Posizione dell’inconscio è uno scritto che si potrebbe dire, come ha fatto
Jacques-Alain Miller a proposito del seminario XI, che è un vero panorama sullo
sviluppo teorico di Lacan. Sono due elaborazioni non soltanto contemporanee ma,
più esattamente, che si occupano degli stessi problemi.
Il sottotitolo dell’articolo è: “al congresso di
Bonneval ripresa nel 1964 dal 1960”. Anche se l’articolo è presentato da Henry
Ey dicendo che «riassume gli interventi di J. Lacan, interventi che per la loro
importanza hanno costituito l’asse di tutte le discussioni» del congresso [Posizione
dell’inconscio, in “Scritti”, vol. 2, p. 832], senza dubbi ne beneficia
dell’elaborazione posteriore al convegno, e in particolare risponde ai
cambiamenti politico-istituzionali che a Lacan hanno fatto pronunciare il
seminario XI I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi
nell’anno 1964 invece del previsto seminario dedicato a “I Nomi-del-padre”,
interrotto a causa della sua espulsione dall’International Psychoanalytic
Association.
È un panorama che permette di osservare il
movimento dell’insegnamento di Lacan dal cosiddetto “ritorno a Freud”, il
periodo di sviluppo della logica significante, e la definizione del soggetto
come effetto del significante, a un momento dove Lacan va ad introdurre
qualcosa di nuovo: va a riesaminare i rapporti fra il soggetto e l’Altro in un
modo rinnovato, con un’articolazione del discorso della psicoanalisi che si
beneficia dei suoi matemi: il soggetto barrato $, l’S1, il
significante unario in rapporto all’altro significante, l’S2 e
sopratutto il concetto di oggetto a.
Questo articolo è all’apice e alla conclusione di
un periodo dell’insegnamento di Lacan.
Nel seminario XI riprende i quattro concetti
freudiani e li utilizza per fare una critica alla psicoanalisi post-freudiana.
Allo stesso modo, nell’articolo, ad esempio, Lacan riconsidera il concetto
d’inconscio totalmente svalutato dalla psicologia dell’Io. Introduce il
concetto di soggetto, che non è un concetto freudiano ma lacaniano, che gli
permetterà di stabilire la differenza tra il soggetto e l’Io (e anche rispetto
all’individuo, la persona, ecc.). L’operazione di Lacan su Freud è
un’operazione che va al di là di Freud, ed era sicuramente già prevista con la
pluralizzazione dei Nomi-del-padre del “seminario inesistente”, come lo chiamò
Miller.
La critica lacaniana fondamentale alla posizione
analitica di Freud rispetto al modo di articolare la legge del desiderio al
Nome-del-Padre è precisamente che si debba aggiungere a questo aspetto del
desiderio e della logica significante un’altra dimensione più correlata alla
vita, alla sessualità: l’oggetto a, come causa del desiderio.
Le due operazioni della costituzione del soggetto
Nell’articolo Posizione dell’inconscio vi
sono novità che introducono riformulazioni non soltanto sulla teoria freudiana
ma anche sul proprio insegnamento, in particolare l’introduzione della topologia,
che sarà uno strumento ausiliario per il nostro pensiero. Nel seminario XI
Lacan dice che abbiamo bisogno di questi supporti perché il nostro pensiero è
impotente «per il fatto che il soggetto dipende del significante» [Il
seminario, Libro XI, p. 205]. Come affermerà più tardi negli ultimi seminari,
in particolare nel seminario XXIII, dobbiamo utilizzare le risorse della
topologia perché la nostra dipendenza dal significante ci fa un po’ deboli
mentali. Prenderà anzi i propri errori con il disegno dei nodi sulla lavagna al
fine di illustrare questa debilità, e proporrà la manipolazione,
l’utilizzazione delle mani, per scappare a questa debilità.
Propone così, con la topologia, un’altra idea
dell’inconscio che è in controversia con l’idea, sopratutto post-freudiana, di
profondità relativa all’inconscio, contro le immagini che figurano l’uomo come
una sfera e che spiegano i rapporti con l’Altro in termini di dentro/fuori,
interiore/esteriore. Lacan definisce l’inconscio come un «taglio in atto» [p.
843], cioè fa valere il vuoto e il bordo come aspetti fondamentali della teoria
e della pratica della psicoanalisi. Con questa topologia l’inconscio diviene
«apertura, battito, un’alternanza da suzione» [p. 841].
La novità dell’operazione di separazione
Se è già ben fondata la questione sul come dedurre
la produzione del soggetto dall’assioma che afferma che l’inconscio è
strutturato come un linguaggio, Lacan vuole portare la sua riflessione al di
là, e rispondere al rimprovero che lui eluderebbe il principio affermato nella
dottrina freudiana che questa dinamica è essenzialmente sessuale con la
proposta delle due operazioni di causazione del soggetto. Si tratta di
articolare l’idea di un inconscio strutturato come un linguaggio con la sessualità
o, in altri termini, di coniugare il significante e l’oggetto. Si tratta di
articolare due ordini eterogenei: quello del significante e quello del
godimento.
Da questo punto di vista l’introduzione più
innovativa a quest’epoca risiede nella operazione di separazione. Nello scritto
Nota sulla relazione di Daniel Lagache: Psicoanalisi e struttura della personalità,
la cui redazione è finita nella pasqua del 1960, lo stesso anno del Congresso
di Bonneval, Lacan già si riferiva a quest’articolazione. Nelle pagine che
dedica allo smontaggio della pulsione dice: «Diremmo che tutto è significante?
Sicuramente no, ma è struttura». Questo frammento è fondamentale perché Lacan
effettua un autentico giro, nel senso che fin a questo momento lui aveva legato
struttura e significante. A partire da questa data dice che c’è struttura ma
non soltanto significante. Jacques-Alain Miller ha sottolineato l’importanza di
questo brano dicendo che tutto è struttura, ma non tutto nella struttura è
significante.
Per questo motivo Lacan propone un cambiamento:
dalla linguistica alla logica, come strumento per dotare la psicoanalisi di una
prospettiva scientifica. C’è anche un cambiamento rispetto alla prospettiva
freudiana sulla dinamica: non è più una energetica, metafora con cui Freud
concepisce l’aspetto libidico prendendo in prestito il concetto dalla fisica,
ma Lacan fa ricorso alla logica formale. L’alienazione e la separazione sono il
risultato dell’utilizzazione della logica degli insiemi, così come la riunione
e l’intersezione che implicano.
Un’altra prospettiva permette di capire questo
giro di Lacan. È il cambiamento dalla significazione fallica come prodotto
della metafora, come via della sessuazione del soggetto, all’idea che sia un
resto, l’oggetto a che scappa al campo del significante, il modo in cui il
soggetto è presente nel campo del Altro.
L’appello al complemento
L’abbordaggio del godimento non si fa soltanto per
il significante fallico ma con un nuovo valore che prende l’oggetto parziale,
come resto non misurabile dal significante fallico. L’essenziale della
questione della separazione è che il soggetto diviso tramite il significante
produce questo appello, una condizione di complementarità che non sarà rivolta
all’Altro, ma che dovrà mettere in gioco qualcosa da lui stesso: l’oggetto a.
Con questa parte, lui potrà stabilire una congiunzione tra la posizione di
soggetto e l’oggetto, cioè quella che scrive il fantasma $<>a.
Mi sembra particolarmente interessante la
spiegazione di Lacan sul fatto che la nozione di intersezione sorge dalla
sovrapposizione di due mancanze: «Una mancanza viene incontrata dal soggetto
nell’Altro, nell’intimazione stessa che l’Altro gli rivolge nel suo discorso.
Negli intervalli del discorso dell’Altro, sorge, nell’esperienza del bambino,
una cosa che vi è radicalmente reperibile - Mi dice questo, ma che cosa vuole?»
[Il seminario, Libro XI, p. 210]. In questo intervallo, e sottolineo
intervallo, che taglia il significante, che fa parte della struttura stessa del
significante, risiede quello che Lacan ha chiamato, in altri registri
dell’insegnamento, la metonimia. Nel seminario I quattro concetti
fondamentali della psicoanalisi Lacan dice: «È qui che striscia, è qui che
scivola, é qui che fugge, come un furetto, quello che noi chiamiamo il
desiderio. Il desiderio dell’Altro viene afferrato del soggetto in ciò che non
quadra, nelle mancanze del discorso dell’Altro, e tutti i perché? del
bambino testimoniano meno di un’avidità della ragione delle cose, di quanto non
costituiscano una messa alla prova dell’adulto, un perché mi dice questo?
sempre ri-suscitato di nuovo dal suo fondo, che è l’enigma del desiderio
dell’adulto.
Ora, nel rispondere a questa presa, il soggetto,
come Calandrino [Gribouille è un personaggio che rappresenta per i francesi un
naïf, un essere ingenuo, semplice, che può gettarsi al fiume per non diventare
umido a causa della pioggia, così rappresenta quelli che per timore di un male
si gettano in un altro peggiore N.d.A.], apporta la risposta della
mancanza antecedente, della propria scomparsa, che egli viene a situare nel
punto della mancanza intravista nell’Altro. Il primo oggetto che egli propone
al desiderio parentale, il cui oggetto è sconosciuto, è la sua propria perdita
Può perdermi? Il fantasma della sua morte, della sua scomparsa, è il primo
oggetto che il soggetto deve mettere in gioco in questa dialettica e, in
effetti, lo mette - lo sappiamo da mille fatti, non fosse che dall’anoressia
mentale. Sappiamo anche che il fantasma della propria morte viene comunemente agitato
dal bambino nei suoi rapporti di amore con i genitori.
Una mancanza ricopre l’altra. (…) È una mancanza
generata dal tempo precedente serve a rispondere alla mancanza suscitata dal
tempo seguente» [Ibid.], la perdita di una parte di se stesso, come
perdita originale, prima, e la sparizione, il fading, l’afanisi del soggetto che
corrisponde all’operazione di alienazione dopo.
Queste parole di Lacan mi sembrano molto
importanti dal punto di vista clinico e sono un orientamento utile dal punto di
vista tecnico, con le parole di Lacan: « è qui che vedremo spuntare il campo
del transfert» [p. 209. E nell’articolo Posizione dell’inconscio dice a
proposito della tecnica che l’idea d’un inconscio come pulsazione si ritroverà
con la scansione del discorso del paziente in quanto l’analista vi interviene.
«L’attesa dell’avvento di questo essere nel suo rapporto con ciò che designano
come desiderio dell’analista (…) ecco la vera e ultima molla di ciò che
costituisce il transfert» [p. 847].
Per questa ragione vediamo di solito all’inizio
dell’analisi dei bambini apparire un gioco: nascondersi o far sparire se stesso
o certi oggetti che lo rappresentano. Ugualmente, nell’analisi di adulti
vediamo un atteggiamento simile nell’uso della sparizione, come l’arrivo in
ritardo per domandare all’Altro il suo desiderio. «Questo organo dell’incorporeo
[l’oggetto a] nell’essere sessuato, ecco ciò che dell’organismo il soggetto
viene a collocare nel tempo in cui si opera la sua separazione. Grazie ad esso
egli può fare della sua morte, realmente, l’oggetto del desiderio dell’Altro».
Perché ha bisogno del mito?
Cosa offre a Lacan il mito al di là della
prospettiva logica che viene utilizzando: la logica degli insiemi e le
operazioni di riunioni e d’intersezione? Lacan ha spiegato in altri contesti,
ad esempio ne Il mito individuale del nevrotico, che il valore del mito
è di dire una verità che non si può dire in altro modo. E credo che nel
paragrafo di cui ora ci occuperemo, vediamo Lacan lottare con la difficoltà
d’introdurre la dinamica in un modo logico e, allo stesso tempo, mostrare il carattere
vivo e persino minacciante della libido.
Il mito che presenta la libido [Il seminario,
Libro XI, p. 191] come un organo irreale nel senso di «un strumento della
pulsione» (che si può legare al concetto posteriore di “apparato di godimento” del
seminario XX) cerca anche di dire qualcosa che è impossibile da dire in un
altro modo. Ma qui è piuttosto un modo di parlare del reale che ci sfugge. Così
precisa che “irreale” non vuol dire immaginario. Ma cosa è un organo irreale?
Lacan ha già definito in quali sensi utilizza
“organo”: «La libido deve essere concepita come un organo, nei due sensi del
termine, organo-parte dell’organismo e organo-strumento» [Il seminario, Libro
XI, p. 182]. E in Posizione dell’inconscio [p. 852]: «Questa lamella
è organo perché è strumento dell’organismo». E nel seminario XI [p. 201]
fornisce la ragione fondamentale che rende necessario l’utilizzo di un mito:
«L’irreale si definisce in quanto si articola con il reale in un modo che ci
sfugge, ed è precisamente questo che necessita che la sua rappresentazione sia
mitica, come noi facciamo». E nello scritto: «Come ogni altro mito si sforza di
dare un’articolazione simbolica più che un’immagine» [p. 851].
Irreale ma incarnato: «Ma, per il fatto che sia
irreale, questo non impedisce a un organo di incarnarsi. Ve ne do subito la
materializzazione. Una delle forme più antiche che incarna nel corpo questo
organo irreale è il tatuaggio». Il tatuaggio oggi ha più importanza rispetto
all’epoca nella quale Lacan parlava, una pratica più estesa adesso nelle nostre
società occidentali, ad ogni modo continua a mantenere le funzioni segnalate da
Lacan: è per l’Altro, situa il soggetto nel campo delle relazioni del gruppo,
tra ognuno e tutti gli altri, e ha chiaramente una funzione erotica che è
sempre facile da percepire. Dopo faremo altri fenomeni che mostrano questa
qualità della libido di essere un organo che s’incarna. Prendendo in
considerazione la qualità della libido di essere un organo che s’incarna, il
fenomeno psicosomatico e l’anoressia sono due esempi che ci consentono di
pensare in un altro modo queste entità cliniche, grazie all’operazione di
separazione.
Il secondo motivo che Lacan ci offre del perché
introdurre la dinamica attraverso un mito è che, dice, vuole rivaleggiare con
un altro mito «di un così grande prestigio», evocato sotto l’autorità di Aristofane
come fa Platone. Da sempre Lacan ha illuminato la lettura di classici, e in
particolare Il Simposio, nel seminario VIII Il transfert,
facendone una lettura molto meno enfatica, meno presuntuosa, mostrando invece,
in particolare nel caso di Aristofane, il carattere comico dei dialoghi. E
questa volta fa altrettanto: «Si tratta persino, se volete, di uno scherzo» [Il
seminario, Libro XI, p. 191]. Il mito: «Ricordiamone la primitiva bestia a
due dorsi in cui si saldano due metà fortemente unite con quelle di una sfera
di Magdeburgo, che, separate in un secondo tempo dall’intervento chirurgico
della gelosia di Zeus, rappresentano quegli esseri affamati d’un complemento
introvabile che siamo divenuti nell’amore. (…) La favola è una sfida ai secoli
in quanto li ha attraversati senza che nessuno abbia tentato di fare di meglio.
Io ci proverò» [Posizione dell’inconscio, p. 848]:
Perché questo mito è perdurato così tanto? Possiamo
spiegare che è riuscito a permanere per tanto tempo perché è una risposta
adeguata, non corretta, non esatta, ma adeguata, per i soggetti che vorrebbero
immaginare che c’è un’altra metà nel mondo che deve essere trovata, cioè
permette di mantenere l’idea dell’esistenza del rapporto sessuale.
Per le stesse ragioni si è accordata una chiara
prevalenza alla sfera nel campo delle scienze naturali durante molti secoli.
In molti miti e credenze l’idea dell’altra metà va
nello stesso senso. Ad esempio, il mito della nascita di Eva dal corpo di Adamo
mostra la preminenza accordata da sempre alla sfera, alla sua divisione e
all’appello al complemento. Per Lacan piuttosto si tratta della incompletezza,
come la chiamerà più tardi, ad esempio nel seminario XVI, e anche della perdita
di una parte di se stesso.
«Il rapporto con l’Altro è proprio ciò che, per
noi, fa sorgere ciò che la lamella rappresenta - non la polarità sessuata, il
rapporto del maschile con il femminile», come fa la favola di Aristofane e
tutte le riflessioni sulla coppia da quest’epoca ai nostri giorni, «ma il
rapporto del soggetto vivente con ciò che perde per il fatto di dover passare,
per la sua riproduzione, attraverso il ciclo sessuale» [Il seminario, Libro
XI, p. 193], e più tardi, negli ultimi seminari, dirà anche per essere
parlante.
Sotto quest’aspetto Lacan è freudiano, afferma che
nell’inconscio non s’inscrive la polarità sessuale e considera tutti questi
propositi di mantenere il mito creato da Aristofane come un’intenzione di
sostenere l’esistenza del rapporto sessuale. Ma quello che s’inscrive è la
pulsione. Il concetto di strumento, messo in rilievo da Lacan, illumina il
concetto di organo nel caso delle pulsioni in quanto costruite come un
montaggio. Lo illustra con le installazioni artistiche, al modo di quelle di Marcel
Duchamp: «Il montaggio della pulsione è un montaggio che, in primo luogo, si
presenta senza capo né coda - nel senso in cui si parla di montaggio in un
collage surrealista. Se avviciniamo i paradossi che abbiamo appena definito a
livello del Drang, a quello dell’oggetto, a quello della meta della
pulsione, credo che l’immagine che ci viene in mente mostrerebbe una dinamo in
funzione collegata a una presa del gas, da cui esce una penna di pavone che
solletica il ventre di una bella donna, che è lì in pianta stabile per la
bellezza della cosa» [Ibid., p. 165]. E aggiunge: «Si vede anche come
ciò che Freud chiama Schub, o colata della pulsione, non è la sua
scarica, ma va descritta piuttosto come l’evaginazione in andata e ritorno di
un organo la cui funzione va situata nelle coordinate soggettive precedenti» [Posizione
dell’inconscio, in “Scritti”, vol. 2, p. 850].
Si vede bene che non si tratta assolutamente di un
istinto, come si continua a dire fra gli psicoanalisti ortodossi. L’istinto si
scarica, la pulsione è un percorso di andata e ritorno. Il Drang è
costante.
Lacan oppone il suo mito al mito di Aristofane,
nel suo non è questione di trovare la sua altra metà, ma il complemento della
parte perduta da se stesso.
«Ebbene, immaginiamo che ogni volta che le
membrane si rompono, dalla stessa uscita s’involi un fantasma, quello di una
forma della vita infinitamente più primaria, e che non sia affatto pronta a
raddoppiare il mondo come microcosmo.
Rompendo l’uovo si fa sí l’Homo ma anche
l’Hommelette.
Supponiamola come un’ampia crêpe che si sposti
come l’ameba, ultrapiatta tanto da passare sotto le porte, onnisciente perché
mossa dal puro istinto della vita, immortale perché scissipara. Ecco qualcosa
che non sarebbe bello sentirsi colare sul viso, senza rumore, durante il sonno
per sigillarlo. (…) Inutile aggiungere che contro un essere così temibile la
lotta s’ingaggerebbe presto, ma una lotta difficile.(…) Infatti non sarebbe
facile ovviare alle vie dei suoi attacchi, impossibili del resto a prevedersi
perché non conoscerebbe ostacoli» [Ibid., p. 849].
La libido è definita da Lacan come un puro istinto
di vita, di vita immortale, di vita che non si può rimuovere.
È abbastanza sorprendente il modo in cui Lacan
enfatizza l’aspetto relativo alla partizione da se stesso attraverso
l’utilizzazione d’immagini biologiche, ad esempio: «Consideriamo questo uovo
nel ventre viviparo in cui non ha bisogno di guscio, e ricordiamo che ogni
volta che le sue membrane si rompono, è una parte dell’uovo a esser ferita,
giacché dell’uovo fecondato le membrane sono figlie allo stesso titolo del
vivente che viene alla luce per la loro perforazione. Ne viene che alla sezione
del cordone ciò che il neonato perde non è come pensano gli analisti, la madre,
ma il suo complemento anatomico. È quel che le levatrici chiamano “délivre”»,
gli annessi fetali [Posizione dell’inconscio, pp. 848-849]. Questi
riferimenti biologici, ad esempio qui gli annessi fetali, sono molto strani
nell’insegnamento di Lacan. Ha cominciato ad accennare alle determinanti
biologiche appena prima, nel seminario precedente sull’angoscia, dove parla
della castrazione in termini di detumescenza fallica, e che continua nel
seminario XI e nell’articolo Posizione dell’inconscio, ma dopo non
riprenderà mai più questa prospettiva. Forse la descrizione nei termini della
biologia gli permette di sottolineare di più che la perdita sia di una parte da
se stesso, perdita originale, in opposizione alle correnti della psicoanalisi
dell’epoca. Dice ad esempio, nella p. 849, che la nascita non suppone la
perdita della madre come abitualmente affermano gli analisti, ma la perdita del
suo complemento anatomico, e questo è il motivo per il quale Lacan parla di
mutilazione ed anche di automutilazione. Nella p. 851 illustra quest’aspetto a
proposito del seno, rinforzando il carattere di «taglio anatomico» per opporsi,
con tono ironico e quasi di beffa, all’idea del seno come «“fonte di una
nostalgia regressiva” per il fatto di essere stata quella di un nutrimento
stimato. Esso è legato al corpo materno, si dice, al suo calore, alle premure
dell’amore. Ma ciò non dà sufficientemente ragione del suo valore erotico, di
cui un quadro (a Berlino) di Tiepolo, figurante in un orrore esaltato
sant’Agata dopo il supplizio, dà un’idea più adeguata» L’immagine di sant’Agata
la mostra portare su un vassoio i suoi seni tagliati nel martirio. Alcune righe
dopo aggiunge: «si tratta del seno specificato nella funzione di svezzamento
che prefigura la castrazione».
Riassumo il gioco del nipote di Freud con le
parole di Lacan: «Freud, quando coglie la ripetizione nel gioco del nipotino,
nel fort-da reiterato, può sí sottolineare che il bambino tampona l’effetto della
scomparsa della madre facendosene l’agente, ma questo fenomeno è secondario.
Come sottolinea Wallon, non è che il bambino sorvegli immediatamente la porta
da cui è uscita la madre mostrando così che si aspetta di rivederla lí, ma,
prima, è al punto stesso in cui ella lo ha lasciato, al punto da lei
abbandonato vicino a lui che egli porta la sua attenzione. La faglia introdotta
dall’assenza così disegnata e sempre aperta resta causa di un tracciato
centrifugo in cui ciò che cade non è l’altro», la madre nel caso del nipote di
Freud, «in quanto figura in cui il soggetto si proietta, ma il rocchetto legato
a lui da un filo che egli trattiene - in cui si esprime ciò che, di lui, in
questa prova si stacca, l’automutilazione a partire da cui l’ordine della
significanza si mette in prospettiva. (…) Il rocchetto non è la madre ridotta
una pallina grazie a chissà quale gioco degno degli Jivaro - è piuttosto un
piccolo qualcosa del soggetto che si stacca pur essendo ancora suo, ancora
trattenuto» [Il seminario, Libro XI, p. 60].
L’introduzione del mito, in queste pagine, somiglia
più a un film di terrore in confronto alle descrizioni della che ne fanno uno
Jung, che parla di una energia psichica indifferenziata, d’una energia vitale
ampia e generalizzata, ma anche di Freud, che descrive la libido come un campo
di forze, prendendo la metafora della fisica. Credo sia un effetto cercato da
Lacan il fatto di essere una descrizione più prossima ad un film che fa paura.
Sicuramente con queste immagini Lacan dà non soltanto una descrizione più o
meno astratta, come sono le operazioni di alienazione e separazione da un punto
di vista logico, ma anche una descrizione più incarnata, più materiale.
Riassumendo, si può dire che l’utilizzazione del
mito serve:
- per articolare il rapporto con il reale che ci
sfugge, il mito ci dà una articolazione simbolica;
- per rivaleggiare con un mito così durevole, il
mito della coppia come due metà complementari;
- per rappresentare l’oggetto a, l’oggetto della
pulsione, in chiara opposizione alla polarità sessuata, al rapporto del
maschile con il femminile, che non s’iscrive nell’inconscio e, in questo senso,
è una anticipazione della formula “Non c’è rapporto sessuale” che manterrà sino
alla fine del suo insegnamento;
- per offrire una immagine più incarnata, nel
testo si fa riferimento alla materializzazione nella figura del tatuaggio.
«La libido è la lamella che fa scivolare l’essere
dell’organismo al suo vero limite, che va oltre il limite del corpo» [Posizione
dell’inconscio, p. 852]. In questa affermazione vorrei evidenziare due
questioni: da una parte la differenza che Lacan fa tra corpo e organismo,
dall’altra, quando dice che va oltre il limite, Lacan pensa l’essere
dell’organismo come una superficie che copre il corpo di differenti modi
secondo la struttura.
Sottolineo che l’organismo non è concepito nel
senso colloquiale, ma è concepito come corpo + libido, così lo definisce
Jacques-Alain Miller in un articolo molto interessante che ha per titolo Riflessioni
sul fenomeno psicosomatico [La Psicoanalisi, n. 2].
Lacan spiega il modo in cui la libido fa
strisciare l’essere dell’organismo al suo vero limite offrendoci
un’osservazione del comportamento animale per far capire l’idea del
prolungamento della libido al di là del corpo: «La sua funzione radicale
nell’animale è materializzata in certa etologia dell’improvvisa caduta del suo
potere di intimidazione al limite del suo “territorio”». Si capisce bene che
l’estensione del potere di intimidazione va al di là del corpo dell’animale,
fino ai confini del suo campo, del suo territorio. In questo caso si vede anche
che «è organo perché è strumento dell’organismo» [Ibid., p. 852].
Lacan continua con l’introduzione della manovra
dell’isterica, dicendo che mette «la libido alla prova fino all’elasticità
estrema». Cosa vuol dire mettere la libido alla prova della sua elasticità? La
libido si localizza nel sintomo isterico secondo un modo diverso da quello
proprio dell’immagine speculare. Il corpo isterico soffre una frammentazione
che possiamo esemplificare con la paralisi del braccio o della gamba, come nell’astasia-abasia
della paziente di Freud Elisabeth Von R., o la paralisi della mano, che produce
l’inibizione nevrotica di uno scrittore. In ambedue è il corpo libidico che si
fa presente. È precisamente un modo di fare diagnosi differenziale tra un sintomo
neurologico e uno isterico. Il primo seguirà le vie dell’innervazione
anatomica, il sintomo isterico, ad esempio un’anestesia a guanto, seguirà
invece la forma immaginaria della mano.
Il fenomeno psicosomatico
Fenomeno psicosomatico (FPS): Lacan lo chiama
“fenomeno” per mettere in rilievo che non è un sintomo in stricto sensu, non è
una formazione dell’inconscio che ha struttura di linguaggio. Il sintomo
suppone una sostituzione che nel linguaggio della retorica ha nome di metafora,
per questo motivo è aperto allo spostamento retroattivo per riformulazione e a
un cambiamento dovuto all’emergenza degli effetti di verità. Il FPS, invece, si
configura nell’assenza di metafora soggettiva, nell’assenza di afanisi. Lacan
parla di una stessa matrice per spiegare una serie di casi: il debole mentale,
la psicosi e il fenomeno psicosomatico, «Anche se in ciascuno il soggetto non
occupa lo stesso posto» [Il seminario, Libro XI, p. 233]. In tutti
questi casi è in gioco la mancanza d’intervallo tra S1 e S2,
cioè la prima coppia di significanti si solidifica, si congela, si olofrasizza.
Per Lacan il fenomeno psicosomatico è nel bordo della psicoanalisi perché è al
limite del campo del linguaggio. Dobbiamo giustificare perché nonostante sia ai
confini del linguaggio possiamo occuparci del FPS in psicoanalisi.
Un fenomeno psicosomatico non s’interpreta. La sua
interpretazione è nella maggior parte dei casi inutile. Soltanto in alcuni casi
si potrebbe avere qualche effetto in modo suggestivo, nell’articolo
“Riflessioni sul fenomeno psicosomatico” [cit.] Jacques-Alain Miller dice che
questi fenomeni si possono risolvere, quando lo fanno, dalla suggestione perché
c’è una struttura comune tra la suggestione e il fenomeno psicosomatico:
quest’ultimo, dice, è una specie di suggestione prolungata, in certo modo
eterna.
Il FPS evita, schiva, la struttura del linguaggio,
con diverse conseguenze, una è che la categoria di trauma non è valida. In
questi casi è piuttosto un evento storico, biografico, che non si trasporrebbe
per struttura di linguaggio ma che si iscriverebbe direttamente.
Possiamo scrivere il fenomeno psicosomatico: I (
), per evocare la sua affinità con il tratto unario, preso da Lacan in Freud,
ma qui non indicizzato con l’Altro del significante. È per questa ragione che
Lacan, nelle stesse pagine del seminario XI (che costituiscono i nostri
riferimenti fondamentali su questo tema), si riferisce agli esperimenti sul
riflesso condizionato di Pavlov a proposito dell’animale, dicendo che l’animale
non essendo un essere parlante non mette in gioco, sul tappeto, il desiderio
dello sperimentatore. Cosa significa situare il FPS quasi nel registro
dell’animale dell’uomo? Significa che nel FPS il soggetto lì dove dovrebbe far
questione il desiderio dell’Altro lo schiva, schiva l’Altro del significante.
Questa è un’altra caratteristica differenziale rispetto al sintomo isterico,
perché questo rapporto con l’Altro è costitutivo del sintomo isterico. Nel FPS
il meccanismo di rappresentazione non funziona, S1 non fa catena con
S2, il soggetto non è rappresentato da un significante per un altro.
E si può anzi domandarsi se c’è o non c’è soggetto. Miller dice che nella
misura in cui il soggetto cessa di essere rappresentato manca la discontinuità.
Siamo in presenza o in assenza di un significante unario, di un significante
privilegiato (Miller segnala che il nostro linguaggio non è molto adeguato), in
ogni caso sarà un S1, ma in un certo senso assoluto.
Cosa disponiamo per pensare questo S1?
S’interroga Miller. E afferma: le nostre risorse sono scarse. Nel tratto unario
si ha un significante da solo, non articolato. Possiamo apportare il
geroglifico, ma un geroglifico nel deserto, possiamo pensare alla segnatura,
che al limite è una semplice X, la marca che il soggetto era lì, il nome
proprio, nel senso che fa cortocircuito dell’Altro del linguaggio, il nome
proprio attraversa le diverse lingue e sembra riferirsi in modo diretto
all’oggetto senza passare per l’articolazione significante. Anzi, non potremmo
evocare il sigillo? E la scarificazione? Questa enumerazione serve per mostrare
la difficoltà di definire questo S1.
Nella Conferenza di Ginevra Il sintomo [La
Psicoanalisi, n. 2] Lacan dice che «lo psicosomatico è qualcosa che è nel suo
fondamento profondamente attecchito nell’immaginario». Il fenomeno psicosomatico
è ancora, conclude J-A. Miller, un campo di ricerca dell’S1, che non
supera il livello dell’analogia. Dovremmo studiare di più il carattere di
questo S1, almeno fino a trovare la nostra impossibilità, cioè un
reale. Lacan si riferisce, nella stessa pagina, alla psicosi: «È sicuramente di
qualcosa dello stesso ordine che si tratta nella psicosi. Questa solidità,
questa presa in massa della catena significante primitiva è ciò che proibisce
quell’apertura dialettica che si manifesta nel fenomeno della credenza».
Dovremmo opporre a questa credenza la certezza psicotica. Nella paranoia, così
piena di credenza, ciononostante regna il fenomeno dell’Unglauben, cioè
non il non crederci ma l’assenza di uno dei termini della credenza, termine con
cui si designa la divisione del soggetto. Nella pagina successiva Lacan
afferma: «Se in effetti non esiste credenza che non supponga nel suo fondo che
la dimensione ultima che essa deve rivelare è strettamente correlativa al
momento in cui il suo senso svanirà». Cioè, manca l’afanisi del soggetto.
D’altra parte, l’incorporazione della struttura
del linguaggio ha sul corpo un effetto preciso: la separazione del corpo e del
godimento. Possiamo qui parlare di evacuazione, svuotamento del godimento che
rimane riservato a certe zone erogene del corpo. Nel caso del FPS il godimento
torna a entrare nel corpo. Con una localizzazione, non la delocalizzazione del
godimento della psicosi, ma una localizzazione diversa dalla “normale”. C’è una
localizzazione spostata, fuori delle zone erogene del corpo.
Torno all’idea di Lacan di una libido incarnata,
corporificata, per indicare che, nel brano che stiamo commentando, Lacan nel
proporre che i limiti dell’organismo vanno al di là dei limiti del corpo
propone allo stesso tempo una topologia che risulta strana per noi, perché la
nostra inclinazione naturale vede nel corpo una funzione di esteriorità, di
forma totale, e consideriamo che l’organismo è nell’interiore. Lacan, al
contrario, considera specifico dell’essere parlante, specialmente nel caso
dell’isteria, che l’organismo include la libido stessa, e una libido fuori dal
corpo, così come sono fuori corpo gli oggetti a.
In Riflessioni sul fenomeno psicosomatico
Miller disegna due circoli concentrici e segnala che nel caso dell’essere
parlante il corpo è dentro il circolo che rappresenta l’organismo, mentre che
nel FPS è all’inverso. In effetti, nel FPS il paradosso è che la libido non è
un organo incorporeo come nel caso normale, o perfino nel caso dell’isteria, ma
la libido diviene corporificata. La lesione potrebbe essere considerata come
libido corporificata. Nella Conferenza di Ginevra, Lacan propone che «è per il
godimento specifico che il FPS ha nella sua fissazione che si deve abbordare lo
psicosomatico», cioè è necessario cercare nella soddisfazione il principio
causale del congelamento, della olofrase, per trasformare il FPS in sintomo,
ovvero far sì che l’Altro non sia soltanto il corpo proprio.
L’anoressia mentale
Questa prospettiva di Lacan serve anche per
illuminare un nuovo settore della clinica: la cosiddetta anoressia mentale. In
una intervista su Radio Lacan, Domenico Cosenza proponeva che questo è un
soggetto che ha un rapporto molto importante con il tema del Convegno
Internazionale di Rio de Janeiro L’inconscio e il corpo parlante. Questo
tipo clinico mostra una particolare passione negativa per l’immagine nello
specchio, un funzionamento dell’olofrase sul piano della parola e il linguaggio,
e un godimento compulsivo e senza limiti, costituisce un buon esempio del
problema che vengo sviluppando sulla stessa matrice e che riunisce una serie di
casi: il FPS, la psicosi e l’anoressia mentale. Sono casi dove s’incontra una
assenza di metafora soggettiva, di afanisi.
Per capire meglio questo problema possiamo
considerare la riflessione di Lacan sul gioco del rocchetto del piccolo nipote
di Freud, conosciuta come l’esperienza del Fort-Da, che Lacan riprende
innumerevole volte nel seminario XI, sopratutto per spiegare la ripetizione.
All’inizio del suo insegnamento, ad esempio con Funzione
e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, Lacan proponeva come
essenziale l’opposizione fonematica Fort-da, il gioco ripetitivo, l’assenza
della madre. Nel seminario XI la problematica si rovescia: Lacan mostra che
l’essere del soggetto si definisce dal lato del rocchetto e si accompagna del
fascino del Fort-Da. Quest’inversione topologica mostra bene che, in questo
momento, è nel rocchetto che si decide l’essenziale della operazione. Dice che
il rocchetto è qui messo in gioco, nel luogo dove si è aperto un buco,
un’apertura sul fondo dell’assenza della madre.
Una lezione clinica: l’osservazione di Freud
Nel 1920, Freud inventa l’osservazione analitica
del bambino nel laboratorio del Fort-Da, osservando il gioco di un piccolo
bambino di un anno e mezzo, suo nipote che abitava a sua casa per alcuni
settimane.
Primo tempo. Il bambino lanciava lontano, al di là
della sua culla, tutti i piccoli oggetti che poteva appropriarsi, e
accompagnava questo atto con una espressione d’interesse e soddisfazione, un “Oooo”
forte e prolungato, che secondo l’opinione della madre e di Freud non era
proprio una interiezione, una esclamazione, ma significava Fort, “partito”.
Freud deduce che era un gioco e che il bambino utilizzava i suoi giocattoli per
giocare a “partito”.
Secondo tempo. Freud nota poi una modificazione
del gioco. Il bambino teneva una bobina intorno alla quale era avvolto un filo,
lui la lanciava sopra il bordo della culla questa bobina e osservava la sua
scomparsa pronunciando un “Oooo” pieno di senso. Dopo tirava il filo per
riprendere la bobina e salutava la sua riapparizione con un allegro Da, “qui”.
Era il gioco completo di sparizione e ritorno, presenza-assenza, del quale si
percepiva spesso soltanto il primo atto, infaticabilmente ripetuto, sebbene il
maggior piacere del bambino provenisse dal secondo.
Terzo tempo. Freud aggiunge alle due precedenti
un’osservazione ulteriore. Un giorno la madre si è assentata durante molte ore,
ed è ricevuta dal bambino con il saluto “Bebé…Oooo” che non fu facile da
interpretare. Freud dopo capisce che il bambino, durante la lunga assenza di
sua madre, aveva trovato un modo di far sparire se stesso: lui aveva scoperto
la sua immagine nello specchio, specchio che non arrivava a terra cosicché
mentre lui era abbassato, chinato, l’immagine spariva. Freud credeva che questo
gioco fosse in rapporto con «importanti risultati di ordine culturale ottenuti
dal bambino» per il fatto di aver conseguito una rinuncia pulsionale che gli
permetteva di accettare che la madre partisse, senza pianto e senza ira. Freud
pensava che il bambino si compensasse del traumatismo causato dall’assenza
della madre mettendo in scena lui stesso, con i suoi oggetti, la presenza-assenza,
facendo poi montare sulla scena la sua immagine speculare, il suo Io.
La partenza della madre non poteva essere
piacevole per il bambino. Freud allora si è domandato come conciliare il fatto
che il bambino nonostante ciò ripeteva l’esperienza penosa. Due interpretazioni.
Nella prima Freud pensa che il bambino, passivo alla mercé degli eventi, si
assicurasse per pulsione di dominio un ruolo attivo nella ripetizione del
gioco. Una ripetizione significante che viene al posto del ricordo
traumatizzante. Nella seconda Freud vedeva nella azione del bambino una specie
di sfida. Rifiutando l’oggetto, soddisfa la pulsione di vendicarsi della madre.
Il suo atto ha una significazione di rifiuto dell’Altro, come fondamentalmente
non assimilabile, un inizio di simbolizzazione.
Se Freud, attraverso questo gioco, ha capito i due
assi della ripetizione significante del soggetto e del rigetto dell’oggetto, ha
avuto anche l’idea che il bambino ripetendo una esperienza sgradevole traeva
ciononostante «un guadagno di piacere d’altra specie», cioè quello che Lacan
nomina godimento.
Il bambino nasce al linguaggio
Lacan considera che Freud abbia avuto un’intuizione
geniale. Sono questi giochi di occultazione, mostrati da Freud, quelli che ci
permettono di riconoscere che il momento nel quale il desiderio si umanizza è
anche quello dove il bambino nasce al linguaggio.
Dobbiamo sottolineare due aspetti. Il bambino
s’impegna nel linguaggio attraverso il discorso dell’Altro, riproducendo più o
meno i vocaboli che riceve da questo Altro. Lo fa, nell’esempio, con la coppia
di significanti fort-da. Questa opposizione funziona come un battito
significante, “lì - non lì”, illustrando la catena significante ridotta qui al
suo minimo simbolico. E dobbiamo anche sottolineare che il bambino s’impegna
nel linguaggio anche con un oggetto, il rocchetto.
Questa osservazione presenta in modo quasi
sperimentale l’avvenimento di un soggetto. L’inscrizione nella catena
significante, fort-da, produce un soggetto, e questa operazione esige anche
l’estrazione di un oggetto. La realtà del bambino è sopportata da un oggetto, e
da un gioco che gli dà il suo quadro. Il soggetto si separa da un oggetto da
cui ha un godimento e questa separazione è logicamente contemporanea alla sua
inscrizione nella catena significante.
Si produce così un cambiamento omologo del
concetto di ripetizione. Non fa già ostacolo al ricordo, piuttosto appare come
la traccia di un incontro fallito con il reale. Lacan non accentua il godimento
legato all’insistenza della catena significante, ma fa presente che è legata a
una perdita. «L’insieme del gioco simbolizza la ripetizione, ma non certo
quella di un bisogno che farebbe appello al ritorno della madre e che si
manifesterebbe più semplicemente nel grido. Si tratta della ripetizione della
partenza della madre come causa di una Spaltung nel soggetto - superata
dal gioco che si alterna» [Il seminario, Libro XI, p. 61]. E nella
pagina precedente Lacan che «non è che il bambino sorvegli immediatamente la
porta da cui è uscita la madre mostrando così che si aspetta di rivederla lì,
ma, prima, è al punto stesso in cui ella lo ha lasciato, al punto da lei
abbandonato vicino a lui che egli porta la sua attenzione. La faglia introdotta
dall’assenza così disegnata e sempre aperta resta causa di un tracciato
centrifugo in cui ciò che cade non è l’altro in quanto figura in cui il
soggetto si proietta, ma il rocchetto legato a lui da un filo che egli
trattiene - in cui si esprime ciò che, di lui, in questa prova si stacca,
l’automutilazione a partire da cui l’ordine della significanza si mette in
prospettiva. Poiché il gioco del rocchetto è la risposta del soggetto a quanto
l’assenza della madre è venuta a creare sulla frontiera del suo dominio - sul
bordo della culla - cioè un fossato, intorno al quale non gli resta che fare il
gioco del salto». E Lacan aggiunge, con la sua caratteristica ironia, che «Il
rocchetto non è la madre ridotta a una pallina grazie a chissà quale gioco
degno degli Jivaro - è piuttosto un piccolo qualcosa del soggetto che si stacca
pur essendo ancora suo, ancora trattenuto». Il rocchetto illustra la
castrazione, che contiene l’oggetto sguardo, oggetto a in gioco. Meglio che di
essere totalmente preso nel reale dell’abbandono della madre e di situare il
suo corpo nel battito dell’opposizione significante (come si vede fare ad
alcuni soggetti psicotici, che passano il tempo a accendere/spegnere una lampada,
aprire/chiudere una porta). Il soggetto gioca, cioè gode con le parole e con il
rocchetto, l’equivalente di un pezzo del suo corpo. Per Lacan l’essenza della
ripetizione di questo gioco è il processo stesso della alienazione del soggetto
che si esprime nel Fort. Il soggetto dispone allora di una scelta forzata, la
traduzione e il nominare. Il soggetto è condannato «a non apparire che in
questa divisione».
Revisione redazionale di Giuseppe Perfetto
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