giovedì 17 maggio 2018

Seminario fondamentale Istituto freudiano di Milano del 14 aprile 2018. Docente invitato: Araceli Fuentes


Testo di riferimento: Il seminario. Libro VI, Il desiderio e la sua interpretazione.
Capitoli: 8,9 e 10.


Questo commento si soffermerà sui capitoli 8,9 e 10 del seminario VI, facendo tuttavia riferimento anche ad alcuni elementi delle due lezioni successive, necessari per capire il sogno di Ella Sharpe. Questo è un seminario del 1958/59, ma la sua lettura è sorprendente e fornisce insegnamenti analoghi a quelli dell’ultimo Lacan. Non so se accada lo stesso qui in Italia ma in Spagna è di moda l’ultimissimo Lacan e molti si convincono che non serva più leggere il primo Lacan: invece è fantastico. Per esempio in queste lezioni si parla dell’affetto, tema successivamente ripreso nel Seminario XX e alla fine dell’insegnamento sulla passe.

Introduzione
Nel commento a questo sogno riportato da Ella Sharpe, Lacan la elogia e la critica al contempo. Per lui nella pratica analitica si tratta di leggere: l’analista legge l’enunciazione del soggetto dopo averlo invitato a parlare senza censurarsi. In questo modo si constata che è impossibile parlare senza prender posizione, non c’è un modo neutro di parlare. Parlando c’è in gioco un‘enunciazione e la posizione del soggetto è una posizione di fronte al godimento: è su questo che si basa la pratica della psicoanalisi, ovvero sulla possibilità di leggere l’enunciazione. Non c’è psicoanalisi senza la lettura dell’enunciazione: questo è quello che differenzia la psicoanalisi da qualsiasi forma di psicoterapia. L’introduzione di Lacan al sogno consiste nel differenziare l’enunciato dall’enunciazione; inoltre in questi capitoli ci sono osservazioni molto sottili sulla psicologia del bambino, per esempio su come il significante entra nella psicologia dell’infante, snodi fondamentali per quanti lavorano in questo ambito.
Perché Lacan elogia Ella Sharpe? In primo luogo perché Ella Sharpe non disconosce la dimensione significante di quel che succede in analisi, anche senza poterla formulare teoricamente ci fa riferimento, questo forse grazie alla formazione letteraria da cui proveniva. Per Lacan, Ella Sharpe concepisce il desiderio nello stesso modo in cui lui lo sta elaborando e cioè distinguendolo dalla domanda e dal bisogno. L’esempio che Lacan prende da questo caso è quando il paziente, che si chiama Mister Robert, dice della propria automobile: “I love it” (la amo) invece di “I like it” cioè mi piace. Da questo esempio Lacan deduce che Ella Sharpe sa che il desiderio è diverso dal bisogno e si presenta, in questa occasione, come un capriccio.
La distinzione tra enunciato ed enunciazione si evidenzia già nella prima lezione intitolata “Il messaggio della tossettina”. Con l’enunciato non c’è nessuna difficoltà, è quello che si racconta, ciò che viene riferito del sogno e che si presenta come un tutto: nel grafo del desiderio si situa sulla linea inferiore.
Localizzare l’enunciazione è invece più complicato: dov’è l’enunciazione del sogno? Quando raccontiamo un sogno emerge sempre la stessa domanda: cosa significa il sogno? Il sogno si presenta come un enigma, non sappiamo il suo significato, è un significato che sta al di là dell’enunciato. L’enunciazione è sempre presente nel sogno, è presente come domanda, cioè: che cosa significa questo sogno? Questa è la domanda dell’enunciazione, ma dov’è la risposta?
Già Freud aveva evidenziato come quel che dice il sognatore rispetto al sogno formi una parte dell’enunciazione e sia necessario coglierlo nel momento in cui s’interpreta il sogno. I commenti del sognatore sul proprio sogno, l’impressione che il sogno gli ha lasciato (es. se fosse un sogno vivido, se gli sembrasse enorme, se avesse dubbi su questo sogno, se lo avesse dimenticato, ecc.), sono parte dell’enunciazione e quindi sono una chiave per l’interpretazione. Essi sono fondamentali anche per capire in che momento del transfert ci si trova: i sogni non si producono in un momento qualsiasi, e nel momento in cui si producono hanno un’importanza per il transfert.
Lacan chiama “accento” del sogno tutti i commenti che il soggetto fa sul proprio sogno; nel grafo li troviamo nella linea a trattini, nella parte superiore, che indica l’enunciazione. Si può dire quindi che l’accento del sogno indichi l’enunciazione e il fatto che la linea sia tratteggiata indica il suo carattere frammentario, carattere che è lo stesso del significante, quindi questa enunciazione, questo accento è frammentario perché il significante stesso è frammentario, vale a dire che l’enunciazione la troviamo nel significante non nel significato.
Quando un bambino dice “questa notte ho sognato” c’è qualcosa di ambiguo in questa espressione; non è facile sapere quando un bambino inizi a sognare però può capitare anche che egli abbia colto che noi sogniamo e raccontiamo i nostri sogni e quindi utilizzi questa possibilità per raccontare qualcosa riprendendo l’enunciato dell’adulto “ho sognato”. I sogni dei bambini sono al limite della fabulazione, se il bambino utilizza questa formula per raccontare lo fa con qualcosa che sta al di là dell’enunciato, qualcosa che utilizza per giocare con gli altri: gioca il gioco di un’interrogazione e di una fascinazione. Prima della sua scomposizione significante il sogno si presenta come un tutto, nonostante ciò il soggetto deve situarsi in rapporto all’enunciato del sogno ed è in questa presa di posizione che trasmette tutti i suoi accenti, per esempio se aderisce o no a quello che ci racconta, questa è già una presa di posizione del soggetto rispetto al sogno: per esempio un soggetto può raccontare un sogno e al tempo stesso può negarlo; c’è un esempio famoso di Freud in cui il sognatore dice “ho sognato mia madre, ma non era mia madre”. Quando qualcuno racconta un sogno è già presente come soggetto nell’enunciato nel fatto stesso di dire “ho fatto un sogno”, poi prende posizione, per esempio può dire “ho fatto un sogno, ma è roba da nulla” e questo fa parte dell’accento del sogno, cioè la presa di posizione del soggetto.
Una paziente mi racconta: “ho sognato che stavo attraversando un ponte, fatto di corde e di tavole di legno; mentre lo attraversavo mi chiamava per telefono un’amica che mi chiedeva aiuto, e non sapevo come risponderle, non la sentivo e in quel momento mi rendevo conto” - questa frase “in quel momento mi rendevo conto..” appartiene all’accento del sogno, è un commento sul sogno - “che il ponte era molto fragile, il telefono mi cadeva e vedevo che c’era il vuoto: mi assaliva un senso di vertigine”. Ci sono diversi momenti in questo racconto dove possiamo vedere la posizione del soggetto rispetto al sogno: il primo è quando dice “non è niente”, poi quando mi segnala che è nel momento in cui non può rispondere alla domanda che si rende conto che il ponte è fragile, il momento in cui le cade il telefono e nel momento in cui vede il vuoto e prova un senso di vertigine. Diciamo che quando smette di rispondere alla domanda, questa persona con cui lavoro richiede che risponda a molte domande, sorge il vuoto, un vuoto che ha a che vedere con il desiderio e che lei sente come vertigine. Gli accenti sono i diversi modi di enunciazione, in conformità con i quali il soggetto assume più o meno l’esperienza del sogno, vale a dire che l’enunciazione è frammentaria, quel che il soggetto coglie o no non occorre sia la totalità del sogno, può prelevare anche solo una frase o un frammento di frase: questo significa che la catena dell’enunciazione, quella in alto, tratteggiata, è più breve che quella dell’enunciato, in modo tale che è impossibile tradurre automaticamente un elemento della catena dell’enunciato con un altro elemento della catena dell’enunciazione.
Nella storia della psicoanalisi, in un certo periodo, l’interpretazione era quasi automatica: se hai sognato una tal cosa significa la tal altra. La difficoltà dei giapponesi con l’inconscio e con la psicoanalisi ha a che vedere con il fatto che i giapponesi hanno un codice stabilito per interpretare quello che dicono, come se avessero due enunciati.
La non equivalenza fra le due catene significa che l’effetto soggetto si produce soltanto di tanto in tanto: quando c’è effetto soggetto? Quando salta un significante dell’enunciato e se ne impone un altro al suo posto; per esempio, una paziente voleva dire “perché il mio matrimonio” e dice invece “perché il mio patrimonio” e cambia completamente, e soprattutto cambia l’intenzione di quello che voleva dire; basta il cambio di un fonema, la “p” al posto della “m”. In questo momento del suo insegnamento Lacan non ha ancora definito il soggetto come rappresentato da significanti, però sottolineando l’alterità dell’inconscio che non può essere sussunta dall’io, prende l’enunciazione come un effetto soggetto, vale a dire non ha ancora detto che il significante rappresenta un soggetto per un altro significante, però parla dell’effetto soggetto in relazione all’enunciazione: è qui che si situa il soggetto nel sogno, che non è la persona che racconta il sogno, ma il soggetto dell’inconscio.
Per concludere l’introduzione all’analisi del sogno va detto che il desiderio è quel che permette al soggetto di tenere una posizione rispetto alla domanda, perché nelle lezioni precedenti Lacan si preoccupa di differenziare il desiderio dalla domanda - distinzione dimenticata dai post-freudiani - e il desiderio è la posizione del soggetto rispetto alla propria domanda.
Un esempio: un’analizzante ogni seduta mi si rivolge dicendo “Araceli, guarda” e in questo modo esprime una domanda di essere guardata dall’analista; per altro verso nella sua vita quotidiana incarna lo sguardo in quanto attrae lo sguardo. Lacan distingue lo sguardo dalla visione: lo sguardo è quello che attrae gli sguardi. Se per esempio ho una macchia sul vestito, sicuramente tutti immediatamente guarderanno la macchia, per questo che Lacan prende la macchia come esempio di sguardo. Questa donna, che è una donna elegante, sempre ben vestita, lei stessa incarna lo sguardo; lavora in un ambiente dove ci sono molti uomini però si lamenta che nessun uomo la guardi. Da poco si è accorta, grazie a una collega, che un uomo che lavorava con lei ha dovuto essere spostato in un altro luogo perché non smetteva di guardarla, ossia lei incarna lo sguardo, ma non vede quello che le passa davanti al naso, è stato necessario che la collega le dicesse “ma non ti sei accorta? Quest’uomo stava tanto a guardarti che hanno dovuto spostarlo da un’altra parte!”; in realtà lei è cieca rispetto al desiderio, chiede lo sguardo dell’Altro, però per non vedere, e la sua posizione in fin dei conti è “guardami, ma non toccarmi”. D’altra parte c’è qualcosa di molto interessante nella sua domanda, perché in castigliano il significante “mira”, cioè “guardami” come quello che mi dice, include l’ira, quindi c’è lo sguardo e al tempo stesso l’ira stessa di cui soffre. C’è voluto un bel po' prima che riuscisse a confessarlo.

Affetti e desiderio
Lacan nel seminario XX Ancora, dirà che l’affetto è un effetto della lingua sul corpo, un effetto dell’incorporazione della struttura del linguaggio. È sorprendente che nel seminario VI introduca l’affetto come ciò che connota l’essere del desiderio, l’essere che si situa nel fantasma; per capire bisogna tener conto del fatto che il significante non può dire tutto: il significante non dice l’essere del soggetto, non dice il godimento del soggetto; quindi come cogliamo, come arriviamo a ciò che sfugge al significante? Attraverso l’affetto, che qui Lacan considera come ciò che connota l’essere del desiderio del soggetto. Per cogliere questo passaggio è necessario riferirsi allo scritto La direzione della cura dove Lacan parla della mancanza-a-essere introdotta dal significante: se noi esseri parlanti sperimentiamo una mancanza-a-essere - una mancanza d’essere, di sapere, di avere – questo è dovuto al significante, non alla cattiveria dell’Altro; la mancanza-a-essere è strutturale e Lacan la chiama anche castrazione. Il soggetto parlante a causa della propria mancanza-a-essere, cerca un complemento per questa mancanza, e Lacan ha parlato delle passioni dell’essere come questa ricerca di un complemento. In questa lezione Lacan parla dell’amore, dell’odio e dell’ignoranza come degli affetti di una posizione del soggetto rispetto all’essere; per esempio, una donna può cercare un complemento alla propria mancanza-a-essere nell’amore, un soggetto può rispondere con l’odio alla mancanza-a-essere o può ignorare la mancanza-a-essere. Lacan dice qui che l’affetto non è qualcosa che stia fuori dal discorso e designa la posizione del soggetto rispetto all’essere nella sua dimensione simbolica.
Alcuni affetti, come ad esempio la collera, sono il risultato dell’irruzione del reale nella dimensione del simbolico. Dice Lacan: “La collera non è nient’altro che l’affetto che si produce quando il reale giunge nel momento in cui abbiamo fatto una bella trama simbolica e in un momento in cui tutto va bene, nell’ordine, la legge, il nostro merito e la nostra buona volontà, d’improvviso ci rendiamo conto che le viti non entrano nei buchi”, insomma i conti non tornano, la chiave non entra nella toppa. C’è un momento in cui uno è entusiasta del simbolico, fa dei piani meravigliosi e il reale viene a interrompere questa meraviglia e produce un affetto di collera nel soggetto, la collera è il segno del fatto che il reale è venuto a rompere questa bella trama simbolica. L’affetto può essere in rapporto anche con l’intrusione del desiderio: l’affetto indice del desiderio è l’angoscia, l’angoscia di fronte all’enigma del desiderio dell’Altro.

Il desiderio nel sogno
Ella Sharpe riprende la concezione freudiana del sogno come strada maestra per arrivare all’inconscio e Lacan lo sottolinea dato che altri psicoanalisti se ne erano discostati. Per la psicoanalista inglese era anche di fondamentale importanza il momento in cui veniva fatto il sogno, in quanto indicatore rispetto al transfert; un sogno per esempio può essere la risposta dell’analizzante a un intervento dell’analista.
Come detto nell’interpretazione del sogno è assolutamente rilevante anche ciò che il paziente dice prima di raccontare il sogno, ovvero l’accento del sogno: il paziente può commentare ad esempio che fu un sogno lungo, tremendo, durò secoli, che ci sarebbero volute tutte le sedute per raccontarlo. Mister Robert dice “non si preoccupi, non voglio annoiarla con questa storia, perché tanto non me lo ricordo, però fu un sogno eccitante, pieno di peripezie, pieno di interesse, mi svegliai accalorato e sudante, deve essere il sogno più lungo che ho fatto in tutta la vita”. Tuttavia il paziente racconta una scena molto breve, si evidenzia quindi la differenza tra l’accento, cioè il fatto che ha detto che è un sogno lungo, enorme ecc.., e quello che racconta, ovvero una scena molto breve, una scena che possiamo riassumere in questi termini: sta facendo un viaggio con la moglie intorno al mondo, incontra un’altra donna con la quale ha un gioco sessuale. La donna vorrebbe avere un rapporto sessuale con lui, è lei a prendere l’iniziativa, cosa che il paziente dice aiutarlo molto: anche questo commento fa parte dell’accento, dell’enunciazione del sogno. La donna stava sopra di lui, voleva introdurre il suo pene nella vagina, ma lui non era d’accordo e lei restava delusa, tanto che lui pensava di doverla masturbare.
Prima osservazione di Lacan: bisogna tener conto del fatto che l’analista è una specie di Sherlock Holmes, fa attenzione ai piccoli dettagli, ai dettagli discordanti per esempio. Il paziente è inglese e quando dice “stavo viaggiando con mia moglie intorno al mondo” usa un’espressione dissonante dalla formulazione inglese che invece sarebbe “stavo facendo il giro del mondo con mia moglie”: il paziente, quindi, cambia la costruzione, cambia il posto del complemento, mette prima la moglie e poi il mondo, mentre in inglese la costruzione sarebbe “intorno al mondo con mia moglie”. Per Lacan questo cambio è un indice dell’enunciazione, nel sogno non sappiamo cosa volesse dire, però il fatto che abbia cambiato l’ordine della frase vuol dire qualcosa.
La seconda notazione si rifà a un’osservazione del sognatore, il quale, dopo aver raccontato il sogno, commenta che per dire “dovevo masturbarla” abbia utilizzato il verbo to masturbate in una forma transitiva, quando in inglese non può essere usato così, perché è un verbo intransitivo. L’osservazione del paziente sull’uso che fa del verbo forma parte dell’enunciazione del sogno: quest’uso introduce un’ambiguità, l’ambiguità fra “la masturbo” e “mi masturbo” ed entrambe le cose sono presenti nel sogno, con quest’uso “erroneo” del verbo. Nel sogno la donna voleva avere un rapporto con lui, voleva introdurre il pene nella propria vagina, ma lui non era d’accordo, perché? Lui non era d’accordo e lei era delusa, per cui è stato necessario masturbarla o che si masturbasse lei stessa se non era d’accordo.
Prima del racconto del sogno, Ella Sharpe ci ha dato alcune informazioni sul suo paziente: ci ha detto che è un uomo che ha dovuto smettere di lavorare perché poteva aver troppo successo, è uno di quegli uomini che si trattengono, si frenano di fronte al successo, questo provoca una sorta di esaurimento. L’analista spiega di lavorare a un piano alto e spesso accade di riconoscere ormai i passi tipici dei pazienti, questo paziente si contraddistingue per essere molto silenzioso e anche il giorno in cui le aveva raccontato il sogno lo era stato. La Sharpe lo descrive come un paziente molto corretto, sempre più o meno uguale, che ha un atteggiamento difensivo e tuttavia, quando lei si aspetta che si comporti con l’abituale correttezza, succede qualcosa di inatteso: il soggetto arriva alla porta, tossisce e non solo... parla del fatto di aver tossito, aggiungendo “è molto irritante che succeda qualcosa che non puoi controllare, questo deve avere un suo scopo”.
Dopo questa considerazione l’analista gli aveva domandato “che scopo potrebbe avere?”; allora Mister Robert aveva associato: “questa tosse fa parte di quelle cose che capiterebbero entrando in una stanza nella quale ci sono due amanti”. Gli era capitato di entrare in una stanza dove si era appartato suo fratello con la sua fidanzata, così Mister Robert aveva tossito antecedentemente all’entrare, perché qualora fossero stati abbracciati tra loro sarebbe stato meglio che si accorgessero della sua presenza e che sciogliessero l’abbraccio prima che lui entrasse, per non provar vergogna. A questo punto l’analista gli aveva chiesto: “e perché tossire prima di entrare qui?”. Mister Robert aveva risposto “è assurdo! Non sarei invitato a entrare se ci fosse qui qualcuno, non vedo la necessità di tossire, tuttavia questo mi ricorda una fantasia che ho avuto, quella di essere in una stanza dove non avrei dovuto essere e di pensare che qualcuno avrebbe potuto pensare che io ero lì per impedire che qualcuno entrasse e m’incontrasse lì e io l’aggredissi come un cane. Questo qualcuno avrebbe pensato ‘ah, solo un cane’.” “Solo un cane?” aveva rimandato l’analista e Mister Robert: “questo mi ricorda un cane che si era strofinato contro la gamba masturbandosi. Mi vergogno a raccontarlo perché non l’ho fermato, qualcuno avrebbe potuto entrare…”, in quel momento aveva tossito un po' e poi aveva raccontato il sogno.
Quindi, per riassumere, nelle associazioni abbiamo:
·         tossire per separare due amanti;
·         stare dove non si dovrebbe essere e per dissimularlo abbaiare come un cane;
·         un cane che si masturba sulla sua gamba.
Il ricordo del sogno sorge dopo la tosse a sua volta emersa successivamente alle associazioni su di essa stessa: tutte queste verbalizzazioni hanno a che fare con l’enunciazione del sogno.
La tosse senza dubbio era un messaggio rivolto all’analista, però un messaggio di cosa? L’interpretazione di Lacan è: tossisco perché se lei sta facendo qualcosa che la diverte, ma non le piacerebbe esser vista, allora è il momento di finire. Nel suo racconto il paziente dice che per nascondere, camuffare la sua presenza in una stanza, si metterebbe a latrare come un cane: questo si presenta con la caratteristica del fantasma, il fantasma del cane che latra.
Cos’è fondamentale in questo fantasma? Che lui è altro, si presenta come altro, come un cane che latra e essere altro è una maniera di non essere. In presenza dell’Altro lui non c’è e non è niente.
Ma prima chi è? Ricordiamo che nel sogno si tratta di una donna, una donna che vuole il suo pene e la relazione con la donna fa parte della situazione; se il soggetto vuole che la sua partner femminile si masturbi, si occupi di sé stessa, lo fa sicuramente perché lei non si occupi di lui, e questo è quello si evince da quanto evidenziato dal verbo to masturbate. Lacan interpreta il cattivo uso del verbo come qualcosa di relativo all’enunciazione del sogno che indica una difficoltà del soggetto nel separare l’elemento maschio e l’elemento femmina. Questa difficoltà di separare uno dall’altro avviene in maniera masturbatoria e non genitale e questo femminizza il soggetto.

La critica di Lacan all’interpretazione di Ella Sharpe
Lacan evidenzia e critica il divario tra le sottili osservazioni che fa Ella Sharpe e il modo in cui interpreta lasciandosi guidare dalla teoria - una teoria dove non è chiaramente situato l’ordine simbolico - e questo la porta a fare un’interpretazione immaginaria del sogno. L’analista britannica interpreta il sogno in termini di onnipotenza del soggetto, basandosi su affermazioni come quella del giro del mondo o sull’enormità del sogno e invece lasciando da parte le sue osservazioni, cioè quello che fa lei con la teoria che interpreta. Lacan nota come però dimentichi che quando si parla di onnipotenza è l’onnipotenza del discorso e non del soggetto, infatti in questo paziente ciò che emerge è più che altro un’impotenza; invece Ella Sharpe interpreta la sua difficoltà non come un fallimento, ma come una paura di andare troppo bene. Perché avrebbe paura che le cose gli vadano bene?
Una delle risposte di Lacan si riferisce al gioco del tennis dove il paziente ha qualche problema, fa fatica a mettere nell’angolo il proprio avversario e a vincere la partita. Lacan dice cose molto interessanti sul gioco del tennis, lo magnifica poiché permette il manifestarsi dei problemi inconsci dei giocatori, cosa non difficile da constatare, per esempio se pensiamo a Rafa Nadal che nel suo momento di forma migliore non poteva vincere su Federer, oppure pensate Đoković, veramente ottimo tennista, ma non riusciva a vincere; poi in un determinato momento cambia e si trasforma in un terminator: il momento in cui gioca con la Serbia! Si taglia i capelli, s’identifica con la Serbia, diventa un mostro del tennis e nessuno può batterlo. Successivamente ha iniziato ad avere altri problemi perché voleva essere amato, ma non si può vincere ed essere amati, e sfortunatamente per lui è caduto in mano a una specie di Guru, di Marbella, in Spagna, che predica l’amore. Risultato: non prende più una palla.
La lettura della Sharpe dell’impotenza del paziente rispetto al mettere l’avversario all’angolo va nella direzione della paura di manifestare la propria potenza; così facendo situa il transfert sull’asse immaginario, sul piano duale. Questa interpretazione ha delle conseguenze, si producono dei sintomi transitori: il paziente le racconta di essersi fatto pipì nel letto, ed è un uomo di una certa età, le racconta di aver perso una partita di tennis, alla fine della quale aveva preso l’avversario per il collo e quasi lo aveva ammazzato; certo non la stessa cosa di vincere la partita. Per Lacan la Sharpe sa solo articolare sul registro della rivalità immaginaria, vale a dire che non sa articolare le cose sul registro simbolico, perché questo registro non c’è nella teoria che lei utilizza e per via dei suoi pregiudizi teorici, si lascia sfuggire qualcosa che è presente nel sogno.
Nel sogno dove la donna dalle labbra carnose prende l’iniziativa, all’analista britannica sfugge che lui non mette il pene nella vagina, come la donna del sogno avrebbe voluto, ma ci mette qualcos’altro: il dito. Non è certo la stessa cosa masturbare l’altro e mettere in gioco il fallo in questo abbraccio: è questo il problema che le sfugge a prescindere dalla sottigliezza delle sue osservazioni. Le associazioni del soggetto hanno fatto emergere la fantasia di essere in una stanza dove non avrebbe dovuto essere, pensando che qualcun altro sarebbe potuto entrare – Lacan situa qui il desiderio della fantasia - e per impedirlo avrebbe abbaiato come un cane. Il capitolo, infatti, s’intitola Il fantasma del cane che abbaia: ecco dov’è il desiderio.
Lacan non interpreta il desiderio attraverso il senso o la comprensione, ma a partire dalla logica: “se il soggetto s’immagina di essere dove non dovrebbe essere, è perché non è dove dovrebbe ed è una conseguenza logica”, ovvero: se dice che è dove non dovrebbe, è perché non è dove dovrebbe. Questo è il desiderio in gioco in questo fantasma, posto che la caratteristica principale del soggetto è che non è dov’è e per questo ricorre a un cane, quindi non si tratta di capire il fantasma. Lo stesso succede con gli affetti: quanto più comprensibile è un affetto, tanto meno è motivato; per esempio, quando un paziente piange, non bisogna dare per scontato che pianga perché è triste, bisogna capire il perché.
Nel fantasma è un cane e il soggetto come tale appare eliso, non è lui nella misura in cui c’è Altro, però questo cane, nella misura in cui è lui stesso, non è lì, l’animale reale ha una relazione con il soggetto, perché il paziente ci ha informato del fatto che il cane si masturba, del fatto che esista la possibilità che qualcuno entri e quindi “che vergogna!”, la situazione sarebbe insostenibile. Il soggetto letteralmente sparisce di fronte a quest’Altro testimone di ciò che succede. Nel fantasma del cane che abbaia, la cosa fondamentale è che lui non è lì, il soggetto non c’è.
C’è qualcosa che succede sempre e cioè che il soggetto sparisce di fronte all’oggetto del fantasma, solo che in questo fantasma non solo si tratta di sparire, ma di far sparire: per esempio la tosse serve per far sparire qualcosa che sta al di là della porta dell’analista. Il motivo fondamentale per questo soggetto è sparire, per questo Lacan riprende da Jones il termine di aphanisis: l’oggetto interessante non è mai qui, il soggetto non è mai dove lo si aspetta, scivola da un punto all’altro in una specie di gioco di prestigio, ma a differenza di Jones che utilizzava il termine per indicare il timore della castrazione, per Lacan l’aphanisis nei nevrotici va intesa come un’articolazione insufficiente con la castrazione. Lacan dirà, in un altro momento, che non c’è virilità possibile se questa non è confermata, consacrata dalla castrazione. La castrazione per Lacan è un’operazione simbolica, un’operazione fondamentale; come scrive ne Il significato del fallo, il fallo è un significante, è il significante del desiderio dell’Altro ed è nell’Altro che il soggetto tenderà ad averne accesso, ma sempre come velato. La castrazione fondamentalmente vuol dire la castrazione dell’Altro e per questo Lacan parlerà della prova del desiderio dell’Altro nel bambino, vale a dire quando il bambino si domanda: “al di là di quello che mi chiede mia madre, cosa desidera?”. La prova del desiderio dell’Altro è fondamentale per la vita. La castrazione invece di essere un problema come lo pone Jones è una necessità, è qualcosa che è indispensabile per sostenersi nel desiderio. Come abbiamo visto recentemente nel Congresso dell’AMP dove son stati presentati molti casi di psicosi ordinaria, sono casi dove la funzione fallica è preclusa e i soggetti han dovuto cercare dei modi non standard per tentare di supplire a questo fallimento.

L’articolazione del fantasma con il sogno
Lacan fa una differenza interessante nel confrontare il fantasma e il sogno. Il primo lo ha articolato a partire dalle associazioni sulla tosse, da qui emerge il fantasma di essere il cane che abbaia: a partire dell’accento dell’enunciazione del soggetto sul proprio sogno Lacan può articolare il fantasma del cane che abbaia. Questo fantasma costituito a partire dalla tosse e dalle associazioni mette l’accento sul soggetto, mentre nel sogno l’accento cade sull’oggetto. Quale oggetto?
L’oggetto è una vagina in prolasso; è un’immagine, ma un’immagine significante. Mister Robert dice: “il sogno è molto vivido nella mia mente, non ho avuto un orgasmo, ricordo che la sua vagina mi prendeva il dito, le vedevo i genitali di fronte, il fondo della vulva, qualcosa di grande come un cappuccio mi faceva sobbalzare: era quello che la donna usava nelle sue manovre per avere il mio pene. La vagina sembrava chiudersi intorno al mio dito e il cappuccio sembrava estraneo.” In questo sogno è in gioco l’oggetto: è un’immagine molto elaborata di un prolasso vaginale.
Da qui Lacan racconta l’aneddoto di una regina svedese molto virile che ebbe un prolasso vaginale, commentato dal suo medico con l’ironica affermazione: “alla fin fine si è vista la sua vera natura”, perché nel prolasso vaginale il collo della vagina fuoriesce e sembra un pene. Lacan si riferisce a questa immagine come un guanto rovesciato, la riprenderà nel 1975 per parlare della relazione di Joyce con Nora, dicendo che Nora calza a Joyce come un guanto: la lettura solita di Lacan è che una donna è un sintomo per un uomo mentre Nora non è un sintomo per Joyce perché il sintomo di Joyce è la sua scrittura, semmai Nora gli calza come un guanto. La geometria del guanto rivoltato è quel che resta dell’immaginario per far esistere la relazione che non esiste tra i sessi: sappiamo che il guanto di una mano non va bene per l’altra mano, c’è una dissimmetria nello specchio, però se rivoltiamo il guanto annulliamo questa dissimmetria ed è quello che riguarda l’ossessione fallica che nel guanto è raffigurata dal bottoncino.
Queste questioni possono scivolare facilmente verso l’immaginario, è successo così per i post-freudiani: per esempio assimilare la bocca alla vagina, il seno della madre, il fantasma di divorazione ecc… però non è questo il caso, perché quello che il paziente associa con quest’immagine è con un gioco di parole in inglese. Si tratta qui nuovamente di una difficoltà del soggetto nel separare il maschile dal femminile come nell’uso del verbo to masturbate. Nell’immagine della vagina in prolasso, dove c’è uno spostamento verso il basso delle pareti e quello che appare all’orifizio genitale è la testa del collo dell’utero, non si tratta per Lacan della donna fallica, che sarebbe un’interpretazione immaginaria, e neppure dell’utero materno perché quello che associa il soggetto è un gioco poetico verbale. Lacan prende dell’immagine la piega di un cappuccio che il soggetto ha descritto con precisione, dove il soggetto mette il dito e non mette altro, cioè non mette il pene. Si tratta di un’immagine molto elaborata, questo elemento del sogno ha un valore significante e in questo punto si manifesta qualcosa della relazione del desiderio con il fantasma, perché il desiderio deve adeguarsi al fantasma. È l’immagine che cattura ogni manifestazione sessuale.
Mister Robert descive: “il sogno è molto vivido in mente, non ho avuto orgasmo, ricordo che la vagina mi prendeva il dito, vedevo i suoi genitali di fronte e il fondo della vulva”, Lacan commenta che aveva la forma di un cappuccio ed era quello che la donna usava nelle sue manovre per avere il pene del paziente, il quale dice “la vagina sembrava stringersi intorno al mio dito”. Ripete Lacan che questa immagine del sogno presentifica un guanto rivoltato, mentre Ella Sharpe la interpreta nuovamente come onnipotenza, un’onnipotenza sul cui fondo c’è una fantasia masturbatoria: due posizioni agli antipodi insomma. Per lui quel che vediamo è che il soggetto si fa piuttosto piccolo di fronte a questa specie di appendice tentacolare, osa al massimo mettere un dito, però in ogni caso questo oggetto significante distanzia il soggetto dalla sua potenza sessuale: non ci mette lì il pene.
Ribadendo la confusione abituale tra l’onnipotenza che viene attribuita al soggetto e l’onnipotenza della parola, Lacan mostra come il soggetto abbia dei problemi con la parola, infatti ogni volta che come avvocato deve intervenire è preso dalle fobie. Il padre del paziente era morto quando aveva tre anni e secondo quello che gli avevano raccontato le sue ultime parole erano state: “mio figlio deve prendere il mio posto”; una frase ambigua: non si sa se deve prendere il suo posto come vivo o come morto. Quindi per un verso ha difficoltà a usare la parola nel suo lavoro come avvocato e per l’altro verso si serve della parola per non essere, per essere da un’altra parte e mentre è molto difficile per lui parlare come avvocato lo è anche far parlare suo padre, che non può immaginare vivo, tant’è che si emoziona pensando che una volta deve aver ascoltato il padre parlare.
Lacan si domanda: “non è curioso che in tutto il sogno ci sia un gioco di prestidigitazione intorno al fallo? Se il fallo c’è dov’è?” e si risponde che il fallo lo ha la signora, la donna, ed è quel che il soggetto non vuol mettere a repentaglio. La donna è la moglie nel sogno, è con la moglie che sta facendo il giro del mondo e quel che nel sogno è eliso è invece il fallo perché non lo mette in gioco. Quindi l’onnipotenza non sta dalla parte di Mister Robert, sta dalla parte delle signore, compresa l’analista e occorre che questo cambi.
Successivamente ci sono una serie di associazioni che vanno dall’immagine del cappuccio, a una strana caverna, una borsa di mazze da golf, la capote di un’automobile fino a la coppia reale che sta nella sua automobile: sono elementi estratti dalle ultime due lezioni e Lacan spiega che “qui siamo già nella scena del fantasma” riferendosi al momento in cui il re e la regina restano chiusi nella capote dell’automobile. Continua Lacan: “Si troverannno nella stessa posizione e intanto noi avremo sentito il riso degli dei olimpi”. Fa riferimento a un quadro che è Marte e Venere presi nella rete di Vulcano, visibile nel Kunsthistorisches Museum di Vienna: c’è una coppia presa nella rete di Vulcano mentre gli dei immortali ridono assistendo alla commedia del fallo. Questa fantasia del re e la regina avvolti nella capote parla della difficoltà di separare i genitori e della difficoltà di separare in loro il principio maschile e quello femminile. Quello che qui si propone come obiettivo dell’interpretazione è una specie di circoncisione psichica: che cos’è questa vagina in prolasso? È come una borsa del prestigiatore che ha o non ha qualcosa, questa specie di presenza e non presenza del soggetto ha un altro volto che è quello che incontriamo nella masturbazione in cui è implicita la presenza di un elemento femminile ma c’è anche il prepuzio nell’immagine della vagina prolassata. Alcuni ricordi di Mister Robert mostrano una relazione tra lui e il rapporto sessuale dei genitori, lui dov’era? Apparentemente era nella sua camera, nella culla: nella stessa misura in cui è legato, chiuso, fermo può godere soltanto del suo fantasma e partecipare attraverso questa attività che è la minzione compulsiva. Lacan offre una notazione clinica: spesso in prossimità del coito genitoriale verifichiamo nei soggetti un falso godimento prodotto dalla minzione, è la teoria dell’enuresi.
In cosa si trasforma? Si trasforma in questa partner che ha talmente bisogno di lui da dover far tutto, e questo lo femminizza in quanto è impotente come uomo. Detto altrimenti: per questo soggetto c’è un’apprensione fantasmatica radicalmente masturbatoria del desiderio genitale e questo è il suo problema. Il problema del soggetto è che per lui c’è un’apprensione, una presa fantasmatica masturbatoria del desiderio genitale, cioè può aver presa sul desiderio genitale solo come masturbazione perché non può mettere in gioco l’organo e questo è il suo problema.
Quindi dov’è il fallo? Nel sogno nelle associazioni niente indica che il fallo sia un organo aggressivo come interpreta Ella Sharpe e neppure che il soggetto tema delle rappresaglie per questa aggressione. Lacan propone di accordare l’interpretazione con la topologia soggettiva invece di un’equivalenza immaginaria tra elementi e il senso di questi elementi, non si tratta di senso ma di luoghi e di relazioni, luoghi del soggetto, dell’Altro con la A maiuscola e del simile. Come lo presenta Ella Sharpe questo soggetto è in una profonda assenza rispetto a quel che dice, le sue parole sono mediate, però quando si presenta con la tosse, anche lì non c’è; è un soggetto che media sempre le sue parole e sembra che quando tossisce sia presente, e invece no, tossisce per non esserci, vale a dire che anche quando tossisce non è presente, la tosse gli serve per far sparire qualcosa, qualcosa che sta dietro la porta: in questo caso la passione del suo analista e in un’altra occasione per separare una coppia di amanti.
Nel sogno c’è il suo partner sessuale, la donna, e anche sua moglie e lui stesso; con la partner lui si sottrae, lei chiede il pene, ma lui mette soltanto un dito, così il fatto di far sparire è il tema fondamentale del soggetto, però mentre nel fantasma quel che sparisce è il soggetto, non c’è, nel sogno quello che non c’è è il fallo. Non sappiamo cosa fa sparire, però vediamo che nel fantasma in cui abbaia è il soggetto a esser fatto sparire mentre nel sogno è il fallo quello che non è posto in gioco, che è fatto sparire. Masturbare l’altro non è la stessa cosa che mettere in gioco il fallo e il gesto della donna, “to get my penis”, di ottenere il pene, mostra che il fallo non è lì, che qualcosa si sottrae e non solo per volontà del soggetto, ma per un accidente della struttura, cioè c’è qualcosa nella struttura del soggetto che fa sì che per lui sia difficile mettere in gioco il pene. Per questo soggetto si tratta sempre di non far le cose, far le cose non è cosa sua, anche quando parla di una frase in un libro è “non c’è niente di buono in noi”: l’oggetto buono non è lì. Di nuovo si conferma che si tratta del fallo perché in questa frase, che ha preso da un libro inglese molto noto, c’è un errore che va nella stessa direzione dell’idea che il fallo non c’è.
Inoltre c’è un ricordo da piccolino, quando lui tagliava le stringhe dei sandali della sorella: con questa sorella ha una relazione speciale, c’è un’identificazione con lei che conosciamo perché sostiene di non avere ricordi anteriori agli 11 anni, proprio l’età della sorella alla morte del padre. A proposito del padre morto che non poteva immaginare vivo, l’analista dice: “il paziente ha la stessa difficoltà con me, non ha pensiero su di me” e l’errore dell’analista è di mantenersi in silenzio perché crede che in questo soggetto non ci sia niente che indichi che vuole essere aiutato, sembra che chieda piuttosto di rimanere nascosto. Che non abbia nessun ricordo è molto aderente a questa posizione di stare sotto la capote, di stare legato al letto, quindi al fallo che non è dove lo si aspetta: tuttavia nel sogno si situa nella misura in cui è fuori gioco. Nel sogno il fallo è rappresentato da sua moglie, con lei fa il giro del mondo, non è spettatrice della sua avventura sessuale, semmai è presente in quanto colei che ha il fallo.
Il tabù più grande è la partner femminile come Altro per il suo potere che domina l’economia il desiderio del paziente e per questo c’è un riferimento a quella che si chiama “la donna tabù”: sua moglie è il suo fallo e per questo ha fatto quel lapsus dicendo che andava “con la moglie intorno al mondo”, invece di usare la corretta costruzione inglese ovvero “andavo a fare il giro del mondo con mia moglie”. L’analista mette l’accento sull’onnipotenza nella frase “intorno al mondo”, ma ciò che si deve far apparire in analisi è quello che il soggetto non vuol sapere: e in questo caso per farlo bisogna rendersi conto che l’analista è una donna.
Perché questo soggetto non vuole sacrificare il fallo? La risposta di Lacan è che per lui il significante fallico è identico a tutto quel che si è prodotto nella relazione con sua madre, perciò l’importante nell’analisi sarebbe stato reintrodurre la relazione nascosta del soggetto con la moglie, che è la portatrice del fallo.
In questo soggetto la prudenza è ciò che fa ostacolo al suo desiderio, nello stesso modo in cui la posizione di essere legato lo aveva fatto nella sua infanzia: dev’essere ben legato perché il significante fallo sia da un’altra parte. La formula della assunzione della castrazione per Lacan è che l’uomo non è uomo senza avere il fallo, e la donna è senza averlo, in modo che l’onnipotenza - che Ella Sharpe mette da tutte le parti - non sia del soggetto ma dell’Altro. Mister Robert non vuole perdere la sua dama, perché è dal lato della dama che sta l’onnipotenza, l’onnipotenza è dell’Altro e per questo non può litigare, non può arringare come avvocato e neppure può contendere come giocatore di tennis, perché per litigare è necessario porsi nel luogo dell’Altro e in questo caso l’Altro è la moglie che non deve essere castrata. Nella misura in cui il soggetto non può porre in gioco il fallo, nella misura in cui il significante del fallo è inerente all’Altro, il soggetto è bloccato.
Anche l’analista, però, s’impedisce di litigare con il soggetto, anzi quando si presenta una barriera che lei potrebbe superare non lo fa perché non si rende conto dell’attenzione che vi ponga il soggetto, l’interpreta come un’aggressione paterna ma non è così, il padre è morto sepolto. Per questo soggetto non è venuto il momento di accettare che le donne siano castrate. Non che una donna non abbia il fallo come lui dimostra ironicamente, ma che l'Altro come tale per essere incluso nel linguaggio è castrato, non ce l’ha. Questo è proprio quello che non ammette e per questo sua moglie è fuori gioco e neppure guarda la scena in cui lui è con l’altra; il soggetto non giunge a dire che il fallo è nella donna, tuttavia è così nella misura in cui Ella Sharpe è lì ed una donna. Sarebbe stato opportuno che lei si accorgesse di essere lì come donna e che osasse disputare la sua causa, che il paziente osasse discutere la sua causa di fronte a una donna: è ciò che fa problema per quest’uomo e infatti lo evita. Dall’altra parte, siccome Ella Sharpe non si rende conto di quanto succede, lo incita a servirsi del fallo come di un’arma. Per concludere si può dire che la cosa più nevrotizzante non è la paura di perdere il fallo, non è la paura della castrazione: il motivo più fondamentale della nevrosi è non volere che l’Altro sia castrato.

Trascrizione di Michela Di Costa
Redazione di Alberto Tuccio

martedì 20 marzo 2018

Seminario fondamentale Istituto freudiano di Milano del 3 marzo 2018. Docente invitato: Miriam L. Chorne


Seminario VI, “Il desiderio e la sua interpretazione”, capitolo VI Introduzione alloggetto del desiderioe VII La mediazione fallica del desiderio”.

Dei diversi sogni analizzati da Lacan nel seminario VI ci soffermeremo sul sogno di Chuang Tzu. Nel Seminario su I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, a proposito del tema dello sguardo, Lacan si riferisce a questo sogno di Chuang Tzu: “Un giorno sognai che di essere una farfalla che volava libera nel cielo. Quando mi svegliai subito vidi che era Chuang Tzu che sognava di essere una farfalla. Ma adesso non posso sapere se sono Chuang Tzu che sognava di essere una farfalla o sono una farfalla che sogna di essere Chuang Tzu.
Lacan dice che Chuang Tzu non si sbaglia, ha doppiamente ragione. “In primo luogo perché questo prova che non è pazzo, che non si crede assolutamente identico a Chuang Tzu e, in secondo luogo, perché non sa di dire così bene. Effettivamente è quando era farfalla che si afferrava a una qualche radice della propria identità: egli era ed è, nella sua essenza, questa farfalla che si tinge con i suoi propri colori. Ed è in questo modo, nella radice ultima, che egli è Chuang Tzu”. 
Mentre Chuang Tzu sognava di essere una farfalla, non sapeva chi era, ma neppure la visione del suo corpo e del mondo, dà all’Io tale auspicata certezza.              
Questa concezione è il contrario delle teorizzazioni più abituali della filosofia e della scienza - e anche della concezione del senso comune - che fa della percezione la base della certezza soggettiva. Per questa ragione Lacan contrapporrà nello stesso Seminario XI la visione e lo sguardo: quest’ultimo è libidinale, questione di godimento. Per dimostrarlo Lacan si serve dell’anamorfosi.

Fin dall’inizio del seminario VI Lacan si sofferma sull’ “inquietudine ontologica”: interrogarsi sul proprio nome di soggetto è un’esperienza soggettiva fondamentale, che pone di fronte alla mancanza di garanzia della propria identità. Come può il soggetto trovare un supporto proprio lì dove s’indebolisce la sua designazione di soggetto? Lì dove viene meno la sua certezza di soggetto?
Nella misura in cui il soggetto non si può designare, non si può nominare nel significante, è portato a compensare questa carenza, questa mancanza, mettendo qualcosa dalla sua propria parte, qualcosa da sé: l’oggetto a. Ciò che dà sostegno alla posizione del soggetto è l’oggetto nel fantasma, la forma più riuscita dell’oggetto.
La domanda del soggetto su chi è non trova risposta, non può trovare risposta se non nel fantasma. Il fantasma è il termine dell’interrogazione del soggetto, il luogo dove la domanda del soggetto sul suo desiderio trova una risposta. Nel grafo il lato sinistro corrisponde al lato delle risposte, cioè il fantasma si costituisce come il “nec plus ultra” del desiderio. L’esperienza del soggetto rispetto del desiderio è il suo carattere di rinvio di augurio in augurio (“voeu en voeu” p.398). L’analisi del sogno de “La bella macellaia” mostra bene questo rinvio di desiderio in desiderio: ciò che può arrestare il rapporto infinito al significante è l’oggetto che il soggetto è nel fantasma. 

Per questo motivo Jacques-Alain Miller sostiene che questo seminario è interamente attraversato da un filo rosso che è il desiderio e la sua interpretazione, come espresso nel titolo; ma il segreto è che culmina - diventando la tematica più importante negli ultimi capitoli - con lo sviluppo della questione del fantasma. È sufficiente leggere i titoli dati da Miller agli ultimi capitoli (es. Il fantasma fondamentale, Taglio e fantasma, La funzione della fessura soggettiva nel fantasma perverso, ecc.): il concetto di fantasma era apparso nello scritto La direzione della cura, ma non era stato sviluppato fino al sesto seminario. È proprio ora, in questo seminario, che Lacan stabilisce una prima logica del fantasma (la seconda sarà formulata nel seminario che porta appunto questo titolo La logica del fantasma).

La questione parte dall’incertezza soggettiva: “Chi sono io? Cosa vuole l’Altro da me?”.
Il primo incontro con queste questioni avviene a livello della simultaneità dei significanti, quello che nel grafo è il punto di incontro con il codice. Qui abbiamo in atto il gioco del significante, qualcosa che funziona come un mulinello di parole. Nelle pp. 15-16 Lacan dice: “Il bambino si rivolge a un soggetto di cui sa che è parlante di cui ha visto che è parlante, e che l’ha inondato di rapporti fin dal primo momento del suo risveglio alla luce del giorno. Il soggetto deve apprendere molto presto che quella è una via, che si tratta di una strettoia per cui le manifestazioni dei suoi bisogni devono abbassarsi a transitare affinché questi bisogni vengano soddisfatti.”
Questo è un approdo innocente al linguaggio. È il livello infans del discorso, giacché forse non è nemmeno necessario che il bambino sia già arrivato a parlare perché si faccia valere il marchio, l’orma impressa sul bisogno dalla domanda, com’è dimostrato dai suoi vagiti alternanti.
Il secondo incontro, la seconda tappa del grafo – non da intendere come tappe tipiche dello sviluppo, anche se occasionalmente è possibile trovarvi qualcosa che ha a che vedere con tappe effettivamente realizzate del soggetto, si tratta invece di tappe logiche –  implica che il bambino, anche se non sa ancora tenere un discorso, sappia già parlare, cosa che avviene molto presto. Non si tratta della presa nel linguaggio, è qualcosa al di là: qui si produce l’apprensione dell’Altro come tale da parte del soggetto.
“L’Altro di cui si tratta è colui che può dare al soggetto la risposta al suo appello” (p. 18). La questione Che vuoi? è posta all’Altro, è posta da dove il soggetto fa il suo primo incontro con il desiderio, il desiderio in quanto è anzitutto il desiderio dell’Altro. C’è rapporto con l’Altro in quanto c’è appello all’Altro come presenza, presenza su uno sfondo di assenza. È il momento segnalato dal fort-da, che ha tanto vivamente impressionato Freud intorno al 1915, mentre osservava uno dei suoi nipoti.
Ci sono quindi due momenti: un momento infans, prima che il bambino parli, ma nel quale è già nel linguaggio perché riceve il marchio dal fatto che i suoi bisogni siano significati dall’Altro in termini significanti; un secondo momento nel quale il bambino, che non è ancora nel discorso, sa comunque parlare, si appropria del linguaggio. 
“A partire dal momento in cui la struttura della catena significante ha realizzato l’appello all’Altro, ossia in cui il processo dell’enunciazione si distingue dalla formula dell’enunciato e vi si sovrappone, la presa del soggetto nell’articolazione della parola, che è stata inizialmente innocente, diventa inconscia” (p.19). Si tratta in questo momento non già della presenza del codice in sé, ma della scelta di uno o di un altro significante, scelta che è alla portata dell’Altro secondo un processo commutativo, cioè sostitutivo. Il processo metaforico sarà sviluppato da Lacan intorno al tema della metafora paterna e aprirà a una moltiplicazione di quelle significazioni che caratterizzano l’arricchimento del mondo umano.

Partendo da questi concetti Lacan si occuperà nel capitolo VI di analizzare il sogno del “padre che era morto è non lo sapeva” con le categorie dell’enunciato e dell’enunciazione. Per questo motivo tornerò sul grafo per scrivere i due enunciati nei distinti livelli e aggiungere le mancanti parole di Freud “secondo il suo augurio” nel mezzo del grafo, tra desiderio e fantasma (p.130).
Con l’introduzione del fantasma, cioè con l’introduzione dell’oggetto, Lacan va al di là di Freud. Nel capitolo 7 riprenderà di nuovo il sogno per analizzarlo alla luce delle categorie di domanda e desiderio che farà giocare nella loro dialettica; sviluppando una feroce critica allo sviluppo dell’analisi dopo Freud. È molto importante questa critica perché - come in altre occasioni - si capisce meglio cosa dice Lacan quando capiamo contro chi e contro cosa si scaglia.


L’analisi del sogno del Padre morto

Qual è la ragione che porta Lacan a parlare dei sogni per sviluppare il soggetto del desiderio e la sua interpretazione? Quasi la metà del seminario è dedicata al sogno. Prima si occupa del sogno di Anna, poi del sogno del padre morto e dopo, per cinque capitoli, parla del sogno analizzato da Ella Sharpe.

Prenderò in primo luogo il sogno già analizzato da Lacan nei capitoli precedenti, quello de “il padre che era morto e non lo sapeva”. È un analisi straordinaria, non soltanto per la bellezza letteraria, ma anche perché Lacan parla di noi, trascinando i temi del cielo e della terra, parla di cose molto prossime: dell’esistenza e della morte. Tocca anche in modo commovente, con una freschezza e una forza incomparabile, il doppio problema del soggetto e dell’essere: Cosa sono? Cosa vuole dire essere? Ci confrontiamo fuori da tutti i falsi valori, da tutte le convenzionalità, da tutte le bugie, con la grandezza tragica della nostra esistenza solitaria: “in verità” e “di fronte alla morte”.
Quest’analisi di radice heiddeggeriana comincia dicendo che il soggetto affronta un altro, il padre -come ChuangTzu affrontava la farfalla che era nel suo fantasma. Nel sogno il padre riappare vivo e, rispetto al soggetto si trova in un rapporto di ambiguità. È il padre che fa sì che il soggetto si carichi del dolore di esistere. È sua l’anima che il soggetto ha visto agonizzare. È a lui che egli ha auspicato la morte - in quanto non vi è nulla di più intollerabile dell’esistenza ridotta a se stessa, l’esistenza al di là di tutto ciò che può sostenerla, l’esistenza mantenuta nell’abolizione del desiderio.

S’intravede qui una ripartizione delle funzione intra-soggettive. Il soggetto si fa carico del dolore dell’altro, rigettando però su costui ciò che non sa, vale a dire l’ignoranza che gli è propria in quanto soggetto. Il suo desiderio è infatti quello di sostenersi in questa ignoranza. “È precisamente questo il desiderio del sogno.”, dice Lacan. Il desiderio di morte acquista qui il suo senso pieno. È il desiderio di non svegliarsi, di non destarsi al messaggio secondo cui il soggetto in conseguenza della morte del padre si trova ormai di fronte alla morte. Il sentimento di essere diventato orfano che accompagna l’afflizione dalla perdita dei genitori si sperimenta molte volte come un trovarsi confrontato alla morte senza la protezione, “una specie di scudo”, dice Lacan, che fino ad allora aveva rappresentato la presenza dei genitori. Ovvero a che cosa? Alla castrazione lì presente nel dolore di esistere.

Aprendo una parentesi, leggere un testo implica fermarsi su un dettaglio: come si deve leggere una espressione? Qual è il senso di un determinato termine in questo momento dell’insegnamento di Lacan?
A p.110 Lacan si sofferma sulla ripartizione delle funzioni tra i personaggi del sogno come intra-soggettive, ponendole come una ripartizione tra il livello dell’enunciato e il livello dell’enunciazione, in questo senso sarebbe una modifica del modo in cui intendeva la ripartizione delle funzioni tra i personaggi del sogno precedentemente. Ad esempio, nel Seminario II analizza il sogno della iniezione d’Irma, il sogno inaugurale, il sogno dei sogni, come lo chiama: nella sua analisi prende il concetto di resistenza che migra da Irma alla moglie di Freud, resistenza di tipo femminile scrive Lacan, però che è anche la resistenza del creatore della psicoanalisi di fronte allo spettacolo atroce della carne, il fondo delle cose, la carne da cui tutto esce, la carne in quanto sofferente, informe, che provoca l’angoscia. Freud, con un grande valore e immensa passione di sapere, rischia attraversandola.  Lacan commenta che un altro sicuramente si sarebbe svegliato.

Riprendendo il sogno del padre morto: in primo luogo c’è ciò che procede sulla base della parola del soggetto, cioè al livello della linea dell’enunciato. Il soggetto serba perfettamente il ricordo che lui ha auspicato la morte del padre perché voleva che l’agonia smettesse. La frase è “Egli non sapeva, secondo il suo augurio. Cioè il padre è nell’ignoranza del desiderio del figlio, desiderio della sua morte. Il soggetto gli ha effettivamente augurato la morte come liberazione e come fine dei suoi tormenti. Naturalmente ha fatto di tutto per dissimulare al padre il desiderio che a lui, il sognante, era perfettamente accessibile nel suo contesto recente. 

Al livello della linea superiore, cioè al livello dell’enunciazione, “secondo il suo augurio”  restituisce le tracce del complesso di Edipo, quelle della rivalità con il padre. “Egli era morto secondo il suo augurio”. Il figlio aveva desiderato la morte del padre perché lo prendeva come suo avversario.

Un’identificazione con l’aggressore è la tappa intermedia dell’interpretazione del sogno alla quale si aggancia la pura e semplice interpretazione del desiderio edipico. Possiamo dire che ha voluto la morte di suo padre alla tal data e per la tal ragione.  Fino a questo punto abbiamo l’interpretazione freudiana del sogno.

Nel proseguire l’indagine su cosa voglia dire questo desiderio, Lacan prende la questione per l’altro verso non dato nei sogni, e cioè a partire della formula del fantasma. Troviamo qui appunto la differenza tra l’analisi dei sogni nel seminario V e nel seminario VI: in quest’ultimo Lacan è interessato a mostrare che il fantasma sostiene, sopporta il desiderio, cioè l’interesse sull'oggetto.
Nel sogno, una volta ripristinato il “secondo il suo augurio a livello del desiderio infantile, si può andare proprio nel senso del desiderio del sogno. Qual è il desiderio di questo sogno? In quel momento cruciale della vita del soggetto, la scomparsa del padre, il fatto di intromettere l’immagine dell’oggetto per farne il supporto di un’ignoranza perpetua che veli il desiderio. L’”egli non sapeva è un appoggio dato a quello che è stato fino a quel momento l’alibi del desiderio. Esso mantiene e perpetua quella che era la funzione dell’interdizione veicolata dal padre. Essa separa il soggetto dal suo desiderio, procura al soggetto un riparo, in fin dei conti una difesa da quel desiderio, gli fornisce un pretesto morale per non affrontarlo.

Lacan riprende l’analisi del sogno fatta da Freud, ma la sua passa per l’oggetto e non per il significante, analizza il sogno attraverso l’oggetto. A p. 65 introduce il fantasma: “Questo confronto, questa scena strutturata, questo scenario ci sollecita degli interrogativi: che cos’è? Qual è la sua portata? Ha forse il valore fondamentale, strutturato e strutturante, di quello che cerco di precisare per voi quest’anno sotto il nome di fantasma? É un fantasma?”. È effettivamente un fantasma ed esattamente un fantasma da sogno: Lacan aggiunge all’interpretazione significante del sogno la rappresentazione immaginaria che il sogno offre per qualificarla come fantasma del sogno. Ammette che un fantasma sia nel sogno, appunto perché siamo al livello di rappresentazioni immaginarie, e lo fa fino al punto di dire che questo fantasma conserva la stessa struttura e la stessa significazione in altri contesti clinici: ci mostra come possa apparire nella psicosi, cioè quando è in gioco la forclusione come diversa dalla rimozione.
“Nella psicosi tale articolazione può sfociare in quelle sensazioni che vengono chiamate di invasione o di irruzione, oppure in quei momenti fecondi in cui il soggetto pensa di avere veramente di fronte qualcosa che è molto più vicino all’immagine del sogno di quanto ci si possa aspettare, vale a dire qualcuno che è morto. Il soggetto vive con un morto, ma con un morto che semplicemente non sa di essere morto”.

La prima logica del fantasma

L’interpretazione lacaniana va dunque al di là di quella edipica: questo sogno è una risposta al punto panico del soggetto, che Lacan descrive a p.96: “…L’oggetto consiste in qualcosa che è fuori di lui e che il soggetto non può cogliere nella sua natura specifica di linguaggio se non nel momento preciso in cui lui, come soggetto deve cancellarsi, dileguarsi, sparire dietro un significante. In questo momento che è, direi così, un punto panico, il soggetto deve aggrapparsi a qualcosa, e si aggrappa per l’appunto all’oggetto in quanto oggetto del desiderio.”
Se, attraverso il significante, Freud interpreta la rivalità edipica aggiungendo la clausola mancante  secondo il suo augurio”, Lacan invece dice che l’interpretazione attraverso l’oggetto va al di là, è più radicale: si tratta dell’uso del fantasma per rispondere all’interrogazione sul suo nome di soggetto, sulla verità del suo essere, al di là della rivalità edipica che ancora salva il padre, come dirà più tardi nel Seminario XVII. Proprio in quel seminario, nel capitolo VIII, Dal mito alla struttura, Lacan riprende il sogno del padre morto nel contesto della messa in rapporto tra questo sogno e il desiderio d’ignoranza della propria morte, per fare dell’identificazione l’equivalenza tra il padre morto e il godimento. Cioè trasforma il mito e fa del padre un operatore strutturale, un agente della castrazione.

La logica del fantasma è spiegata chiaramente a p. 416:
I)                   “Il soggetto incontra nell’Altro quell’incavo, quel vuoto che ho elaborato dicendovi che non c’è Altro dell’Altro”. Con questa definizione Lacan critica una sua categoria proposta nel seminario V e lascia il soggetto senza indice per nominarsi.
II)                “A questo punto il soggetto fa intervenire da altrove, ossia dal registro immaginario, qualcosa che fa parte di lui stesso in quanto coinvolto nella relazione immaginaria con l’altro”, nel rapporto speculare all’altro immaginario. “Questo oggetto è a minuscola. Essa sorge esattamente nel posto in cui si pone l’interrogazione di S su ciò che egli è veramente, su ciò che vuole veramente.”          
III)             Questo oggetto ha una funzione di supplenza tramite la quale il soggetto stesso apporta il riscatto alla carenza a livello dell’Altro del significante che gli risponde.

Questi due versanti della designazione da parte del soggetto – cercando la risposta dell’Altro sul suo nome di soggetto e la ricerca di una risposta per evitare il suo svanire utilizzando una parte di se stesso, ovvero l’oggetto che è nel fantasma –  possono essere chiarificati utilizzando le due operazioni studiate da Lacan nello scritto Posizione dell’inconscio e nel Seminario XI: l’alienazione e la separazione. In un certo senso, quello che nel Seminario VI è letto in termini di linguaggio è ripreso, nello scritto e nel Seminario XI, in termini di operazioni logiche.
L’essenziale della questione della separazione è che il soggetto diviso dal significante produce l’appello, condizione di complementarità che non sarà rivolta all’Altro, ma lui stesso dovrà mettere in gioco qualcosa, cioè l’oggetto a. Attraverso di esso potrà stabilire una congiunzione tra la posizione di soggetto e l’oggetto. Ovvero quella che scrive il fantasma, $<>a.

Nel seminario VI si inizia già a esplorare un campo al di là del significante, il campo del fantasma, dell’oggetto. Anche se quest’ultimo, in questo momento, ha ancora uno statuto immaginario, costituisce un avanzamento rispetto ai suoi scritti precedenti, ad esempio rispetto La direzione della cura, testo nel quale il desiderio non aveva un oggetto, era metonimia della mancanza-a-essere. Per questo motivo Lacan collega l’intervento dell’analista all’immagine del San Giovanni di Leonardo, “perché l’interpretazione ritrovi quell’orizzonte disabitato dell’essere”. Anche per questo l’interpretazione “deve dispiegare la virtù allusiva”, fare segno verso un al di là.
Il seminario VI interroga il rapporto indefinito che il significante produce, la sua metonimia costante stabilisce invece che il desiderio suppone un rapporto all’oggetto per la via del fantasma e che il fantasma è interpretazione del desiderio a condizione di partire dalla diacronia, dalla successione del desiderio, ma raccogliendo allo stesso tempo la sincronia, da cui il valore della formula $<>a.

L’oggetto (a) come oggetto parziale, oggetto di taglio

All’inizio del seminario si produce una conciliazione tra l’ordine simbolico e l’ordine immaginario. Conciliazione messa in evidenza nella propria scrittura della formula del fantasma dove $ sta per il soggetto del significante, della parola, e a per l’oggetto. Alla fine del seminario la struttura eterogenea del fantasma sarà un’articolazione tra simbolico e reale, data la definizioni dell’oggetto a  come reale, che avverrà molti anni più tardi. La formula è la stessa, ma cambia qualcosa, Lacan estende il concetto di oggetto a al di là dell’altro immaginario, ammettendo che tutta una catena, tutta una sceneggiatura, possa iscriversi nel fantasma. Sono pagine bellissime, di un rigore clinico straordinario, forse non c’è una descrizione più accurata del passaggio all’atto perverso di quella analizzata nell’atto esibizionista e voyeurista del capitolo XXIII; neppure nella produzione di una perversione artificiale, come nel caso presentato da Ruth Lebovici.

In questo momento Lacan s’interessa a quella che è propriamente la struttura del soggetto, e la trova nell’intervallo della catena significante, nel taglio, che sarà l’ultima parola di questo seminario. Nel capitolo XXII, Lacan convoca l’oggetto pre-genitale che è rimasto durante l’intero seminario assente dal registro del fantasma. L’oggetto pre-genitale considerato fino a questo momento essenzialmente come un significante, si trova qui implicato nel fantasma come oggetto di taglio. Ciò vuol dire che Lacan fa una virata sensazionale e la fa senza segnalarla.
Si scopre così che l’oggetto a non è soltanto radicato nell’immaginario, ma che esso è anche oggetto di taglio, oggetto di svezzamento, e d’altra parte, all’altra estremità, l’oggetto che il soggetto rigetta e che si distacca da lui. “Del pari tutto l’apprendistato dei riti e delle forme della pulizia consiste nell’insegnare al soggetto a recidere da sé ciò che rigetta. Nell’esperienza analitica comune facciamo essenzialmente del taglio la forma fondamentale dell’oggetto nelle cosiddette fasi orale e anale.” Ci sono qui anche alcuni prolegomeni degli altri oggetti: la voce e l’oggetto scopico, almeno nelle considerazioni sul fantasma perverso nell’esibizionismo e il voyeurismo.
Lacan si domanda cosa possono essere questi oggetti del fantasma se non oggetti reali. Lo fa con quella disinvoltura che gli è abituale, come se non fosse lui che per tutto il seminario, fino a quel momento, ha parlato di oggetto immaginario. 
È un nuovo orientamento del suo insegnamento: nota che questi oggetti reali hanno uno stretto rapporto con la pulsione vitale del soggetto, è un modo per cominciare a parlare del godimento. Sembrerebbe quasi, come nota appunto brillantemente Miller, che l’inizio e la fine del seminario non siano contemporanei: ciò ci mostra, una volta di più, come l’insegnamento di Lacan sia un work-in-progress continuo.
Nel corso di questo seminario la formula del fantasma, come il rapporto tra il soggetto diviso e l’oggetto immaginario dell’inizio, diventa, infine, il rapporto tra il soggetto e l’oggetto reale. Con tutte le conseguenze che comporta, ad esempio: l’interpretazione stessa viene rinnovata, il taglio sarebbe la modalità più efficace d’interpretazione, a condizione che non si faccia in modo meccanico. È anche il taglio a unire simbolico e reale, come all’inizio del seminario era il fantasma a collegare simbolico e immaginario.

Qui Lacan evoca il termine di Jones sulla castrazione: l’afanisi. È uno di quei termini che Lacan riprende spesso nel suo insegnamento, in quanto definisce bene la struttura del soggetto nel suo svanimento. A differenza dalla letteratura analitica dell’epoca, che sembra allontanarsi ogni volta di più del concetto di castrazione, Jones ne conserva il concetto, tuttavia mostrando una certa confusione. A parere di Lacan questa confusione sarebbe dovuta all’irrisoluta questione di Jones sui rapporti della donna con il fallo; tuttavia insiste sul tema della castrazione.
Ad ogni modo questo uso di Jones dell’afanisi - definita come sparizione, scomparsa - interessa Lacan soltanto nei termini della struttura del soggetto e non per l’utilizzo che ne fa questo autore, come svenimento del desiderio.
Si capisce che Lacan è interessato all’afanisi del soggetto perché deduce da essa una vera svolta dei rapporti tra soggetto e oggetto. Non è già il rapporto che viene ritenuto, per dire così, immanente alla pura dimensione della conoscenza, ma il rapporto del desiderio, che porrà comunque dei problemi più complessi com’è provato dall’esperienza freudiana (p. 116). In diversi momenti del suo insegnamento Lacan interroga la prospettiva della filosofia – che è anche quella della scienza – che fa del soggetto della coscienza il suo fondamento e oppone la prospettiva psicoanalitica, per la quale la dimensione del desiderio e del godimento non si possono elidere. Il soggetto, lontano dall’essere trasparente a se stesso, si costituisce nell’assoluta opacità da sé. Per la psicoanalisi l’inconscio è il fondamento del soggetto e lo svanimento del soggetto è perciò cruciale.

Lacan si sofferma a evocare in che senso si effettua questa incidenza concernente l’oggetto a su quello che potremmo chiamare la specificità istintuale del bisogno. Dice così (pp. 121-123): “Quando l’interposizione del significante rende impossibile il rapporto del soggetto con l’oggetto, ovvero quando il soggetto non può mantenersi in presenza dell’oggetto, sappiamo già che cosa succede: l’oggetto umano subisce quella specie di volatilizzazione che nella nostra pratica concreta chiamiamo la possibilità di spostamento.
Ciò non significa semplicemente che il soggetto umano, come tutti i soggetti animali, vede il proprio desiderio spostarsi di oggetto in oggetto, ma che lo spostamento è precisamente ciò per cui può mantenersi il fragile equilibrio del suo desiderio.”
Questo spostamento è, quindi, un modo di simbolizzare metonimicamente la soddisfazione. Il desiderio è sempre insoddisfatto e per la stessa ragione la dialettica della cassetta e dell’avaro ci porta direttamente alla significazione dell’oggetto. In questo caso una certa ritenzione dell’oggetto, come ci esprimiamo ricorrendo alla metafora anale, è la condizione perché sussista il desiderio ma solo nella misura in cui l’oggetto ritenuto, che fa da supporto al desiderio, non sia a sua volta l’oggetto di un godimento.
La fenomenologia giuridica ne reca le tracce. Quando si dice che si concede a qualcuno il godimento di un bene, cos’altro vuol dire se non per l’appunto che umanamente è del tutto concepibile avere un bene di cui non si gode, ma di cui gode un altro. L’usufrutto - come si chiama nel diritto - mostra la funzione di pegno del desiderio.
Gettando un ponte verso la psicologia animale, Lacan paragona la psicologia dell’avaro con l’attività dell’ippopotamo per salvaguardare il campo del suo pascolo. “Insomma, se l’ippopotamo preserva il suo pascolo con i suoi escrementi, l’uomo salvaguarda la propria merda come pegno del pascolo essenziale. È la dialettica di quello che chiamiamo simbolismo anale, una delle dimensioni assolutamente insospettate prima che l’esperienza freudiana ce la scoprisse - nuova rivelazione delle Nozze di chimo fra l’uomo e il suo oggetto.”
Il progresso realizzato dall’uomo dipende dal linguaggio, il quale fa intervenire nel nostro rapporto con l’oggetto la complicazione essenziale, inducendoci a intrattenere con l’oggetto un rapporto problematico. Dice anche che è lo stesso problema posto da Marx: come accade che gli oggetti umani passino da un valore d’uso a un valore di scambio?

Nel capitolo VII Lacan comincia a distinguere domanda e desiderio, questa contrapposizione gli serve per formulare una critica radicale alla psicoanalisi dopo Freud: lo slittamento, nella teoria e nella pratica, confluisce in una nozione generale di nevrosi di dipendenza che nasconde il fatto essenziale della domanda con i suoi effetti di oppressione del soggetto.
Il concetto stesso di sintomo è in gioco e Lacan si preoccupa di negare che sia semplicemente il retaggio della frustrazione concepita come una mancanza nella realtà. Lacan vuole strappare il concetto di frustrazione dal contesto empirista ed evolutivo nel quale era catturato, per farlo precisa che la frustrazione non è un insieme di esperienze vissute nel rapporto del soggetto con l’oggetto della realtà, nel quadro di un rapporto duale con l’oggetto, puramente immaginario, speculare.
Il soggetto sperimenta un danno immaginario ma anche situato a livello dell’io speculare non è questo circuito quello che determina l’operazione. La novità maggiore nella rilettura del concetto di frustrazione si trova nell’agente, concepito come Altro simbolico. Lacan critica anche la traduzione di Versagung come frustrazione. Dice che in tedesco significa piuttosto rottura della parole, annullamento, revoca di una promessa, una parola che non è intrattenuta da un Altro. Un Altro che non è immaginario ma simbolico.
Tra ciò che scopriamo effettivamente nell’analisi come conseguenza della frustrazione e, d’altra parte, il sintomo, c’è un’altra cosa ancora più complessa, che si chiama desiderio. Il desiderio non è il risultato di certe impressioni della realtà, ma lo si può comprendere nel nodo in cui per l’uomo si allacciano il reale, l’immaginario e il suo senso simbolico. 

Dopo la disamina sul “sogno del padre morto” e l’analisi sulla posizione dell’essere in difetto, questa minusvalenza soggettiva del padre segnala che non riguarda il fatto che egli sia morto, ma che sia colui che non lo sa. È così che il soggetto si situa di fronte all’altro. Non soltanto l’altro non sa di essere morto, ma Lacan aggiunge anche, che al limite, è importante non dirglielo. “Dopo tutto questa specie di protezione esercitata nei riguardi dell’altro si trova sempre, più o meno alla radice di ogni comunicazione fra gli esseri, dove c’è sempre ciò che si può e ciò che non si può fare sapere all’altro. Ecco un dato di cui dovete soppesare le incidenze ogni volta che avete a che fare con il discorso analitico”.
A partire da questa protezione necessaria rispetto all’altro, Lacan accosta un altro sogno, tratto dall’ultima pagina del Diario d’esilio di Trotsky. Questo sogno particolarmente commovente interviene nel momento in cui, forse per la prima volta, Trotsky comincia a sentire dentro di sé i rintocchi di un certo cedimento della potenza vitale, sempre così inesauribile in lui. Nel sogno gli appare il compagno Lenin. Costui gli fa capire che forse questa volta c’è in lui, Trotsky, qualcosa che non raggiunge quel livello anteriore. Ma davanti a questo vecchio compagno, Trotsky pensa a trattarlo con riguardo e in un modo che viene valorizzato da quell’ambiguità che c’è sempre nel dialogo. Volendo richiamare un ricordo che si riferisse precisamente al momento in cui l’impeto di Lenin era venuto meno, Trotsky gli dice, per indicargli il momento in cui era morto, “il momento in cui tu eri molto, molto malato”. Come se una formulazione precisa della situazione in cui versava potesse, con il suo soffio, dissolvere l’ombra che, nel suo sogno, si trovava di fronte alla stessa svolta dell’esistenza in cui Trotsky stesso si trovava.
Vediamo le stesse coordinate del sogno del padre morto. Se nella ripartizione fra le due forme esaminate del sogno l’ignoranza è imputata all’altro, come non vedere che, inversamente, c’è anche l’ignoranza del soggetto stesso, il quale non solo non conosce il significato del suo sogno, ovvero tutto ciò che è soggiacente al sogno e che Freud evoca – la sua storia inconscia, gli antichi auguri di morte rivolti al padre – ma, per di più, non sa qual è la natura del dolore al quale egli, il soggetto, partecipa in questa occasione? Cercandone l’origine abbiamo riconosciuta nel dolore che aveva provato, intravisto partecipando agli ultimi momenti del padre. Ma è anche il dolore dell’esistenza come tale, al limite in cui l’esistenza sussiste in uno stato in cui tutto ciò che di essa viene appreso è ormai il suo carattere inestinguibile e il dolore fondamentale che la accompagna quando da essa si cancella ogni desiderio, quando ogni desiderio è svanito da questa esistenza.
È precisamente in quanto prende questo dolore su di sé che il soggetto si fa cieco riguardo a quanto avviene in una prossimità immediata, e cecità rispetto al fatto che l’agonia e la scomparsa di suo padre sono qualcosa che minaccia lui stesso. Egli l’ha vissuto e se ne separa tramite quell’immagine rievocata. Tale immagine, l’oggetto a, lo separa da quella specie di abisso o vertigine che gli si presenta ogni volta che viene confrontato con l’estremo termine della sua esistenza, e lo ancora a qualcosa che placa l’uomo, ossia al desiderio.
 
A p. 133 vediamo che Lacan cerca di spiegare il fantasma come un rapporto puramente immaginario e per farlo si appella allo schema L. Aggiunge che nella misura in cui si iscrive nella dimensione della parola in quanto domandante, il soggetto si avvicina all’oggetto più elaborato: il fallo. Quell’oggetto non potrà raggiungerlo se non trovandosi egli stesso, come soggetto della parola, cancellato nell’elisione che lo lascia nella notte del trauma. In alternativa dovrà prendere il posto dell’oggetto, sostituirsi a esso e sussumersi sotto il significante fallico. Per  andare al di là di Jones, ma anche di Freud nella famosa controversia, Lacan deve definire il fallo come sottratto alla comunità immaginaria degli oggetti. La sua è una funzione privilegiata che ne fa il significante del soggetto.
Lacan discute su come un tipo d’analisi che riconducendo il soggetto continuamente al livello della domanda – cosa che in una certa tecnica si chiama analizzare le resistenze – finisca per ridurre quello che è il suo desiderio. Qui fa alcune considerazioni molto interessanti sul desiderio nella nevrosi ossessiva (nella p.137). Tutto ciò che nel soggetto si presenta come il compimento del suo desiderio è qualcosa di cui non si può domandare. L’ossessivo iscrive, formula il suo desiderio nel registro della domanda e Lacan aggiunge che “Noi possiamo ricostituirne i dettagli fino a ritrovare quelli che chiamerai i percorsi labirintici in cui si infila.”

Il fantasma “un bambino viene picchiato”

Prendiamo adesso il fantasma Un bambino viene picchiato come lo fa Lacan. Questo fantasma, Freud l’ha incontrato in un certo numero di soggetti prevalentemente femminili. Nella misura in cui la prima fase del fantasma arriva a essere rievocata, sia nelle fantasie, sia nei ricordi del soggetto, essa viene restituita come Mio padre picchia il bambino e si completa con l’espressione da me odiato. L’altro bambino viene qui rappresentato come sottomesso dalla violenza, dal capriccio del padre all’estremo scadimento, alla massima svalutazione simbolica, come assolutamente frustrato e privato di amore. L’odio mira al suo essere, si rivolge in lui a ciò che viene domandato al di là di ogni domanda, ossia all’amore.
Tra questa prima fase e la successiva devono avvenire profonde trasformazioni. Ed ecco come Freud esprime la seconda fase:

La persona che picchia è rimasta invero la stessa, vale a dire il padre, ma il bambino picchiato è diventato un altro, si tratta invariabilmente del bambino stesso che fantastica, la fantasia ha una spiccatissima accentuazione di piacere e si è riempita di un contenuto significativo. Il suo enunciato è ora il seguente “Vengo picchiato da mio padre”.

Ma subito dopo Freud aggiunge: Questa seconda fase è fra tutte la più importante e densa di conseguenze. Ma di essa si può dire, in un certo senso, che non ha mai avuto un’esistenza reale. In nessun caso viene ricordata, non è mai riuscita a diventare cosciente. È una costruzione dell’analisi, ma non per questo è meno necessaria.

Tuttavia, poiché essa sfocia in una terza fase, dobbiamo proprio ritenerla necessaria.
La formula di questa seconda fase è la formula del masochismo primordiale.  Questo interviene precisamente nel momento in cui il soggetto, nella sua ricerca, si trova vicinissimo alla sua realizzazione di soggetto. Più tardi, quando parlerà dell’operazione di separazione, Lacan dirà che la prima offerta del soggetto sarà la sua sparizione.
Tra la prima e la seconda fase è avvenuto qualcosa di essenziale: il  soggetto ha visto l’altro precipitare dalla dignità di soggetto, di rivale. L’apertura che si è così originata gli ha fatto intravedere che è in questa stessa possibilità di annullamento soggettivo che risiede tutto il suo essere in quanto esistente. Qual è l’essenza del fantasma masochista? Consiste nel fatto che egli viene trattato come una cosa, che si mercanteggia, si vende, si strapazza, viene annullato in ogni possibilità augurale di cogliersi come autonomo. Viene trattato come un cane, ma non come un cane qualsiasi, come un cane che si maltratta, anzi, come un cane già maltrattato.
Questo perno della seconda fase che noi possiamo soltanto supporre, è anche la base di trasformazione a partire dalla quale il soggetto cercherà di entrare nell’ultima fase, per trovarvi il punto di oscillazione della sua posizione, ossia la $.
Nel terzo momento, la formulazione è impersonale. Chi picchia? Il soggetto rimane evasivo. Solo dopo una certa elaborazione potrà ritrovare una determinata figura paterna nel suo fantasma.
Quanto a quello che viene picchiato non è meno difficile da afferrare. È molteplice: molti bambini.
Uguali incertezze regnano a proposito della posizione del bambino che ha questo fantasma. Senza dubbio prende parte al fantasma nella misura in cui è lui a produrlo. Ma in definitiva non si situa da nessuna parte in maniera precisa.
Dov’è l’affetto accentuato? È spostato sull’immagine fantasticata del partner, non tanto in quanto viene picchiato, ma in quanto verrà picchiato o in quanto non sa come verrà picchiato. Questo permette a Lacan di approssimare questo momento e l’angoscia, al considerare in modo diverso la perdita pura del soggetto nella indeterminazione con l’avvenimento del soggetto dinanzi al pericolo.
Dove si trova in fin dei conti il soggetto? Sarebbe facile dire che si trova tra i due, ma è talmente tra i due da illustrare in modo esemplare il ruolo dello strumento: nel fantasma di fustigazione è la frusta.
In effetti lo strumento interviene frequentemente come il personaggio essenziale nella struttura immaginaria del desiderio. È proprio sotto questo significante, qui assolutamente svelato nella sua natura di significante, che il soggetto si abolisce nella misura in cui si coglie nel suo essere essenziale.
Veniamo infatti ricondotti a questo stesso crocevia ogni volta che ci si presenta la problematica sessuale. Nella donna questa ha come punto cardine la fase fallica. Il punto centrale è il rapporto fra l’odio della madre e il desiderio del fallo. È da qui che Freud fa procedere l’esigenza fallica che interviene per il maschio alla risoluzione dell’Edipo e per la femmina all’inizio dell’Edipo.
Questo desiderio del fallo vuol dire desiderio mediato dal fallo.
All’orizzonte c’è la prima identificazioni con l’Altro, ovvero l’identificazione con le insegne dell’Altro. Essere il fallo dell’Altro, nel caso la madre.
Lacan utilizza le immagini dello specchio concavo e di quello piano per metaforizzare la via speculare attraverso la quale il soggetto cerca nel fantasma di raggiungere il suo posto nel simbolico. Ma questi schemi sono soltanto strumentali, la $ è qualcosa di diverso da un occhio.
Di fatto si tratta di una certa riflessione che viene fatta con l’aiuto delle parole nel corso del primo apprendimento del linguaggio, grazie alla quale il soggetto impara a sistemare alla giusta distanza le insegne in cui si identifica.
Il fallo è occupato altrove nella funzione significante. Di fronte all’altro il soggetto si identifica con il fallo, ma quando è in presenza del fallo, egli si riduce in frammenti. Basti pensare a quel che si produce nel rapporto, anche quello più appassionato, tra un uomo e una donna.
Nell’uomo il desiderio si trova al di fuori della relazione amorosa. La forma più compiuta di tale relazione presuppone in effetti che il soggetto dia ciò che non ha: è questa la definizione dell’amore. La forma ideale del desiderio, se così posso dire, è invece realizzata in lui nella misura in cui egli ritrova il complemento del suo essere nella donna, in quanto lei simbolizza il fallo.
Nell’amore l’uomo è veramente alienato nell’oggetto del suo desiderio, nel fallo. Nell’atto erotico questo stesso fallo riduce la donna a essere un oggetto immaginario. Ecco perché anche nella relazione amorosa più profonda viene mantenuta nell’uomo la duplicità dell’oggetto: la madre/la puttana.
D’altra parte, il rapporto della donna con l’uomo che ci si compiace di credere molto più monogamico, presenta nondimeno la stessa ambiguità, salvo che la donna trova nell’uomo il fallo reale. Ma, nella misura in cui la soddisfazione del desiderio si produce sul piano reale, l’amore della donna, non già il suo desiderio, si trasferisce su un essere il quale è al di là dell’incontro con il desiderio, vale a dire sull’uomo in quanto è privo del fallo, sull’uomo in quanto per la sua natura di essere compiuto, di essere parlante, è castrato. Nello scritto Appunti direttivi per un Congresso sulla sessualità femminile Lacan propone un’altra duplicità per le donne: l’uomo desiderato/l’incubo ideale che s’incarna nell’amante castrato o nell’uomo morto (o entrambi).


Redazione di Alberto Tuccio