LO SCHEMA OTTICO E L’OGGETTO a, NEI CAPITOLI 3,4,6,7,9 E 10 DEL
SEMINARIO X L’ANGOSCIA
Buongiorno, vi ringrazio della presenza. Il tema che mi è stato proposto è
“L’oggetto a e lo schema ottico” nei capitoli 3,4,6,7,9 e 10 del
Seminario L’ Angoscia. Seguiremo questo filo che percorre la prima metà del
seminario, nelle parti dedicate a “La struttura dell’angoscia” e alla revisione
dello statuto dell’oggetto.
Nel leggere questi capitoli si può notare la grande varietà di temi e
riferimenti che Lacan percorre per mettere in moto il suo “laboratorio”: un
quadro degli affetti, una lettura critica della dialettica hegeliana, il
ritorno di Amleto ancora sulla scena, l’interrogare il fenomeno del perturbante
della mano attraverso Hoffman, la risorsa della topologia e una lunga serie di
fenomeni clinici come la depersonalizzazione, il lutto, l’acting out e il
passaggio all’atto. Infine, attraverso questi capitoli, lo schema ottico e lo
stadio dello specchio vengono rivisitati e riformulati.
Cercherò di estrarre la logica di questo movimento che ha un punto di
capitone, a pag. 47 dell’edizione in spagnolo, nel capitolo III, quando Lacan
afferma, a proposito della misteriosa identificazione di Amleto con Ofelia: “lo
statuto di oggetto del desiderio, […] ne convengo, non è ancora stato
precisato. Ed è proprio questo che si tratta di approfondire quest’anno,
affrontando l’angoscia” [Lacan, J. Il seminario X. pag. 42].
L’angoscia, come ci ricorda Miller, non è il vero obiettivo del seminario,
ma una via di accesso privilegiata per una nuova definizione dell’oggetto, una
via molto più certa di altre che ha seguito in precedenza. Questa via conduce
inoltre a una riformulazione dei concetti anteriori e in un certo senso alla
formulazione dello schema ottico. Lo dice appena inizia il seminario, in prima
pagina: “L’angoscia è precisamente il punto di incontro dove vi attende tutto
quello che è stato il mio discorso precedente. Vedrete come ora potranno
articolarsi tra loro un certo numero di termini che forse, sino a oggi, non vi
sono sembrati sufficientemente collegati” [Lacan, J. Il seminario X, pag 5].
Questo seminario è quindi un laboratorio nel quale Lacan utilizza l’angoscia
come un attrezzo per avanzare nella sua riconcettualizzazione dell’oggetto,
poiché Lacan cerca di formulare la dimensione reale, dello stesso, e darle un
nuovo statuto a partire della sua dimensione libidica, di godimento. Come
conseguenza, riesamina la castrazione, per approfondire lo statuto della
mancanza al di là dell’immaginario. Questo è il cuore concettuale.
Il principio della fenomenologia dell’oggetto angosciante, dell’oggetto che
causa l’angoscia, è la nozione che c’è sempre un certo vuoto che bisogna
preservare, incluso nel campo visivo e nell’amore – afferma J.-A. Miller nella
sua introduzione al seminario – e dal suo riempimento totale sorge la
perturbazione nella quale si manifesta l’angoscia. La fenomenologia dell’oggetto
angosciante parte dallo stadio dello specchio e Lacan la presenta a partire da
questi primi capitoli, dove dispiega le sue condizioni a partire da una nuova
nozione dell’oggetto a e di - phi.
Lungo il seminario, e specialmente in questi capitoli, lo schema ottico è oggetto
di una lenta decostruzione poiché Lacan cerca un nuovo statuto dell’oggetto al
di là dello speculare. Riformula tutto il campo del narcisismo scegliendo come
particolare via d’ingresso la revisione critica della dialettica del desiderio
hegeliano, il che produrrà an passant un modo di superarla
definitivamente. Come dice all’inizio del capitolo III, dopo la critica all’articolazione
hegeliana sviluppata nel capitolo precedente del desiderio: “si vorrebbe un’articolazione
più precisa tra lo stadio dello specchio e il significante […] l’angoscia ci
permetterà di ripassare per l’articolazione che mi è stata richiesta” [Lacan,
J. Il seminario X. pag. 33].
Nei primi due capitoli, Lacan costruisce la tabella degli affetti, nei
quali esplora i limiti del significante per analizzare lo statuto dell’angoscia.
Lacan cerca di catturare l’angoscia nelle reti del significante, cioè, di
situarla in un quadro concettuale. Questa tabella non riesce tuttavia a dirci
cosa sia l’angoscia. Ci dice sopratutto ciò che non è.
Pe analizzarla convenientemente in questi primi capitoli, Lacan torna ai
fondamenti del suo insegnamento anteriore e specialmente alla categoria del
desiderio. Mette in relazione così l’angoscia e il desiderio, come principio di
una lenta elaborazione e di una decostruzione che punta a separarle, una volta
trovate entrambe i loro posti precisi. Questo divide il seminario in due grandi
movimenti: nel primo, nel quale si situano i capitoli che riformulano lo schema
ottico, tenta di situare l’angoscia in relazione col desiderio e l’oggetto
angosciante. Nel secondo movimento, opera uno spostamento per situarla in
relazione col godimento reale e non più con il desiderio. L’angoscia appare
quindi come un mezzo per catturare il reale del godimento.
Al cuore stesso del secondo movimento del seminario, c’è un’articolazione
importante: all’inizio in questi capitoli, l’angoscia è causata dall’oggetto a,
c’è quindi un’anteriorità dell’oggetto in relazione con l’angoscia. Diciamo che
l’oggetto a è causa dell’angoscia, nel campo visivo è prevalente e il
fenomeno del perturbante è grande protagonista. Alla fine Lacan invertirà l’ordine:
l’angoscia diverrà produttrice dell’oggetto a e dirà che l’angoscia
designa “Das Ding”, termine precursore dell’oggetto a. L’angoscia è equivalente
alla Cosa, ma la Cosa non è equivalente all’oggetto a. C’è un’anteriorità
logica della Cosa rispetto all’oggetto a. La Cosa è una figura del
godimento che precede l’oggetto, il che situa l’angoscia come precedente l’oggetto
e, similmente, anche precedente l’io ancora non costituito. C’è una
sostanzialità dell’angoscia che trasforma il reale inconcepibile della Cosa in
un oggetto reale, logicamente concepibile. La sequenza sarà quindi
Cosa-angoscia-oggetto, o Godimento-angoscia-oggetto. L’angoscia è produttiva.
Successivamente Lacan accentua la differenza: la Cosa come il reale puro,
mentre l’oggetto a diviene sembiante del reale. Sono le due modalità della
lettura dell’angoscia come “segnale del reale”: segnale dell’oggetto nell’io o
segnale della Cosa. Sia come sia, segnale dell’oggetto o segnale della Cosa, l’angoscia
annuncia la mancanza originale costitutiva del soggetto. L’angoscia è ormai in
sé stessa una difesa contro il reale irrappresentabile. Non ci difendiamo della
difesa. Lacan insiste «La difesa non è contro l’angoscia, ma contro ciò di cui
l’angoscia è il segnale» [Lacan, J. Il seminario X, pag. 150]. In effetti,
l’angoscia è, cito, “La risposta al pericolo più originario, all’insormontabile
Hilflosigkeit, all’abbandono assoluto dell’ingresso nel mondo” [Lacan, J. Il
seminario X, pag. 149]. Di fronte a
quest’abbandono, l’angoscia è il male minore, è una risposta che attenua questa
esperienza dolorosa della mancanza originaria. Possiamo dire che manca la “mancanza”,
grazie all’azione difensiva dell’angoscia. L’angoscia è al tempo stesso segnale
e difesa, un modo di accomodare l’oggetto reale senza soffrire una disperazione
assoluta. Lo schema ottico nel capitolo X mette in risalto questa variazione
della concezione dell’angoscia.
Nell’ultimo capitolo del seminario Lacan torna al piano scopico ma già riformulato,
non appare lo schema ottico, la via che ha scelto per cogliere l’oggetto si è spogliata
del suo involucro immaginario e il ricorso allo schema ottico è caduto per
sempre.
APPROSSIMAZIONE HEGELIANA
Cercheremo ora di seguire il filo che ci porta dalla dialettica hegeliana
allo stadio dello specchio via l’angoscia.
Lacan si allontana da Hegel. Hegel, mediante la nozione di concetto, punta
a ridurre tutte le cose al significante, afferma che “il concetto è la Cosa”. Non c’è né resto reale, né mancanza irriducible. All’inizio del
seminario, Lacan prova qualcosa di simile quando sceglie come titolo al primo
capitolo “L’angoscia nella rete dei significanti”. Va a pescare il reale dell’angoscia
nella rete del significante, tramite il simbolico. Lacan tuttavia opta per
Kierkegaard rispetto all’universo hegeliano del concetto. Quando il filosofo
danese scrive Il concetto di angoscia, pone in realtà il “concetto di ciò
che fugge al concetto”. Il concetto è qualcosa di reale, inassimilabile in
termini razionali. C’è un resto non razionale, che sfugge a tutte le teorie. Ecco
perché l’angoscia non è riducibile a una dottrina scientifica.
Lacan indica che esistono due concezioni dell’angoscia nella dottrina
analitica classica. La prima: l’angoscia è un pericolo contro il quale dobbiamo
difenderci. In questo caso sarebbe un segnale che annuncia il ritorno del
rimosso. Possiamo chiederci perché il soggetto mobilizza «un segnale maggiore» per
prevenire un pericolo infinitamente più leggero – il ritorno del rimosso non è alla
fine così pericoloso come pare… Lacan infatti rifiuta questa versione: per lui
l’angoscia non è causata dalla rimozione o dal ritorno imminente del
significante. Freud stesso abbandona questo parere a partire da Inibizione,
sintomo e angoscia e propone la logica inversa: è l’angoscia che causa la
rimozione. Da qui sorge la domanda inedita: se non è il ritorno del rimosso,
cosa causa l’angoscia? Per Freud l’angoscia è sempre un’angoscia di castrazione
il cui agente è il padre edipico. In poche parole, la paura del padre che
proibisce il godimento. Lacan, rivede la castrazione e invalida la causa
edipica dell’angoscia.
All’inizio del seminario X Lacan concepisce l’angoscia come segno del
desiderio dell’Altro, che giustifica il titolo del capitolo II “L’angoscia,
segno del desiderio”. Partiamo dalla formula che Lacan prende da Hegel: “Il
desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro”. La formula permette di mettere
in relazione l’angoscia col desiderio: l’angoscia è segno – nell’io, afferma
Freud – del desiderio dell’Altro (vedi l’apologo della mantide religiosa). L’angoscia
sorge di fronte alla domanda: Cosa vuole l’Altro quando mi guarda con
insistenza? Cosa vuole da me? Qual è il suo desiderio? Quest’apologo fa sorgere
l’inquietante dimensione del desiderio all’introdurre un’alterità radicale, che
non mi permette di riconoscermi, nel quale l’identificazione fa emergere l’incognita
dell’oggetto che sono per l’Altro. Vediamo qui un tentativo di fondare l’angoscia
a partire dall’enigma del desiderio attribuito all’Altro. Questo desiderio
enigmatico implica un’inquietante stranezza, nelle parole di Freud, e introduce
il fenomeno del perturbante, nella misura in cui fa emergere la dimensione dell’oggetto
enigmatico, oggetto che emerge della commozione dell’identificazione: chi sono…cosa
sono?
L’uomo, puntando a un oggetto, passa prima da un desiderio di desiderio, fa
del desiderio un suo oggetto. Il soggetto cerca prima di tutto, al di là dell’oggetto,
un desiderio, qualche Altro che desideri. La logica isterica insegna molto a
riguardo: sono un soggetto desiderante se passo dall’Altro desiderante. In
termini lacaniani, sono in posizione di soggetto diviso dalla mancanza, se
passo dall’Altro affetto anche lui dalla mancanza, A barrato. Ciò spiega la
necessaria dipendenza del soggetto in relazione all’Altro.
L’Altro senso della formula hegeliana, è il seguente: io desidero l’oggetto
che l’Altro desidera. Quell’oggetto forse non aveva molta importanza per me, ma
ora mi interessa perché l’Altro lo desidera. Questo fa parte della logica dell’ossessivo,
che comincia a desiderare ancora sua moglie se capta che l’Altro uomo s’interessa
a lei, oppure se lui stesso si interessa alla donna di un altro. Non è la
posizione desiderante dell’Altro ciò che conta, non è un desiderio di
desiderio, ma l’oggetto del desiderio che mette in moto il proprio. Attraverso
l’Altro, io incontro un oggetto che aggancia il mio desiderio, un oggetto a.
Si tratta qui di un oggetto del desiderio catturato nel mio fantasma, e che non
è, ovviamente, l’oggetto reale che causa il mio desiderio.
In Sovversione del Soggetto, testo contemporaneo a questo seminario,
Lacan fa un’inversione: la dialettica diviene un avatar dell’asse immaginario,
con tutte le conseguenze possibili in termini di rivalità e aggressività. Nell’asse
immaginario, in effetti, l’altro è un simile, vuol dire che è catturato dagli
effetti dello stadio dello specchio. Lo speculare rimane nel cuore della
dialettica hegeliana, trionfo dell’immaginario, ma è un immaginario carico di
libido.
Alla fine del capitolo II, Lacan fa un passo in più. Troviamo lì una
tabella che racchiude in forma schematica il risultato della critica alla
concezione hegeliana del desiderio, e che mette in questione lo statuto dell’oggetto
del desiderio come concepito fino a quel momento, come un oggetto equivalente
alla sua immagine significantizzata. Diciamo che Lacan comincia a estrarre, a
separare e a differenziare la dimensione del godimento dell’asse immaginario. Questo
schema a p.43 presenta l’alienazione del soggetto nel campo dell’Altro come
risultato che produce il soggetto diviso dal significante – dato che gli manca
l’essere e la sua rappresentazione dipende dai significanti dell’Altro – e un
Altro anche lui barrato, poiché manca del significante che permetterà al
soggetto di nominare e colmare il suo essere. Quest’Altro risulta inoltre
inaccessibile o, almeno, direttamente inaccessibile.
Abbiamo un resto da questa divisione, l’a, che è la parte dell’essere
del soggetto che l’Altro non riesce a designare in termini significanti. Quell’a
non entra nella contabilità significante! È il motivo della furia valutativa
che vorrebbe ridurla al significante! È anche il segno del fallimento della via
hegeliana, di qualsiasi progetto di sapere assoluto, poiché è irreducibile all’ordine
simbolico.
Il “resto” del processo d’iscrizione nell’Altro è la parte non
rappresentabile del mio essere, la parte di cui non riesco ad appropriarmi, la
parte inconcepibile che non dà posto a nessun’identificazione. Se non c’è identificazione
significante per quel resto, informe, ciò vuol dire che quella parte di me
stesso non è specularizzabile e che sfugge all’immagine. Abbiamo quindi un
oggetto al di là dell’immagine e che tuttavia è una parte del mio essere. È un
anticipo di ciò che l’anno seguente chiamerà operazione di separazione.
Questa concezione dell’oggetto implica una conseguenza:
IL FANTASMA
Il soggetto si cerca nell’Altro e cosa trova? Un significante per
identificarsi – che produce $ – e un resto non identificabile, l’a. Quel
resto, eterogeneo al significante, è alloggiato nell’Altro nello schema di pag.
43, cioè, a sinistra, così come il soggetto barrato. I due sono il frutto del
passaggio dall’Altro, il che vuol dire che gli ingredienti del fantasma, $ e a,
fantasma tramite il quale sostengo il mio desiderio, sono situati dal lato dell’Altro.
L’oggetto alloggiato nell’Altro è una proprietà che concerne il soggetto
nevrotico, che preferisce percepire l’oggetto nell’Altro. Quest’Altro è chi
regge lo specchio piatto grazie al quale il soggetto riesce a percepire
qualcosa di sé stesso e dei suoi oggetti. Ma ciò che percepisce è un riflesso,
un’immagine scritta i´(a), un’immagine virtuale dell’immagine
narcisista, reale. Ecco perché situa l’oggetto a nell’Altro equivale a
un uso fallace dell’oggetto. L’oggetto che costruisce Lacan nel seminario X non
è l’oggetto desiderabile percepito nello specchio che sostiene l’Altro. È un
oggetto che non è visibile perché non appare nel campo speculare inquadrato
dall’Altro. La causa del desiderio, a, non è l’oggetto desiderato. Non
bisogna confonderli. L’oggetto desiderato è l’agalma che brilla con splendore.
L’oggetto causa è, al contrario, del lato dello scarto … ciò che causa il mio
desiderio – rimosso – è uno scarto del quale non voglio sapere nulla e che non è
nemmeno visibile.
Così lo formula Lacan nel capitolo VIII La causa del desiderio: “Oggi
vorrei riuscire a dirvi un certo numero di cose su quello che vi ho insegnato a
designare come oggetto a, verso il quale vi orienta l’aforisma da me
promosso la volta scorsa a proposito dell’angoscia, e cioè che essa non è senza
oggetto. L’oggetto a si pone al centro del nostro discorso. Se s’iscrive
nella cornice di un seminario che ho intitolato L’angoscia, è perché è essenzialmente
per questa via che è possibile parlarne. Il che vuol dire anche che l’angoscia è
la sua sola traduzione soggettiva. La lettera a che interviene qui è stata
introdotta da molto tempo. Si è annunciata nella formula del fantasma in quanto
supporto del desiderio, ($◊a), $ desiderio di a.” [Lacan, J. Seminario X, pag.
109]. Successivamente, nella pagina seguente, Lacan differenza l’oggetto del
desiderio che si situa “davanti” al soggetto, dall’oggetto causa, che non
partecipa dell’intenzionalità del soggetto, e che situa “dietro”, invisibile
per il soggetto.
Isolare la causa in un’analisi implica estrarre del campo dell’Altro l’oggetto
che il mio fantasma ha scelto come desiderabile. Si tratta di fare l’esperienza
di quell’oggetto nell’analisi, il che non è possibile senza la messa in gioco
nel transfert. In questo modo, l’analisi riduce il fantasma all’esperienza
della pulsione, cioè, all’esperienza di un oggetto pulsionale che ha una
relazione stretta con l’oggetto a. Quell’estrazione dell’oggetto a
del campo dell’Altro è il tempo essenziale della passe in una cura ed è il
momento di concludere. Un ottimo esempio è la passe di Patrick Monribot.
LO SCHEMA OTTICO
Ciò che ha portato Lacan allo stadio dello specchio nell’anno 1946 è stato
il concetto freudiano di narcisismo, da dove apprende che la libido era di
natura narcisista, iscrivendo così il godimento nell’ordine speculare. Il
risultato è stato che la pulsione è stata messa come dipendente dall’immagine,
sotto un principio di simmetria e reciprocità, a-a´, che indica la
trasfusione e commutazioni della libido narcisista rispetto all’oggetto e
viceversa. La libido circola così del narcisismo dall’io all’oggetto. È ciò che
giustifica la presenza della dialettica del desiderio hegeliana nello schema.
Questa presa della libido da parte dell’immagine, è sottoposta all’ordine
simbolico, che Lacan introduce nello schema, ordine simbolico incarnato dall’Altro,
rappresentato dallo specchio piatto, e dal quale dipendono le identificazioni
del soggetto. Negli anni seguenti, Lacan ha reso più complesso questo schema,
fino a culminare nella versione della pag. 44, prima del primo schema
semplificato.
In questi capitoli si succedono varie versioni diverse dello schema ottico,
versioni più semplici. La grande novità di questi schemi è l’introduzione, nel
primo schema semplificato, del non specularizzabile, indicato con due matemi: -phi
(è la prima volta che Lacan lo introduce nello schema ottico) e a (che
per la prima volta non riflette la sua immagine virtuale, a´). È come se
la presenza invisibile del reale nello schema immaginario avesse come effetto
lo svuotamento, la semplificazione progressiva, fino alla sparizione del suo
insegnamento. Siamo alla fine di questa via speculare per abbordare l’oggetto,
che apre ad altre risorse, come la topologia o la logica con i diagrammi di
Venn.
Vediamo nella parte sinistra dello schema il corpo. Questo corpo è scomposto
tra i fiori, che rappresentano l’oggetto
parziale a e l’immagine della forma del corpo, riflessa nello spazio
reale sullo specchio sferico, che produce un’immagine che Lacan denomina “immagine
reale” i(a). Questa immagine è investita dalla libido narcisista del
corpo, ed è la matrice dell’io la cui immagine appare riflessa nell’Altro, come
i´(a). Nello schema 2 che si trova in Nota sulla relazione di D.
Lagache: Psicoanalisi e struttura della personalità, abbiamo i
fiori-oggetto a sul cassetto, e il vaso-realtà del corpo, sotto lo
stesso, per segnalare il poco acceso che abbiamo a lui, la sua “oscura presenza”.
Se prendiamo ora lo schema semplificato di pag. 44, vediamo che Lacan ci
scrive a (ritirando il disegno dei fiori dello schema) e scrive anche -
phi. Dopo scrive lo specchio dell’Altro, l’Altro come specchio, l’Altro che
convalida le immagini narcisistiche, ma non scrive più a´ nel lato
destro dello specchio piatto, perché l’oggetto a non è specularizzabile.
Lacan insiste nel gesto del bambino piccolo che si gira verso l’Altro per
vedere se guarda l’immagine. Se la valorizza, in modo che l’acceso alla sua
immagine non passa solo attraverso l’immagine reale ma attraverso lo specchio
dell’Altro, che produce l’immagine virtuale, ideale, dell’immagine reale: i´(a)
di i(a). E aggiunge - phi senza spiegare nulla. È la prima volta che
introduce nello schema - phi.
Cos’è questo - phi? Freud lo prende come mancanza del pene materno,
cioè, dall’immagine anatomica. Ma Lacan non abborda il - phi a quel
livello, che è quello dell’immagine, ma a partire dalla libido e dà una
definizione libidica. “Non tutto l’investimento libidico passa attraverso l’immagine
speculare. C’è un resto. [...] In tutto quello che è localizzazione
immaginaria, il fallo si presenterà sotto forma di una mancanza. Nella misura
in cui si realizza qui, in i(a), quella che ho chiamato l’immagine reale
– immagine del corpo che funziona, del materiale del soggetto, come
propriamente immaginaria, cioè libidinizzata – il fallo appare in meno, come
uno spazio bianco. Sebbene il fallo sia indubbiamente una riserva operativa,
non solo non è rappresentato a livello immaginario” [Lacan, L. Seminario X,
pag. 44]. Abbiamo il - phi riferito a una riserva libidica e dall’altro
lato, una mancanza nell’immagine.
Da Altro lato, cos’è quell’a del quale Lacan afferma che non appare
nell’immagine? Dobbiamo vedercela con qualcosa che non ha forma. Quando Lacan
introduce lo speculare, introduce la forma, l’immagine della forma del corpo,
ma ciò lascia mascherato ciò che è investito in questa forma. L’investitura
libidica è in realtà quella che apporta all’immagine il suo peso e la sua
importanza per il soggetto. Quindi, in fondo, i(a) scrive la forma più che
il quantum di affetti, il quantum di libido – termine freudiano. La relazione
speculare non è una relazione con la forma, ma con una forma libidicizzata.
Lacan spiega che l’immagine reale funziona nell’aspetto materiale del
soggetto come propriamente immaginaria, vuol dire, libidicizzata. La forma non
fa per sé stessa l’immaginario. Ecco perché si tratta di un’erotologia.
Evidentemente, non c’è immagine dell’investitura libidica. Cos’è un’investitura
libidica? È una forma che interessa, che accattiva, eccita…ma quella dimensione
non si vede nell’immagine! In questo senso, quando Lacan parla delle relazioni
speculari, si tratta di “i”, l’immagine, più a, ascrivendo quel
quantum d’investimento. Ma a non si vede come tale.
L’immagine speculare non è più che parziale dell’ordine del visibile,
diviene visibile dalla sua investitura stessa. Quindi, a scrive una
mancanza: ciò che non vedo nell’immagine e che non appare neanche nell’immagine
virtuale.
Ma ora c’è una nuova portata del - phi, dal momento che Lacan fa del
- phi la “riserva libidica”. Non si tratta più della perdita vitale né dell’operazione
della perdita, ma della perdita di rappresentazione, di visibilità, del
godimento autoerotico, “benché legata a un organo” [Lacan J. Seminario X, pag.
44] che permane nel corpo ed è suscettibile di “entrare in azione per la
soddisfazione del desiderio” [Lacan J. Seminario X, pag. 45]. Vediamo qui uno
scivolamento verso un privilegio del godimento come primo tempo nella costituzione
del desiderio.
Ciò che rende veramente complesso e difficile analizzare - phi in
questo seminario è il fatto che quando Lacan scrive - phi, pare
riassumere l’insieme di ciò che produce la meccanica complessa della mancanza d’oggetto,
precisamente per apportare il contrario della mancanza, o della perdita, a
sapere, sua presenza lì dove non lo si afferra. A loro volta, in vari momenti
Lacan utilizza - phi per
segnalare la dimensione del fallo come l’oggetto immaginario, nel vecchio uso della
castrazione, o per indicare il movimento stesso della perdita e lo spostamento
del godimento. Infine, bisogna armarsi di pazienza e seguire i dettagli della
sua articolazione ogni volta, perché non c’è un senso univoco di questo
concetto.
Miller segnala che lungo il seminario si accentua lo statuto reale del
fallo. Il - phi diviene un fallo de-significantizzato e de-immaginarizzato,
punta al pene reale, al fallo organo: si tratta dell’eccitazione del pene del
piccolo Hans, all’origine della sua angoscia. È la fobia che l’angoscia non
riesce a risolvere, con quella macchia sulla bocca del cavallo che dà conto
dell’oggetto a…
Il fallo appare come un meno, come uno spazio bianco, perché punta a quella
riserva operatoria, tema che Lacan aveva già accennato in Sovversione del
soggetto.
In fondo, la prima investitura speculare dell’immagine lascia una parte nel
lato dell’essere, del lato del soggetto: non tutto può essere investito nell’immagine,
c’è un resto d’investitura libidica, una riserva. Questo è un punto essenziale
per analizzare ciò che chiama la castrazione immaginaria: Lacan dice che si
tratta della relazione tra - phi e la costituzione di a. “Da un lato, la
riserva inafferrabile immaginariamente, benché legata a un organo che invece è ancora,
grazie a Dio, perfettamente afferrabile: questo strumento che comunque dovrà di
tanto in tanto entrare in azione per la soddisfazione del desiderio, il fallo.
Dall’altro a, che è in quel resto, quel residuo, quell’oggetto il cui
statuto sfugge allo statuto di oggetto derivato dall’immagine speculare, ossia
sfugge alle leggi dell’estetica trascendentale” [Lacan, J. Seminario X, pag 45].
Quindi, - phi significa due cose: la parte della libido che non
passa dall’immagine e che resta in riserva per spostarsi all’immagine e anche
il fatto che quella mancanza, quella parte di libido, quella riserva
strumentale separata dall’immagine, non appare nel campo dell’immagine. Non si
tratta quindi della privazione della madre. Il fallo che manca all’immagine non
ha specificità maschile né femminile.
Nel mondo delle immagini libidiche non abbiamo accesso all’immagine reale,
ma all’immagine virtuale. Le immagini reali sono una costruzione di Lacan, alla
quale si può accedere dallo specchio. Dice Lacan, pag. 51: “Ho scritto in alto
(- phi) perché dovremmo portarlo lì, la prossima volta. Meno phi
non è più visibile, più sensibile, più presentificabile lì di quanto lo sia
qui, sotto i(a), dato che non è entrato nell’immaginario” [Lacan, J. Seminario
X, pag. 45].
Trascrizione testo e ricerca citazioni nell’edizione italiana: Florencia
Medici.
Redazione testo: Alberto Tuccio
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