La separazione è senz’altro un
concetto chiave, sia clinico sia teorico. È un movimento che indubbiamente
trascende Posizione dell’inconscio. Precisamente in Posizione
dell’inconscio la questione della separazione, insieme al movimento che lo
precede, l’alienazione, marca un tempo in cui si fonda in modo logico, si
formalizza, quello che può essere considerato una scansione, una svolta,
nell’insegnamento di Lacan. Quando dico una scansione nell’insegnamento di
Lacan voglio dire che fino ad ora abbiamo assistito a una prima parte del suo
insegnamento che ci è nota come il ritorno a Freud. Lacan, a questo punto del
suo insegnamento, già va allontanandosi da Freud. Non è un allontanamento che
lascia perdere Freud, ma assistiamo a una presa di posizione differenziata
rispetto a Freud in relazione al concetto stesso di inconscio.
Non è possibile leggere Posizione
dell’inconscio senza l’appoggio che troviamo nel seminario XI, I quattro
concetti fondamentali della psicoanalisi, un appoggio necessario in quanto
nel seminario XI ci è data l’opportunità di leggere le cose con uno spiegamento
più ampio che nello scritto, il quale è senz’altro più condensato. La scrittura
di Lacan, lo sappiamo, non è un’impresa facile, richiede pazienza, meditare e
ritornare sui concetti, sui riferimenti… Nel seminario XI, stabilito da
Jacques-Alain Miller, troviamo nel secondo capitolo il titolo: “L’inconscio
freudiano e il nostro”. È lì, fin dall’inizio, che viene fissato il progressivo
allontanamento da Freud, in relazione alla questione della causa.
Il contesto da cui prende avvio Posizione
dell’inconscio è il congresso di Bonneval, organizzato da Henry Ey, che
aveva per tema generale: “L’inconscio freudiano”, un convegno che riunì
numerosi specialisti provenienti da discipline diverse intenti a far valere i
loro commenti sull’inconscio. E non vi è dubbio che Lacan sia tra le
personalità più eminenti e attese del congresso giacché, per quanto riguarda
l’inconscio, sia lui in quel momento ad avere la parola più autorevole per
parlare della questione.
Il testo presenta, a grandi
linee, almeno due livelli d’interlocuzione. Da un lato, ed è sostanzialmente la
prima parte del testo, l’eclettismo dei discorsi del convegno che dispiegano
uno scambio, con lo scopo di fissare l’inconscio al livello generale del
discorso. In questa prima parte, poiché si tratta dell’inconscio freudiano,
Lacan ritiene necessario fissare la sua posizione in quanto tale per evitare di
confonderla con le declinazioni che l’inconscio poteva avere prima di Freud. Il
termine “inconscio” è un concetto che esisteva nella lingua prima che Freud gli
attribuisse la portata che ha. Sin dall’inizio dello scritto, Lacan introduce
qualcosa che chiarisce e al tempo stesso opera una distinzione quanto alla
posizione dell’inconscio: «Sull’inconscio – così Lacan – bisogna andare al
dunque dell’esperienza freudiana. L’inconscio è un concetto forgiato
sulla traccia di ciò che opera per costruire il soggetto». E più avanti:
«L’inconscio non è una specie che definisca nella realtà psichica il
cerchio di ciò che non ha l’attributo (o la virtù) della coscienza» [Posizione
dell’inconscio, in Scritti, vol. II, p. 833]. Sin dall’inizio
abbiamo delle definizioni dirette, tese a ubicare la questione. In primo luogo,
Lacan stabilisce che l’inconscio si iscrive nel contesto di un’esperienza, cioè
che è l’oggetto risultante da una prassi e che, prima di Freud, non è mai stato
stabilito in questa forma. In secondo luogo, se seguiamo la logica della prima
definizione in cui si evoca quello che Freud chiamò la realtà psichica,
l’inconscio per noi non ha alcuna validità se lo si definisce come tutti i
fenomeni che si inscriverebbero nel campo di ciò non è la coscienza. Il tema
della coscienza è un argomento che nel discorso analitico non è stato oggetto
di uno studio ampio né di uno sviluppo approfondito, non vi è dubbio che si
tratta di un tema complesso della metapsicologia. La coscienza viene piuttosto
considerata come una specie di concetto al quale uno potrebbe accedere in modo
intuitivo, producendo una scissione diretta tra il conscio e l’inconscio, un
modo di pensare l’inconscio come qualcosa che indicherebbe un terreno occulto,
un fondo oscuro, nero, «in-nero» dice Lacan, in effetti una sorta di
oscurantismo. L’insegnamento di Lacan non potrebbe essere più diverso da queste
tesi: l’inconscio, piuttosto, propriamente si situa in superficie, è quello che
si dice, ed è veicolato a cielo aperto attraverso la cadenza della parola, infatti
risiede piuttosto nell’ovvio anziché nella profondità dove si pretenderebbe
situarlo. Per sintetizzare, è conveniente accogliere la definizione che ci
fornisce Lacan di ciò che potrebbe essere l’inconscio prima di Freud, e Lacan
lo dice in maniera molto tassativa: «L’inconscio prima di Freud non è puramente
e semplicemente...» [p. 833]. Questa definizione è di un’ampia portata, ossia
introduce anche quello che rappresenta una riflessione constante di Lacan sul
pensiero, sulla filosofia, e in particolar modo sull’ontologia che, anch’essa,
pervade il testo. Secondo la definizione ex negativo che ci dà Lacan,
l’inconscio “non è”, si deduce il suo statuto pre-ontologico. L’inconscio (e
volendo, la psicoanalisi) non è un’ontologia, in primo luogo perché è una
prassi, cioè non è una costruzione destinata a rispondere alla domanda
dell’essere. Lacan lo dice chiaramente nel seminario XI: «L’inconscio è
qualcosa dell’ordine del non realizzato» [Il seminario, Libro XI, Einaudi, p.
24].
Sappiamo che nell’intero corso
del suo insegnamento Lacan mantenne viva una discussione e una dialettica con
la filosofia. Non solo per i riferimenti che Lacan ricava dal pensiero
filosofico, ma anche per il modo in cui viene interpretato. Lacan lo dice in
varie occasioni: “si pretende di attribuirmi un’ontologia”, si attribuisce a
Lacan una portata ontologica sebbene lui abbia sempre risolutamente affermato
il contrario. È in questa dimensione che possiamo chiederci se Lacan riesce a
sganciarsi completamente dal problema dell’essere. Lacan si ritrova coinvolto
in un dialogo e in una interrogazione frequente con la questione
dell’ontologia. Qui, in quest’epoca dello scritto, riguarda il concetto di
“inconscio”, più tardi riguarderà il concetto di “godimento”. Lacan deve sempre
mantenere le proprie distanze dal tema dell’ontologia. Qui Lacan riesce a
tenere una distanza dal problema dell’essere mettendo in questione il cogito
cartesiano, il quale afferma che l’essere si sostiene (coincide con il) nel
pensiero: “Penso dunque sono”. Lacan oppone al cogito il soggetto
dell’inconscio. Cartesio pensa il soggetto come padrone della natura. Lacan,
invece, legge quello che c’è dietro a questo Io, questo padrone del sapere che
deriva dal cogito: è proprio il suo rovescio. Quello che si evince (disprende)
dal soggetto dell’inconscio è che non siamo padroni di noi stessi, né siamo
padroni della natura; non siamo, insomma, padroni della nostra esistenza.
Lacan sostiene che la
psicoanalisi non è una scienza, e per affermarlo trascorre gran parte del suo
insegnamento mantenendo un’interlocuzione constante con la scienza, cioè non
basta dire che la psicoanalisi non è una scienza trascurando quindi la scienza.
Si vide obbligato a dialogare in modo permanente con la questione della
scienza. Così come per separarsi dall’ontologia dovette passare gran parte del
suo insegnamento in un dialogo constante con l’ontologia. Vi è una certa
relazione con (di) l’estimità nell’interlocuzione della psicoanalisi con la
scienza e con il problema dell’ontologia. In ultima analisi, e con ciò facciamo
un passo in avanti, però è qualcosa che possiamo percepire, che si può
intendere, Lacan oppone l’essere, il quale si fonda nel pensiero, a quello che
più avanti definirà come l’essere della significanza. La significanza ha la sua
ragion d’essere in un’altra dimensione, nel godimento del corpo.
Anche la psicologia, e la sua
interpretazione dell’inconscio, introduce una confusione. Anzitutto,
l’inconscio non può appoggiarsi a un’obiettività psicologica. L’errore della
psicologia, per quanto riguarda l’inconscio, è quello di considerare unitario
il fenomeno stesso della coscienza, cioè pensare la coscienza come un luogo di
sintesi. Se pensiamo la coscienza come un luogo di sintesi quel che vi troviamo
non sono altro che fenomeni di cattura immaginaria. Tutte le rappresentazioni
che fungono da schermo, da velo, que impiden hacer facendo emergere un’Altra
cosa, un Altro luogo. Pensare la coscienza come un fenomeno unitario
rappresenta un enorme ostacolo nella comprensione di quello che è in gioco
nell’inconscio. Conferire alla coscienza uno statuto di obiettività
implicherebbe anche dotarla di una struttura con la quale il soggetto potrebbe,
a partire dal sensorium, dal campo del sensoriale, produrre un incontro con la
verità, ovvero con il reale. Ebbene, se vi è qualcosa che si modifica a partire
da questo scritto di Lacan riguardo all’inconscio è lo statuto della verità,
che Lacan aveva mantenuto fino ad ora in relazione all’inconscio e che
designava come effetti di verità, effetti che risultavano dalla logica
dell’inconscio, dalla definizione classica dell’inconscio strutturato come un
linguaggio. In quest’epoca Lacan introduce la parola “reale” dove prima c’era
la parola “verità”. E ciò è alquanto importante perché cambia lo statuto dell’atto
analitico, dell’interpretazione.
Come questione centrale dello
scritto, troviamo un’interlocuzione diretta con gli psicoanalisti dell’epoca.
Il testo è una vera e propria presa di posizione riguardo al concetto
dell’inconscio nella misura in cui Lacan si sforza di accentuare la specificità
della scoperta freudiana in opposizione a una consumata tendenza alla
psicologizzazione della teoria da parte degli psicoanalisti dell’IPA. Il
convegno di Bonneval si tenne nel 1960 e la stesura finale dello scritto fu
realizzata da Lacan nel 1964, quattro anni dopo, proprio nel momento di maggior
tensione fra Lacan e la gerarchia analitica riguardo ad una questione
fondamentale, la tecnica analitica. Ci troviamo nel momento del pomo della
discordia, della scomunica di Lacan. La questione cruciale è, infatti, la
posizione dell’inconscio, non tanto nel discorso in generale ma in ciò che è
propriamente la direzione della cura in una psicoanalisi. E tale posizione
dell’inconscio, che Lacan stabilisce a partire da questo momento, risponde
fondamentalmente alla dimensione del tempo, alla questione dell’interpretazione
nonché del maneggiamento del transfert, tre questioni solidali l’una con
l’altra. La posta in gioco era una questione tesa a sovvertire proprio un punto
centrale, la temporalità dell’inconscio e, quindi, le sue conseguenze nella
cura. Nello scritto Lacan sviluppa in modo formalizzato la struttura del
concetto di inconscio da cui si desume, ad esempio, la logica delle sedute a
tempo variabile nonché il maneggiamento del transfert. Si tratta del fondamento
teorico sul quale Lacan baserà la pratica per cui sarà escluso dall’IPA
(Associazione Psicoanalitica Internazionale).
Sia il maneggiamento del tempo,
sia il taglio delle sedute da parte dell’analista, poggiano sull’idea che Lacan
sviluppa in questo scritto. E da qui non modificherà più la portata del
concetto nel seguito del suo insegnamento, nemmeno quando nel seminario XIV
arriverà a proporre il neologismo L’une-bévue per designarlo (la cui
traduzione approssimativa sarebbe “un-equivoco”, giocando con l’equivoco
significante che denomina l’inconscio nella lingua tedesca: l’Unbewusste).
In Posizione dell’inconscio
Lacan articola l’inconscio a un vuoto (una mancanza d’essere, un’apertura, una
falla, una discontinuità) temporale che segue una logica di apertura e
chiusura; ed è proprio per il fatto di ignorare questa struttura che gli
psicoanalisti post-freudiani provocarono la chiusura dell’inconscio, collocando
in primo piano una presunta unità egoica, il che li rese prigionieri facendo
loro confondere l’inconscio con la pluralità dei fenomeni immaginari. L’elenco
proposto da Lacan ci offre una varietà di fenomeni interessante per la nostra
riflessione, nel senso che presenta una gran valenza di attualità: né la
sensazione, né l’abitudine, né la doppia personalità, né la telepatia, né
l’ereditario, né il passionale… tutti fenomeni che non hanno nulla a che vedere
con l’inconscio di cui fa uso la psicoanalisi, tutt’al più esiste fra loro un
rapporto di omonimia.
Abbiamo delineato che cosa
l’inconscio non è. Entriamo ora nel tema di che cosa l’inconscio è,
e come si articola nello scritto a partire dalle due sequenze che Lacan situa
nello scritto e che costituiscono il cuore della cosa, ovvero l’alienazione e
la separazione. Tuttavia, per capire come Lacan ci arrivi occorre seguire una
linea logica, perché se diciamo che in questo scritto si modifica il concetto
di inconscio allora dobbiamo dire anche in rapporto a quale concetto anteriore
si modifica. A tale scopo mi ispiro all’ordine che Jacques-Alain Miller
stabilisce dei tre momenti dell’insegnamento di Lacan sull’inconscio, che si
trova nel suo corso del 1996 intitolato “La fuga del senso”. I tre momenti
sono: Funzione e campo della parola e del linguaggio in Psicoanalisi, lo
scritto Posizione dell’inconscio e il Seminario Ancora.
Il punto di partenza di Lacan, il
primo dei tre tempi, è la dimensione di un inconscio interpretabile. La
definizione classica di questo momento va situata nella definizione per cui “l’inconscio
è strutturato come un linguaggio”. Costituisce il punto perno della lettura che
fa Lacan dell’inconscio freudiano, della formalizzazione dell’inconscio
freudiano a partire dai punti di riferimento che Lacan prende dalla
linguistica, sostanzialmente da Saussure e Jakobson, e poi da Levi-Strauss.
Se prendiamo Funzione e campo
della parola e del linguaggio in psicoanalisi, dove si fonda questa prima
formulazione dell’inconscio, notiamo nella prima parte del testo che per
risituare l’inconscio freudiano Lacan non parte dalle formazioni
dell’inconscio, che furono il punto di partenza di Freud e che si appoggiano ai
testi su La psicopatologia della vita quotidiana, sui sogni e sul motto
di spirito. Lacan non parte dallo stesso luogo di Freud, i testi sulle
formazioni dell’inconscio, ma prende spunto dall’esperienza stessa della cura
analitica. Freud, nelle sue tre opere che inaugurano il campo dell’inconscio,
per dimostrare l’ipotesi dell’inconscio porta l’esempio di fenomeni che si
iscrivono sostanzialmente al di fuori della cura. Con questi esempi al di fuori
della cura Freud dimostra che tali fenomeni sono soggetti a interpretazione, e
in che modo sono interpretabili. In sostanza, la dinamica che anima l’inconscio
è un significato rimosso, inconscio appunto, che trova la sua significazione
partendo da una decifrazione; del senso, intrappolato, come precisa Lacan, e di
una liberazione di questo senso.
Lo spunto di Lacan non è quello
delle formazioni dell’inconscio ma sono i fenomeni che avvengono non in un
campo esterno bensì nel campo stesso della cura. Nel campo di un’analisi
propriamente detta, in quello che è l’ordine del discorso del soggetto e
dell’interpretazione della parola dell’analizzante, e ovviamente della parola
dell’analista, cioè dell’interpretazione che offre l’analista. La funzione
della parola è presa su un doppio versante. Da un lato abbiamo la funzione
della parola dell’analizzante, dall’altro la funzione della parola
dell’analista. La questione dell’inconscio e dell’interpretazione attraversano
il testo intero. Già qui Lacan definisce l’interpretazione come un
punteggiamento. La parola dell’analizzante è trattata come una formazione
dell’inconscio per eccellenza, la più preziosa. Per di più, definisce
simultaneamente l’inconscio e l’interpretazione a partire dalla parola, dalla
forma eminente della parola, una specie di forma suprema della parola,
dell’eccellenza della parola. È quel che conosciamo come “parola piena” in
opposizione alla parola vuota, a una parola che rischia di perdersi nel blabla,
che rischia di diluirsi nei fenomeni immaginari veicolati dal discorso. Lacan
oppone, insomma, la parola piena alle forme immaginarie della parola. La parola
piena è quella atta a render conto di un cambiamento di posizione in relazione
a ciò che riguarda la storia del soggetto. Il concetto di parola piena consente
a Lacan di definire in termini uguali sia l’inconscio che l’interpretazione
allo stesso tempo. È a partire da questa definizione della parola piena che
l’inconscio e l’interpretazione trovano il loro posto esatto, e ciò riposa
sullo schema retroattivo, su ciò che costituisce la cellula minima della
funzione della parola, la cellula elementare del grafo del desiderio, che in
seguito si complicherà. È uno schema formato da un’articolazione tra il
significante e il significato, e definito da Lacan come un punto di partenza,
come un punto inaugurale, in quanto alla storia. Tale forma perfetta della
parola, questa parola piena è una parola storicizzante. Ciò che Lacan chiama
“storia” si distingue da un semplice sviluppo cronologico dell’esistenza,
ovvero non è il racconto a costruire la storia ma è la (ri)costruzione che si
fa presente in un’analisi. Costituisce in ogni momento un’intenzione
anticipatoria e retroattiva. La particolarità della cura di Freud, come insegna
Lacan ne Il seminario, Libro I, Gli scritti tecnici di Freud, sta nel
fatto che ogni caso viene trattato nella sua singolarità, che nell’analisi
viene ricostruita la storia del soggetto: «la storia non è il passato. La storia
è il passato nella misura in cui questo è storicizzato nel presente –
storicizzato nel presente perché è stato vissuto nel passato. Tale restituzione
è da considerare l’obiettivo a cui mirano le vie della tecnica […] La
restituzione dell’integralità del soggetto, si presenta come una restaurazione
del passato […] nei testi di Freud troviamo indicato nel modo più categorico
che il rivissuto esatto – ovvero che il soggetto si ricordi di qualcosa di
veramente capitato a lui, come veramente vissuto, che comunichi con esso, che
lo adotti – non è l’essenziale. L’essenziale è la ricostruzione – questo
termine viene usato da Freud fino alla fine». Ciò che distingue “storia” e
“sviluppo” obbedisce alla struttura
della retroazione, sono gli inciampi, i vuoti della storia, i buchi presenti
nel racconto. Questi inciampi del racconto saranno punteggiati, scanditi
mediante la parola dell’analista, mediante l’atto dell’analista. È ciò che
vacilla, dice Lacan, nel taglio del soggetto, nel taglio della storia, nel taglio
del discorso, è lì che sorge, all’improvviso, una trovata, una sorpresa, che
Freud assimila al desiderio inconscio.
Pertanto occorre riordinare le
vicende cronologiche dando loro dei nuovi significati, i quali costituiscono
altre nuove ri-soggettivazioni. Il concetto di rettifica soggettiva si sostiene
su questa logica, è un movimento che spinge a riaccomodare il soggetto a
partire dal fallimento del racconto, a orientarlo in funzione agli inciampi del
discorso. Il movimento di retroazione del senso, quando è efficiente, realizza
una ristrutturazione del soggetto ed è legato in modo essenziale al vettore del
significato.
È su tale base che Lacan
definisce correlativamente l’inconscio e l’interpretazione nei termini di
storia o, per usare le parole di Lacan, quando definisce l’inconscio «quel
capitolo della (mia) storia che è segnato da un vuoto o occupato da una
menzogna», ovvero una certa opacità che riguarda la storia. L’inconscio è
questo, in questo momento: una certa opacità della storia che riguarda la
risignificazione di un evento.
È in quest’ottica che Lacan
definisce il sintomo analitico come il significante di un significato rimosso
dalla coscienza del soggetto. Il sintomo è un significante il cui significato
non si è potuto realizzare per cui rimane fissato nel rimosso, cioè nello
spazio inconscio. È qui che l’interpretazione dell’analista trova il suo luogo,
ovvero l’interpretazione dell’analista riduce l’opacità, ristabilisce la
storicizzazione, permettendo che avvenga un’Altra cosa in questo vuoto. Lacan
in riferimento a questo movimento: «Aiutiamo [il
soggetto] cioè a completare la
storicizzazione attuale dei fatti che hanno determinato già nella sua esistenza
un certo numero di ‘svolte’ storiche».
Quando l’impulso del vettore del
significante, del racconto stesso, si ritiene siamo allora in presenza di un
significante che non trovò il suo significato storico corrispondente, e
l’interpretazione sta lì in quanto permette a questa retroazione significativa
di compiersi nel presente. È lì che Lacan può presentare l’inconscio e
l’interpretazione come una coppia necessaria; l’interpretazione è un
punteggiamento felice, viene a occupare il vuoto, è una scansione nel discorso
che permette al soggetto di giungere a una conclusione significativa, che si
effettua come se avessimo lì un senso ritenuto, Lacan dice «un senso
imprigionato che esige la sua liberazione», un senso alienato nelle sue
oggettivazioni discorsive che esige la sua disalienazione simbolica, che cerca
di emergere. Quando non è stato possibile compiere, questo siamo di fronte a un
fatto, a una formazione dell’inconscio, che è per noi essenzialmente il
sintomo, e l’interpretazione dell’analista interviene a ristabilire la
completezza di tale funzionamento.
Questo è essenzialmente il valore
assunto dalla tesi dell’inconscio strutturato come un linguaggio, a essa fa
seguito una seconda tesi che è necessario sottolineare per traghettarci verso
il rinnovamento del concetto di inconscio come sorge a partire da Posizione
dell’inconscio, tesi che è complementare alla prima. È la tesi secondo cui
l’inconscio è strutturato come una parola, ovvero è strutturato come una parola
rivolta all’Altro. Lo stesso Lacan modifica la questione per far presente la
direzione verso l’Altro. Ciò è solidale con la definizione secondo cui
l’inconscio è il discorso dell’Altro.
Allo stesso tempo, Lacan spiega
come il sintomo partecipi del linguaggio, della distanza tra significante e
significato mediante il movimento di retroazione. Inoltre, precisa che si
tratta di una parola piena, di una parola in pieno esercizio e che questa
parola include l’Altro, e che nel segreto della propria cifra include anche il
discorso dell’Altro. È in questa direzione che il desiderio inconscio stesso è
concepito come un desiderio dell’Altro, come un desiderio rivolto all’Altro,
come un desiderio di essere riconosciuto dall’Altro. Tutta questa costruzione
riposa sulla nozione che esiste un Altro primordiale, anteriore, che esiste da
sempre, e che costituisce l’esistenza stessa del linguaggio in quanto precede
l’avvenimento del soggetto. Ciò complica per certi versi il concetto di
interpretazione, ma ci risulta comprensibile; l’interpretazione mirerebbe non
solo a liberare il senso imprigionato nel sintomo, ma è anche riconoscimento
del soggetto in quanto tale. Le affermazioni sul funzionamento dell’inconscio e
dell’interpretazione oscillano tra l’articolazione della relazione del
significante con il significato e, in momenti diversi, un riconoscimento del
soggetto: da un lato liberare il significato imprigionato, dall’altro lato
riconoscimento del soggetto.
Occupiamoci adesso della
modificazione, della rettifica, operata da Lacan in un secondo tempo, ossia
nello scritto Posizioni dell’inconscio nonché nel seminario XI. Il testo
Posizioni dell’inconscio è esplicitamente formulato da Lacan come
continuazione di Funzione e campo della parola e del linguaggio in
psicoanalisi. Dieci anni più tardi afferma di averne scritto la
continuazione. Quindi, un secondo punto di partenza per quanto riguarda
l’inconscio.
Tale nuova definizione
dell’inconscio non può più trovare soddisfazione, non può ormai sostenersi solo
nel suo riferimento alla parola piena. La nuova definizione includerà una
congiunzione essenziale tra l’inconscio e la pulsione.
Abbiamo ora a che fare con una
nuova definizione di inconscio, che tiene conto dell’istanza della sessualità e
che stabilisce un vincolo essenziale tra l’inconscio e l’oggetto della
pulsione. Nel primo tempo si trattava del vincolo essenziale dell’inconscio con
il significante o, detto in modo più preciso, dell’inconscio in quanto
relazione tra significante e significato. In Posizione dell’inconscio,
invece, troviamo l’interferenza di un altro elemento, che non è dell’ordine del
significante e del significato. Per Lacan si tratta ora di fare lo sforzo di
assegnargli il suo posto nella pratica, di assegnare il luogo in un’analisi a
un elemento che passa a formar parte del concetto stesso di inconscio. Questo
elemento è la sessualità, la quale s’incarna nella pulsione e logicamente anche
nel corpo.
Lacan vi aggiunge quindi quello
che per certi versi manca in Funzione e campo della parola e del linguaggio
in psicoanalisi, e non è poco poiché sovverte la nozione che avevamo finora
dell’inconscio: si tratta di introdurre il campo della sessualità
nell’inconscio. Qui la sessualità entra come elemento di interferenza tra il
rimosso e l’interpretazione. Lacan segnala che dato quest’ingresso della
sessualità, l’interpretazione non è una mantica, ovvero non è una mera decifrazione
di significati. Dunque si pone la domanda: Che cos’è la sessualità? Come si
presenta nell’inconscio? In che modo vi è rappresentata? Quando Lacan scrive la
sessualità nello scritto la riduce a non essere altro che l’operazione delle
pulsioni parziali. Quando scrive la sessualità nell’intervallo regolato dalla
chiusura e apertura dell’inconscio, è lì che si introduce la relazione con
l’oggetto della pulsione, la relazione con l’oggetto a, che viene a interferire
in ciò che sarebbe una specie di relazione ideale con l’inconscio, che potrebbe
anche declinarsi verso un’interpretazione ideale. C’è qualcosa del godimento
che si veicola tramite la pulsione e che interferisce in questo concetto. Ed è
quest’interferenza che rende conto di ciò che Lacan chiama il momento di
chiusura dell’inconscio, il momento della separazione. Questo è, in sostanza,
quanto di nuovo incontriamo in Posizione dell’inconscio.
Nello scritto Lacan, riduce,
condensa tale questione mediante la presentazione delle due operazioni che
governano l’inconscio, l’alienazione e la separazione, che equivalgono a ciò
che chiama la causazione del soggetto. Che cosa vuol dire la causazione del
soggetto? Lo possiamo ridurre a qualcosa di molto semplice, è qualcosa che ci
orienta nella direzione di quello che è la costituzione della soggettività, ci
porta verso ciò che è primario della costituzione umana. L’alienazione e la
separazione rappresentano le forme per via delle quali nel vivente si determina
un’esistenza in quanto soggetto. Le operazioni di alienazione e separazione si
articolano in ordine, dice Lacan, «a un rapporto circolare, ma non reciproco»
[p. 843]. Non può esistere l’una senza l’altra, ma esiste un’assenza di
reciprocità, ovvero non risultano complementari, fra l’una e l’altra si produce
un taglio, è così che intendo la frase di Lacan: «L’inconscio è taglio in atto»
[p. 843]. Vi è una sospensione temporale tra le due operazioni. In un certo
modo queste operazioni decostruiscono il binarismo che finora abitava
l’inconscio, fra S1 e S2, in quest’intervallo qualcosa fa
discontinuità, rottura.
Il movimento dell’alienazione
rientra nel quadro di ciò che abbiamo sviluppato come gli antecedenti che ci
portano alla nuova definizione dell’inconscio. Nell’alienazione si tratta della
forma in cui il soggetto è costretto a iscriversi nel campo dell’Altro, questo
Altro è quanto Lacan isola nell’intera prima parte del suo insegnamento, è
l’Altro del linguaggio, l’Altro come discorso dell’Altro. L’Altro che preesiste
al soggetto e nel quale è tenuto a iscriversi come soggetto. Si deve alienare
nei significanti dell’altro sottomettendosi a una scelta forzata per
costituirsi in quanto tale. Questo movimento è in accordo con la tesi
dell’inconscio strutturato come un linguaggio. Il soggetto avviene nel campo dell’Altro,
ovvero nessun soggetto è causa di se stesso, precisa Lacan. L’esistenza di un
soggetto richiede la denominazione dell’Altro. Questo movimento è inaugurale ed
è, in effetti, una scelta forzata. È ciò che lo nominerà in quanto soggetto,
tanto nel senso letterale della questione, nel suo nome proprio, quanto in ciò
che lo definisce come mortale. Qui il soggetto è un effetto. Ciò si può
intendere quando Lacan afferma che la posizione prima del soggetto è «là dove
c’è chi, ça, parla» [p. 841]. Quello che sta sottolineando è la
condizione di effetto. È la prima mancanza del soggetto, ossia la costituzione
della “mancanza d’essere”. La prima mancanza è il soggetto nell’universo
dell’Altro. Possiamo spiegarlo in termini più semplici: lì, nell’Altro, nel luogo
del grande Altro, non c’era lui come soggetto, non risiedeva ancora. È in
questa necessità della relazione con l’Altro del linguaggio grazie alla quale,
retroattivamente, un soggetto può costituirsi in quanto tale, si umanizza. Ed è
curioso che laddove il soggetto si incontra, allo stesso tempo, si perde,
svanisce, si svuota. In altre parole: è il morso del significante sul vivente
quello che inaugura quest’assenza. Ciò che è assente è la carne che il
significante mortifica, come dice Lacan.
L’alienazione, così Lacan, «è il fatto proprio del
soggetto. In un campo di oggetti non è concepibile alcuna relazione che generi
l’alienazione salvo quella del significante. Prendiamo come origine il dato che
nessun soggetto ha ragione di apparire nel reale, salvo che vi esistano degli
esseri parlanti». E più avanti: «un soggetto vi si impone solo in quanto in
questo mondo ci siano dei significanti che non vogliono dire nulla e che sono
da decifrare» [p. 843]. L’Altro, il grande Altro, è sempre già presente ogniqualvolta
l’inconscio si apre, per quanto fugace sia quest’apertura. L’accento qui è
messo precisamente sull’inconscio interprete di se stesso, e sul fatto che le
formazioni dell’inconscio, ossia i lapsus, gli atti mancati, i sogni stessi,
corrispondono a questo momento di apertura, che Lacan chiama la pulsazione
temporale dell’inconscio. La logica di questo primo movimento è di mettere in
primo piano la pulsazione, quest’apertura dell’inconscio, è il momento in cui
vi è del materiale interpretativo. L’inconscio isolato da Lacan in questo primo
momento di alienazione è, in un certo senso, l’inconscio che conosciamo, quello
a noi più caro. È l’inconscio di cui Freud ci ha dato prove irrefutabili. È
l’inconscio che leggiamo nel paziente e che dà luogo all’interpretazione, a
un’interpretazione che, eventualmente, può diventare interminabile, il che
significherebbe, eventualmente, che allora un’analisi diventi interminabile.
Lacan evoca il movimento di
alienazione, di apertura dell’inconscio. L’elemento essenziale della questione
lo troviamo nel fatto che Lacan ci dice che a questo movimento ne succede un
altro, il momento della separazione. Dirà che in seguito a quest’apertura
dell’inconscio, in un movimento temporale che non è cronologico, troviamo una
chiusura. Lacan fa emergere nello scritto qualcos’altro che verrebbe a chiudere
l’inconscio. Pertanto, la presentazione del concetto di inconscio che ci appare
onesto, facile da cogliere e che infatti mira a mostrarci l’inconscio come
qualcosa che si apre, incontra un limite. Tale limite è definito, questo è il
nocciolo della questione, come qualcosa che può richiudersi, ovvero ci anticipa
che non tutto è significante nell’inconscio, che vi è un’interferenza, si
produce un’interferenza. E questa interferenza è la presenza dell’oggetto, più
precisamente, la presenza, se vogliamo, dell’oggetto a, dell’oggetto della
pulsione nella dinamica stessa dell’inconscio.
L’elemento essenziale in questa
parte dello scritto è che Lacan nel movimento di separazione isola il momento
di chiusura. Si tratta dell’interferenza della sessualità sotto forma di un
oggetto che lì emerge, e che è completamente separata dall’intero campo del
significante. Almeno in prima istanza, non esiste una forma di rappresentazione
di tale oggetto nel campo dell’Altro. È un oggetto che riguarda un’altra
dimensione, una dimensione tesa ad articolare il concetto di inconscio con la
soddisfazione pulsionale, con il godimento propriamente detto, con qualcosa che
si iscrive aldilà del significante. Ciò annuncia una varietà di questioni che
Lacan svilupperà nell’ultima parte del suo insegnamento, e costituisce un punto
di partenza fondamentale per capire quello che verrà dopo, sostanzialmente ciò
che riguarda il cambio di statuto clinico e teorico di questioni chiave proprie
della pratica della psicoanalisi quali la ripetizione, il transfert, l’amore e
via dicendo.
Riguardo a questo punto di
inflessione nell’insegnamento di Lacan potremmo dire che noi psicoanalisti
siamo sempre rimasti affascinati da questo inconscio che si apre e si
interpreta da solo, e che rappresenta una struttura simbolica di cui possiamo
servirci a nostro favore. Ebbene no: non tutto ha una struttura che ci
risultava così gradevole. La chiusura dell’inconscio ci introduce a un terreno
molto più opaco, non interpretabile per merito del gioco dei significanti.
Esiste una sostanza messa in gioco nell’analisi, che implica anche l’inconscio,
che sfugge ad ogni elaborazione per mezzo del logos, è ciò che Lacan chiama la
sostanza godente, la quale non conosce alcuna lettura possibile nel campo della
verità formalizzata, di ciò che saremmo in grado di misurare grazie alla messa
in atto del significante. Una sostanza, cioè, che sfugge all’elaborazione, una
sostanza che rappresenta non il soggetto del significante ma qualcos’altro:
chiama in scena ciò che costituisce il godimento del soggetto.
Lacan richiama l’attenzione sul
fatto che se l’inconscio si apre si chiude anche, e che questa chiusura fa
anch’essa parte del concetto di inconscio. Posizione dell’inconscio,
insieme al seminario XI, specifica che il momento di chiusura fa parte
anch’esso del concetto di inconscio. E dire che la chiusura fa parte del
concetto di inconscio significa di per sé cercare l’articolazione della
pulsione con ciò che chiamiamo la dimensione dell’inconscio.
Dal lato dell’alienazione
troviamo il soggetto, soggetto determinato dal significante. Dal lato della
separazione troviamo l’oggetto della pulsione, che s’incarna nell’oggetto a.
Entrambi i movimenti fanno parte del concetto di inconscio.
Quando Lacan introduce
l’operazione della separazione nello scritto, a pagina 846, ci avverte che si
tratta di una questione formalizzata a partire dalla struttura di un bordo che
svolge una funzione di limite. Possiamo intendere qui “limite” come un limite
allo spiegamento della catena significante, una specie di stop. Si dà una
torsione, dice Lacan, che produce anche uno sconfinamento dell’inconscio. Lacan
si appoggia su Freud per trasmettere che l’operazione di separazione corrisponde
all’oggetto, che questa operazione non rientra nel campo del soggetto,
precisamente si riferisce al testo di Freud sulla Ichspaltung, dal
titolo La scissione dell’Io nel processo di difesa [p. 846]. Inoltre,
precisa che l’oggetto messo in gioco nella separazione è concretamente
l’oggetto fallico. Il riferimento
introduce in un modo molto comprensibile ciò che riguarda la separazione,
scrive Freud: «Di per sé la minaccia di evirazione non necessariamente produce
grande impressione: il bambino non ci crede, non riuscendo a immaginare
facilmente la possibilità di separarsi da quella parte del proprio corpo così
altamente apprezzata». Si tratta, in effetti, della separazione di una parte
nel campo dell’Altro, di qualcosa che può non starci, che è strutturalmente
perduto. Il fatto che Lacan si riferisca esplicitamente al testo freudiano
sull’Ichspaltung per render conto dell’operazione di separazione, dove
si chiude la causazione del soggetto, mostra l’articolazione di un’equivalenza
riguardo a ciò che, da una parte, “egli è come soggetto dell’inconscio” e,
dall’altra, a ciò che lo lega al “desiderio dell’Altro”. Come una separazione
di una parte, Lacan riferendosi qui alla parte perduta di se stesso con cui il
soggetto manovra in questa operazione di separazione, evoca una perdita
inaugurale in cui il fallo rappresenta nel divenire del bambino quest’oggetto
che può mancare, il quale produce una scissione, un taglio, tra la sua presenza
e la sua assenza, fra la sua significazione e la sua elisione.
Se proseguiamo in questa logica
della separazione, per comprenderne meglio la portata, risulta illuminante fare
riferimento ai concetti di ripetizione e di transfert. Nella ripetizione, ad
esempio, troviamo qualcosa a noi noto: è sempre il ritorno di qualcosa che accade
una volta e che ricomincia, e quanto più si ripete più è lo stesso. È quanto
percepiamo della ripetizione, e quanto vediamo perfino nei comportamenti di un
soggetto. La ripetizione è, inoltre, qualcosa che spesso porta il soggetto a
formulare la sua domanda di analisi. Spesso incontriamo enunciati del tipo:
“questo continua a ripetersi costantemente nella mia vita”. È la forma della
ripetizione che costatiamo nella cura, comprensibile, immaginaria per di più.
In effetti, nell’esperienza di un’analisi vi è una dimensione in cui il
soggetto ripete. E restaura in questa ripetizione ciò che è rimosso e cifrato
nell’inconscio, ciò che è occulto. Questa ripetizione ci è nota, la conosciamo
e la captiamo nella direzione della cura.
Tuttavia, la peculiarità del
contributo di Lacan in merito alla ripetizione in questo movimento di
separazione è la relazione con qualcosa che non si trova mai nei segni
ripetuti. È una ripetizione di indole diversa. Vi è una relazione della
ripetizione con il reale. Questo vuol dire che a partire dalla separazione vi è
anche una separazione della ripetizione, intesa come il significante che sempre
ritorna allo stesso posto. Questo campo della ripetizione si articola
diversamente, si articola al di là di ciò che costituisce la rete e la
ripetizione dei significanti. Lacan oppone a tale ripetizione qualcosa che non
figurerà mai nella serie della ripetizione significante, cioè l’emergenza
dell’oggetto. Questo, indubbiamente, modifica la concezione della cura stessa.
Ciò che incontriamo in questa prospettiva della ripetizione è la messa in
questione dello schema storicizzante della cura. Quando Lacan menziona la
rimemorazione della biografia, quando ne parla nel seminario XI, e lo evoca
anche in Posizione dell’inconscio, ci fa capire che la rimemorazione
cambia il suo segno. Non è lo schema della cura sulla base della parola piena:
«La rimemorazione della biografia è qualcosa che funziona, ma solo fino a un
certo limite, il reale». Già vediamo utilizzare il termine “reale” per marcare che
c’è qualcosa che non si lascia ridurre, che non si può significantizzare nello
schema storico; nella rimemorazione della biografia vi è qualcosa che non si
iscrive, che non si trova nella scia del significante. Esiste un limite, una
separazione radicale fra significante e godimento, fra carne e logos.
L’essenziale è quello che non figura nella ripetizione, un incontro fallito, è
ciò che per certi versi la ripetizione cerca di evitare. che cosa vuole evitare
la ripetizione? L’incontro con questo oggetto che ci è dato per la
realizzazione della sessualità.
Prendiamo il concetto di
transfert. Lacan sostiene a pagina 847 che l’operazione di separazione «è
un’operazione il cui disegno fondamentale si ritroverà nella tecnica. Infatti è
con la scansione del discorso del paziente in quanto l’analista vi interviene,
che si vedrà accordarsi quella pulsazione del bordo da cui deve sorgere
l’essere che risiede aldiqua. Per questo il transfert è una relazione
essenzialmente legata al tempo e al suo maneggiamento …». Qui si chiarisce il
cambiamento di posizione rispetto a Funzione e campo della parola e del
linguaggio in psicoanalisi. Da un lato il transfert non è la
ripetizione, non è la ripetizione che veicola il significante proiettandosi
nella figura dell’analista. Ma che valore assume qui il fatto che il transfert
non sia la ripetizione? Il valore che ha, in definitiva, è che Lacan ci
presenta il transfert come il buon incontro della ripetizione, che è l’incontro
fallito, non l’incontro con l’identico della ripetizione significante, ma
piuttosto qualcosa dell’ordine di uno scontro, nel senso di un non-incontro. Ci
mostra che la ripetizione non è il transfert, non è la ripetizione, e fa
riferimento alla nozione di transfert definita da Freud: un fenomeno di
resistenza nella cura.
La ripetizione si produce nel
movimento di apertura dell’inconscio, e il transfert sarebbe quello che resiste
all’elaborazione simbolica e, all’inverso, il transfert propriamente sarebbe un
fenomeno di chiusura che si iscrive dal lato della separazione. Risponde al
momento di chiusura dell’inconscio. Il che equivale al momento della comparsa
di questo oggetto che interferisce.
Da questa distinzione si traggono
conclusioni cliniche molto concrete che siamo soliti osservare nella direzione
della cura. Sono, ad esempio, i momenti nel corso di un’analisi, di una seduta,
quando improvvisamente compare il silenzio. Abbiamo il dispiegarsi della catena
significante, il soggetto che parla, associando una cosa all’altra, e
all’improvviso irrompe il silenzio. È nel tempo di questo silenzio dove
vediamo, per l’appunto, chiudersi l’inconscio. Lì dove qualcosa in quel momento
si soddisfa in modo silenzioso, senza le parole che possano identificarlo. La
soddisfazione della pulsione è silenziosa, afferma Lacan. Freud lo aveva
percepito, in effetti, quando ci ricorda che tali momenti di silenzio includono
l’analista in quanto oggetto, la presenza dell’analista in quanto ostacolo.
Freud lo diceva direttamente ai suoi pazienti, mirando a un’interpretazione sul
silenzio del paziente, comunicava loro che la detenzione delle associazioni
coincidevano con un certo pensiero nei confronti della sua persona, della
persona dell’analista. Noi non procediamo come Freud in questo punto, poiché
sappiamo che dire ciò nella cura non farebbe altro che ampliare le resistenze,
e poiché sappiamo anche che in questa soddisfazione messa in gioco nel
silenzio, ad esempio, vi è già l’oggetto. Vi è incluso l’oggetto che
rappresentiamo per l’analizzante. Qui notiamo un cambiamento, una svolta
diventata classica nella concezione lacaniana del transfert, dove l’analista
passa dalla sua ubicazione quale Altro, quale rappresentante dell’Altro, a
quello di oggetto a, oggetto causa del desiderio dell’analizzante. Perciò è
fondamentale una certa cautela di fronte a questo silenzio, poiché esso può
essere una molla in grado di far sorgere l’oggetto. Sono momenti di taglio
della ripetizione e di costruzione del fantasma, dell’avvenimento di quanto più
opaco c’è nel godimento. Tale è l’orientamento, quello teso a far sorgere
questo, ciò di cui si tratta nella direzione della cura. E ciò che intendiamo
far sorgere fa parte (si iscrive nel) del campo di ciò che Lacan ha chiamato la
realtà sessuale. Il modo in cui ciò si è iscritto nel corpo che gode, e che
gode sostanzialmente dei sintomi. Un funzionamento che rimane al di fuori del
campo dell’elaborazione simbolica.
Lacan oppone la ripetizione come
ritorno dei significanti al transfert come sorgere dell’oggetto nel momento di
chiusura dell’inconscio. Vale a dire che la chiusura dell’inconscio fa parte
anch’essa dell’inconscio. La tesi di Lacan è che l’inconscio era sempre stato
descritto a partire dalla sua apertura, mentre qui ribalta la questione. Nel
concetto di inconscio è inclusa la chiusura in quanto presenza dell’oggetto o,
possiamo anche dire, in quanto presenza dell’analista nella cura funge da
limite, da barriera alla ripetizione.
Nel seminario XI, Lacan definisce
il transfert «come la messa in atto della realtà dell’inconscio» [Il
seminario, Libro XI, p. 142]. Ciò che sapevamo finora sulla realtà
dell’inconscio è che si tratta del significante. In questa nuova definizione di
“messa in atto della realtà dell’inconscio” la parola realtà rinvia alla
sessualità, ovvero all’oggetto a, in tal senso vuol dire che è la messa in atto
dell’oggetto a nel transfert. È qualcosa che Lacan qualifica «co-sostanziale
con la dimensione dell’inconscio». Il peso della realtà sessuale si iscrive nel
transfert e, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, ciò significa
valorizzare la chiusura dell’inconscio. Chiusura dell’inconscio non vuol dire
che non c’è più nulla da ricavare, più nulla da interpretare, o che tutto
quello che sarebbe da fare è poter continuare a interpretare. La chiusura qui è
messa in valore. La chiusura ci annuncia, ci fa sentire il peso della realtà
sessuale nel soggetto. Il reale più reale dell’inconscio sorge nella chiusura
dell’inconscio, nel sorgere dell’oggetto in quanto esso ottura il funzionamento
dell’inconscio. La realtà sessuale può iscriversi correlativamente nelle
differenti sincope significative dell’inconscio, nelle costruzioni che man mano
va facendo il soggetto dei tagli operati dall’analista. Lacan unisce i propri
sforzi al fine di formalizzare, articolare, l’apertura e la chiusura, la
chiusura dell’inconscio essendo la più importante. La chiusura è tanto
importante quanto quello che si apre dell’inconscio nello sviluppo
significante. Tuttavia, il peso della chiusura viene ad operare una questione
definitiva, ovvero la localizzazione nella cura dell’oggetto della pulsione
parziale.
Lo schema dell’alienazione e
della separazione è l’enorme sforzo intrapreso da Lacan per dimostrare il modo
in cui la pulsione si iscrive nel funzionamento pulsatile dell’inconscio.
L’intero impianto esplicativo della teoria degli insiemi, principalmente le
regole logiche di riunione e intersezione, mira a porre in rilievo un’apertura,
un buco dal lato dell’inconscio, ed è necessario che qualcosa nell’apparato del
corpo sia strutturato allo stesso modo, cosicché il godimento che il corpo ha
quale unica ispirazione possa mettersi in risonanza, che la parola possa far
eco nel corpo. E ciò che implica tale possibilità risiede nel battito, nelle
pulsazioni dell’inconscio che prendono consistenza in questi movimenti di
apertura e di chiusura.
Più oltre in Posizione
dell’inconscio, Lacan metterà in gioco qualcosa che si situa nel corpo, e
presenterà la libido freudiana come un organo. Fa della libido freudiana un
organo, con la particolarità di aggiudicargli l’aggettivo di “irreale”. Questo
organo irreale del corpo è strutturato in modo tale da potersi iscrivere nel
momento di chiusura dell’inconscio.
Lacan propone uno schema a partire dalla teoria degli
insiemi per rendere conto del movimento di apertura e chiusura. Nello schema
egli chiama i due cerchi del diagramma il Soggetto e l’Altro, e dove potremmo
essere tentati di far equivalere questo spazio del soggetto barrato con
l’inconscio. È lì che sta il soggetto dell’inconscio quando si tratta
dell’alienazione significante, dell’interpretazione significante. Lacan non
chiama inconscio nessuno dei due cerchi, ma chiama inconscio il taglio stesso,
il quale batte, pulsa, fra questi due cerchi: tanto quando c’è apertura e
decifrazione dell’inconscio, che quando c’è chiusura, separazione e sorgere
dell’oggetto a. Lacan chiama inconscio la congiunzione dell’apertura e della
chiusura, l’inconscio si iscrive nella congiunzione dello spazio
interpretativo, e lo spazio in cui viene a iscriversi questo termine otturatore
è l’oggetto. Incontriamo nello schema la definizione ampia e differente
dell’inconscio, così come emerge dal testo.
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