tutta la psicoanalisi mette al centro
della propria teoria la castrazione, Lacan, per quanto riguarda l’oggetto
perduto, mette al centro della psicoanalisi la separazione. Qual è la differenza? Nella castrazione è l'Altro che
porta via qualcosa che avevamo, ed ecco da dove viene la rivendicazione
fallica: mi hai preso qualche cosa, ce l’hai tu, era mia, ecc.. Questa impasse
viene da lì, impasse che, fino a che si crede nell’Altro, non permette di
venire a capo della propria analisi, perché abbiamo visto che l’oggetto a è collocato nell’Altro, ce l’ha
l’Altro, qualunque modo sia, il fallo, il seno, lo sguardo, ecc. Per l’oggetto anale
è più complicato perché in questo seminario Lacan ne fa il paradigma dell’oggetto
a, ed è logico, perché la separazione
fa sì che l’oggetto sia perduto al posto della castrazione, e l’oggetto anale è
quello che più chiaramente si stacca dal corpo del soggetto: mentre per il seno
si può credere che sia l'altro a prenderlo, il fallo è tra i due, è un
ambocettore; l’oggetto anale è quello che davvero cade dal corpo del soggetto,
ovvero è il paradigma dell’organo che si stacca.
All’inizio
del capitolo VI, “Le palpebre di Buddha”, Lacan parla della
circoncisione e ne ricorda la centralità nell’economia del desiderio. Cos’è
l’economia del desiderio? È quella dell’oggetto nel senso in cui l’analisi lo
fonda come oggetto del desiderio? Cos’è questo oggetto? È l’oggetto che cade
dal corpo, per questo Lacan comincia il suo capitolo con un ritorno alla
circoncisione, di cui aveva parlato nel capitolo precedente, vale a dire che il
paradigma dell’oggetto a è l’oggetto
caduto dal corpo.
Su questo possiamo
dire due cose. Lacan non si attiene alla circoncisione perché è un fatto
religioso, quindi la presenza dell’Altro come agente della castrazione resta
comunque una possibilità piuttosto significativa; l’altra cosa importante è che
Lacan cerca di fare dell’oggetto di desiderio l’oggetto causa e non l’oggetto punto
di mira, e questa è un’inversione interessante nel seminario. Gli oggetto a non sono quello che si vuole, non
stanno davanti a noi, ma sono oggetti che stanno dietro di noi, vale a dire, se
si desidera qualcosa è perché si è perduto qualche cosa. Citando Jacques-Alain
Miller, “nel seminario sull’angoscia
abbiamo contrariamente all’oggetto affascinane ed eretto, che è il fallo,
un’elaborazione che rettifica questo cammino per restituire l’oggetto parziale
al suo posto di oggetto causa. L’oggetto parziale, riportato al posto della Cosa
nella forma lungamente descritta del resto e dello scarto. Il desiderio è
concepito come un’oggetto caduto, tagliato, caduco, separato, quello che è
stato gettato e da cui il soggetto si è separato e il cui paradigma è l’oggetto
anale.”
Ci sono ancora
due punti importanti.
Il primo è
collegato al fatto che Lacan cerca di superare
la funzione del padre morto, per via della rivendicazione fallica che è
correlata alla credenza del padre morto. Bisogna liberarsene e mettere al posto
della funzione del padre morto, che è il punto di capitone della psicoanalisi,
qualcosa che non inganni; perché se Φ
è del registro dell’illusione, dell’adescamento, è proprio perché inganna.
Quindi Lacan cerca nel seminario quello che non inganna, e quello che non
inganna è quello che non si lascia significantizzare, quello che non si lascia
prendere nell’aufhebung, vale a dire
il godimento, in quanto non si lascia catturare dal significante. Dunque è il
godimento irriducibile al principio di piacere e per questo Lacan fa
dell’angoscia il segnale del reale.
La funzione
dell’angoscia è principalmente quella di essere questa bussola del reale. Questo permette a Lacan di risituare tutto il
sapere elaborato a partire dall’Edipo come elucubrazione secondaria in rapporto
alla dimensione dell’oggetto a.
Tutto ciò si
trova molto chiaramente alla fine del capitolo XVIII “La voce di Yahweh”, dove parla dello “shofar”, quel corno che viene utilizzato nelle cerimonie ebraiche e
sul quale Theodore Reik ha scritto un articolo. A pagina 277 dice: “Se seguiamo quanto osiamo sperare sia solo
una metafora nella bocca di Reik, è un muggito di toro accoppato che si fa sentire
ancora nel suono dello shofar”. Lacan dice che Reik, anche se ha l’intenzione
di parlare di questo corno, fa ancora di questo suono la voce di Dio e, in
particolare, la voce di Dio assassinato: è questo il muggito del toro accoppato.
Riprendendo la citazione: “Diciamo, più semplicemente, che è il fatto
originario inscritto nel mito dell’omicidio del padre a dare il via a quello
per cui dobbiamo, pertanto, cogliere la funzione nell’economia del desiderio,
vale a dire che si proibisce, come impossibile da trasgredire ciò che
costituisce nella sua forma più fondamentale il desiderio originario”. Tutta
la costruzione freudiana del rapporto del desiderio con quello che è vietato si
rivede qui: se non c’è desiderio senza divieto, non c’è desiderio senza colui
che vieta. Quindi la credenza nel padre morto e nel divieto in quello che è la
condizione del desiderio è questo a costituire l’impasse della psicoanalisi. Se
non c’è desiderio senza legge ci vuole un legislatore, è la prospettiva
dell’oggetto punto di mira del desiderio, vale a dire che il soggetto non sa
quello che vuole, vuole quello che gli viene proibito: è la prospettiva del
desiderio in avanti, l’oggetto verso il quale il desiderio si dirige. Lacan
aggiunge però in opposizione a questo, al mito originario supposto all’origine
del desiderio, la frase seguente: “Esso è
tuttavia secondario rispetto a una dimensione che dobbiamo affrontare qui
ovvero il rapporto con quell’oggetto essenziale che funge da a, la voce, e ciò che la sua funzione apporta,
come dimensioni nuove, nel rapporto del desiderio con l’angoscia”. La
formulazione di Lacan è molto chiara, tutta l’economia del desiderio di Freud è
secondaria rispetto all’oggetto a,
cioè l’oggetto punto di mira del desiderio che era ciò intorno a cui girava la
psicoanalisi fino a questo momento - l’oggetto
fallico, genitale, ecc. -, è secondario rispetto all’oggetto causa, l’oggetto causa di desiderio, che è prima
nell’economia del desiderio.
Concludo con
qualche elemento per raccogliere tutto ciò che ho detto.
L’oggetto
causa è il pezzo di corpo perduto attribuito all’Altro e costruito nel fantasma
sempre come qualcosa che mi è stato sottratto, che mi è stato rubato, quello
che ho perduto, quello che mi è stato strappato. Si vede bene che la posta in
gioco della psicoanalisi cambia e diviene così la traversata del fantasma, cioè
vedere lo schermo del fantasma come quello che vela la castrazione nel senso
della separazione da un pezzo di corpo; questo mostra una concezione completamente
diversa nell’esperienza psicoanalitica, che è quella di modellizzare la seduta
analitica sul cedimento, sulla cessione. Ogni seduta analitica deve essere una cessione di godimento, quindi per Lacan quello
che conta è che attraverso le cinque forme dell’oggetto a, di cui abbiamo parlato
oggi in modo superficiale, si estrae la matrice della cessione di godimento,
vale a dire che quello che Lacan mette come posta in gioca nella psicoanalisi è
che, seduta dopo seduta, l’analizzante produca un oggetto separato dal proprio
corpo. Evidentemente non è in ogni seduta che si produce una cessione
fondamentale, ma diventa comunque l’obiettivo di un’analisi. Non si ha più
quindi la prospettiva di un’analisi col punto di capitone, metafora,
significante finale, quindi un’analisi che porrebbe fine allo smarrimento del
soggetto nel circolo infinto dei significanti, ma si ha invece la proposta di
un altro punto di arresto, cioè di un'altra modalità di reperimento, che è
basata sulla cessione dell’oggetto. È per questo che Lacan può dire che questo
seminario è un seminario di rivivificazione del desiderio, perché il problema
della metafora è che una volta che si è metaforizzato non vive più.
Jacques-Alain
Miller fa un esempio nel suo corso “Clinica
lacaniana” dell’1981-82, un esempio che prende da Balzac, dal suo breve
racconto “Il colonello Chabert”. Il
colonello Chabert è considerato morto; caduto in una delle battaglie
napoleoniche, si trova sotto un mucchio di cadaveri, in una fossa comune. Qui
prende un braccio di un soldato morto riuscendo a dissotterrarsi ed emergere
dal mucchio di cadaveri. Poiché ha preso un colpo sulla testa, ha perso la
memoria ed è iscritto nel registro dell’esercito napoleonico - nel simbolico - come
morto. In tutto il seguito del racconto il colonello Chabert cerca di farsi
riconoscere come vivo. Nella prima scena del racconto vi è questo personaggio
che va dal notaio e la frase con cui si apre il racconto, detta dal segretario
del notaio, è: “ha ancora questo vecchio
cappotto”, una mantella da Sherlock Holmes. Questa mantella è il
significante che metaforizza il colonello Chabert, è il significante che
rappresenta il soggetto per un altro significante, il soggetto come morto. E la
soluzione attraverso la metafora è questo, è il farsi rappresentare da un significante
per un altro significante. Lacan scarta questa prima soluzione, quella di ritrovarsi
nell’infinito del significante, e dà l’oggetto a come altra soluzione, qualcosa che non si muove e che condensa un
godimento. Quindi vi è un resto reale che permette un orientamento del trattamento
analitico.
Secondo me, l’analisi
è la versione personale del Fort-Da,
perché questo dà l’accesso omeostatico alla catena significante, siamo abituati
a considerarlo così, a partire da Lacan, ma abbiamo una versione pulsionale del
Fort-Da, ed è che il soggetto va,
come spiega Miller, dal passaggio all’atto all’acting-out, vale a dire: mostro l’oggetto e mi separo dall’oggetto.
Per questo, l’atto è al centro del seminario sull’angoscia; il soggetto parte
dall’inibizione, e dall’acting-out al
passaggio all’atto arriva alla possibilità dell’atto. Gli atti che Lacan definisce
come analitici sono gli atti in cui il soggetto lascia le proprie coordinate
significanti per ritrovarne altre che non sono le stesse, così abbiamo
l’esempio che Lacan dà di Giulio Cesare, che prima di attraversare il Rubicone
è un generale dell’esercito romano, ma dopo la traversata non lo sarà più e non
sa quel che sarà, traditore forse o imperatore, e così è il soggetto che si
presenta alla passe, si presenta come analizzante e ne esce come analista delle
Ecole, oppure no, ma lascia quello che erano le sue coordinate simboliche per
delle altre.
La posta in
gioco quindi, del seminario X, è di riconfigurare l’esperienza analitica in
questi termini e il punto di capitone del seminario, anche se non nel senso di
metafora ma piuttosto di bussola diciamo, lo si trova a pagina 347: “è il mito personalista a declinare l’atto
nel campo della realizzazione soggettiva, eludendo la priorità propria qui dell’a. L’a
inaugura il campo della realizzazione del soggetto e vi conserva, pertanto, la
sua prerogativa, di modo che il soggetto come tale non si realizza se non in oggetti
che appartengono alla stessa serie di a, allo stesso luogo in questa matrice. Si
tratta sempre di oggetti cedibili, ovvero di quelle che da molto tempo si chiamano
“le opere”, con tutto il senso che tale termine ha, finanche nel campo della
teologia morale”.
Vediamo qui
come per Lacan il tragitto, il percorso di un’analisi, sia eccedere negli
oggetti che appartengono alla stessa serie di a, dello stesso ruolo e della stessa matrice. Questa è la frase che
giustifica quello che vi ho appena detto. Un’analisi è servirsi della matrice
che produce gli oggetti a per far sì
che il soggetto ceda sul proprio godimento e ne produca degli oggetti. Questo
indica come l’oggetto a, malgrado le
proprie radici naturaliste, non sia l’oggetto naturale. La separazione, la
sparizione degli organi dei corpi, è il modello che la psicoanalisi può
utilizzare per considerare che cos’è un’analisi quando non è nel registro del
significante. Si coglie così chiaramente quando Lacan indica il mito
personalista del pensare che si realizza se stessi: l’analisi non è diventare
quel che si è, è separarsi il più possibile dal proprio godimento.
Domande
A..Succetti: Volevo
chiedere se poteva sviluppare il fatto che nella doxa lacaniana lo psicotico ha
l’oggetto in tasca. Lo psicotico in analisi, anche se forse non si può chiamare
analisi, per il fatto che possa parlare, per il fatto stesso di poter parlare
all’Altro, cede qualcosa del proprio godimento, anche se il lavoro non è
certamente di fare tagli, ma di fare anellamenti.
V.Voruz: In
effetti si capisce meglio la frase di Lacan che lo psicotico ha l’oggetto in
tasca. Se l’oggetto non è caduto e non è stato collocato nell’Altro attraverso
il fantasma, l’oggetto è ancora lì. Quindi come operare con un soggetto
psicotico in analisi, se l’obiettivo è mirare alla cessione dell’oggetto, se
possibile? È per questo che l’analista
si fa carico di questo oggetto, perché lo scopo dell’oggetto a è di far esistere l'Altro come desiderante.
Evidentemente, il problema è che l’analista non sia troppo desiderante con un
soggetto psicotico, ma l’analista può tuttavia contenere l’oggetto, forse non
come oggetto prevalentemente desiderante, ma come involucro dell’oggetto. Potremmo
dire che il corpo dell’analista contiene l’oggetto che lo psicotico tende a
ricollocare nell’Altro, senza che questo lo minacci. Vale a dire che la non
cessione dell’oggetto a è ciò che fa
sì che lo psicotico sia desiderio dell’Altro, con tutti i problemi che questo
pone nel maneggiamento del transfert. Si può immaginare che mettere l’oggetto
nell’Altro sia qualcosa che dia sollievo: mettere le parole nell’Altro, mettere
lo sguardo nell’Altro, far si che l’analista funzioni occupando un posto dell’ideale,
contenendo la voce, ecc. Queste possono essere strategie che danno sollievo,
forse però non bisogna utilizzare la parola taglio,
ma la parola estrazione e, sia Freud,
sia Lacan, sia Miller dicono che bisogna orientare la cura dei nevrotici a
partire dalla cura degli psicotici. In entrami i casi quindi quello che è in
gioco è un’estrazione, perché alla fine dei conti il nevrotico si aggiusta
sempre in modo da ritrovare l’oggetto perduto. Questo è il fantasma, una
macchina infernale, la macchina infernale del nevrotico che è al tempo stesso
l’oggetto, il soggetto, lo sguardo preso in questo circuito infernale, dunque tutto
il problema del oggetto a, che non è
percepito come vuoto, è che è riempito dalle parvenze dell’oggetto a, gli oggetti orali, anali, che vengono
a riempire di godimento il vuoto supposto degli oggetti.
Trascrizione e revisione testo Alberto Tuccio
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