Presentazione di Marco Focchi
Quest’anno stiamo lavorando sul testo Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio. Presentando il piano generale di questo testo, Jean-Louis Gault aveva particolarmente insistito sulla contrapposizione tra dialettica e struttura. Sullo sfondo vi è il dibattito culturale all’epoca di questo scritto, ad esempio la critica mossa da Levi-Strauss a Critica della ragion dialettica di Sartre, dove la struttura emerge come uno strumento critico e di contrasto rispetto alla dialettica. E questo sposterà i termini di riferimento all’interno della riflessione di Lacan. All’inizio, nell’insegnamento di Lacan, c’è un riferimento importante alla dialettica, ai temi hegeliani: il soggetto è pensato nell’intersoggettività e nell’esigenza di un riconoscimento da parte dell’Altro. La struttura, come la leggevano gli strutturalisti, non implicava una nozione di soggetto. Era una visione positiva, oggettivante. Invece, Lacan mantiene una funzione del soggetto, pur valorizzando la struttura. Nello scritto che abbiamo ad oggetto si parla di “dialettica del desiderio” e non di “dialettica soggettiva”, è quindi uno scritto-frontiera che sposta la dialettica del soggetto all’interno dell’intersoggettività sulla dialettica del desiderio. Se ad un certo punto Lacan fa cadere la nozione di intersoggettività, soprattutto nel Seminario Il transfert, non fa cadere la dialettica del desiderio, il desiderio resta all’interno di una definizione dove il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro. Si pone il problema di articolare la struttura e il soggetto in una nuova definizione.
Gault, nel precedente incontro, ha messo in risalto la connessione tra il testo che stiamo lavorando quest’anno con un altro scritto di Lacan, Posizione dell’inconscio, dove questo tema è particolarmente sviluppato.
La ridefinizione del soggetto comincia ad emergere nel Seminario VI, il seminario più vicino al testo oggetto di quest’anno. Nelle prime lezioni del Seminario VI Lacan prende in riferimento La trascendenza dell’Ego di Sartre, testo dove Sartre critica la nozione di Ego trascendentale e definisce un campo della coscienza che non ha bisogno di un Io unificatore. Quest’aspetto è ripreso da Lacan: lo ritroviamo nella critica alla psicologia in Posizione dell’inconscio. Quello che interessa Lacan è la critica che separa la coscienza dal soggetto, che ritroviamo già presente nel Seminario VI e che sviluppa in questo scritto relativamente alla differenza tra il soggetto dell’enunciato e il soggetto dell’enunciazione, ciò che mette in luce la divisione soggettiva.
Ad iniziare la lettura dettagliata di questo testo abbiamo oggi Antonio Di Ciaccia, presidente dell’Istituto freudiano e fondatore dell’Antenna 110.
Relazione di Antonio Di Ciaccia
Quando mi era stata indicata la possibilità per questo incontro in un primo tempo avevo pensato di no. Mi domandavo: perché? La lettura permanente che ho, dal 1987, con i testi di Lacan, mi ha dato una specie di sensibilità... a parte il ricordo personale che avevo con lui. Avevo soprattutto sperimentato sotto angoscia. Io ero angosciato e gli avevo spiegato le mie ragioni. C’era qualcosa della trasmissione che passava nel testo di Lacan. Lui stesso era angosciato. Però quest’angoscia Lacan non la mostra. I suoi sentimenti, le sue finezze, le lascia sotto traccia... ed è uno dei problemi della traduzione. Non si vedono, tranne quando è ironico, sardonico. Altrimenti sono appena delle sfumature, che le traduzioni precedenti avevano completamente barrato. Ho cercato di rimetterle in moto, quindi a volte le ritroverete.
Mi sono domandato perché avevo un’avversione per il testo Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio. È uno dei tre testi fondamentali degli Scritti. Direzione della cura presenta come si dirige la cura. Questione preliminare non è soltanto sulla psicosi, consiglierei a tutti gli allievi di imparare a memoria la terza parte: lì avete il cinquanta per cento del Lacan “classico”. Sovversione del soggetto è una resa dei conti con Hegel.
Il motivo per cui avevo avversione verso Sovversione del soggetto mi si è rivelato così: Lacan fa fuori Hegel con Hegel, cioè utilizza la stessa arma di Hegel contro Hegel. Di solito non fa così. Fa fuori De Clarembeau con Jaspers. Fa fuori Jaspers con Hegel. Tiene sempre all’orizzonte la posizione di Freud e, alla fine, fa fuori Freud con Lacan. L’ultimissimo Lacan, è Lacan che fa fuori Lacan.
In questo scritto, la mia lettura è che Lacan utilizza lo strumento di Hegel per fare fuori Hegel. Ad esempio, a p. 809, lo dice in questo modo: «Per dirla con Hegel e contro di lui».
Quali sono i due versanti in cui Lacan cerca di far fuori Hegel? Il primo è il soggetto.
Il soggetto hegeliano non può corrispondere con il soggetto freudiano. Il concetto di soggetto hegeliano arriva all’uomo con “i baffetti”, come lo chiama Lacan altrove. Il soggetto freudiano porta al soggetto barrato ($). Sono due strade separate. Il punto di snodo è sul rapporto tra “verità” e “sapere”. In Hegel la verità e il sapere si congiungono: «La verità […] in se stessa non essendo altro che ciò che manca alla realizzazione del sapere» (p. 800). Questo porta al sapere assoluto, Selbstbewusstsein, l’essere cosciente di sé... che è dove va tutta la filosofia. Mi direte: ma questa verità, che è una verità totale, diventa una verità totale con il sapere. Questo è ciò che Lacan dice non aver niente a che fare con l’inconscio. È contro questo che Lacan si erge. E la verità rivelata? Lacan delimita la verità rivelata a qualcosa che non viene a completare il sapere, non è quello che manca alla realizzazione del sapere. Con la lettura di Hegel, “verità” va a una completezza con il sapere, pericolosa per l’essere umano. La verità rivelata va a una parzialità che concerne alcune persone. La verità, come la intende Lacan, è in opposizione rispetto al sapere. Il sapere è dell’ordine della struttura, la verità è dell’ordine della verità che mente. Lacan fa uno spostamento: dalla correlazione che ha la verità con la cosa (la definizione di San Tommaso d’Aquino, Adaequatio rei et intellectus), a un’adeguazione della verità con la parola. È la parola che viene presa come punto di riferimento, non più la realtà. Questa è la prima operazione di Lacan, ma non è l’operazione di fondo di questo scritto.
La tesi esplosiva è sulla dialettica del desiderio. Lacan legge in due modi “il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro”.
Sul versante hegeliano, quello che si trova al primo piano del grafo del desiderio, l’Altro è un Altro dell’interlocuzione: la madre, l’altro che risponde, colui che vi riconosce... Questo non porta al vero e proprio desiderio, ma a nient’altro che un’identificazione. Il vostro “desiderio è il desiderio dell’Altro” è sul modo banale del corrente motore della normalità, dell’identificazione, per esempio uno diventa medico perché il padre è medico.
Fermarsi a questo livello vuol dire che la psicoanalisi non è altro che un rivestimento, una ripetizione, di quello che tutto sommato la filosofia diceva da tempo.
Lacan è obbligato a passare a un altro livello. Lo fa tramite il significante, cioè l’Altro. L’Altro del significante però lo trasforma un po’, perché identifica l’insieme dei significanti che riguardano il soggetto come ciò che è dell’ordine della pulsione, a cui corrisponde s(Ⱥ) nel grafo, ovvero manca un significante nell’Altro. Su questo schema (p. 820) Lacan fa una specie di parallelismo, nella parte bassa, dove si può leggere “il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro”: m da una parte e i(a) dall’altra: è la forma identificatoria. Questo viene a causa del fatto che, come cappello di questo passaggio, c’è da una parte A, l’Altro, e il messaggio inviato al soggetto, s(A). A questo livello si ferma lo psicotico. Questo Altro preliminare è sufficiente per lo psicotico. In realtà, se devo dire quel che penso, questo Altro preliminare è il funzionamento normale dell’identificazione.
Evidentemente, se c’è psicoanalisi questo non è sufficiente. Come si fa a passare al piano superiore? In modo parallelo a m-i(a) che è sotto, il piano superiore parte da d, c’è desiderio, che ritrovate sulla destra, e sulla sinistra vi è la scrittura del fantasma, $◊a, una scrittura ancora immaginaria (le scritture immaginarie di Lacan sono sempre in corsivo). “Il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro” non è più sul versante di prima. L’oggetto a non ha l’Altro nello specchio, non c’è identificazione. Questo Altro non è più dell’ordine di un Altro concreto, bensì quello che nel Seminario V Lacan chiama l’“Altro astratto”, l’insieme dei significanti, e fa riferimento all’Altro della teoria dei giochi. È a questo livello che c’è qualcosa di mancante rispetto all’Altro. Mentre l’identificazione immaginaria, del livello inferiore, è completa, in quello di sopra c’è qualcosa che viene a mancare. Il “desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro” se lo si prende sul versante destro, con il d, “dall’altro” diventa la struttura del fantasma. È lì che Lacan, in un modo un po’ spregiudicato, ma sufficientemente nascosto, utilizza l’arma di Hegel contro Hegel. Finora sosteneva: “Hegel dice: il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro”, è il piano identificatorio, l’Altro che vuol essere riconosciuto. Per Freud non è così. In analisi non è così.
“Il desiderio dell’uomo è desiderio dell’Altro” non è più a livello di riconoscimento. Miller dice una frase ambigua: “perché l’Altro vorrebbe essere interpretato”. C’è bisogno di qualcosa che è dell’ordine dell’analisi.
Com’è che Lacan giustifica il passaggio dal primo piano al secondo? Se non si passa al secondo piano la psicoanalisi è inutile. La filosofia, la saggezza... sono sufficienti. Il piano di Freud è quello di sopra. Lacan è guidato da Freud e, in effetti, fa riferimento a Freud per assicurare la certezza di poter stare su questo piano superiore.
Come è che Lacan compie il passaggio da “il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro” hegeliano a quello freudiano? Dov’è l’operatore logico che permette il passaggio? È il padre morto (p. 813 e p. 815). La nostra doxa è il padre morto. Il padre morto è il padre simbolico. Lacan passa a questo livello senza giustificarlo, se non con un sogno di Freud. Per compiere il passaggio dal “desiderio dell’uomo hegeliano” al “desiderio dell’Altro freudiano” Lacan utilizza come operatore logico “il simbolo è l’uccisione della Cosa”. “Il simbolo è l’uccisione della Cosa” è uno schema di fondo che Lacan utilizza sempre, che rivela una sola volta ne La significazione del fallo. La chiave passepartout che Lacan ha in tasca, con cui apre più porte, anche in questo testo. Hegel dice “il simbolo è l’uccisione della Cosa” e Lacan utilizza questa chiave hegeliana per smontare tutta l’articolazione di Hegel. A p. 813 si trova: «il simbolico domina l’immaginario». Qual è l’operatore che porta a questa affermazione? Se a livello di quello che chiamerà all’epoca “immaginario”, che comporta già anche il reale, si mette “das Ding”, l’uccisione di das Ding dà il significante tramite l’aufhebung hegeliano. La parola chiave per far capire che è su questa lunghezza d’onda è il termine “mort”, ovvero “uccisione”. Si legge: «ed in questo ci si può domandare se non sia proprio l’uccisione ad essere il Padrone assoluto». Con questa frase Lacan mostra che utilizza la chiave di Hegel. In effetti, tre righe dopo, dice: «si tratta di sapere quale morte».
Lacan l’utilizza questo schema nel passaggio dal “bisogno” che, barrato, diviene “domanda”, il bisogno deve essere messo in catena significante. Prendendo lo stesso schema: il bisogno passando dalla aufhebung, che è allo stesso tempo “cancellazione” ed “elevazione” al livello della domanda, dà come risultato il desiderio (p. 807). Lacan compie tale operazione anche con i primi due grafi. Nel primo grafo (p. 807), all’inizio, c’è una specie di D da una parte e $ dall’altra. Nel grafo seguente (p. 810), $ è spostato sulla destra, non è più sulla sinistra. C’è uno spostamento. Lacan cambia il grafo. Il primo grafo è il grafo del bisogno. Il grafo del bisogno viene barrato quando è messo in catena significante. Lo schema di fondo è: das Ding viene barrato e diventa il simbolico. Sotto c’è il bisogno che viene barrato, diviene domanda, e all’epoca dirà che ritorna come desiderio. In questo caso, il desiderio è dell’ordine del significato, mentre qualche anno dopo sarà dell’ordine del significante.
Chi c’è qui sotto? Si potrebbe dire: l’essere umano nella sua materialità, che non esiste perché venendo al mondo è già nell’ordine del linguaggio. Quello che supponiamo entrare nella catena significante ritorna, ed è l’essere umano come soggetto, come “mancante di…”. Anche nel testo, si nota che Lacan, forse per dare una mano ai cattolici e ai protestanti, dice che ha a che fare con qualcosa del peccato originale. Il peccato originale è al livello di “qualcosa che manca”, a un livello completamente mitico. Non manca di niente, però messo nella catena significante viene a mancare. Quando Lacan dice “significato” vuol dire il soggetto umano.
Il grafo di p. 807 si trova a livello del bisogno, mentre quello a p. 810 si trova a livello del desiderio: la chiave passepartout che Lacan utilizza è lo schema hegeliano de “il simbolico è l’uccisione della cosa”.
Lacan fa fuori Hegel tramite la meccanica hegeliana stessa... senza dirlo ad alta voce perché questa conferenza è stata pronunciata davanti a un pubblico di filosofi... non veramente molto gentili con lui, in particolare Jean Wahl, come fa notare con una piccola nota.
È esattamente questa chiave che permette a Lacan di leggere il mito di Freud. Lacan afferma che c’è un solo mito moderno: quello di Totem e tabù. Lacan dice che il padre primitivo è esistito nella logica, ma mai esistito nella realtà, lo sposta.
Il passaggio da “il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro” di Hegel a Freud lo si trova alle pp. 816-817.
Alla p. 818 abbiamo il, chiamiamolo così, “grafo del pescatore”. Lacan dice: «di quale bottiglia questo è il cavatappi?». Il “Che vuoi?” è in italiano perché Lacan lo riprende dal testo di Cazotte Il diavolo innamorato che è in italiano. Come ha notato giustamente Bassols, non è tanto il “che vuoi da me?”, ma è “che mi vuole lui?”, o meglio “che vuole?”, cioè non soltanto “io sono agente” di qualcosa rispetto al volere dell’Altro, ma “io sono oggetto”.
In questo caso, l’Altro è a livello della pulsione, pulsione che si presenta come una domanda del soggetto ma che non controlla.
Lacan situa da una parte A, l’altro concreto, dall’altra parte l’Altro, l’Altro a livello analitico, l’Altro nostro di ognuno di noi, tutto ciò che è dell’ordine della pulsione e che metteremo in domanda. Compongono il nostro Altro l’insieme dei nostri significanti. Vi è disgiunzione tra l’Altro concreto, padre, madre..., e l’Altro che è l’insieme dei significanti che ci hanno determinato: questi ultimi ci mettono in difficoltà, non son più il padre e la madre.
Quale posizione occuperà l’analista? Per esempio, una delle cose da evitare, anche se i vostri pazienti vi mettono in quel luogo, è di farsi identificare con il padre e la madre, loro hanno il diritto di farlo, ma voi avete il dovere di spostarvi. Il che vuol dire arrivare a far capire che l’Altro per il soggetto è l’insieme dei significanti che lo hanno determinato sin da bambino, che, per esempio, il padre gli ha dato uno schiaffo senza volerlo, o la madre ha avuto una relazione volendolo, e lui, bambino, era lì con gli occhioni a vedere questo. Tutto questo è dell’ordine dell’Altro del soggetto. La posizione dell’analista è complicata proprio per questo, deve incarnare qualcosa che non ha nulla a che fare con il suo essere incarnato nei suoi significanti. L’analisi didattica è arrivare ad avere un desiderio deciso senza fantasma. Nell’ultima parte della sua vita, Lacan ripeteva: “tutte le volte mi chiedo io che ci sto a fare in un’analisi”, proprio perché c’è questa disgiunzione.
Relativamente al grafo (p. 819), quando si chiude la via immaginaria, quella del primo piano, m-i(a), si apre la via simbolica, quella del livello di sopra. I due piani li avrei messi uno dietro l’altro. “Il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro” copre quello che c’è dietro, tant’è vero che quando si inizia un’analisi si comincia inveendo contro i genitori, ci vuole un po’ di tempo per capire che loro ci stanno come i cavoli a merenda, e del resto l’esperienza analitica è che ognuno in analisi è in posizione femminile. Quindi ci si corica sul divano ci si occupa unicamente dei propri genitori, al soggetto dei figli gli importa molto meno.
In questo testo Lacan dice che la causa del fantasma è il significante, qualche anno dopo dirà che è l’oggetto. C’è una mancanza che è costitutiva, e che è indicata con s(Ⱥ), Lacan l’ha indicato come il punto estremo della femminilità. Nonostante Lacan dica che le donne abbiano un accesso più facile a ciò, non è detto che il mistero sia per loro risolto. Lacan lo indica come un significante mancante. È la castrazione. Per avere un desiderio soggettivato, in un certo qual modo “normalizzato”, bisogna passare per la castrazione. Solo la castrazione permette questo accesso. Quindi, al posto di “il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro” bisogna dire “il desiderio dell’uomo è il desiderio di quella costruzione dei significanti che permettono la castrazione”. È solo la castrazione che permette al soggetto di arrivare a quel punto dove Lacan dice che il desiderio «si presenta come ciò che uno non vuole» (p. 818), infatti, in quegli anni Lacan decideva che la fine di un’analisi era data proprio da questo. O meglio, l’inizio dell’analisi sta nella divisione tra desiderio e volere: “io voglio tanto bene a mia moglie, però quando vedo quei visini per strada…”. Per Lacan la fine di un’analisi è quando uno vuole ciò che desidera e desidera ciò che vuole. Questo porta nella carne della propria divisione soggettiva: “tu vuoi questo però in realtà desideri un’altra cosa”. Come si arrangia la faccenda? Solo tramite la castrazione. Lacan sosterrà questa tesi fino alla fine, infatti in Joyce il Sintomo, a p. 559 degli Altri scritti, scrive, facendo il verso alla posizione del Santo dell’analista di cui parla in Television: «A dire il vero non c’è un Santo-in-sé, c’è solo il desiderio di cesellare quella che si chiama la via, la via canonica. Per cui capita che si ‘ntomi nella canonizzazione della Chiesa, la quale ne sa quanto basta per riconicarsi, ma in tutti gli altri casi prende un grosso granchio. Infatti non c’è via canonica per la santità, malgrado la volontà dei Santi; non c’è una via che li specifichi, che faccia dei Santi una specie. C’è solo la scabellostrazione, ma la castrazione dello sgabello si compie esclusivamente con la escappata. C’è Santo solo a non voler esserlo, solo se si rinuncia alla santità». Cambiate “santo” con “analista” e vedete che cosa dà. Lacan dice che Joyce ha usato uno sgabello per salirci sopra e farsi bello… dello sga-bello... ci vuole la castrazione dello sgabello.
Verso la fine di Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano, è il complesso di castrazione che dà la chiave di cosa vuol dire “sovversione del soggetto e dialettica del desiderio”: «In questo complesso di castrazione troviamo la molla principale di quella sovversione che stiamo tentando di articolare - sul versante del soggetto - con la dialettica - quella del desiderio -. Giacché, propriamente sconosciuto fino a Freud che l’introduce nella formazione del desiderio, il complesso di castrazione non può più essere ignorato da nessun pensiero sul soggetto» (p. 823). Questo è il punto teorico finale e strutturale, “è un osso duro”.
Da lì in poi riprende qual è il valore di s(Ⱥ) e, a p. 825, vedete la teologia di Lacan. La teologia di Lacan lo porta, tra l’altro, a rivedere la funzione, uso il termine non a caso, Dio. Un conto è il Dio di Einstein, che riguarda l’Altro dei giochi, il “Dio non gioca ai dadi”, ma ciò che riguarda ciascuno, uno per uno: è il sacrificio. C’è un passaggio dove dice che a Freud è rimasta la tomba vuota di Mosè. È rimasto un enigma. Come quello di Cristo rimane un enigma per Hegel. Lacan da una soluzione, è: s(Ⱥ) che viene realmente al posto del morto, ed è quello che apre la possibilità della normalità per l’essere umano. s(Ⱥ) è legato alla questione del sacrificio di Abramo, Isacco, ecc., di cui parlerà nel “Seminario inesistente”, il Seminario di cui c’è una sola lezione prima del Seminario XI. La questione del sacrificio è qualcosa con cui ogni nevrotico si trova ad avere a che fare: è il suo rapporto con la castrazione.
Lacan prosegue con una parte sul fallo simbolico, una delle variazioni che Lacan darà del fallo. Fallo che è il personaggio più complesso che la psicoanalisi abbia prodotto, e anche il più mutevole. Il fallo ha un sacco di vestiti, ha il vestito immaginario, quello simbolico, quello reale, quello di me, quello che rende impossibile il rapporto tra l’uomo e la donna… il fallo ha una panoplia di vestiti, a volte esce pure vestito come il prefetto di polizia del balcone di Janet, a cui Lacan fa riferimento nel Seminario V.
Da p. 827 in poi, Lacan scrive annotazioni da un punto di vista strettamente clinico, che riguardano un po’ la perversione e molto la nevrosi ossessiva e l’isteria. In questo scritto non parla della psicosi dicendo che si ferma al primo piano del grafo. Com’è la cura dello psicotico in Sovversione del soggetto? Lacan dà l’impressione che non sa ancora muoversi. Dice che con gli psicotici ci si ferma al primo piano. Per la fine della cura accentua la questione del desiderio nevrotico, ma rimane l’enigma se ci sia un desiderio nello psicotico. A p. 830 termina: «L’esperienza analitica testimonia che comunque è la castrazione a regolare il desiderio, nel normale e nell’anormale». Cosa intende con questo “anormale”? È forse un interrogativo che Lacan si dà sulla psicosi?
In questa seconda parte dell’incontro propongo un’analisi testuale.
Iniziamo con p. 795: «Una struttura è costitutiva della prassi che si chiama psicoanalisi».
“Dialettica” è la parola che Lacan utilizza, fino a dieci anni prima, per indicare il transfert, l’aspetto immaginario del transfert (rif. Intervento sul tranfert).
«Che essere un filosofo voglia dire interessarci a ciò cui tutti sono interessati senza saperlo»: trovo che sia una bella definizione della filosofia.
Dopo parla di Hegel, suo interlocutore, e soprattutto di Fenomenologia dello Spirito da cui Lacan estrae la famosa frase: “il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro”.
Qualche riga dopo: che cos’è il soggetto? Il soggetto è ciò che è in un rapporto con il sapere, però «agevole anche per dimostrare l’ambiguità di un simile rapporto». Tutto si gioca su questa ambiguità: per Hegel non va dalla parte dell’ambiguo, per Lacan sì.
Pagina seguente. Lacan si sposta. Non attacca frontalmente Hegel, si sposta utilizzando Nicola Cusano: «La stessa ambiguità manifestata dagli effetti della scienza nell’universo contemporaneo». Quindi passa a parlare della scienza e dello scienziato, e punta su qualcosa che è dell’ordine dell’ignoranza, sulla docta ignorantia. Per Lacan la psicoanalisi è possibile solo a condizione che ci sia la scienza moderna; questa non è stata una tesi generale di Lacan perché, fino al Seminario VIII, considerava che la psicoanalisi avesse un precursore in Socrate. Socrate è nella posizione dell’analista, soprattutto in quel passaggio dove dice ad Alcibiade: “Tu sai che io non sono niente”, per Lacan è la posizione del desiderio dell’analista. In realtà, la psicoanalisi non poteva nascere prima della scienza moderna (rinvio a In difesa della psicoanalisi, dove la prima parte del mio testo tratta della questione). Lacan ritiene che la psicoanalisi sia dell’ambito della scienza pur non essendo scienza. È una specie di contraddizione, ma è proprio lì il limite dato dalla scienza. Evidentemente, la scienza moderna è des-immaginarizzata. Con Galileo si è creata una situazione paradossale con cui Dio inizia ad essere barrato. Nello stesso tempo avviene anche nel soggetto, anche se tutto viene spostato sull’Io, sul Cogito ergo Sum di Cartesio. Cosa diventa il soggetto nella scienza? Diventa, se posso fare una metafora, come il puntino sul radar di una nave: non si capisce niente se non la posizione logica di quella nave. Nel radar non c’è scritto com’è fatta la stanza, com’è fatto il salone, ecc., è essenzialmente la posizione logica di quella nave rispetto al radar. Il soggetto prende questa posizione puntiforme e, nello stesso tempo, dice Lacan, evanescente: senza più carne. C’è bisogno di “quel soggetto” per poter affrontare il soggetto dell’inconscio.
Lacan propone una sovversione del soggetto: «In che termini stia la questione del soggetto così come essa è propriamente sovvertita dalla psicoanalisi» (p. 796).
Poi Lacan comincia a prendersela con “quegli altri”, “gli psicoanalisti d’oggi”, indicando quelli dell’Internazionale e facendo riferimento a un testo, uscito negli anni ‘50, che indicava la posizione degli psicoanalisti dell’epoca, La psychanalyse d’aujourd’hui, scritto da una persona che non cita mai, tranne una sola volta togliendoci le vocali, cioè Nacht.
Lacan scrive: «Ciò che tenteremo di definire è la sovversione in se stessa, (…) come perno della nostra dimostrazione» (p. 796). Spiega che per sovvertire il soggetto bisogna dire no all’empirismo. È una posizione molto interessante perché tutta la psicologia proviene dall’aver detto sì all’empirismo. Per Lacan il medioevo è stata un’epoca estremamente importante perché basata sulla logica, ne sono un esempio le Quaestiones Disputatae tra i grandi teologi, in cui ogni tanto Lacan ci mette il suo zampino, devo dire in modo sempre molto preciso e corretto, tenendosi sempre dalla parte di Tommaso D’Aquino. Si arriva a dire che il sapere arriva o da un’induzione o da una deduzione. La deduzione deriva dal platonismo, dalle idee deriva un sapere dedotto, mentre l’induzione deriva dalle piccole cose dell’esperienza, tutto il positivismo viene da qua, cioè se facciamo una, due, tre esperienze, una dopo l’altra, possiamo estrapolare la regola. L’empirismo è squalificato da Lacan perché pensa che ci sia un’unità del soggetto, un’unità immaginaria del soggetto. Lacan dice che non è altro che un ritorno al soggetto della conoscenza. La conoscenza per Lacan esiste solo in un campo: si può leggere solo come la legge la Bibbia, la conoscenza è un rapporto carnale. Quando uno dice che “Tizio ha conosciuto Caia” vuol dire che ci è andato a letto. Semplicemente quella è conoscenza per Lacan, altrimenti pensa che sia semplicemente dell’ordine dell’immaginario, cioè una costruzione che uno si fa, su cui uno ci si siede sopra come uno sgabello.
Freud per “conoscere”, anche se sarebbe meglio dire “sapere”, non ha fatto altro che dar credito alle isteriche: «Ed ecco l’enormità: a quelli - del versante della filosofia - egli preferisce il discorso dell’isterico» (p. 798). «Ciò che abbiamo chiamato momenti fecondi nel nostro modo di collocare la conoscenza paranoica non è un riferimento freudiano», Lacan mette anche al suo posto l’amico Salvador Dalì, che all’epoca diceva che se Lacan aveva capito qualcosa della paranoia era grazie a lui… in un certo senso era anche vero.
«Dobbiamo penare per far capire, in un ambiente infatuato del più incredibile illogismo, che cosa comporti l’interrogare l’inconscio come facciamo noi, cioè fino al punto in cui esso dia una risposta non dell’ordine del rapimento o dell’atterrimento, ma una risposta in cui dica perché». Nel lavoro di analista si fa in modo che l’inconscio dica “perché” con i mezzi freudiani, il motivo dell’inconscio di tenere quel sintomo. Su che cosa si basa quel sintomo? Che dica il perché. Quello che era formidabile in Lacan è che con una mano vi scuoteva, “devi dire perché!”, con l’altra vi teneva, uno non si sentiva mai lasciato cadere.
«Se noi conduciamo il soggetto da qualche parte, è appunto ad una decifrazione che suppone già nell’inconscio questa sorta di logica: in cui si riconosce, per esempio, una voce interrogativa, oppure il procedere di un’argomentazione. Tutta la tradizione psicoanalitica sta a sostenere che la nostra argomentazione può intervenire solo se entra dalla parte giusta, e che se questa anticipa su quella ne ottiene soltanto la chiusura». Quindi, prima logica, inquadramento, e poi decifrazione.
Più avanti dice: «Ci accostiamo al soggetto» senza rito di passaggio, la psicoanalisi non è un rito di passaggio. «Tutto ciò serve solo ad accostarci al nostro soggetto», per fare che cosa? «Un passo copernicano». Lacan fa riferimento a elipse. Elipse ha due traduzioni in italiano, Lacan le utilizza tutte e due. Elipse vuol dire che manca qualcosa nella letteratura, manca un elemento. È anche l’ellisse in astronomia: nel movimento degli astri c’è uno dei due fuochi che è vuoto. Lacan è lì che vuol portare la questione copernicana. Non è come si pensava prima, cioè che il sole, o qualunque altra cosa, è al centro e ci si gira intorno, ma ci sono due luoghi, uno pieno e l’altro vuoto ma operativo. Il punto è che c’è un vuoto operativo. In italiano, in letteratura si chiama “ellissi” mentre in astronomia “ellisse”; in francese sono tutte e due con lo stesso termine. Lacan ricorda come Copernico non parli degli oggetti, degli astri, ma del movimento; quello che conta è come si muovono, poco importa se sono questo o quest’altro.
A p. 800 affrontiamo Hegel. Per Hegel la verità è ciò che manca alla realizzazione del sapere. Lacan dice: «L’antinomia che la traduzione scolastica…». Ricordate la “Adaequatio rei”? Nei miei studi di teologia e filosofia si ricordava come, tutto sommato, Hegel fosse un teologo travestito da filosofo. Il problema di ciò che viene chiamato Verità, con la maiuscola, in religione è rivelata, mentre per Hegel non ha quelle delimitazioni che invece esistono nella posizione della verità rivelata. La verità, soprattutto nella dottrina cattolica, è delimitata. C’è una differenza: per il teologo Hegel la verità è ciò che manca al sapere, invece nella teologia la verità è sempre stretta e delimitata. La posizione di Hegel arriva al Sapere Assoluto, Selbstewusstsein, essere cosciente di sé, onnicosciente (p. 800). Lacan dice: «Volesse il cielo che fosse così». Non è così. E alla fine del paragrafo c’è scritto: «non si collegano». Le teorie non si collegano affatto, secondo la dialettica tesi, antitesi e sintesi che darebbero questa assise completa del Sapere. «D’altronde la confusa voce di certi scricchiolii (…) è da altrove che deve suonare l’ora della verità». Si noti questo “altrove”, ailleurs: qualche anno prima Lacan definisce l’inconscio come ailleurs.
Segue, a p. 801, un duplice riferimento: al soggetto assoluto di Hegel e al soggetto abolito dalla scienza moderna. C’è un rientro della verità che è stata rimossa da Hegel. La posizione logica della verità non è semplicemente quello che manca. Pertanto ritorna. In che modo? Tramite la scienza.
A p. 801, Lacan avanza la critica contro Hegel, presentando una posizione che va verso Freud: «Nel campo freudiano, malgrado le parole, la coscienza è un tratto altrettanto caduco nel fondare l’inconscio», quindi non è sulla posizione di Hegel. Prosegue: «nel fondare l’inconscio sulla sua negazione», cioè non-coscienza, «la coscienza è un tratto altrettanto caduco nel fondare l’inconscio sulla sua negazione quanto l’affetto è inadatto a sostenere il ruolo di soggetto protopatico». Non è l’inconscio il contrario della coscienza. L’affetto è inadatto a sostenere il ruolo del soggetto. Invece, tutta la lettura d’oggi del mondo moderno utilizza l’affetto come ciò che dà sicurezza al soggetto. Come la coscienza non è sufficiente per fondare l’inconscio semplicemente come negazione della coscienza, così anche l’affetto è inadatto a sostenere il ruolo di soggetto protopatico. Lacan dice che l’inconscio come negazione della coscienza lo conosceva già San Tommaso d’Aquino.
Lacan dà la seguente definizione di inconscio: «L’inconscio a partire da Freud, è una catena di significanti che da qualche parte (su un’altra scena, egli scrive) si ripete ed insiste per interferire nei tagli offertigli dal discorso effettivo e dalla cogitazione che informa». È l’inconscio freudiano per Lacan. Non è la posizione dei post-freudiani. «In questa formula, che è nostra solo perché conforme sia al testo freudiano che all’esperienza, che esso ha aperto, il termine cruciale è significante». E dice che Freud mancava dello strumento della linguistica.
Lacan indica dove si trova il soggetto: «Una volta riconosciuta la struttura del linguaggio nell’inconscio, quale sorta di soggetto gli possiamo concepire?» (p. 802). Ne dà due o tre modalità, riprendendo il testo dei due grandi grammatici Damaurette e Pichon. Il soggetto è lo shifther, cioè chiunque parla vuol dire “Io”, e nessuno può essere geloso dell’Io che l’altro dice, tranne che lo psicotico. Ma è il modo che designa qualcuno senza significarlo.
«Chi parla? Quando si tratta del soggetto dell’inconscio» (pp. 802-803). Chi parla nel motto di spirito e nel lapsus? Ricordo che nel ‘78 una volta Lacan venne a Bruxelles. In una riunione, Pierre Malengreau gli pose la questione: “Quando c’è un lapsus dov’è la verità? In quale parte sta la verità? In quello che uno voleva dire o in quello che uno ha detto?”. Lacan risposte: “In tutti e due” (questo testo sarà pubblicato nel prossimo numero de La Psicoanalisi con il titolo “Sull’isteria”). È ciò che dice Freud. Una delle definizioni che Lacan dà dell’inconscio è: quello che sta nella differenza tra quello che uno dice e quello che avrebbe voluto dire. Lacan sta mettendo da parte il soggetto secondo Hegel, e lo sta indirizzando verso come lo presenta Freud.
«Perché la nostra caccia non sia vana (…) bisogna ricondurre tutto alla funzione di taglio» (p. 803), taglio che si ha tra significante e significato. Lacan mette insieme lo schema di De Saussure (S/s) e quello di Hegel (il simbolo è l’uccisione della Cosa). Per Lacan l’aspetto più importante è il taglio. La funzione più forte del taglio «è quella che fa da sbarra tra il significante e il significato. È qui che si sorprende il soggetto che ci interessa perché, annodandosi alla significazione ecco posta l’insegna del preconscio. Col che si arriverebbe al paradosso di concepire che il discorso nella seduta analitica vale se non in quanto esso inciampa»: questo è il motivo della regola freudiana. La regola freudiana è un imbroglio, un giusto imbroglio. Quando il paziente va sul lettino ricordategli la regola freudiana… io uso leggere il testo di Freud che si trova nel volume 6, a p. 10, le ultime due righe: ditegli esattamente la frase che Freud ha detto all’Uomo dei topi, è estremamente importante [«gli esposi l’unica condizione a cui la cura lo avrebbe impegnato, quella di dire tutto ciò che gli passasse per la mente, per sgradevole che fosse, per non pertinente o assurdo gli sembrasse», Freud S., Opere, Vol. VI, p. 10]. Una volta Miller ci ha fatto dire che cosa noi diciamo quando iniziamo un’analisi con i nostri pazienti. Lacan diceva che a partire da quello che dite al paziente si può dedurrà la vostra teoria. La regola fondamentale è, come dice Freud, l’unica regola a cui un’analisi è tenuta. Se fissate il paziente lì è possibile che l’inconscio “venga fuori”, altrimenti non riuscite a operare su di esso… poi l’inconscio viene fuori tutti i secondi della nostra vita, soltanto che non aiutate a fissarlo.
In questa seconda parte del nostro incontro volevo solamente darvi la modalità, anche troppo rapida, di come Miller ci ha insegnato a lavorare un testo. Miller ci metteva due ore per tre righe. Era estremamente più lento. Io ho saltato dei passaggi, ma prendete il testo e vedete qual è il suo punto di capitone. È molto importante che il punto di capitone si trasformi in realtà, quando fate l’analisi come analisti, nell’oggetto piccolo a. Il punto di capitone è l’oggetto piccolo a in una seduta. Lacan arriva a dire che basta una frase per puntarlo. È la logica del funzionamento per le sedute brevi. Quello che il paziente dice in seduta è da leggere così: Dov’è il punto di capitone? Da dove sta parlando il soggetto? Da che punto? A chi parla? Chi è il partner del soggetto? Quando si individua il partner, individuate qualcosa dell’oggetto a.
Lacan indica che il soggetto non è più quello hegeliano del Sapere Assoluto, piuttosto della discontinuità: «Solo questo taglio della catena significante verifica la struttura del soggetto come discontinuità nel reale» (p. 803). Questo è ciò a cui si deve puntare.
«Essere di non-essente, è così che l’Io fa il suo avvento come soggetto che si coniuga nella doppia aporia di una vera sussistenza che si abolisce dal suo sapere, e di un discorso in cui è la morte a sostenere l’esistenza. Commisureremo allora questo essere con quello forgiato da Hegel come soggetto» (p. 804). Lacan legge “il desiderio dell’uomo è desiderio dell’Altro” non più sul versante hegeliano ma sul versante in cui c’è la morte in gioco, si potrebbe dire “il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro, ma il desiderio dell’uomo è il desiderio della morte”. Altro in quanto “morte” fa la sua entrata. “Morte” che si coniuga con l’uccisione, meurtre, del padre primitivo.
«Non esporremo ora la nostra dottrina della follia. Questa escursione escatologica infatti serve soltanto a disegnare quale beanza separi queste due relazioni, quella freudiana e quella hegeliana, del soggetto col sapere. E la radice più sicura di questa separazione è nei modi con cui in essi si distingue la dialettica del desideri» (p. 804). È lo status quaestionis se sia possibile una dottrina diversa del soggetto con il sapere. Da una parte, in Hegel, il soggetto è articolato al sapere che comprende la verità, dall’altra, in Freud, il sapere del soggetto è dell’ordine dell’inconscio e la verità del soggetto è dell’ordine della menzogna.
Successivamente, Lacan apre su questa scissione: da una parte, sul versante di Hegel, il desiderio dell’uomo che sarà dell’ordine del riconoscimento, dall’altra il desiderio che sarà dell’ordine della castrazione.
Trascrizione di Alberto Tuccio
Preparazione redazionale di Giuseppe Perfetto
Trascrizione di Alberto Tuccio
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