venerdì 13 ottobre 2017

Seminario fondamentale Istituto freudiano di Milano del 25 Febbraio 2017. Docente invitato: Andrés Borderías

LO SCHEMA OTTICO E L’OGGETTO a, NEI CAPITOLI 3,4,6,7,9 E 10 DEL SEMINARIO X L’ANGOSCIA

Buongiorno, vi ringrazio della presenza. Il tema che mi è stato proposto è “L’oggetto a e lo schema ottico” nei capitoli 3,4,6,7,9 e 10 del Seminario L’ Angoscia. Seguiremo questo filo che percorre la prima metà del seminario, nelle parti dedicate a “La struttura dell’angoscia” e alla revisione dello statuto dell’oggetto.
Nel leggere questi capitoli si può notare la grande varietà di temi e riferimenti che Lacan percorre per mettere in moto il suo “laboratorio”: un quadro degli affetti, una lettura critica della dialettica hegeliana, il ritorno di Amleto ancora sulla scena, l’interrogare il fenomeno del perturbante della mano attraverso Hoffman, la risorsa della topologia e una lunga serie di fenomeni clinici come la depersonalizzazione, il lutto, l’acting out e il passaggio all’atto. Infine, attraverso questi capitoli, lo schema ottico e lo stadio dello specchio vengono rivisitati e riformulati.
Cercherò di estrarre la logica di questo movimento che ha un punto di capitone, a pag. 47 dell’edizione in spagnolo, nel capitolo III, quando Lacan afferma, a proposito della misteriosa identificazione di Amleto con Ofelia: “lo statuto di oggetto del desiderio, […] ne convengo, non è ancora stato precisato. Ed è proprio questo che si tratta di approfondire quest’anno, affrontando l’angoscia” [Lacan, J. Il seminario X. pag. 42].
L’angoscia, come ci ricorda Miller, non è il vero obiettivo del seminario, ma una via di accesso privilegiata per una nuova definizione dell’oggetto, una via molto più certa di altre che ha seguito in precedenza. Questa via conduce inoltre a una riformulazione dei concetti anteriori e in un certo senso alla formulazione dello schema ottico. Lo dice appena inizia il seminario, in prima pagina: “L’angoscia è precisamente il punto di incontro dove vi attende tutto quello che è stato il mio discorso precedente. Vedrete come ora potranno articolarsi tra loro un certo numero di termini che forse, sino a oggi, non vi sono sembrati sufficientemente collegati” [Lacan, J. Il seminario X, pag 5].
Questo seminario è quindi un laboratorio nel quale Lacan utilizza l’angoscia come un attrezzo per avanzare nella sua riconcettualizzazione dell’oggetto, poiché Lacan cerca di formulare la dimensione reale, dello stesso, e darle un nuovo statuto a partire della sua dimensione libidica, di godimento. Come conseguenza, riesamina la castrazione, per approfondire lo statuto della mancanza al di là dell’immaginario. Questo è il cuore concettuale.
Il principio della fenomenologia dell’oggetto angosciante, dell’oggetto che causa l’angoscia, è la nozione che c’è sempre un certo vuoto che bisogna preservare, incluso nel campo visivo e nell’amore – afferma J.-A. Miller nella sua introduzione al seminario – e dal suo riempimento totale sorge la perturbazione nella quale si manifesta l’angoscia. La fenomenologia dell’oggetto angosciante parte dallo stadio dello specchio e Lacan la presenta a partire da questi primi capitoli, dove dispiega le sue condizioni a partire da una nuova nozione dell’oggetto a e di - phi.
Lungo il seminario, e specialmente in questi capitoli, lo schema ottico è oggetto di una lenta decostruzione poiché Lacan cerca un nuovo statuto dell’oggetto al di là dello speculare. Riformula tutto il campo del narcisismo scegliendo come particolare via d’ingresso la revisione critica della dialettica del desiderio hegeliano, il che produrrà an passant un modo di superarla definitivamente. Come dice all’inizio del capitolo III, dopo la critica all’articolazione hegeliana sviluppata nel capitolo precedente del desiderio: “si vorrebbe un’articolazione più precisa tra lo stadio dello specchio e il significante […] l’angoscia ci permetterà di ripassare per l’articolazione che mi è stata richiesta” [Lacan, J. Il seminario X. pag. 33].
Nei primi due capitoli, Lacan costruisce la tabella degli affetti, nei quali esplora i limiti del significante per analizzare lo statuto dell’angoscia. Lacan cerca di catturare l’angoscia nelle reti del significante, cioè, di situarla in un quadro concettuale. Questa tabella non riesce tuttavia a dirci cosa sia l’angoscia. Ci dice sopratutto ciò che non è.
Pe analizzarla convenientemente in questi primi capitoli, Lacan torna ai fondamenti del suo insegnamento anteriore e specialmente alla categoria del desiderio. Mette in relazione così l’angoscia e il desiderio, come principio di una lenta elaborazione e di una decostruzione che punta a separarle, una volta trovate entrambe i loro posti precisi. Questo divide il seminario in due grandi movimenti: nel primo, nel quale si situano i capitoli che riformulano lo schema ottico, tenta di situare l’angoscia in relazione col desiderio e l’oggetto angosciante. Nel secondo movimento, opera uno spostamento per situarla in relazione col godimento reale e non più con il desiderio. L’angoscia appare quindi come un mezzo per catturare il reale del godimento.
Al cuore stesso del secondo movimento del seminario, c’è un’articolazione importante: all’inizio in questi capitoli, l’angoscia è causata dall’oggetto a, c’è quindi un’anteriorità dell’oggetto in relazione con l’angoscia. Diciamo che l’oggetto a è causa dell’angoscia, nel campo visivo è prevalente e il fenomeno del perturbante è grande protagonista. Alla fine Lacan invertirà l’ordine: l’angoscia diverrà produttrice dell’oggetto a e dirà che l’angoscia designa “Das Ding”, termine precursore dell’oggetto a. L’angoscia è equivalente alla Cosa, ma la Cosa non è equivalente all’oggetto a. C’è un’anteriorità logica della Cosa rispetto all’oggetto a. La Cosa è una figura del godimento che precede l’oggetto, il che situa l’angoscia come precedente l’oggetto e, similmente, anche precedente l’io ancora non costituito. C’è una sostanzialità dell’angoscia che trasforma il reale inconcepibile della Cosa in un oggetto reale, logicamente concepibile. La sequenza sarà quindi Cosa-angoscia-oggetto, o Godimento-angoscia-oggetto. L’angoscia è produttiva.
Successivamente Lacan accentua la differenza: la Cosa come il reale puro, mentre l’oggetto a diviene sembiante del reale. Sono le due modalità della lettura dell’angoscia come “segnale del reale”: segnale dell’oggetto nell’io o segnale della Cosa. Sia come sia, segnale dell’oggetto o segnale della Cosa, l’angoscia annuncia la mancanza originale costitutiva del soggetto. L’angoscia è ormai in sé stessa una difesa contro il reale irrappresentabile. Non ci difendiamo della difesa. Lacan insiste «La difesa non è contro l’angoscia, ma contro ciò di cui l’angoscia è il segnale» [Lacan, J. Il seminario X, pag. 150]. In effetti, l’angoscia è, cito, “La risposta al pericolo più originario, all’insormontabile Hilflosigkeit, all’abbandono assoluto dell’ingresso nel mondo” [Lacan, J. Il seminario X, pag. 149].  Di fronte a quest’abbandono, l’angoscia è il male minore, è una risposta che attenua questa esperienza dolorosa della mancanza originaria. Possiamo dire che manca la “mancanza”, grazie all’azione difensiva dell’angoscia. L’angoscia è al tempo stesso segnale e difesa, un modo di accomodare l’oggetto reale senza soffrire una disperazione assoluta. Lo schema ottico nel capitolo X mette in risalto questa variazione della concezione dell’angoscia.
Nell’ultimo capitolo del seminario Lacan torna al piano scopico ma già riformulato, non appare lo schema ottico, la via che ha scelto per cogliere l’oggetto si è spogliata del suo involucro immaginario e il ricorso allo schema ottico è caduto per sempre.

APPROSSIMAZIONE HEGELIANA
Cercheremo ora di seguire il filo che ci porta dalla dialettica hegeliana allo stadio dello specchio via l’angoscia.
Lacan si allontana da Hegel. Hegel, mediante la nozione di concetto, punta a ridurre tutte le cose al significante, afferma che “il concetto è la Cosa”. Non c’è né resto reale, né mancanza irriducible. All’inizio del seminario, Lacan prova qualcosa di simile quando sceglie come titolo al primo capitolo “L’angoscia nella rete dei significanti”. Va a pescare il reale dell’angoscia nella rete del significante, tramite il simbolico. Lacan tuttavia opta per Kierkegaard rispetto all’universo hegeliano del concetto. Quando il filosofo danese scrive Il concetto di angoscia, pone in realtà il “concetto di ciò che fugge al concetto”. Il concetto è qualcosa di reale, inassimilabile in termini razionali. C’è un resto non razionale, che sfugge a tutte le teorie. Ecco perché l’angoscia non è riducibile a una dottrina scientifica.
Lacan indica che esistono due concezioni dell’angoscia nella dottrina analitica classica. La prima: l’angoscia è un pericolo contro il quale dobbiamo difenderci. In questo caso sarebbe un segnale che annuncia il ritorno del rimosso. Possiamo chiederci perché il soggetto mobilizza «un segnale maggiore» per prevenire un pericolo infinitamente più leggero – il ritorno del rimosso non è alla fine così pericoloso come pare… Lacan infatti rifiuta questa versione: per lui l’angoscia non è causata dalla rimozione o dal ritorno imminente del significante. Freud stesso abbandona questo parere a partire da Inibizione, sintomo e angoscia e propone la logica inversa: è l’angoscia che causa la rimozione. Da qui sorge la domanda inedita: se non è il ritorno del rimosso, cosa causa l’angoscia? Per Freud l’angoscia è sempre un’angoscia di castrazione il cui agente è il padre edipico. In poche parole, la paura del padre che proibisce il godimento. Lacan, rivede la castrazione e invalida la causa edipica dell’angoscia.
All’inizio del seminario X Lacan concepisce l’angoscia come segno del desiderio dell’Altro, che giustifica il titolo del capitolo II “L’angoscia, segno del desiderio”. Partiamo dalla formula che Lacan prende da Hegel: “Il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro”. La formula permette di mettere in relazione l’angoscia col desiderio: l’angoscia è segno – nell’io, afferma Freud – del desiderio dell’Altro (vedi l’apologo della mantide religiosa). L’angoscia sorge di fronte alla domanda: Cosa vuole l’Altro quando mi guarda con insistenza? Cosa vuole da me? Qual è il suo desiderio? Quest’apologo fa sorgere l’inquietante dimensione del desiderio all’introdurre un’alterità radicale, che non mi permette di riconoscermi, nel quale l’identificazione fa emergere l’incognita dell’oggetto che sono per l’Altro. Vediamo qui un tentativo di fondare l’angoscia a partire dall’enigma del desiderio attribuito all’Altro. Questo desiderio enigmatico implica un’inquietante stranezza, nelle parole di Freud, e introduce il fenomeno del perturbante, nella misura in cui fa emergere la dimensione dell’oggetto enigmatico, oggetto che emerge della commozione dell’identificazione: chi sono…cosa sono?
L’uomo, puntando a un oggetto, passa prima da un desiderio di desiderio, fa del desiderio un suo oggetto. Il soggetto cerca prima di tutto, al di là dell’oggetto, un desiderio, qualche Altro che desideri. La logica isterica insegna molto a riguardo: sono un soggetto desiderante se passo dall’Altro desiderante. In termini lacaniani, sono in posizione di soggetto diviso dalla mancanza, se passo dall’Altro affetto anche lui dalla mancanza, A barrato. Ciò spiega la necessaria dipendenza del soggetto in relazione all’Altro.
L’Altro senso della formula hegeliana, è il seguente: io desidero l’oggetto che l’Altro desidera. Quell’oggetto forse non aveva molta importanza per me, ma ora mi interessa perché l’Altro lo desidera. Questo fa parte della logica dell’ossessivo, che comincia a desiderare ancora sua moglie se capta che l’Altro uomo s’interessa a lei, oppure se lui stesso si interessa alla donna di un altro. Non è la posizione desiderante dell’Altro ciò che conta, non è un desiderio di desiderio, ma l’oggetto del desiderio che mette in moto il proprio. Attraverso l’Altro, io incontro un oggetto che aggancia il mio desiderio, un oggetto a. Si tratta qui di un oggetto del desiderio catturato nel mio fantasma, e che non è, ovviamente, l’oggetto reale che causa il mio desiderio.
In Sovversione del Soggetto, testo contemporaneo a questo seminario, Lacan fa un’inversione: la dialettica diviene un avatar dell’asse immaginario, con tutte le conseguenze possibili in termini di rivalità e aggressività. Nell’asse immaginario, in effetti, l’altro è un simile, vuol dire che è catturato dagli effetti dello stadio dello specchio. Lo speculare rimane nel cuore della dialettica hegeliana, trionfo dell’immaginario, ma è un immaginario carico di libido.
Alla fine del capitolo II, Lacan fa un passo in più. Troviamo lì una tabella che racchiude in forma schematica il risultato della critica alla concezione hegeliana del desiderio, e che mette in questione lo statuto dell’oggetto del desiderio come concepito fino a quel momento, come un oggetto equivalente alla sua immagine significantizzata. Diciamo che Lacan comincia a estrarre, a separare e a differenziare la dimensione del godimento dell’asse immaginario. Questo schema a p.43 presenta l’alienazione del soggetto nel campo dell’Altro come risultato che produce il soggetto diviso dal significante – dato che gli manca l’essere e la sua rappresentazione dipende dai significanti dell’Altro – e un Altro anche lui barrato, poiché manca del significante che permetterà al soggetto di nominare e colmare il suo essere. Quest’Altro risulta inoltre inaccessibile o, almeno, direttamente inaccessibile.
Abbiamo un resto da questa divisione, l’a, che è la parte dell’essere del soggetto che l’Altro non riesce a designare in termini significanti. Quell’a non entra nella contabilità significante! È il motivo della furia valutativa che vorrebbe ridurla al significante! È anche il segno del fallimento della via hegeliana, di qualsiasi progetto di sapere assoluto, poiché è irreducibile all’ordine simbolico.
Il “resto” del processo d’iscrizione nell’Altro è la parte non rappresentabile del mio essere, la parte di cui non riesco ad appropriarmi, la parte inconcepibile che non dà posto a nessun’identificazione. Se non c’è identificazione significante per quel resto, informe, ciò vuol dire che quella parte di me stesso non è specularizzabile e che sfugge all’immagine. Abbiamo quindi un oggetto al di là dell’immagine e che tuttavia è una parte del mio essere. È un anticipo di ciò che l’anno seguente chiamerà operazione di separazione.
Questa concezione dell’oggetto implica una conseguenza:

IL FANTASMA
Il soggetto si cerca nell’Altro e cosa trova? Un significante per identificarsi – che produce $ – e un resto non identificabile, l’a. Quel resto, eterogeneo al significante, è alloggiato nell’Altro nello schema di pag. 43, cioè, a sinistra, così come il soggetto barrato. I due sono il frutto del passaggio dall’Altro, il che vuol dire che gli ingredienti del fantasma, $ e a, fantasma tramite il quale sostengo il mio desiderio, sono situati dal lato dell’Altro. L’oggetto alloggiato nell’Altro è una proprietà che concerne il soggetto nevrotico, che preferisce percepire l’oggetto nell’Altro. Quest’Altro è chi regge lo specchio piatto grazie al quale il soggetto riesce a percepire qualcosa di sé stesso e dei suoi oggetti. Ma ciò che percepisce è un riflesso, un’immagine scritta i´(a), un’immagine virtuale dell’immagine narcisista, reale. Ecco perché situa l’oggetto a nell’Altro equivale a un uso fallace dell’oggetto. L’oggetto che costruisce Lacan nel seminario X non è l’oggetto desiderabile percepito nello specchio che sostiene l’Altro. È un oggetto che non è visibile perché non appare nel campo speculare inquadrato dall’Altro. La causa del desiderio, a, non è l’oggetto desiderato. Non bisogna confonderli. L’oggetto desiderato è l’agalma che brilla con splendore. L’oggetto causa è, al contrario, del lato dello scarto … ciò che causa il mio desiderio – rimosso – è uno scarto del quale non voglio sapere nulla e che non è nemmeno visibile.
Così lo formula Lacan nel capitolo VIII La causa del desiderio: Oggi vorrei riuscire a dirvi un certo numero di cose su quello che vi ho insegnato a designare come oggetto a, verso il quale vi orienta l’aforisma da me promosso la volta scorsa a proposito dell’angoscia, e cioè che essa non è senza oggetto. L’oggetto a si pone al centro del nostro discorso. Se s’iscrive nella cornice di un seminario che ho intitolato L’angoscia, è perché è essenzialmente per questa via che è possibile parlarne. Il che vuol dire anche che l’angoscia è la sua sola traduzione soggettiva. La lettera a che interviene qui è stata introdotta da molto tempo. Si è annunciata nella formula del fantasma in quanto supporto del desiderio, ($◊a), $ desiderio di a.” [Lacan, J. Seminario X, pag. 109]. Successivamente, nella pagina seguente, Lacan differenza l’oggetto del desiderio che si situa “davanti” al soggetto, dall’oggetto causa, che non partecipa dell’intenzionalità del soggetto, e che situa “dietro”, invisibile per il soggetto.
Isolare la causa in un’analisi implica estrarre del campo dell’Altro l’oggetto che il mio fantasma ha scelto come desiderabile. Si tratta di fare l’esperienza di quell’oggetto nell’analisi, il che non è possibile senza la messa in gioco nel transfert. In questo modo, l’analisi riduce il fantasma all’esperienza della pulsione, cioè, all’esperienza di un oggetto pulsionale che ha una relazione stretta con l’oggetto a. Quell’estrazione dell’oggetto a del campo dell’Altro è il tempo essenziale della passe in una cura ed è il momento di concludere. Un ottimo esempio è la passe di Patrick Monribot.

LO SCHEMA OTTICO
Ciò che ha portato Lacan allo stadio dello specchio nell’anno 1946 è stato il concetto freudiano di narcisismo, da dove apprende che la libido era di natura narcisista, iscrivendo così il godimento nell’ordine speculare. Il risultato è stato che la pulsione è stata messa come dipendente dall’immagine, sotto un principio di simmetria e reciprocità, a-a´, che indica la trasfusione e commutazioni della libido narcisista rispetto all’oggetto e viceversa. La libido circola così del narcisismo dall’io all’oggetto. È ciò che giustifica la presenza della dialettica del desiderio hegeliana nello schema. Questa presa della libido da parte dell’immagine, è sottoposta all’ordine simbolico, che Lacan introduce nello schema, ordine simbolico incarnato dall’Altro, rappresentato dallo specchio piatto, e dal quale dipendono le identificazioni del soggetto. Negli anni seguenti, Lacan ha reso più complesso questo schema, fino a culminare nella versione della pag. 44, prima del primo schema semplificato.
In questi capitoli si succedono varie versioni diverse dello schema ottico, versioni più semplici. La grande novità di questi schemi è l’introduzione, nel primo schema semplificato, del non specularizzabile, indicato con due matemi: -phi (è la prima volta che Lacan lo introduce nello schema ottico) e a (che per la prima volta non riflette la sua immagine virtuale, a´). È come se la presenza invisibile del reale nello schema immaginario avesse come effetto lo svuotamento, la semplificazione progressiva, fino alla sparizione del suo insegnamento. Siamo alla fine di questa via speculare per abbordare l’oggetto, che apre ad altre risorse, come la topologia o la logica con i diagrammi di Venn.
Vediamo nella parte sinistra dello schema il corpo. Questo corpo è scomposto tra i  fiori, che rappresentano l’oggetto parziale a e l’immagine della forma del corpo, riflessa nello spazio reale sullo specchio sferico, che produce un’immagine che Lacan denomina “immagine reale” i(a). Questa immagine è investita dalla libido narcisista del corpo, ed è la matrice dell’io la cui immagine appare riflessa nell’Altro, come i´(a). Nello schema 2 che si trova in Nota sulla relazione di D. Lagache: Psicoanalisi e struttura della personalità, abbiamo i fiori-oggetto a sul cassetto, e il vaso-realtà del corpo, sotto lo stesso, per segnalare il poco acceso che abbiamo a lui, la sua “oscura presenza”.
Se prendiamo ora lo schema semplificato di pag. 44, vediamo che Lacan ci scrive a (ritirando il disegno dei fiori dello schema) e scrive anche - phi. Dopo scrive lo specchio dell’Altro, l’Altro come specchio, l’Altro che convalida le immagini narcisistiche, ma non scrive più a´ nel lato destro dello specchio piatto, perché l’oggetto a non è specularizzabile.
Lacan insiste nel gesto del bambino piccolo che si gira verso l’Altro per vedere se guarda l’immagine. Se la valorizza, in modo che l’acceso alla sua immagine non passa solo attraverso l’immagine reale ma attraverso lo specchio dell’Altro, che produce l’immagine virtuale, ideale, dell’immagine reale: i´(a) di i(a). E aggiunge - phi senza spiegare nulla. È la prima volta che introduce nello schema - phi.
Cos’è questo - phi? Freud lo prende come mancanza del pene materno, cioè, dall’immagine anatomica. Ma Lacan non abborda il - phi a quel livello, che è quello dell’immagine, ma a partire dalla libido e dà una definizione libidica. “Non tutto l’investimento libidico passa attraverso l’immagine speculare. C’è un resto. [...] In tutto quello che è localizzazione immaginaria, il fallo si presenterà sotto forma di una mancanza. Nella misura in cui si realizza qui, in i(a), quella che ho chiamato l’immagine reale – immagine del corpo che funziona, del materiale del soggetto, come propriamente immaginaria, cioè libidinizzata – il fallo appare in meno, come uno spazio bianco. Sebbene il fallo sia indubbiamente una riserva operativa, non solo non è rappresentato a livello immaginario” [Lacan, L. Seminario X, pag. 44]. Abbiamo il - phi riferito a una riserva libidica e dall’altro lato, una mancanza nell’immagine.
Da Altro lato, cos’è quell’a del quale Lacan afferma che non appare nell’immagine? Dobbiamo vedercela con qualcosa che non ha forma. Quando Lacan introduce lo speculare, introduce la forma, l’immagine della forma del corpo, ma ciò lascia mascherato ciò che è investito in questa forma. L’investitura libidica è in realtà quella che apporta all’immagine il suo peso e la sua importanza per il soggetto. Quindi, in fondo, i(a) scrive la forma più che il quantum di affetti, il quantum di libido – termine freudiano. La relazione speculare non è una relazione con la forma, ma con una forma libidicizzata.
Lacan spiega che l’immagine reale funziona nell’aspetto materiale del soggetto come propriamente immaginaria, vuol dire, libidicizzata. La forma non fa per sé stessa l’immaginario. Ecco perché si tratta di un’erotologia. Evidentemente, non c’è immagine dell’investitura libidica. Cos’è un’investitura libidica? È una forma che interessa, che accattiva, eccita…ma quella dimensione non si vede nell’immagine! In questo senso, quando Lacan parla delle relazioni speculari, si tratta di “i”, l’immagine, più a, ascrivendo quel quantum d’investimento. Ma a non si vede come tale.
L’immagine speculare non è più che parziale dell’ordine del visibile, diviene visibile dalla sua investitura stessa. Quindi, a scrive una mancanza: ciò che non vedo nell’immagine e che non appare neanche nell’immagine virtuale.
Ma ora c’è una nuova portata del - phi, dal momento che Lacan fa del - phi la “riserva libidica”. Non si tratta più della perdita vitale né dell’operazione della perdita, ma della perdita di rappresentazione, di visibilità, del godimento autoerotico, “benché legata a un organo” [Lacan J. Seminario X, pag. 44] che permane nel corpo ed è suscettibile di “entrare in azione per la soddisfazione del desiderio” [Lacan J. Seminario X, pag. 45]. Vediamo qui uno scivolamento verso un privilegio del godimento come primo tempo nella costituzione del desiderio.
Ciò che rende veramente complesso e difficile analizzare - phi in questo seminario è il fatto che quando Lacan scrive - phi, pare riassumere l’insieme di ciò che produce la meccanica complessa della mancanza d’oggetto, precisamente per apportare il contrario della mancanza, o della perdita, a sapere, sua presenza lì dove non lo si afferra. A loro volta, in vari momenti Lacan utilizza - phi per segnalare la dimensione del fallo come l’oggetto immaginario, nel vecchio uso della castrazione, o per indicare il movimento stesso della perdita e lo spostamento del godimento. Infine, bisogna armarsi di pazienza e seguire i dettagli della sua articolazione ogni volta, perché non c’è un senso univoco di questo concetto.
Miller segnala che lungo il seminario si accentua lo statuto reale del fallo. Il - phi diviene un fallo de-significantizzato e de-immaginarizzato, punta al pene reale, al fallo organo: si tratta dell’eccitazione del pene del piccolo Hans, all’origine della sua angoscia. È la fobia che l’angoscia non riesce a risolvere, con quella macchia sulla bocca del cavallo che dà conto dell’oggetto a
Il fallo appare come un meno, come uno spazio bianco, perché punta a quella riserva operatoria, tema che Lacan aveva già accennato in Sovversione del soggetto.
In fondo, la prima investitura speculare dell’immagine lascia una parte nel lato dell’essere, del lato del soggetto: non tutto può essere investito nell’immagine, c’è un resto d’investitura libidica, una riserva. Questo è un punto essenziale per analizzare ciò che chiama la castrazione immaginaria: Lacan dice che si tratta della relazione tra - phi e la costituzione di a. “Da un lato, la riserva inafferrabile immaginariamente, benché legata a un organo che invece è ancora, grazie a Dio, perfettamente afferrabile: questo strumento che comunque dovrà di tanto in tanto entrare in azione per la soddisfazione del desiderio, il fallo. Dall’altro a, che è in quel resto, quel residuo, quell’oggetto il cui statuto sfugge allo statuto di oggetto derivato dall’immagine speculare, ossia sfugge alle leggi dell’estetica trascendentale” [Lacan, J. Seminario X, pag 45].
Quindi, - phi significa due cose: la parte della libido che non passa dall’immagine e che resta in riserva per spostarsi all’immagine e anche il fatto che quella mancanza, quella parte di libido, quella riserva strumentale separata dall’immagine, non appare nel campo dell’immagine. Non si tratta quindi della privazione della madre. Il fallo che manca all’immagine non ha specificità maschile né femminile.
Nel mondo delle immagini libidiche non abbiamo accesso all’immagine reale, ma all’immagine virtuale. Le immagini reali sono una costruzione di Lacan, alla quale si può accedere dallo specchio. Dice Lacan, pag. 51: “Ho scritto in alto (- phi) perché dovremmo portarlo lì, la prossima volta. Meno phi non è più visibile, più sensibile, più presentificabile lì di quanto lo sia qui, sotto i(a), dato che non è entrato nell’immaginario” [Lacan, J. Seminario X, pag. 45].

Trascrizione testo e ricerca citazioni nell’edizione italiana: Florencia Medici.

Redazione testo: Alberto Tuccio

lunedì 9 ottobre 2017

Programma Sezione clinica Milano







LINK:   http://www.istitutofreudiano.it/sezioni-cliniche/sezione-clinica-milano.html

Segreteria Organizzativa

Via Daverio, 7 - 20122 Milano
E-Mail: infomilano@istitutofreudiano.it

Iscrizione

La domanda di ammissione va inviata entro il 20 novembre 2017 alla Segreteria organizzativa.
L'iscrizione risulterà effettiva dopo l'accettazione della domanda e il pagamento della quota d'iscrizione.
Quota Intera: 300 €
Quota Studenti (fino a 26 anni): 200 €
Quota SLP: 150 €

Commissione di coordinamento

Antonio Di CiacciaPresidente dell’Istituto freudiano
Marco FocchiDirettore sede di Milano

Luogo

Tutte le attività si svolgono presso la sede di Milano.


Il Seminario fondamentale è costituito da due insegnamenti: uno teorico, che prevede la lettura e il commento di un testo di J. Lacan, e uno pratico che prevede l’esposizione di casi clinici che evidenzieranno il valore operativo della teoria.

Seminario fondamentale

Testo di riferimento
Il Seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione, Einaudi 2016

2 dicembre 2017

Docente invitato: DANIEL ROY
Caso clinico presentato da: FRANCESCA SENIN
Coordina: MARCO FOCCHI

27 gennaio 2018

Docente invitato: CLOTILDE LEGUIL
Caso clinico presentato da: EMANUELA D'ALESSANDRO
Coordina: FABIO GALIMBERTI

3 marzo 2018

Docente invitato: MIRIAM CHORNE
Caso clinico presentato da: ROSSELLA SFERRAZZO
Coordina: GIUSEPPE POZZI

14 aprile 2018

Docente invitato: ANTONIO DI CIACCIA
Caso clinico presentato da: KATIA ROMELLI
Coordina: ADELE SUCCETTI

22 settembre 2018

Docente invitato: VICENTE PALOMERA
Caso clinico presentato da: SANDRA CAMMARATA
Coordina: PIETRO BOSSOLA

Orari

Seminario teorico: ore 9:30 - 13:00
Seminario di casi clinici: ore 14:00 - 16:00 


Seminario Tematico

Psicoanalisi e Istituzioni

Intervengono
GIOVANNA DI GIOVANNI, GIUSEPPE POZZI, GIULIANA KANTZA'
Date
  • 20 gennaio 2018
  • 4 febbraio 2018
  • 1 marzo 2018
Orario 9:30 - 13:00

Seminario Tematico

Qualcosa che la psicoanalisi può insegnare sulla democrazia

Intervengono
LUISELLA BRUSA, DONATA ROMA, ALBERTO VISINI
Date
  • 12 maggio 2018
  • 15 settembre 2018
  • 13 ottobre 2018
Orario 9:30 - 13:00

Gruppo 1

La clinica psicoanalitica delle psicosi in Freud e Lacan

Date

  • 20 gennaio 2018
  • 17 febbraio 2018
  • 17 marzo 2018
  • 12 maggio 2018

Orario

14:30 - 16:00

Docenti

MARCO FOCCHI, DOMENICO COSENZA

Gruppo 2

La politica dell'analista tra costruzione del caso e direzione della cura

Date

20 gennaio 2018 ore 16:00 - 17:30
17 febbraio 2018 ore 16:00 - 17:30
17 marzo 2018 ore 16:00 - 17:30
12 maggio 2018 ore 16:00 - 17:30
15 settembre 2018 ore 14:30 - 16:00 *
13 ottobre 2018 ore 14:30 - 16:00 *

Docenti

FEDERICA FACCHIN, MARCELLO MORALE