giovedì 29 ottobre 2020

Seminario fondamentale Istituto Freudiano di Milano, 17 ottobre 2020. Docente invitato: Miriam Chorne

 

Seminario fondamentale

Istituto Freudiano di Milano 

17 ottobre 2020

Docente invitato: Miriam Chorne



                      
Un nuovo annodamento dell’Altro e del godimento




Testo di riferimento: J. Lacan, Seminario XVI. Da un Altro all’altro


Capitoli di riferimento: VII-VIII- IX


Sono molto lieta di essere finalmente con voi, questo seminario si sarebbe dovuto tenere il 13 marzo, ma il coronavirus l’ha impedito. Non sappiamo ancora come sarà il mondo dopo pandemia, ma possiamo già iniziare a sperimentare un grande cambiamento: ci ritroviamo attraverso lo schermo, siamo insieme, ma in un altro modo.  
Ringrazio l’Istituto del Campo Freudiano e in particolare Marco Focchi per l’invito a lavorare con voi, che mi fa tanto piacere. Devo spiegarvi tre capitoli difficili, ma prima voglio raccontarvi, perché mi piacciono questi capitoli, malgrado la loro difficoltà.
In primo luogo mi entusiasma la capacità di Lacan per fare di Pascal un uomo, un uomo vivo, un uomo complesso. Trovo che sia un tratto straordinario che caratterizza la sua comprensione dei personaggi dei quali si occupa. Lo ha mostrato molte volte, ad esempio nelle descrizioni di tutti i personaggi del Simposio, o quando ci parla di Sade, o in questi capitoli quando ci parla di Pascal. Nell’affresco che fa di loro, nonostante il prestigio e la fama, non emergono dei personaggi fossili, degli uomini di cartapesta. Lacan era un grande letterato e la trattazione che fa di Pascal è straordinaria, piena di umore. 
Quel che emerge è un uomo non soltanto religioso, difensore della credenza nell’esistenza di Dio, non è nemmeno soltanto un grande scienziato, matematico e logico, ma Lacan lo descrive anche in quanto uomo del suo tempo, come tutti i suoi contemporanei interessato alla scommessa in termini di guadagno, di profitto, cioè un uomo pienamente capitalistico. Ci mostra anche che nella scommessa di Pascal la vita stessa, nella sua totalità, si riduce a un elemento di valore. E ci spiega che la funzione correlativa a quella del plusgodere nella scommessa è la funzione del mercato. “Essa sta alla base dell’idea che Pascal maneggia con la straordinaria cecità di chi, come lui si trova proprio all’inizio del periodo dello scatenamento di questa funzione del mercato. Se Pascal ha introdotto il discorso scientifico, non dobbiamo dimenticare che egli è anche colui che, perfino nei momenti più estremi del suo ritiro e della sua conversione, voleva inaugurare una Compagnia di omnibus parigini” (p.17).  
Questo aspetto di Pascal non era scappato neanche ai suoi critici. Voltaire e Diderot hanno definito la scommessa come una mostruosità logica e come cinicamente utilitaria.
Ho trovato particolarmente commovente l’affresco di Pascal come uomo angosciato. Lacan afferma che tutta l’argomentazione di Pascal sulla convenienza della scommessa  è soprattutto indirizzata a se stesso. Vuole tranquillizzarsi perché è atterrito, impaurito. Pascal è l’uomo che ha scritto “Il silenzio eterno di questi spazi infiniti mi spaventa”. Come per tutti noi, il pathos di Pascal è l’incertezza. 
Lacan aveva definito il soggetto come causato dal rapporto inter-significante: quest’affermazione però, al tempo stesso, ci impedisce di cogliere il soggetto. Lo psicoanalista francese s’interroga anche su che cosa conferisca al soggetto l’unità che ha finora permesso di sostenerlo nella sua pretesa sufficienza ma il soggetto è lungi dal essere sufficiente: è incerto o sta nella incertezza. Tuttavia si unifica come soggetto attorno alla formula del fantasma, attorno all’essere di a e ciò si coglie bene in questo seminario del plusgodere. 
Pascal soffre di questa incertezza e lo dice in diversi modi, ad esempio: “Navighiamo su un mezzo vasto, sempre incerti e galleggianti, spinti da una punta all’altra. Se appare qualcosa alla quale abbiamo pensato di attaccarci e assicurarci, si muove e ci abbandona; se lo inseguiamo sfugge, scappa con eterna fuga. Per noi, niente si arresta.”
A mio avviso è ammirevole il modo in cui Lacan ha saputo importare altri discorsi in quello della psicoanalisi. Un’operazione senza nessuna cerimonia, senza complimenti esagerati: “sequestrava” un concetto, lo smontava e lo ricostruiva trasformato per le necessità di rinnovamento della psicoanalisi. 
Esempi sorprendenti in questi capitoli sono: l’utilizzazione tanto della logica come della matematica per elaborare il concetto di ripetizione, la divergenza tra l’Uno significante e l’Uno del godimento, dell’oggetto plusgodere attraverso la serie di Fibonacci e il numero aureo; o la teoria dei giochi per parlare delle decisioni che un soggetto deve prendere. È anche straordinaria la costruzione omologica di plusgodere sulla base del concetto marxista di plusvalore, che costituisce uno sforzo per trasformare il godimento dalla forma massiva, com’era concepito nel seminario dell’Etica, in una specie di fondo di godimento, in un concetto di godimento misurabile. 
Lacan dice che quando Pascal parla di una vita felice rispetto della scommessa, la sua incarnazione è l’oggetto del plusgodere. “Cos’altro è afferrabile nel termine felice se non la funzione che si incarna nel plusgodere?”. Aggiunge “D’altronde non abbiamo bisogno di scommettere sull’aldilà per sapere che cosa esso vale là dove si svela in una forma nuda. Perversione è il suo nome.” In un altro brano dice che il godimento masochistico è la forma più caratteristica, la più sottile che abbiamo dato alla funzione causa del desiderio (p.129).

La scommessa di Pascal e le trasformazioni dell’etica 
Lacan presenta la scommessa di Pascal dicendo che non è quasi un testo, “è solo un foglietto di carta piegato in quattro che è stato trafugato dalle tasche di Pascal dopo la sua morte. È una scrittura che si sovrappone a se stessa, che si ingarbuglia, si interseca, si annota.” Lacan approfitta del suo commento per burlarsi dei professori. Ne è stato fatto un testo, sicuramente, “per il diletto dei professori. Anche se il diletto è durato poco, poiché non ne sono mai riusciti a fare alcunché.”
Il fatto che sia un enunciato che non tiene ha stupito le persone che si sono occupate di questo argomento. Com’è che qualcuno di cui si ha la convinzione che fosse capace di un certo rigore abbia potuto proporre qualcosa così insostenibile?
Sainte-Beuve, ad esempio, mostrando il suo disorientamento perfino si domandò: “Non è che semplicemente ci troviamo di fronte a un malato, un visionario, un allucinato? Pascal, insomma non ha, nei suoi ultimi anni di vita smarrito la ragione?” 
Quanto alla scommessa l’idea è che conviene credere che Dio esiste perché si rischia di meno che a non credere. Se infatti Dio non esiste, si spreca una vita di durata finita, ma se Dio esiste si guadagna una beatitudine eterna. Lacan riprende questa affermazione e mostra che la maggior parte degli autori valorizzano nel testo di Pascal l’aspetto estensivo della posta in gioco. Cioè si paragona se il guadagno di ottenere una infinità di vite felici vale di più che i piaceri ai quali si rinuncia. Lacan ci mostra che il principio fondamentale del gioco è che quando la puntata viene fatta è già perduta. Per questa ragione considera che il rapporto di estensione ha fatto smarrire i critici di Pascal, mentre Lacan sfugge a questo ostacolo come vedremo in seguito. 
All’inizio della sua spiegazione Lacan afferma che nella scommessa interviene qualcosa che si può riassumere così: si rinuncia ai piaceri. Questo atto di rinuncia sta a fondamento della vita cristiana. È anche il principio su cui s’installa una certa morale che possiamo chiamare moderna.
Nel capitolo VII Lacan si occupa delle trasformazioni dell’etica nella storia in termini dei rapporti tra il godimento e il soggetto. Lacan, orientato dagli studi di Max Weber che lega il sistema capitalistico alla morale puritana e alla accumulazione del capitale, propone un’idea dell’impresa capitalistica nella quale i mezzi di produzione non sono messi al servizio del piacere. La società attuale è cambiata a questo riguardo e Lacan solo un anno più tardi, nel Seminario XVII, segnalerà  le trasformazioni che hanno portato a una società di consumo, dove il desiderio è messo al servizio della produzione di oggetti supposti soddisfare e che ogni volta si trasformano in oggetti più deludenti. Sorprende la capacità di previsione di Lacan rispetto a dinamiche in atto nella società oggi. Quando Lacan parla, in questo capitolo, della assolutizzazione del mercato annuncia con un dire precursore la globalizzazione attuale.
Nel seminario XVI, Lacan sottolinea che l’accumulazione sulla base della rinuncia ai piaceri, è talmente importante, escludente quasi, nella società capitalistica, che per riabilitare il dispendio un autore come Georges Bataille ha dovuto fare un vero sforzo. Impegno comunque qualificato da Lacan come timido dato che non è giunto a nessun successo: non è riuscito a cambiare quello che possiamo chiamare il nostro stile di vita, ma soltanto a gettare un dubbio su di esso. 
Nel suo libro La parte maledetta, Bataille oppone un altro principio a quello “miserabile” dell’utile, che secondo gli economisti governerebbe la produzione, la conservazione e il consumo: la dissipazione improduttiva, il bisogno di distruggere, il gesto dilapidatore delle ricchezze di cui testimonia il potlàc. 
Si coglie così perché interessi a Lacan una riflessione non incentrata sulla necessità ma sul suo contrario: è il “lusso”, il capriccio, la spesa, il puro godimento, ciò che pone all’uomo i problemi fondamentali. La psicoanalisi rappresenta una frattura di fronte alla morale qui chiamata antica, una frattura tra la psicoanalisi e tutta la filosofia dai greci fino a Kant. 
La critica della confusione propria della morale antica tra il Bene come valore morale e il benessere, lascia fuori tutti i piaceri che si allontanano dal tono giusto, cioè di tutta la vita sessuale che è fondamentalmente perversa. Si tratta di una morale di controllo, di dominio, una morale di amo. 
Con Kant si produce un taglio nella storia, una vera frattura ma allo stesso tempo, si trattiene l’esilio del godimento, ed è questo il motivo che ha portato Lacan a scrivere “Kant con Sade”; perché Sade è la verità di Kant, nella misura in cui l’opera sadiana rivela la dimensione di godimento nella legge morale. Tutta la filosofia ha lasciato fuori della sua riflessione la questione del godimento, che soltanto la psicoanalisi pone nel centro del discorso. 
In questo seminario riferito all’uso della logica, la teorizzazione lacaniana è ancora a metà del cammino rispetto al concetto del godimento e a quello di oggetto. Lacan si oppone a Pascal nel senso che per lui, la vita stessa, nella sua totalità, si riduce a un elemento di valore. “Strano modo di inaugurare il mercato del godimento nel campo del discorso!”, ironizza. Ma solo più tardi, nel Seminario XX Ancora, segnalerà radicalmente l’inutilità del godimento: “Non serve a niente”. 
In questo seminario è ancora presente l’idea del oggetto a come molteplicità, come nel Seminario X, L’angoscia, inteso come una estrazione corporale. “Poiché è l’organismo a inaugurare il gioco, l’oggetto può assumere la forma di quelle entità evanescenti di cui ho già fornito l’elenco, che va dal seno alla deiezione e dalla voce allo sguardo.” Sono altrettante le fabbricazioni del discorso della rinuncia al godimento. La leva di tale fabbricazione è la seguente: attorno a tali entità può prodursi il plusgodere. Sebbene la novità è di proporre l’oggetto (a) come una consistenza logica, cosa che giustifica il singolare. L’oggetto (a) appare come consistenza logica che il corpo deve soddisfare tramite diverse estrazioni del corpo. 
Miller ha intitolato la prima parte del Seminario “L’inconsistenza dell’Altro”, il godimento manca nell’Altro e lo fa inconsistente. L’oggetto (a), invece è un perno, il perno della consistenza. 

L’introduzione della logica 
È difficile esporre questi capitoli che tengono insieme la logica e la matematica con le riflessioni strutturaliste sul linguaggio. Alcuni, all’epoca, mostravano una certa fretta di uscire da questo habitat mentre Lacan mostrava qualche remora. 
Da una parte si tratta dello sforzo permanente di Lacan per trovare un modo ogni volta più scientifico di parlare della esperienza analitica. Se nel primo insegnamento utilizzava la linguistica e la riflessione strutturalista per avere una lettura rigorosa, seria,  (così dice Lacan alla pagina 12), nel periodo inaugurato da questo seminario e che si conclude col Seminario XX Ancora, è possibile apprezzare un’evoluzione continua: prima con l’utilizzo della logica matematica, e dopo con la topologia. Lacan ha il proposito di approcciarsi al godimento in termini che non significano l’abbandono della parola e il linguaggio, ma un intreccio diverso. 
In questo seminario vediamo alcune tracce, ad esempio nelle prime pagine il riferimento al disagio provato da Althusser nell’essere considerato strutturalista, e anche il riferimento a una certa critica dello strutturalismo da parte di alcuni considerati fino a quel momento strutturalisti di punta come Roland Barthes e, in particolare, Foucault. 
Nel capitolo VI ci sono anche tracce della controversia con i linguisti funzionalisti, dove Lacan si burla di Georges Mounin, senza nemmeno dire il suo nome (tipica modalità della politica culturale di Lacan: esplicitava solo il nome degli intellettuali che riconosceva e rispettava). 
Lacan riprende la proposta dei linguisti del funzionalismo che lasciano la linguistica ai linguisti universitari, Mounin, ma anche André Martinet il maestro di Mounin, prendendo un orientamento che, nel nome della ricerca della scientificità, torna indietro alla naturalizzazione del linguaggio. Lacan descrive questa posizione come una vera regressione allo stato ante di Saussure della esplorazione sulla lingua, dove si perde il progresso epistemologico raggiunto. (La creazione saussureana aveva fatto della linguistica una scienza galileiana, nel senso di Koyré. Una scienza galileiana della cultura.) Questa controversia è tutt’ora attuale.
I linguisti universitari pretenderebbero riservarsi il privilegio di parlare del linguaggio, motivo per cui ritengono abusivo l’utilizzo che Lacan fa dello sviluppo del linguaggio per sostenere il suo insegnamento. Lacan accetta di lasciare loro la linguistica, e con la sua abituale disinvoltura afferma “io faccio linguisteria”, giacché alla psicoanalisi interessa lalingua (lalangue), cioè l’incidenza della lingua nel reale del corpo. Ribadisce la dipendenza del soggetto dal significante e per tanto cede la linguistica in quanto rivendica di occuparsi del linguaggio, perché è con il linguaggio “che tratto quando pratico la psicoanalisi”. 
Il seminario XVI ha un carattere di ricerca, quasi un atelier di concetti, ma a partire dalla logica e dal linguaggio il concetti di godimento resta ancora molto legato al significante. Come detto è un seminario di passaggio e ciò lo si può cogliere anche rispetto al concetto freudiano di ripetizione. 

L’introduzione della matematica per parlare della ripetizione 
In questo seminario c’è un tentativo di dare un valore in termini numerici al godimento che culmina con l’utilizzo della teoria degli insieme, nonostante sia già presente dall’inizio in un altro concetto matematico: la serie di Fibonacci. Questo è un punto di oscillazione tra il Lacan classico a quello del ultimo insegnamento. 
Nel seminario II Lacan aveva descritto la ripetizione come una ripetizione significante in quanto mortificante mentre nel seminario XVI comincia a fondare quello che svilupperà nei seminari posteriori: una ripetizione di godimento. Tuttavia la presenza del significante è ancora massiccia come schemi, formule, e l’utilizzo stesso della matematica in fine. 
La successione di Fibonacci, ad esempio, è presa per indicare un fenomeno di ripetizione, dove quello che si ripete è una successione di numeri che obbediscono a una regola di formazione. La ripetizione dei primi due numeri dà il terzo e a partire da essi tutto il resto, come la metonimia nei primi anni del suo insegnamento. La ripetizione di un elemento diverso va verso un limite: il numero aureo. Questo numero è utilizzato da Lacan per mostrare che il godimento si perde e si recupera come a, oggetto plus-godere. 
Con lo stesso principio possiamo creare diverse serie. Prendiamo, ad esempio, 1,1: con questi due numeri possiamo costruire una serie i cui termini sono prescritti. La regola è che il terzo termine proviene della addizione dei due precedenti e sarà così fino al finale.
 1  1  2  3  5  8      13       21 …
Abbiamo poi una concatenazione significante che obbedisce a una regola, una legge di formazione. 

Proseguendo via via per la sequenza, il rapporto risulta alternativamente maggiore e minore della costante limite. Invece il rapporto tra un numero di Fibonacci e il suo successivo tende al reciproco della sezione aurea.

Lacan l’utilizza per distinguere l’oggetto (a). S’utilizza il simbolo fi per scrivere il numero aureo. Propongo la seguente formula:
obj.a = 1/fi
Quello che è necessario cogliere è che l’oggetto plusgodere (a), appare come un elemento diverso dalla serie superiore dei numeri, la serie di Fibonacci, ma che è calcolabile. La conseguenza è che si trasforma in un elemento di natura matematica che comporta un’omogeneità con il campo significante.
Lo schema cambia negli ultimi tre capitoli, è più semplice perché arriva direttamente dalla teoria degli insieme, e propone un’equivalenza tra l’oggetto (a) e l’insieme vuoto. Perché cercare questa equivalenza? Perché l’insieme vuoto è un valore che sorge del tutto significante messo in un insieme. L’insieme vuoto, come l’oggetto (a), non appartiene all’insieme come un elemento ma come un sub-insieme. (Per avere una spiegazione più ampia di questo tema rimando alla Nota 7 di Miller, presente nel Seminario XXIII e anche agli articoli riferiti al tema nel suo testo pubblicato in spagnolo con il titolo Matemas). La rappresentazione dell’oggetto (a) attraverso il sub-insieme vuoto risponde meglio al concetto di castrazione, per Lacan riportato impetuosamente nel discorso dalla psicoanalisi, dopo la forclusione effettuata dal capitalismo. Nel testo “Parlo ai muri” Lacan dice che il capitalismo lascia fuori il godimento, le cose del amore, mentre il discorso analitico li fa rientrare, e in questo modo lega ambedue i discorsi.   
Ma portando la riflessione un po’ più lontano, Lacan propone in questo Seminario, anche che il godimento è la sostanza di tutto quello di cui parliamo nella psicoanalisi (p.45). Riprenderà questo problema nel seminario Ancora dove parlerà di sostanza di godimento (substance jouissante). Volle tradurre sostanza con l’ousia greca che si distingue rigorosamente della supposizione, del soggetto sempre supposto (hypokemenon). Nel seminario XVI dice che si tratta d’introdurre alla funzione strutturale del plus di godimento, cioè che fuori di questo vincolo il godimento è come un fondo informe, non è strutturale, è un traboccare di godimento. Ma questo modo, quello del Seminario XVI , il modo strutturale finirà per essere insufficiente (dirà dopo “L’oggetto (a) non è sufficiente per parlare del godimento”) e porterà Lacan ai nodi.

L’ introduzione del plusgodere 
Vorrei adesso prendere un’altra questione che come ho già detto converge nella scommessa. 
Fino dalle prime pagine Lacan pone come insegna del seminario alcune parole che scrive alla lavagna: L’essenza della teoria psicoanalitica è un discorso senza parola.
Quale sarebbe un discorso senza parola? Un discorso logico-matematico per raggiungere in qualche modo il reale, il godimento. 
Ho utilizzato il condizionale come d’altra parte fa Lacan ad esempio nel titolo del seminario XVIII Di un discorso che non sarebbe del sembiante, per enfatizzare che si tratta di una ipotesi: se ci fosse un discorso del reale, il quale non c’è, perché il reale è impossibile a dire. 
Questa impossibilità non impedisce di cercare in una teoria, come quella di Marx, i concetti necessari per continuare l’esplorazione della pratica analitica prendendo in conto la dimensione reale. 
Lacan considera che sia Freud che Marx siano stati sovversivi rispetto della conoscenza nel proporre la dimensione del sintomo. Come definisce qui la dimensione del sintomo? Esso parla. “Parla perfino a quelli che non sanno ascoltare. Esso non dice tutto, nemmeno a quelli che sanno farlo. La promozione del sintomo è il giro decisivo.” (prime pagine del seminario XVIII)
Perché è il giro decisivo? Tanto il marxismo come la psicoanalisi sono stati qualificati come teorie del sospetto. Questo nome proviene dal fatto che entrambi considerano che c’è un sintomo che deve essere decifrato, la cui verità è nascosta e deve essere svelata.
In Il capitale, Marx spiega che nel pagamento del lavoro come una merce qualunque, il sembiante di questo pagamento – il salario, lo stipendio – nasconde il fatto che il capitalista beneficia di un lucro extra. Paga per il lavoro dell’operaio soltanto il necessario per fare sì che il lavoratore viva e si riproduca, ma strappa un eccedente, la differenza tra quello che l’operaio produce e quello che necessita per vivere: il plus-valore.
In rapporto con questa verità nascosta, Lacan perfino si trattiene su una immaginaria conversazione tra il proletario che sta lavorando con uno strumento primitivo e il capitalista. Proprio Marx aveva già raccontato questa scena dove il capitalista fa valutare al proletario quanto di più potrebbe produrre se avesse migliori mezzi di produzione (che lui il capitalista potrebbe mettergli a disposizione).  Quello che non dice è che se la produttività fosse maggiore il beneficio non sarebbe per il lavoratore, ma plus-valore per il capitalista. 
Questa immaginaria conversazione si conclude con un elemento che Lacan mette in risalto: il riso del capitalista, il godimento che il capitalista ottiene da questa operazione. Mi è piaciuta molto l’osservazione di Lacan quando spiega che il concetto di plus valore come quello del plus godere mostrano che il plus s’ottiene come una specie di gag perché qualcosa rimane elusa, l’effetto del motto di spirito ruota attorno al rapporto intrinseco fra il riso e l’elisione (p. 59). Similmente accade con il modo di parlare di Lacan, che è un maestro dell’uso elusivo del linguaggio. L’esistenza di una fessura, una minuscola fuga del significato e fonte principale del godimento che produce il suo stile.
Il concetto di plus-godere, introdotto in questo seminario, serve al fine di avviare  la dimensione del godimento, ma di un godimento misurato, contabile, numerabile, omologo a quello del plus-valore. Lacan parla di omologia a pag. 39 all’inizio del capitolo III “Topologia dell’Altro”: “Parlare di omologia significa dire che il loro rapporto non è di analogia. (…) Il rapporto fra il plusgodere e il plusvalore ruoti attorno alla funzione dell’oggetto a.”
Quando parliamo di omologia accenniamo che occupa un luogo simile nella struttura. L’analogia è fondamentalmente immaginaria, mentre l’omologia è simbolica. Un esempio: poco tempo fa, a causa della crisi del coronavirus si sono riuniti i ministri di sanità dell’Unione Europea, tra di loro c’erano ministri e segretari di Salute Pubblica dei vari Stati. Erano tutti omologhi: quelli che occupavano quel determinato incarico nella rispettiva struttura di governo del loro paesi. Rimanevano fuori tutti le altre considerazioni più immaginari, non aveva nessuna importanza se erano simpatici, bruni o bionde, o qualsiasi altro carattere immaginario. 
La funzione del plusgodere appare come effetto di discorso ed essa dimostra che la rinuncia al godimento è un effetto del discorso stesso. C’è rinuncia di una parte e recupero dall’altra.
Nella misura in cui il mercato definisce come merce qualsiasi oggetto del lavoro umano, tale oggetto ha in sé qualcosa del plusvalore. Il plusgodere è ciò che permette d’isolare la funzione dell’oggetto (a), che può diventare una cifra. 
È per questa ragione che Lacan prende la scommessa di Pascal. Perché il godimento, i piaceri, come dice Pascal, s’inscrivono nella partita come una puntata, cioè come significante. Nelle partite in cui Pascal era così tanto interessato era proprio il significante monetario quello che era sul tavolo e tutte le dimostrazioni di Lacan in questo seminario obbediscono allo stesso principio: mettere in valore il carattere valutabile, cioè significante, del godimento.

La teoria dei giochi
Dopo il breve riassunto di alcuni fili (l’introduzione della logica matematica e il plusvalore nella ricerca di un godimento calcolabile) fondamentali per pensare la questione della scommessa, torniamo a essa per dire che l’interesse di Pascal nella regola delle parti era condivisa da molti altri uomini nel suo tempo (qualche libertino contemporaneo di Pascal l’aveva consultato su come si dovessero condividere le poste quando, per qualsiasi ragione, si dovesse interrompere la partita). Lacan spiega che della regola delle parti bisognerebbe parlarne a lungo per mostrare la sua importanza nel progresso della teoria matematica. Non esiste nulla di più avanzato, afferma, riguardo ciò di cui si tratta per noi a proposito del soggetto. 
Non c’è nulla che isoli in modo più puro del cosiddetto gioco quelli che sono i nostri rapporti con il significante, giacché si tratta di una pratica definita dal fatto che comporta un certo numero di mosse che hanno luogo all’interno di determinate regole. In apparenza di questa questione non ci interessa nient’altro che la manovra più gratuita nell’ordine della combinazione e tuttavia la questione riguardante le decisioni da prendere, che non emerge da nessun’altra parte con così tanta forza e necessità come nel campo del gratuito. La questione della decisione si lega al concetto di scelta forzata già formulato nel precedente insegnamento lacaniano, ad esempio nel Seminario XI. 
Nella scommessa di Pascal manca tutto ciò che fa parte delle condizioni ammissibili in un gioco. Gli sforzi compiuti dagli autori per razionalizzare in qualche modo quello che per Pascal era effettivamente il riferimento, finiscono tutti per dimostrare che le cose non quadrano, ed egli doveva proprio essere il primo a saperlo.
In tutti i casi la posta in gioco secondo Pascal dev’essere valutata sul piano numerico e la maggioranza degli autori invece inciampano sul se valga la pena di scommettere. 
Pascal considera numericamente la posta ma anche l’incertezza: scrive perfino che rispetto a una probabilità di guadagno possiamo supporre un’infinità di probabilità di perdita, introducendo dunque l’elemento probabilità come numerico, cosa esclusa nella regola delle parti, la quale presuppone la parità della probabilità. 
Lacan dice che se insiste sul numerale è perché in altri punti Pascal enuncia che a scommettere sull’incertezza fondamentale – ossia c’e un partner o no? – si ha una probabilità su due, vale a dire: Dio esiste o non esiste, non è numerale. È escludente.
Miller, nel suo commento del Seminario Da un Altro all’altro (che si trova nel suo Illuminations profanes, inedito), evidenzia come si ritrovi il simbolo dell’infinito proprio quando la partita che si gioca è incarnata da quella che propone Pascal nella sua scommessa. La separazione del soggetto e dell’Altro che è là iscritta, è fatta per indicarne la posizione iniziale dell’analizzante e dell’analista. L’analista è l’Altro nella misura in cui è capace di dare “la risposta che uno non aspetta”. 
Un esempio tratto dalla mia pratica clinica penso possa mostrare che tutto ciò di cui stiamo parlando sono concetti attuali, quotidiani, operativi. Ricevo da prima dell’estate un giovane uomo che si era costruito un mondo un po’ complicato ma del quale sembrava relativamente soddisfatto. Lavorava in una comunità lontana da Madrid dal lunedì fino al giovedì. La sua sposa lavorava in un’altra comunità giovedì e venerdì, mentre lui rimaneva con i figli a casa. Stavano tutti insieme nel corso del weekend. Dieci anni prima si era innamorato di una donna più giovane di lui, con l’intenzione di sposarla perché era una donna serena, che sarebbe piaciuta ai suoi genitori. È una versione leggermente modificata della classica degradazione generale della vita erotica osservata da Freud: una vita conveniente, in assenza dell’amante verso cui quest’uomo non si sentiva impegnato. Il desiderio non era mai in gioco. Ha vissuto tranquillo in questo modo circa dieci anni. Fino al giorno in cui il marito della sua amante scoprì il rapporto e lo minacciò di dire tutto a sua moglie.
Quando è arrivato in studio era disperato, non sapeva cosa fare e a un certo punto, sorridendo, mi ha detto: “So che non mi dirà cosa fare”. La frase aveva la forma di una negazione classica, era proprio quello che mi domandava: Mi dica cosa desidero. Ovviamente non gliel’ho detto e la psicoanalisi è iniziata.
Torniamo più sul piano teorico. L’affermazione di Pascal sul guadagno incontestabile è insostenibile. È chiarissimo che in questo calcolo non c’è nulla che si imponga di per sé, e che alla proposta della scommessa si può opporre “che quello che ho, lo tengo, e che con questa vita ho già il mio bel da fare”. 
Pascal allora rincara la dose e ci dice che questa vita non è niente. Sarebbe a dire? 
Ma l’obiezione regge sempre: non è che a puntare in un tale gioco scommetto troppo? Figura nella scommessa stessa. Il presunto contraddittore, che altri non è se non proprio Pascal (in un ragionamento tipicamente analitico Lacan dice che il foglietto lo vedeva solo lui), riceve l’immediata risposta: non potete non scommettere, perché ne siete già impegnato. 
In che cosa? Non si è impegnati per nulla, a meno che non ci si ritrovi nella circostanza per cui è necessario prendere una decisione. Che cosa è una decisione? Nella teoria dei giochi, come si dice ai giorni nostri, la decisione è una struttura, cioè è calcolabile perché esiste una logica della scelta. 
Solo che, a questo livello della scommessa, se siete costretti a prendere una decisione, qualunque essa sia delle due che si propongono, se siete in ogni caso impegnati, lo siete a partire del momento in cui venite interrogati in questo modo, e da Pascal, vale a dire nel momento in cui vi autorizzate a essere Io in questo discorso.

L’esistenza di Io
La vera dicotomia non è fra Dio esiste e Dio non esiste. Il problema diventa diverso dal momento in cui Pascal ha affermato non già che non sappiamo se Dio esiste, ma che non sappiamo né se Dio è, né che cosa è. Come i contemporanei hanno colto la faccenda riguardante Dio sarà dunque una faccenda di fatto, il che vuol dire una faccenda di discorso, dato che non c’è fatto se non enunciato. Ecco perché, per quanto riguarda Dio, dipendiamo interamente dalla tradizione del libro.
Ma ciò che è veramente in gioco nella scommessa è se Io esiste o non esiste? Cioè che la scommessa non verte sulla promessa di una vita futura ma sull’esistenza di Io. Lacan non utilizza più il termine soggetto, che vale come soggetto dell’inconscio ma Io, il quale esprime il soggetto della parola dove c’è anche in gioco il godimento e che prelude al parlessere (parlêtre). È un concetto forgiato da Lacan per designare in un corpo il connubio tra la Cosa che parla, l’inconscio, e la Cosa che non parla, l’Es.
Si può dedurre qualcosa ulteriore a condizione di mettere al posto giusto la funzione della causa così come si situa a livello del soggetto, vale a dire l’oggetto (a). Il soggetto qui cerca la consistenza della verità, che non trova in sé stesso, fallirà anche a trovarla nell’Altro, la troverà soltanto nel unico elemento consistente, l’oggetto (a) che fa la coerenza del soggetto e che fa pure la sua stoffa. Questo aspetto non sarà pienamente riconosciuto fino al seminario Ancora, dove Lacan aggiungerà alle due sostanze ammesse da Descartes (pensiero ed estensione), la sostanza “jouissante”, godente. 
“L’essenza della scommessa sta precisamente tutta nel ridurre la nostra vita a quella cosa che possiamo, così, tenere nell’incavo di una mano.” (p.116), cioè l’oggetto (a). 

L’Uno e il piccolo (a)
“La cosa più difficile da pensare è l’Uno” comincia Lacan il capitolo che prende il titolo “L’Uno e il piccolo a” e ci parla del tratto unario, trait unaire, l’einziger Zug che aveva prelevato da Freud, riferito a una delle forme della identificazione.
Nel tratto unario risiede l’essenziale dell’effetto della ripetizione, per noi analisti, nel campo in cui abbiamo a che fare con il soggetto. Ma c’è un altro Uno che oggi ci interessa di più, l’Uno del marchio. Si tratta della ripetizione legata in modo determinante a una conseguenza che Freud designa come l’oggetto perduto. 
Essenzialmente del fatto che il godimento è preso di mira in uno sforzo di ritrovamento e che può esserlo solo a condizione di essere riconosciuto per effetto del marchio. 
Lacan considera che la forma singolare del Nome-del-Padre nella questione della scommessa, si trova nell’enunciato in testa al foglietto: croix ou pile, cioè pone l’azzardo al comando, la ripetizione nel senso di tyche, non di ripetizione significante, automaton, di accordo con i termini utilizzati nel Seminario XI, I quattro concetti fondamentali. Lacan lo chiama il reale assoluto. Si tratta esclusivamente del reale come arresto, fissazione. 
Il godimento, rispetto dell’Altro è un assoluto per il soggetto. Il termine è ben fatto per distinguere il godimento rispetto dell’Altro, giacché nell’Altro tutti i termini sono relativi e si tengono come sistema. L’Altro è così poco un assoluto che si pone la questione della sua garanzia. 
Ma non è solo il partner a costituire l’interesse della scommessa, c’è anche la posta in gioco. Che Pascal possa porre nei termini in cui la pone la questione della nostra misura in relazione al reale assoluto presuppone che abbia compiuto un certo passo: modificare radicalmente l’approccio all’Io del giocatore. Lo ha fatto operando qualcosa che Lacan  chiama “un esorcismo”, perché? Il giorno in cui Pascal scoprì la regola delle parti produsse un cambiamento fondamentale nel proporre la perdita alla base del gioco, nel suo principio. Il gioco esiste soltanto a partire da questo dato, per cui la puntata si trova sul tavolo e, se così si può dire, in una massa comune. Pascal risponde in base a quello che viene chiamato il triangolo matematico, già scoperto da un certo Tartaglia, e tornando a Archimede (che Tartaglia aveva tradotto) e alle sue legge di massimo e minimo.
Laddove la questione dell’attrattiva della vincita deformava, deviava, la riflessione dei teorici, questa purificazione iniziale consente di enunciare correttamente come operare con la posta in gioco: è perduta. La questione è di interesse analitico. Se c’è un’attività il cui avvio implica fondamentalmente l’assunzione della perdita, quella è certamente la nostra, nella misura in cui già nell’adesione a una qualche regola, vale a dire una concatenazione significante, si tratta di un effetto di perdita. “La nostra esperienza nell’analisi ci confronta in ciascun momento con un effetto di perdita”.
Lacan obietta l’attribuzione di questa perdita a un qualunque danno immaginario e dice “Questo effetto simbolico s’inscrive nell’apertura beante che si produce fra il corpo e il suo godimento, in quanto è l’incidenza del significante, o del marchio, vale a dire di quello che prima ho chiamato tratto unario, a determinarla o ad aggravarla”. 
Lacan dice che non sappiamo niente né della natura di a e neanche della natura dell’Uno ma ciò che è importante è che così si determina un rapporto tra a e l’Altro. “Si delinea dunque un rapporto fra l’effetto della perdita, l’oggetto (a), e il luogo che chiamiamo l’Altro, senza il quale non potrebbe prodursi.” (pagina 123) 
Lacan aggiunge: per vedere che la perdita non è senza rapporto con il modo in cui funzioniamo come desiderio è sufficiente osservare la passione del gioco.

Il tratto unario
Lacan sottolinea che c’è qui qualcosa di molto singolare: si produce una proporzione già nelle cifre, nei segni scritti, nonostante non sappiamo nulla né della natura della perdita e neanche dell’Uno, sappiamo soltanto cos’è il tratto unario.
L’Uno unario è un punto ideale a cui si accede per identificazione. Serve anche alla formazione della massa e Lacan sostiene che abbia una struttura omologa a quella della sessuazione maschile. 
L’ Einziger Zug è un tratto unico, ma non è quello che rende unico chi lo possiede, cioè non fa la sua singolarità. Quelli che s’identificano a quel tratto unario risultano automaticamente identificati tra loro (fanno massa). Per questo la propria singolarità è sostituita dal tratto comune. Una storia di Alphonse Alias è utilizzata dallo psicoanalista G. Arenas, per illustrarne in modo umoristico che il tratto unario non fa unico, singolare. Uno dice: “Sono una persona stile Balzac, bevo troppo caffè; sono una persona stile Napoleone, mia moglie si chiama Josefina …” e noi possiamo dire parafrasando Alponse Allais, sono una persona stile Lacan, fumo sigarette culebra …  o ancora più paradigmatico, indosso una cravatta a farfalla, quindi sono una persona stile Lacan. Negli anni ‘80, c’erano analisti nella scuola di psicoanalisi analisti che indossavano papillon come se quello li facesse diventare Lacan.  Si vede bene che non qualsiasi tratto serve per essere singolare, anzi serve al contrario per fare massa. I baffi di Hitler ad esempio.
Lacan propone un’altra omologia, più interessante per noi oggi, tra il tratto unario e l’Uno della ripetizione. Si tratta di un’altra definizione di tratto unario. “Il tratto unario è quello con cui si marca la ripetizione come tale. La ripetizione non fonda nessun tutti, ne identifica niente, perché (…) non può avere prima ripetizione. Non può cominciare, evidentemente, che la seconda volta, che in questo modo risulta essere quella che inaugura la ripetizione.”   
Notate che Lacan non dice che il tratto unario sia l’Uno della ripetizione, ma che con il tratto unario si marca la ripetizione. “Qualunque cosa può servire per scrivere l’Uno della ripetizione (…) soltanto dev’essere facile ripetere come figura”. Riprende così la concezione del tratto unario come puro marchio, come la tacca, che distingue ripetizioni, per contarle senza numerarle. Per questo dice il tratto unario è “il marchio come tale”. Il segno del cacciatore primitivo sulle pareti della grotta, o il cowboy che nei film segna una tacca sulla sua arma ogni volta che ammazza qualcuno. 
Scriviamo ora il rapporto fra l’1 determinante, il marchio, e l’effetto di perdita:
                                                                       1
                                                                       a
Se si tratta di perdita appare evidente che questo rapporto deve essere uguale alla congiunzione, tramite una e aggiuntiva, fra l’1 e il segno della perdita: a.
                                                                    1 = 1+a
                                                                    a

Osservate che anche qui si tratta del rapporto tra un elemento significante l’1 (fondamento dell’identificazione soggettiva originaria) e un altro diverso, l’oggetto (a), come resto del godimento. Lacan sottolinea anche che la sola ragione che ci impone di partire da essi – é una partenza arbitraria – è che iniziando da essi scriviamo. Questi elementi non si collocano da nessuna parte, in un qualsiasi reale che sembri potere corrispondere a questa scala. Solo che questa scala non possiamo scriverla senza di loro.
Lacan cerca di dare un’evidenza matematica della genesi di a in virtù, unicamente, dell’Uno in quanto marchio. Per farlo poggia sulla costruzione che risulta dall’uso più semplice di questo Uno in quanto, una volta ripetuto, prolifera, giacché esso viene posto soltanto per tentare la ripetizione del godimento, per ritrovarlo in quanto è già fuggito.
Il primo Uno, inscritto per ritrovare ciò che originariamente non era marchiato già lo altera, dato che in origine non era segnato. Esso si pone dunque nella fondazione di una differenza.
Questo punto originario – a cui Lacan si riferisce mediante l’esperienza di soddisfazione e alla sua differenza rispetto a ciò che si ritrova – fa della ripetizione la chiave di un processo che ci pone la questione di sapere se, una volta avviato, possa o no trovare il proprio termine. Cioè la questione della fine dell’analisi, terminabile o interminabile, e chiedendo se il processo che prende avvio per il soggetto a causa della ripetizione, con la ripetizione come origine, abbia o non abbia un proprio limite.
Come stanno le cose per quanto riguarda la genesi di questo Altro? Possiamo distinguerlo dall’Uno che precede l’1, ossia dal godimento. Si tratta della differenza tra l’Uno del godimento che Lacan scrive in lettere e che precede l’1 unario del marchio. Come misurarlo? Se abbiamo consolidato l’<1+a> e ne abbiamo fatto la somma con la massima cura, è perché proprio a partire da (a) nel suo rapporto con 1 possiamo sperare di prendere in modo analogico, la misura di quello che è l’Uno, del godimento, riferendoci a quella somma supposta realizzata. 
Il rapporto fra a come mancanza acquisita dall’Altro, e 1, come il campo completato dell’Altro che potremmo edificare, possiamo renderlo come presentato a pagina 129:

1  (Uno)                                 1                                       a
________________________________________________________________________

“È qualcosa che noi analisti conosciamo e che ritroviamo. È quello che si chiama godimento masochista, ed è la forma più caratteristica, la più sottile che abbiamo dato alla funzione causa-del-desiderio”. 
Nel brano del capitolo XVI seminario XI dedicato all’operazione di separazione, soprattutto a pagina 210 (la questione è ancora formulata in termini linguistici), si riferisce allo stesso problema: il primo oggetto offerto al desiderio dell’Altro è la propria scomparsa. “Il primo oggetto che egli propone al desiderio parentale, il cui oggetto è sconosciuto, è la sua propria perdita. Può perdermi? Il fantasma della sua morte, della sua scomparsa, è il primo oggetto che il soggetto deve mettere in gioco in questa dialettica e, in effetti, lo mette”.  Lo sappiamo da mille fatti, per esempio dall’anoressia mentale. Lacan illustra lì il godimento masochistico, con il caso di Gide. 
Questo capitolo è prezioso così come l’articolo degli Scritti, “Posizione dell’inconscio” per avere una approssimazione di quello a cui punta qui Lacan quando parla di godimento masochistico. Non è la perversione masochistica, che richiede una costruzione complessa come quella della nevrosi, ma l’utilizzazione dell’identificazione all’oggetto perduto come un modo analogo di assumere la perdita, la posizione di scarto, rappresentata da a al livello del plusgodere. Nel caso della perversione Lacan ci mostra come il soggetto nel suo sforzo per costituire l’Altro come un campo articolato unicamente nelle modalità di quel contratto sul quale Deleuze ha posto l’accento “per supplire all’imbecillità fremente che regna nella psicoanalisi, il soggetto gioca sulla proporzione che si sottrae, accostandosi al godimenti per la via del plusgodere.”
Il libro di Deleuze al quale si riferisce Lacan Presentazione di Sacher-Masoch, pubblicato da Bompiani nel 1978; e in una versione posteriore Il freddo e il crudele pubblicato da SE nel 1991. Esiste anche anche una preziosa intervista a Deleuze di Madeleine Chapsal pubblicata originalmente nell’aprile del 1967 in La quinzaine littéraire, dove Deleuze dice che vorrebbe studiare il rapporto tra letteratura e clinica psichiatrica, perché è possibile che uno scrittore vada più lontano nella descrizione della sintomatologia che uno psichiatra . L’illustra con Sacher-Masoch che – come altri scrittori – ha fatto del fantasma l’oggetto della sua opera, quando in generale il fantasma per altri autori è soltanto l’origine della propria opera.  
Lacan ha sottolineato come in fondo si tratti proprio di questo nella scommessa di Pascal. L’infinito su cui poggia la scommessa è l’infinito del numero. 
Se prendiamo questa infinità e l’acceleriamo con l’istituzione della successione di Fibonacci, la quale è esponenziale in quanto i numeri da essa generati crescono geometricamente e non aritmeticamente. (Questo modo di crescere che è per noi di tanta funesta attualità, con la quotidiana informazione della crescita di contagiati di coronavirus).  Tale serie genera nella misura in cui ci allontaniamo dalla sua origine, la proporzione che si articola in a. Man mano che i numeri crescono, a interviene in maniera costante, nella sua forma inversa, 1/a, la quale è tanto più sorprendente in quanto annoda l’1 ad a. 
Lacan indica che a può essere insignito della funzione del numero aureo, che si calcola nella serie di Fibonacci se mettiamo in rapporto ciascuno dei suoi termini con il termine successivo:
                                        1/2    2/3    3/5    5/8    8/13    13/21
e così via, si ottiene un risultato, che tende molto presto a inscrivere i primi due decimali e tutti i decimali di seguito. Corrisponde a quell' a = 0,618, e via di seguito, chiamato numero aureo.
Che dire della scelta di a?  S’interroga Lacan. L’abbiamo scelto perché ci siamo trovati davanti al problema di sapere come raffigurare ciò che si perde per il fatto di porre arbitrariamente l’1 inaugurale, ridotto alla sua funzione di marchio. Ma la scelta di a non ha nulla di arbitrario, perché è il rapporto limite di un termine della serie di Fibonacci con quello successivo. La perdita che stiamo considerando costituisce all’orizzonte del nostro discorso il plusgodere: non è altro che un effetto della posizione del tratto unario.
La conclusione importante è che la differenza tra il soggetto del godimento e il soggetto diviso dal marchio resta irrimediabile. Si può dire che a è ciò che condiziona la distinzione fra l’Io che sostiene il campo dell’Altro e può totalizzarsi come campo del sapere e l’Io del godimento. Totalizzandosi, l’Io del sapere non perverrà mai alla propria sufficienza, quella che si articola nel concetto hegeliano del Selbstbewusstsein. Infatti, proprio commisurata alla sua perfezione, resta totalmente escluso l’Io del godimento. È un’affermazione di straordinaria portata: esiste la tentazione di porre che il soggetto del sapere come che sa se stesso ed è quello che Lacan riferisce in questi capitoli rispetto al Selbstbewustein hegeliano, il quale trascina dietro di sé praticamente tutte le teorie della conoscenza, persino quelle più di avanguardia. È l’importanza di sostenere che la divisione originale non è soppressa in nessun momento.
Lacan aggiunge qui una piccola nota clinica quando si chiede cos’è che tende a proporre la figura di un sapere assoluto come ideale che un giorno potrebbe essere portato a compimento. Risponde: “è l’isterica”.   
Risulta rilevante che unicamente in questo a può essere colto quel che ne è del godimento rispetto quel che si crea con l’apparizione di una perdita.
Lacan finisce l’ultimo capitolo di questi tre qui trattati, con la presentazione di una matrice nella quale sono inscritti i dati nella modalità in cui si annotano i risultati della cosiddetta teoria dei giochi e suggerisce altrettante posizioni soggettive, da pensare non soltanto in rapporto a Dio ma più ampiamente. Per farlo combina da una parte che il soggetto sappia che Dio esiste o che Dio non esiste e dall’altra parte che sia a favore o contro. Ottiene così diverse figure dove la scelta determina altrettanti risultati. Le più notevoli sono: quella del soggetto che crede nell’esistenza di Dio e sceglie di perdere la infinità di vite infinitamente felici deliberatamente; quella del soggetto che suppone sapere che Dio non esiste e che comunque sceglie di impegnarsi e perdere a, esistono molti soggetti che hanno mollato a senza curarsi della immortalità dell’anima, ad esempio quelli che chiamiamo saggi; infine c’è chi si tiene a e dorme fra due guanciali, Lacan si domanda se questa tranquillità non è un po’ fatta di indifferenza.      
Concludo un’altra ironia di Lacan, questa volta in rapporto con le considerazioni sulla Grazia, interessante e divertente. Il dogma, dice, testimonia come la misericordia di Dio sia più grande della sua giustizia, giacché Egli estrae alcuni eletti quando dovremmo essere tutti all’inferno, “Mi meraviglio che questa frase abbia potuto apparire scandalosa, poiché è assolutamente chiaro e manifesto che l’inferno non si è mai potuto immaginarlo al di fuori di che ci capita tutti i giorni. Voglio dire che in inferno ci siamo già”. 
Il paziente di cui vi ho parlato prima conosceva bene cosa è costruirsi un inferno quotidiano. Non s’ingannava e ricordava ogni volta in cui di nuovo, in modo ripetuto, mollava il suo desiderio.















sabato 25 gennaio 2020

Seminario fondamentale Istituto Freudiano di Milano, 25 gennaio 2020. Docente invitato: Alfredo Zenoni

Seminario fondamentale

Istituto Freudiano di Milano 

25 gennaio 2020

Docente invitato: Alfredo Zenoni




La registrazione del seminario ai seguenti link:



Da un Altro all’altro
Commento dei capitoli II, III e IV
Alfredo Zenoni


Questo seminario è situato sul cammino che Lacan segue e traccia allo stesso tempo, che deve  portarlo a trovare una formulazione, un approccio unico per affrontare insieme la condizione della parola e la condizione del godimento. E cioè il parlessere. Come avvicinare, come addomesticare  il godimento? Come situare  il reale informe del godimento?
Le categorie del significante sono  tanto più evidenziate in questo seminario che due o tre anni dopo saranno sostituite dalla manipolazione del nodo. In questo seminario il formale o il logico e il corpo sono ancora separati. La logica è in qualche modo distinta dall'elemento carnale che la riempie.
I primi capitoli di questo seminario consistono in uno studio della struttura del luogo dell'Altro, sfruttando il paradosso di Russell, i paradossi della teoria degli insiemi. Uno studio che porta a mettere in discussione la funzione dell'Altro sulla base della sua topologia (71).
In questi capitoli, si tratta anche, in un certo senso, di riprendere, alla luce della teoria degli insiemi, cio’ che la logica del grande grafo  già presentava rispetto alla scrittura del S(A) barrato).

Cap. II
Lacan inizia portando in primo piano la nozione di struttura, che considera ancora in quel momento ciò che v’é di più reale. Mancano ancora pochi anni al momento in cui Lacan metterà piuttosto in evidenza la dimensione di costruzione della struttura: una struttura è una costruzione, e quindi é modificabile, ciò che ne evidenzia il carattere di artefatto, di sovrastruttura, cioè di sembiante.
Ma ciò che Lacan mette ora in evidenza soprattutto nella struttura è la sua convergenza verso un punto di impossibilità. Ed è proprio questa dimensione dell'impossibile che la rende reale.
L'altra nozione che Lacan sviluppa in dettaglio in questo paragrafo, e che egli definisce in modi diversi, e la nozione di discorso. La struttura si occupa della causa del discorso stesso, o un discorso che sia un discorso é un discorso che mira alla causa del discorso stesso . Ciò che definisce un discorso - un discorso che valga la pena, come dirà più avanti -  é che ha delle conseguenze - nozione che viene spesso ripetuta in questo capitolo, ed é quindi un discorso  rivolto alla causa del discorso stesso.
Un discorso che ha delle conseguenze può essere inteso in due modi. In primo luogo, è un discorso che contiene per cosi dire delle conseguenze, cioé in cui si possono mettere in luce, isolare, nella sua tessitura, deduzioni, implicazioni, dimostrazioni, eventualmente con lessici e grammatiche proprie.  E poi c'è la conseguenza nel senso di ciò a cui il discorso stesso dà origine nella realtà, cioè è un discorso che non è vano.
Un discorso che vale la pena è un discorso che pratica dei tagli, che é tagliente ( che non mena il can per l’aia). Lo paragona ad un colpo di forbici, il cui taglio nella struttura la rivela per quello che è. A seconda che il taglio venga effettuato lungo un piano  o un altro, i rapporti cambiano. Ad esempio, se prendiamo la striscia di Möbius, se la tagliamo lungo la parte  centrale , ne facciamo una striscia che non ha più nulla a che fare con ciò che era in precedenza. Ciò dimostra che la banda di Möbius consiste in ultima analisi solo nel taglio stesso. Un discorso che sia un discorso ha le stesse conseguenze di un taglio in una figura topologica. La psicoanalisi fa parte di questa pretesa del discorso di avere delle conseguenze.
Prima di passare ad alcune considerazioni sulla linguistica, Lacan risponde rapidamente alle critiche di alcuni oppositori che lo accusano di trascurare la dimensione energetica. Anzitutto, risponde che, al posto dell'energia, lui ha introdotto l'economia politica (plus valore) e poi che se proprio vogliamo parlare di energia dobbiamo farlo come si fa in fisica, dove risulta che l'energia è costituita essenzialmente da valori matematici dove il conto, all'inizio e alla fine del processo risulta uguale, che includono una costante. Non dobbiamo farlo in modo immaginario, immaginando la presenza di energie nella natura. Il calcolo matematico che definisce un’energia in fisica non ha nulla a che fare con delle supposte energie della natura, di una natura che sarebbe già là, indipendentemente dalla scienza. E infatti, dice  Lacan, nessun discorso ha alcun effetto sulla natura, ed è per questo che la amiamo così tanto.
Prende poi le cose a livello della   linguistica - per illustrare questa nozione di un discorso che ha delle conseguenze - per mostrare che ciò che rende possibile situare la linguistica a livello del discorso della scienza è che dimentichiamo la lingua come realtà naturale e che ne riduciamo la materialità, come dice lui stesso. Nella linguistica si tratta infatti di estrarre nel discorso ciò che deve essere chiamato con il suo nome, la logica, che è sempre condizionata da una riduzione materiale. Una frase viene trasformata in una proposizione e la proposizione  stessa viene sostituita da una lettera: per esempio : se A, allora B. (28)
Lacan ha sempre cercato di appoggiarsi a forme di discorso matematico: nel « Seminario sulla Lettera rubata" si tratta delle catene di Markov. Poi saranno poi le forme della  topologia, sopratutto nel seminario sull’Identificazione. Nel seminario XI è l'uso di categorie elementari di teoria degli insiemi; in altri due seminari successivi è il gruppo di Klein. Ma, con questo seminario, Lacan si sta muovendo verso un puro dire o una pura scrittura come tale. Per Lacan, l’attività matematica parte da un dire, un dire che definisce, che pone, da cui procedono dei detti a proposito dei quali ci si domanda se reggono, se tengono . Un discorso in quanto ha delle conseguenze, ridotto alla sua logica.
Naturalmente, la logica non abbraccia tutta la lingua, dice Lacan. Ma resta il fatto che, se la psicoanalisi non è un delirio, tutto ciò che sei, come persona senziente e non solo come pensante, cade sotto le conseguenze del discorso : cioè è effetto di una logica significante.
Neanche la vostra morte è separabile da quello che potete dirne. La vostra idea della morte è inseparabile dal massimo discorso che potete fare al riguardo. ( Linguaggio/lingua)
Quando Lacan parla ora di discorso, si tratta sempre del discorso in quanto porta a delle conseguenze, cioé del discorso nella sua logica, e quindi, in definitiva, di un discorso ridotto a una scrittura . Questo riferimento alla scrittura è necessario per capire cosa intendeva Lacan scrivendo sulla lavagna, all'inizio di quell'anno, la frase che l'essenza della teoria psicoanalitica è un discorso senza parole (p. 41). Quando Lacan si riferisce ad un discorso senza parole, si riferisce a un discorso scritto, un discorso che dice qual è l'essenza della teoria. Non l'essenza della pratica, poiché nella pratica la parola viene alla ribalta. Ma é l'essenza della teoria della pratica, poiché ciò che è scritto in questa parola si deposita sotto forma di scrittura. La teoria psicoanalitica, propriamente detta, non è una teoria dell'inconscio in quanto tale, è una teoria della sua pratica, é una teoria del discorso psicoanalitico. Queste considerazioni porteranno infine, nel seminario successivo, alla creazione dei quattro discorsi, che sono della scrittura pura.
Ecco perché sarebbe essenziale avere in psicoanalisi delle persone formate in quella che si chiama, non so perché, dice, logica matematica. E appunto l'intero seminario sfrutterà la logica degli insiemi e i suoi paradossi. Come mai questa logica matematica non è venuta alla luce prima? Questa domanda dà a Lacan l'occasione di chiedersi se la logica matematica fosse già presente nell'intelletto divino (prima che fosse inventata).
In ogni caso, se ci sono sempre state in un’esistenza di soggetto le conseguenze del discorso della logica, è chiaro che queste non sono le stesse di quelle che si sono manifestate da quando è stato proferito il discorso della logica matematica.
*
Infine, Lacan arriva a dare la sua idea del « plus-valore », evidenziato da Marx, e a stabilire un'omologia tra lo scambio che presiede alla produzione del « plusvalore » sul mercato, e lo scambio tra godimento e sapere con produzione di plus-godere.
Innanzitutto, l'osservazione di Lacan secondo cui è più che probabile che la comparsa di questa nozione del « plus-valore » nel discorso é stata condizionata all'assolutizzazione del mercato. Lacan vedeva ai tempi di Marx l'inizio di questa promozione del mercato di cui profetizza che diventarà assoluto, cioè, oggi diremmo, globale :  tutto può essere comprato, tutto può essere  venduto fra tutti.
Lacan tende qui una mano benevola ai rivoluzionari del 1968.....con  queste considerazioni. Il lavoro stesso si vende, è quello che fa il proletario, e il capitalista lo compra al suo prezzo di mercato. C'è uno scambio sul mercato. Io ti do’ il mio lavoro e tu mi dai un salario. Allora, Il plusvalore è l'idea di un valore finanziario, economico, che non si trova nel circuito di questo scambio tra il lavoratore e il capitalista, è cioé qualcosa che si perde
schema
in questo scambio (Lacan non sottolinea qui questo aspetto) - ma che, allo stesso tempo, si mette a esistere come valore in aggiunta allo scambio, qualcosa in più rispetto allo scambio, che si accumula da qualche parte e che qualcuno allora recupera, che è il capitalista. Da un lato, abbiamo il principio stesso della perdita, l'oggetto perduto, ma dall'altro lato, abbiamo il principio del guadagno.
Dice che in questo scambio, l’io é al posto del lavoratore. Non dice: il soggetto. Dice che un giorno spiegherà dove si trova nel suo grafo, questo io (je) . Ma non lo riprenderà più nel seminario. Ma alla fine, possiamo dire che l’io é un’abbozzo del « parlessere ». corpo parlante, un essere parlante che ha un corpo (godimento)
Da un lato, Lacan sottolinea che la realtà capitalista non è in un rapporto così cattivo con la scienza. Mentre, dall’altro, il lavoratore è il luogo sacro di quell'elemento conflittuale che è la verità del sistema e che emerge quando il sapere si lacera da qualche parte.

Poi c'è un'osservazione sul sapere, dove dice che il sapere non è lavoro, non ha nulla a che fare con il lavoro. Il sapere é pure una merce, poiché esiste un mercato del sapere. Poi, qui si sposta su un altro piano, senza dirlo.  È chiaro che per avere il sapere bisogna rinunciare al godimento,  il sapere  costa la rinuncia al godimento: un'osservazione che in qualche modo fa allora il nesso tra il plusvalore e il plus di godere.. Lo stesso processo di unificazione della scienza riduce tutto il sapere  ad un unico mercato. Anche qui, vediamo che c'è qualcosa che si ottiene per nulla, senza nulla in cambio (in più dello  scambio : godimento/sapere) e che è il plus di  godere, e cioè che il godimento può stabilirsi come ricercato per se stesso, come perverso.
Allo stesso modo in cui il lavoro è pagato al suo giusto prezzo, ma con un effetto di perdita, anche in questo caso il sapere è senz’altro pagato al suo giusto prezzo, ma al di sotto del valore d'uso che questa verità genera, e sempre per gli altri che non sono nella verità (cioè per chi non è lavoratore). È un plus di godere ottenuto dalla rinuncia stessa al godimento, che viene pagato al suo giusto prezzo, ma al di sotto del valore d'uso che questa verità genera. Nello scambio di godimento/sapere  c'è anche una perdita, a livello di verità, e cioè c'è la produzione di un più di godere, ma che si burla di noi, perché non sappiamo dove vada a finire.
Poi arriva l'ipotesi di Lacan sugli eventi del  maggio 68. Cos'è successo in quel momento? A quell’epoca c'é stata una sorta di ebrezza di liberazione, ma era dovuta al fatto che, e nella misura in cui la verità ha fatto sciopero, dice Lacan. Dato che la verità pesa su ciascuno di noi in ogni momento della nostra esistenza (p. 42) che gioia, dunque, avere con lei solo un rapporto collettivo, ci solleva dall’averne un rapporto soggettivo. L'identificazione di ogni soggetto con il collettivo, o l'identificazione costitutiva del collettivo, libera ognuno da questo fardello della verità.
Ma non pensate che ciò fermi il processo. Non é nemmeno questione che possa per ora fermare il mercato del sapere.  Questo è il segno di ciò che il sapere  diventerà sempre di più in questo mercato chiamato università, e cioè un’unità di valore, un pezzo di carta. La verità può li’ avere funzioni spasmodiche - ci saranno ancora alcuni spasmi di verità - ma non è questo che risolverà per ciascuno di voi  la vostra esistenza di soggetti.  Tutto é vanità, allora?
A tutti coloro che pongono come principio la vanità essenziale di ogni discorso, risponderemo mediante il discorso che vi tengo, la prossima volta.

 Cap. III
1. In questo capitolo, Lacan inizia annunciando che fornirà chiarimenti topologici, che saranno combinati con ciò che ha introdotto quest'anno sotto la forma del  rapporto tra sapere e godimento. Che a sua volta permetterà di introdurre la funzione dell’oggetto a.
Piccolo a, la cui funzione é comune al plus-godere e al plusvalore.
Non ci sarebbe discorso analitico né rivelazione della funzione dell'oggetto a se l'analista stesso non fosse quest’effetto, questo sintomo che risulta da una certa incidenza nella storia di una trasformazione del rapporto tra il sapere e l'enigmatico fondo del godimento.
In altre parole, la psicoanalisi é potuta nascere solo perché si é verificata una svolta nell'impatto del sapere nella storia, che in un certo senso ha concentrato la funzione definita dall'oggetto a. Per metterla alla nostra portata. La  traduttrice italiano di Lacan gli aveva appunto indicato questa identità della funzione nel plusvalore. Questo è normale, poiché attualmente coloro che sono più in sintonia con il suo insegnamento sono i giovani, la cui età media è di 24 anni.
Qui si ricollega a quanto aveva detto nella precedente lezione sulla necessità che degli spiriti formati alla logica matematica siano presenti all'interno della psicoanalisi, per introdurre una svolta, dicendo che è chiaro che ogni operazione del discorso matematico è fatta per bloccare, elidere, cucire, suturare, in ogni momento la questione del desiderio. Nel discorso analitico, al contrario, si tratta di dare piena presenza alla funzione del soggetto, invertendo il movimento riduttivo che abita il discorso logico, per rifocalizzarci perpetuamente su ciò che è faglia. La faglia che scriviamo S(A). Mancanza di significante nel significante. La cosa più sorprendente è che gli uomini sono stati in grado di porre rimedio a questa mancanza per così tanto tempo.

2. Poiché S(A) era già scritta nel grafico presente nel seminario "le formazioni dell'inconscio", Lacan ne fa qui una rapida ripresa, focalizzandola prima sul cerchio del discorso, con l'incrocio delle due frecce,
 e poi su  una rievocazione del witz  del "familionario »,  dove egli sostiene che i motti di spirito avvengono nella misura in cui qualcosa che si gioca a livello dei fonemi e qualcosa che fa parte del più comune cerchio del discorso si sovrappongono. (diagramma). Basta dire che questa familiarità....?(46) …  Un’osservazione sul Terzo
Quante preistoriche.........
Poiché aveva rigorosamente distinto il cerchio del discorso, ciò aveva permesso a Lacan di evidenziare la vera funzione di ciò che lo completa, mediante questo circuito che lo raddoppia al piano superiore. Qui è dove la funzione di A è messa in discussione. C’é una incognita, manca l’ultimo significante o il significante del significante. Sorge allora la questione : Cosa vuole? Ogni parte del discorso interroga A. Al livello inferiore c'è l'enunciazione, al livello superiore l’enunciato assume la forma di una domanda, in quanto il campo dell'Altro non è consistente. Quindi dobbiamo interrogarlo, visto che nell'Altro manca del significante.
Qui, al primo piano, in A, è già contenuta la prima articolazione della funzione del significante in quanto determina il soggetto. Cioè, il rapporto tra il significante 1 e la forma minima che ho chiamato la coppia ordinata (S1-S2). S2 rappresenta il sapere  come termine in cui il soggetto svanisce.
3. Lacan si sta finalmente preparando in questo paragrafo per spiegare cosa intende per coppia ordinata dopo aver ricordato questo fatto, che la teoria degli insiemi inciampa fin dai suoi primi passi su un paradosso. L’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi appartiene  a se stesso o non appartiene  a se stesso ?
Lacan distribuisce quindi nel grafo, dove c'è, da un lato, A, e dall'altro, S per illustrare la formula: il significante rappresenta il soggetto solo per un altro significante. E mostrerà come questa formula corrisponda alla formula di una coppia ordinata.
Una coppia ordinata non significa semplicemente che ci sono due, due allo stesso tempo. "Ordinato" significa che ce n’é prima uno e poi un altro, che c’é un posto iniziale e un posto terminale. È la stessa cosa nella formula del significante: c'è il significante che rappresenta e l'altro significante che è in un certo senso il destinatario dell'operazione del rappresentare. È già fatta a livello del significante: è fatta in termini di raddopiamento e secondo un ordine. Quando si hanno solo questi due elementi, X e Y, come puoi distinguerli? Come distinguere tra chi viene prima e chi viene dopo ?   Il modo migliore per scrivere la coppia ordinata è quello di distinguerli formando due set, set (X) e set (X, Y). (Vedi schema)
Poi applica il concetto di coppia ordinata a S e A. Prendiamo l'Altro come un insieme di tutti i significanti. A è l'insieme costituito dai significanti.  A è sostituito a S1, S2.
In questo "tutti i significanti", non dobbiamo dimenticare il significante dell’insieme che include tutti i significanti : A. Quindi mettiamo dentro anche lui. Prendiamo S come designazione di tutti i significanti e A come designazione dell'insieme. Quindi A é un insieme che comprende se stesso. 
Cosa succede con questa  formula ridotta all'essenziale? Succede che si può riscrivere A, in quanto contiene non solo tutti i significanti, ma A stesso:   A = S(A)  .  A è riiscritto per mezzo di una formula che include A stesso.
Ma allora, non appena A appare nella formula, non si ferma più: A= S(S(S(A))).
Lacan pone qui come significante di una relazione un significante che interviene in questa relazione stessa A= S→A ;  allora :  A= S→(S→A) ecc.
Abbiamo una successione ordinata di S, che è ben fatta per darci l'insieme dei numeri naturali, ma d'altra parte abbiamo questo A da cui possiamo dire allo stesso tempo che sfugge indefinitamente poiché non cessa di applicare ad essa la regola della riscrittura.
Si può anche scrivere :  S2 = S1S2. il secondo set contiene sia S1 che S2, i due elementi della coppia. =E quindi riscrivere ; S2 =  S1 (S1→S2) … (p. 67)
Ciò che rappresenta il soggetto si manifesta solo sotto forma di una ripetizione infinita: S1, S1, S1,..... riflette ciò che la teoria freudiana implica come fondamentale nel fatto che, in origine, il soggetto, rispetto a ciò che si riferisce a qualche caduta di godimento, non può manifestarsi se non come ripetizione.
·      L'indice del piccolo a , oggetto,  è qui rappresentato dai cerchi concentrici.
Questo fa dire a Lacan che il campo del sapere è perforato. Oppure che il significante rappresenta per un altro significante una mancanza, il soggetto.
Il risultato di questo funzionamento, di questa elementare riscrittura, è che l'Altro appare inafferabile  perché dà luogo  ad una ripetizione infinita in cui non si può mai fermare l’arretramento di A. (leggere p. 53) Costituisce come una rappresentazione elementare della rimozione originaria. E anche una figurazione elementare dell'extimità..... Si ha, sia nel cuore dell’insieme che all'esterno come designazione di questo insieme di significanti: A. Con ciò l’inviluppo più interno raggiunge  il proprio esterno in sé. Il cuore stesso non é altro che ciò che é  il più esterno. L'elemento fondante è l'elemento che sfugge sempre. Abbiamo qui nel modo più semplice la struttura del piano proiettivo.
Questo è il punto di partenza della logica dell'inconsistenza.
E' anche un modo topologico per dimostrare che il luogo della verità è perforato.
la domanda: Dio esiste? Ci rendiamo conto qui che assume un peso solo se si basa su una struttura più fondamentale che riguarda il sapere. Possiamo dire che, nel luogo del sapere, il sapere si sappia in un qualche modo ? Il sapere sa se stesso o, per la sua stessa struttura é beante? La domanda si pone se prendiamo topologicamente il sapere, dove, come nella bottiglia di Klein, il cerchio più interno si congiunge  con quello più esterno, ma capovolto. (topologia, strutturalismo…)
L'oggetto a è il buco che si delinea al livello dell'Altro come tale, quando viene messo in discussione nella sua relazione con il soggetto.
L'insieme dell’Altro non può essere formato se non in quanto include un buco. Una falla.
Prendiamo il significante nella sua definizione : non può per definizione includere se stesso, non contiene se stesso. ( a b c  ecc. )  Ebbene : è impossibile formare l’insieme degli elementi che non contengono se stessi, dei significanti che non sono elementi di se stessi, senza incontrare un paradosso. Il catalogo di tutti i cataloghi che non contengono se stessi non può essere formato, a meno che questo catalogo stesso non sia escluso da questo insieme. Se non è escluso, si cade nel paradosso: se appartiene al catalogo, allora non può appartenere al catalogo; ma se non appartiene al catalogo, allora appartiene al catalogo.    Incompletezza e inconsistenza.  Qualsiasi discorso che si ponga  come essenzialmente basato sulla relazione con un altro significante è in ogni modo impossibile da totalizzare come discorso (p. 55).

IV
Per introdurci  il più semplicemente possibile, partiamo dall'Altro come campo del sapere, come insieme di significanti, di tutto ciò che si dice, partiamo da quello che Lacan ha chiamato  discorso universale. Ciò che è messo in questione è duplice, da un lato, che l'Altro racchiuda un sapere che un giorno si possa presumere sia assoluto; e che, da un altro lato,  l'Altro sia il supporto della nozione di un sapere che già là presente. (Discussione con gli scienziati sovietici)
Il fatto di considerare che il sapere  non possa concludersi su se stesso, che non potrà mai raggiungere lo status di assoluto, non é una considerazione sovversiva. Non implica che il sapere sarà sovvertito, dice Lacan commentando il fatto che egli ha recentemente letto da qualche parte il termine "sovversione del sapere". Il fatto che i saperi comportino una faglia non implica che non ci sia sapere, che non ci sarà più sapere.  Ma implica che si possono fare dei motti di spirito, che fanno ridere.
 A questo proposito, Lacan si prende la libertà di quello che chiama un piccolo inciso, riguardante la nozione di plusvalore in Marx. Marx fa parlare il capitalista..(p. 59) ... ride.
Lacan sottolinea quindi la congiunzione tra la risata e l'elisione di questo plusvalore nel discorso del capitalista.
Che si tratti di una questione di plusvalore o di plusgodere, c'è sempre qualcosa come un fondamentale gag,  poiché si tratta sempre di un'elisione. Sempre quando si tratta dell’esperienza dell’inconscio.
Non una teoria dell’inconscio, ma della pratica
Questa topologia dell'Altro è ciò che fa sì che il soggetto introduca una sovversione, ma non è solo la propria :  quando Lacan aveva parlato di « sovversione del soggetto » era in relazione a quanto fino ad allora affermato a proposito del soggetto. Ma qui si tratta anche della sovversione introdotta dal soggetto,  ma in quanto il reale come impossibile se ne serve. Ed è qui che Lacan introduce un'altra nozione del soggetto ( non c’é soggetto se non « di un dire ») : e cioè in quanto è l'effetto di un dire, non l'autore. ( esempio : un lapsus. O la denegazione ; Sono un’articolazione significante . A livello della parola, dire « é mia madre » o dire « non é mia madre », non é la stessa cosa…Ma a livello della lettera, del significante , si’. Nel lapsus il dire di cui il soggetto é l’effetto é evidente. Il soggetto é l’effetto di questo « dire », non ne é l’autore. Ed è solo il più estremo serraggio del dire che introduce l'impossibile.
Il semplice fatto di Patire del significante non fa soggetto. Più di una cosa al mondo è passibile di effetto del significante. Ma non avviene soggetto se non là dove il fatto é detto. Non c’é fatto se non detto,  per un soggetto  non c'è un fatto che detto  e che il fatto sia  detto implica un soggetto. Ora,............ ciò che non si può dire è ciò che, nel dire stesso,  manca, vale a dire la verità. Che patisce del significante…per natura.
Lacan fa poi delle considerazioni sullo spirito e sulla materia - che gli danno, da un lato, l'occasione  di evocare lo strutturalismo, come messa in questione della metafisica, ma, dall'altro, gli permettono di evocare cio’ che chiama la superstizione che consiste nel designare in una idealità delle materia la stessa sostanza impassibile che è stata prima messa nello spirito.  In breve, nello  spostare la credenza che avevamo nella spirito alla materia, che ora gode di una nota d'amore; ma potrebbe non durare, se il pensiero scientifico dovesse far un po’ soffrire dalla parte di questa credenza nella materia.
Che si parli di Dio o della natura,  per esempio, è sempre la stessa fede nell’esistenza di una conoscenza preliminare, da una parte o dall'altra,  della legge newtoniana, cioè di una conoscenza che si suppone già esista, che presiede al fatto di parlare di cosmo o cosmonauta.
2. La pubblicazione di un libro recente di un fenomenologo dà a Lacan l'opportunità di tornare sulla questione della verità.
La regola della pratica analitica, la libera associazione, non significa nient'altro che congedare il soggetto. È proprio cio’ che non è il caso in quella che egli chiama infatuazione fenomenologica (Infatuazione è credersi, credersi soggetto; credere che il soggetto dà senso, che il soggetto esprime la verità in ciò che vive. Questo non congeda il soggetto).  Nel libro L'essence de la manifestation, il filosofo Michel Henri sostiene che ciò che ci viene dato come certezza è che la sofferenza non è altro che sofferenza. " fa sempre un certo effetto.....".
Tuttavia, la promozione del "da non dire" ci permette di fare la differenza di ciò che c’é da dire veramente.  Se quello che facciamo, noi analisti, opera é proprio perché la sofferenza non è la sofferenza. Per dire ciò che occorre  dire che la sofferenza è un fatto, cioè che cela un dire. Vuole essere un sintomo, e cioè verità. E’ questa ambiguità che smentisce il fatto che la sofferenza sia insuperabile nella sua manifestazione. La sofferenza, come la verità, dice : « Io  parlo ». La verità non dice la verità. Dire la verità può perfino essere un modo di ingannare.  Cracovia..La verità parla. Quindi dice : io parlo, parla IO.

Per quanto riguarda la verità, che parla io, ci sono due campi limite. Il primo è quello in cui il soggetto è l'effetto del significante.  Questo è il campo dei fatti.
E poi c'è il secondo campo della verità, che non è stato nemmeno toccato altrove che sul monte Sinai, vale a dire: ciò che parla Io.
Lacan fa poi tutto uno  sviluppo sulla traduzione del famoso Eyé....., di cui  egli propone qui come traduzione: io sono ciò che sono, IO sono ciò che io  è,   finché la verità dice io. È il Dio della Bibbia, che Pascal  oppone a quello che egli chiamava il Dio dei filosofi. Che abbia detto  vero o no, che sia stato detto ha avuto qualche conseguenza.
Anche senza avere alcuna possibilità di verità - questa enunciato non dice la verità - potrebbe far luce sulla verità in quanto parla Io - la verità parla Io. La risposta le arriva nella nostra interpretazione, ed è per questo che deve essere meglio circoscritta, poiché il profetismo è anche interpretazione. Il destino dell'Altro è quindi sospeso all'interrogazione posta dall'esperienza psicoanalitica. Tranne che, qualunque sia il destino dell'Altro che questa messa in questione riserva all’Altro, la stessa esperienza dimostra che è del suo desiderio che io seguo e sono  la traccia.

La coppia ordinata. S1 e S2. Per farne una coppia ordinata  scrivo (S1) e (S1, S2). Cioè per farne une coppia ordinata , per poter distinguere S1 da S2, devo scrivere S2 come =  (S1, S2). Un coup de force
…..
S’ensuit une topologie où le plus petit des cercles vient se conjoindre au plus grand et où ce qui représente le sujet ( S1 ) ne se manifeste que sous la forme d’une répétition infinie. Ce qui correspond à ce que dans la théorie freudienne comporte que le sujet, au regard de ce qui le rapporte à quelques chutes de la jouissance, ne saurait se manifester que comme répétition. L’index de l’objet petit à est représenté par les cercles concentriques.
Prénons une autre manière d’envisager le grand Autre, qui est de ne pas se contenir lui-même. L’Autre ne contient que des signifiants tels que : un signifiant quelconque n’est pas élément de lui-même : est-il possible de rassembler par un dire les signifiants ainsi définis en un ensemble qui les conjoigne tous ? Ce qui est à retenir, c’est par un dire
 L’énonciation, comme simple dire, démontre la faille, – que vous pourrez le plus correctement cerner dans l’énonciation de la demande – la faille du désir. Le structuralisme, c’est la logique partout et même au niveau du désir. Simplement, vous ne saurez jamais rien de ce que cela veut dire, pour la simple raison que le désir ne peut se dire. L’appareil logique peut en démontrer la faille. Le désir est conçu  comme désinence du dire (la partie flexible de ce qui se dit) (illumination profane, cours 9)

Dans l’ensemble A on forme un sous-ensemble B de tous les signifiants qui ne sont pas éléments d’eux-mêmes. ( B comme définition englobante du sujet ).  B n’est donc pas élément de lui-même. Mais s’ il n’est pas élément de lui-même, alors il doit appartenir au sous-ensemble composé d’éléments qui ne sont pas éléments de même. Mais alors B est élément de B. Ce que nous avons exclu. B n’est donc pas élément de A.
Le sujet ne saurait être universalisé. Il n’y a pas de définition englobante par rapport au sujet. Ceci démontre non pas que le sujet n’est pas  Inclus dans le champ de l’Autre, mais que le point où il se signifie comme sujet est extérieur, entre guillemets, à l’Autre, c’est-à-dire à l’univers du discours.