martedì 29 ottobre 2019

OPEN DAY Milano – Novembre




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sabato 7 settembre 2019

Seminario fondamentale Istituto Freudiano di Milano, 09 marzo 2019. Docente invitato: Emmanuelle Borgnis-Desbordes



Testo di riferimento: J. Lacan, Il seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione, Einaudi, Torino, 2016.

Capitoli XX, XXI, XXII.


Il seminario VI di Lacan, Il desiderio e la sua interpretazione, è stato pubblicato nel 2013 in Francia.

Jacques Alain Miller ha voluto mettere sulla copertina un quadro del XVI secolo di una straordinaria bellezza: L'allegoria del trionfo di Venere di Bronzino, repertoriato da Vasari. Lo ha scelto perché per lui rappresenta un'illustrazione del desiderio sessuale, con la lussuria, l'incesto, la brama, l'imprudenza, la gelosia, l'inganno, la dissimulazione e la follia. Per Miller, dunque, il desiderio non è preformato.
Per affrontare questo seminario è necessario partire dalla distinzione tra bisogno, domanda e desiderio, che Lacan aveva delineato nel seminario riguardante la relazione d'oggetto.
È altrettanto importante contestualizzare il seminario all’interno dell’insegnamento dello psicoanalista francese: infatti si colloca esattamente tra lo scritto La direzione della cura (1958), e  Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio (1960). Il seminario dell’anno successivo sarà quello sull’etica, che ruoterà intorno alla nota formula: «Non cedere sul proprio desiderio».
Un altro consiglio per la lettura di questo seminario è di tenere presente tutto quello che Lacan ha gradualmente sviluppato sull'oggetto a.
J.-A. Miller dice che in questo seminario viene rimaneggiato l'Edipo freudiano, in particolare nel commento dell’Amleto: si mostra che il padre è un sintomo, concludendo con un certo “elogio della perversione", da intendere nel senso che ciò sposta le norme stabilite.
Un tema che era apparso già nel seminario V è il rapporto tra il desiderio e il sogno e difatti già l’anno precedente Lacan aveva introdotto il grafo del desiderio: come situare il desiderio nel sogno appoggiandosi al grafo?
Il “che vuoi?” interroga il desiderio dell'Altro: si approda a un luogo di riferimento attraverso cui il desiderio si situa, ovvero il fantasma, siglato nella formula $<>a. L'oggetto a, in questo seminario, non è affrontato nello stesso modo in cui lo sarà negli anni seguenti e questo obbliga a tornare retroattivamente su quel che si sa. Lacan precisa che in presenza dell'oggetto a, vi è un'evanescenza del soggetto, quindi diviene centrale capire cos’è considerato oggetto in questi anni. Cos'è l'oggetto nella sua essenza, nella sua funzione all’interno del fantasma?
Il fantasma è il punto chiave dove deve prodursi l'interpretazione del desiderio e J.-A. Miller nota che il soggetto ricorre al fantasma come una difesa contro un trauma. Per Lacan il soggetto è ciò che svanisce in relazione a un oggetto: questo rapporto designa il fantasma. Dunque vi è una responsabilità del soggetto nella sua scomparsa di fronte al desiderio, come testimonierà, nel seminario successivo, la figura Antigone.
La tematica del fantasma è centrale nei capitoli XX, XXI e XXII: nei primi due torna sullo scritto La Cosa freudiana per poi approdare al fantasma. Lacan descrive questo cimentarsi nuovamente con la “cosa freudiana” come nuovo, serio e autentico: nuovo nel suo apporto teorico, serio nella sua portata per la psicoanalisi, e autentico nel senso “più reale che vero”.
Ieri come oggi la questione centrale per tutti gli psicoanalisti è l’autentificazione, ma attraverso cosa? Nel seminario Lacan asserisce che avviene attraverso qualcosa di completamente diverso a dai semplici risultati precari, la garanzia è altrove. Nel capitolo XX, alle pagine 395-396 emerge come spesso si affronti la Cosa freudiana in modo: dal punto di vista teorico, clinico e pratico.
Per Lacan, la Cosa è il desiderio: posta così la questione appare decisamente complicata! Il desiderio non è considerabile come qualcosa di ridotto, normalizzato, che funzioni attraverso le esigenze di una sorta di preformazione organica; non è qualcosa che abbia anticipatamente una via segnata alla quale dovremmo afferire. L'esperienza originale del desiderio si oppone alla costruzione della realtà: il principio del desiderio (col quale potremmo fare un collegamento col principio di piacere freudiano, anche se Lacan non lo dice) si oppone al principio di realtà.
Il desiderio è stato a lungo sovrapposto alla ricerca del Bene filosofico con la B maiuscola, nel senso che l'uomo cercherebbe fondamentalmente il proprio bene: quando si dice cosi, l’interesse dovrebbe andare all'oggetto, alla ricerca di un oggetto che sia adeguato, soddisfacente, ma esiste un al di là dell'oggetto. Per Lacan la storia del desiderio si organizza in un discorso che si sviluppa nell'insensato (pag. 397), inteso come non senso, non completamente folle ma non sensato: è questo l'inconscio.
Il desiderio si organizza in un discorso i cui spostamenti e le condensazioni contrassegnano la sua struttura: metonimia e metafora.
Le metafore non costituiscono il principale interesse di Lacan: non permettono un senso che produca effetti di verità. Piuttosto egli è interessa alla metonimia del discorso, la quale, a condizione che sia utilizzata nella cura, può far emergere degli effetti di verità. Nel capito XX Lacan afferma che la psicoanalisi sia l'esplorazione di questo discorso nell'inconscio.
Il desiderio si coglie solo nell'interpretazione, come già aveva precisato ne La direzione della cura. L'interpretazione va in un senso diverso rispetto al discorso corrente. Punteggiare, scandire, tagliare la catena del discorso del paziente, può introdurlo a qualcosa di nuovo, alla catena significante in quanto tale, e alla sua metonimia.
Nella freccia di partenza del grafo del desiderio, Lacan pone qualcosa dell'inconscio che si sigla con $: il soggetto non sa cosa dice nell'inconscio. Il punto di arrivo è il rapporto con l'ideale. In questo circuito vi sono due tagli del tragitto: è a partire da quel punto di intersezione che l'interpretazione può far passare il soggetto allo stadio superiore. Si può dire che quella in basso è la catena del discorso parlato dove, secondo Lacan, il soggetto non sa quel che dice, ma tuttavia parla: la scansione e l'interpretazione analitica permettono un passaggio allo stadio superiore.
Nel seminario II, dove è riportato lo schema ottico, Lacan inserisce uno specchio piano che modifica il rapporto del soggetto con l'identificazione. Riprendendo questo rapporto, si può dire che l'interpretazione analitica abbia lo stesso effetto del movimento dello specchio piano: ciò non significa che l'analista sia uno specchio, è piuttosto un'analogia; ciò che è importante è l'effetto che l'analista opera sul soggetto: modifica il rapporto con l'oggetto e quindi con il desiderio.
Nel capitolo XX del seminario VI, Lacan evidenzia che il desiderio si rivela solo in forma articolata, quindi il paziente non ha altra scelta che prender parola. Nelle pagine successive (pp. 399-404) la riflessione si focalizza sulla questione della realtà, o meglio della lettura della realtà oggettiva che porta a interpretazioni selvagge, spesso riferite agli stadi freudiani: realtà dell'oggetto, livelli di maturazione dell'oggetto; sovente si fa riferimento a Glover per esemplificare.
Quando J.-A. Miller affronta i tema del rapporto del soggetto con l'oggetto, asserisce che si interroga l'essenza soggettiva all'interno di questo rapporto, quindi qualcosa che non esiste in sé. Avere indicazioni sulla posizione soggettiva vuol dire interessarsi all'oggetto, il rapporto con l'oggetto dice qualcosa della posizione soggettiva. Tutto il problema di Lacan, già dal seminario sulla psicosi, è il rapporto tra il soggetto e l'Altro e dell'Altro, dove c'è l'oggetto, al soggetto. Quindi è l'oggetto che ci mostra cosa è un soggetto. Come molti ricercatori e filosofi anche molti psicoanalisti, per Lacan hanno confuso l'oggetto della realtà con l'oggetto a.
La vera e propria articolazione tra il desiderio e il suo oggetto non può prescindere dal situare il desiderio in rapporto a una x che fa dell'uomo (inteso come uomo della conoscenza, della norma, della ragione) un soggetto. Questa x non è precostituita o preformata: l'uomo si costituisce nel significante come soggetto.
In questi tre capitoli del seminario VI e nei seminari successivi, si delinea la base di tre concetti: l'oggetto causa del desiderio, l'inconsistenza dell'Altro e lo statuto del Reale.
A p. 405 Lacan torna sulla formula $<>a e asserisce che il soggetto si costituisce come desiderio in un rapporto terzo rispetto al fantasma, come se in fondo ci fossero tre elementi: il soggetto, il fantasma e l'oggetto. Il fantasma fa da terzo tra il soggetto e l'oggetto. Più avanti Lacan giunge a dire che l'uomo diventa soggetto attraverso l'oggetto che ritrova nel fantasma. In quest’ottica non si può non notare che occultare l'oggetto come oggetto a è molto rischioso, in quanto limiterebbe l’esperienza analitica al piano inferiore del grafo: lo scorrere della pura catena articolata alla ricerca di oggetti sempre più immaginari, con i lamenti del paziente sull'Altro cattivo, che gli vuol male, ecc.
Dunque l'uomo si fa soggetto attraverso la mediazione dell'oggetto, ma l'oggetto – asserisce Lacan nel seminario III – non ha consistenza: è piuttosto un resto d'oggetto, un residuo, ovvero ciò che indicherà con la lettera a: è tutto ciò a cui il soggetto mira. Questo oggetto che non ha consistenza è al centro del seminario XI, un seminario decisivo per la psicoanalisi, quello successiva a quando Lacan lascia o è lasciato dall'IPA.
È nella formula del fantasma, $<>a, che si situa il desiderio, in un rapporto di congiunzione e disgiunzione che è già un movimento: non è un fantasma immobile, costituito, che non si può spostare. Se si desse consistenza all'oggetto si avrebbe un determinismo fantasmatico, e ciò sarebbe terribile.
Allora Lacan afferma che l'oggetto a è il supporto che il soggetto si dà nel luogo stesso in cui viene meno: viene meno nella sua certezza di soggetto, sbanda nella sua designazione di soggetto. Quello di cui si tratta poggia interamente su ciò che succede nell'Altro, in quanto è per il soggetto il luogo del suo desiderio (schema a p. 409).
I seminari precedenti di Lacan ci hanno introdotto alla dialettica del soggetto con l'Altro: il soggetto trova le proprie condizioni di esistenza nell'Altro. Quindi da un lato c'è il soggetto, e dall’altro lato c'è l'Altro: necessariamente l'oggetto deve situarsi dalla parte dell'Altro in questa dialettica. Si può dire che nella psicosi l'oggetto non è dalla parte dell'Altro ma è da quella del soggetto, quindi c’è un soggetto non diviso e c'è un oggetto, che non è un’oggetto a ma un oggetto della realtà e quindi tutto quello che succede nell'Altro diventa persecutorio per il soggetto. Perciò anche nella psicosi il soggetto ha un rapporto con l'Altro.
Nel capitolo XXI Lacan afferma che il luogo del desiderio è nell'Altro e nell'Altro c'è il discorso dell'Altro, qualcosa che manca al soggetto. Questo movimento dialettico permette al soggetto di identificarsi con il luogo dell'Altro e di trovarvi i propri oggetti. In questo capitolo, Lacan torna sulla divisione soggettiva a partire da quello che accade nell'Altro: afferma che ogni volta che si parla di desiderio, si paga il pegno della castrazione, qualcosa di reale sul quale il soggetto ha solo una presa immaginaria.
Da dove si deduce la funzione del significante? Sempre nel capitolo XXI si dice che la castrazione non può essere separata dal desiderio, è la scoperta essenziale di Freud, fino a quel momento misconosciuta. Il seminario IV e questi tre capitoli del seminario VI mostrano il posto inaugurale del desiderio nell'enunciazione del soggetto teso tra castrazione e fantasma.
L'oggetto della castrazione lo chiamiamo fallo: significante di quello che non c'è, frutto della castrazione. Lacan evoca il quadro di Hieronymus Bosch e, in particolare le membra: in quel dipinto in effetti il fallo può essere evocato in diversi modi.
In questi capitoli Lacan evoca anche la questione dell'omosessualità, che Freud, in particolare nei Tre saggi sulla teoria sessuale, ritiene contrassegnata da un'esigenza narcisistica dove l’attributo fallico è considerato dal soggetto come ciò che lo soddisfa: per Lacan questa spiegazione passa per l'Immaginario. Di qui ecco le derive dei lavori di Boehm sull'omosessualità e la perversione, dove il fallo tende a essere considerato come oggetto reale, ma da intendere come oggetto immaginario preso nella realtà.
Per Lacan il fallo ha una portata completamente diversa: il rapporto col fallo, col significante mancante, riguarda tutti i soggetti. Egli interroga il senso e la funzione della a minuscola, come oggetto nel fantasma in un rapporto con la castrazione: si tratta di interrogarlo in modo sincronico, lo si può interrogare a partire dall'enunciazione della catena significante. Difatti a p. 409 è presentato lo Schema sincronico della dialettica del desiderio: ci sono due colonne, ciò che è importante è il rapporto del soggetto barrato ($) con il suo oggetto a.
Da un lato c'è il soggetto e dall'altro c'è l'Altro: il grafo e i suoi circuiti possono aiutare a cogliere come il soggetto si sempre preso nella domanda che rivolge all'Altro, il quale non ha la risposta per il soggetto e quindi si qualifica come Altro barrato; è proprio perché l'Altro è barrato che il soggetto ha accesso a un oggetto che Lacan chiama a.
Qui si situa il fantasma nell'articolazione come congiunzione e disgiunzione: il fantasma fa come da supplenza, non da intendere come supplenza nella psicosi ma come supplenza alla castrazione. In altri termini il fantasma permette un recupero di godimento, è questa l’idea sottesa da Lacan.
Spesso c'è stata confusione tra gli psicoanalisti sulla nozione di fantasma, per esempio Laplanche e Pontalis hanno molto lavorato sul fantasma originario e molte altre versioni del fantasma, ma con l'insegnamento di Lacan non possiamo più confondere le fantasmagorie dell'Immaginario e il fantasma fondamentale. Al fantasma si ha accesso solo attraverso la cura e in condizioni molto specifiche.
Lacan torna sull'Altro dicendo che l'Altro per un soggetto è innanzitutto qualcuno di reale, questo “Sr” nello schema a p. 409 possiamo dire che è qualcuno di reale. Non c'è altra scelta nella cura che prendere la parola per rivolgersi a qualcuno, che è qualcuno di reale: è a partire da questo che opera un analista.
Quindi l'Altro è in primo luogo un soggetto della realtà: sul piano della comunicazione ci si rivolge a qualcuno. L'Altro non barrato è interpellato nella domanda e Lacan dirà che la domanda è sempre domanda di amore, in particolare quando commenterà il Simposio di Platone. È l'Altro che in fin dei conti permette di autentificare la domanda, che è sempre domanda d'amore: si è già ben oltre al bisogno.
Per Lacan c'è la catena significante, quindi la presenza dell'inconscio, ma non ci sono soggetti che per un soggetto, nel senso che bisogna ci sia qualcuno; nel suo insegnamento poi arriverà a spiegare che l'Altro è barrato, che non c'è Altro dell'Altro, che non esiste alcun significante per garantire la presenza soggettiva, ma intanto ci si rivolge a qualcuno, perché è l'Altro non barrato che gli ha permesso di posizionarsi come soggetto, che lo instaura come soggetto. Il soggetto è introdotto nel significante attraverso il trucco dell'Altro che ha la funzione di soggettivarlo.
Dunque il passaggio attraverso la domanda apre al desiderio: si produce una mancanza nell'Altro attraverso la parola, non sul piano dell'Altro come reale, anche se bisogna che ci sia pur qualcuno. Non c'è niente di reale dalla parte dell'Altro e il soggetto non avrà altra scelta, per tutta la vita, di costruire un rapporto dove non ce ne sono: questo avviene attraverso il fantasma.
Dopo aver lavorato sulla questione dell'oggetto, Lacan si interessa alla lettera S, il soggetto.
Asserisce che S è la S che si trova sullo schema L, dove ciò che fa un soggetto è ciò che viene dall'Altro, e nel mezzo c'è uno spazio bianco, che è la presenza dell'inconscio.
La S permette di giocare sull'omofonia con l'ES freudiano che si trova nell'angolo in alto a sinistra dello schema L. Questo ES freudiano è indicato da Lacan con il termine francese “ça” ma è anche “è” come interrogativo, “cos'è?”, il quale ha molti risvolti, “che cos'è?”, “dove esisto?”, “cosa sono io in ciò che esiste?”.
Il soggetto non può pensarsi senza Altro, ne attende una risposta, illusoriamente, resta lì ad aspettarla, e alla fine l'Altro risponde al di là di quello che è stato domandato. Dunque al tempo stesso si introduce un soggetto diviso, che non sa quello che dice, ma che si pone una questione sul proprio essere. Questa questione la pone all'Altro che risponde a lato: quindi abbiamo un soggetto barrato e un Altro barrato. Il solo punto di articolazione possibile è l'oggetto a, con la formula $<>a.
$ è contrassegnato da un movimento di spaltung, di fading, svanimento del soggetto: niente nell'Altro garantisce il suo essere e niente gli permette di situarsi sul piano del discorso dell'Altro. Qui si trova il soggetto dell'inconscio.
Anche se la dialettica significante esiste, per supplire a quello che non c'è, ci serviamo di un elemento immaginario che nominiamo oggetto a, il quale è correlativo alla struttura dell'organizzazione del fantasma. Riprendendo la frase freudiana «dov'era l'Es, deve avvenire l'Io», ciò ci sta a dire che “dov'era l'Es”, vuol dire “dove l'Es parla”: è qui che troviamo il desiderio inconscio, è qui che il soggetto deve designarsi, dire Io (Je), come Io dell'enunciazione, che è come dice Lacan, l'alfa e l'omega della psicoanalisi, ciò a cui la psicoanalisi punta.
Lacan asserisce che dobbiamo riconquistare questo campo perduto dell'essere del soggetto, riprendendo i termini di Freud. La questione è che cosa ci designa nel posto di un soggetto che parla: quello che ci designa è l'indice del desiderio.
Per affrontare la questione del fantasma Lacan dice di partire dall'oggetto, il quale funziona come taglio. È sul piano del fantasma che troviamo le forme più radicali e più semplici, gli oggetti privilegiati del desiderio inconscio del soggetto: questi oggetti diventeranno significanti.
Nel capitolo XXI vengono individua tre oggetti privilegiati dal fantasma, oggetti che svolgono la funzione di diventare significanti, dove per l'appunto non ci sono significanti per dirli sul piano della catena inconscia: sembra paradossale, ma Lacan li presenta così.
Il primo è l'oggetto pregenitale, con riferimento all'oggetto freudiano; il secondo è il fallo, che si deduce dal complesso di castrazione freudiano; il terzo, il delirio, che svolge la stessa funzione per il soggetto nel suo punto di svanimento. Lacan tornerà più tardi su quest’ultimo, con altri riferimenti, dicendo che tutti delirano, o ancora asserendo che il soggetto ama il proprio delirio – privato – come se stesso.
È a partire da questo che nel capitolo seguente affronta il fantasma perverso e come il soggetto perverso esiste nel desiderio dell'Altro. L'oggetto del fantasma nella perversione tenta di fare esistere l'oggetto immaginario dello stadio dello specchio. Più avanti Lacan riprenderà la questione della perversione in modo diverso, insistendo sulla consistenza logica dell'oggetto a, facendo altri riferimenti al godimento.
Nel modo in cui ne parla Lacan in questo capitolo, il fantasma è mobile: non bisogna credere che lasci cadere uno dei suoi elementi, se lo si sollecita si ricostituisce in modo diverso. Interpretare il fantasma non è ricondurre il soggetto alla realtà, contrariamente a quello che possono pensare diversi analisti di altre correnti. Partendo dal presupposto di ricondurre il soggetto alla realtà, l’effetto è indicare il passaggio all'atto, quindi è molto pericoloso. Per diversi analisti la realtà deve congiungersi al fantasma e viceversa, Lacan invece precisa che il posto occupato dal fantasma richiede una dimensione completamente diversa: richiede una dimensione dell'essere, scritto con la “e” minuscola per distinguerlo dall'Essere della filosofia, che più tardi Lacan definirà “essere di godimento”. È piuttosto in questa dimensione dell'essere che si situa l'interpretazione del desiderio.
Interroghiamo il posto della funzione del fantasma in quanto è simbolizzato nel rapporto del soggetto. Quest’ultimo è segnato dall'effetto della parola, si orienta con l'oggetto che non c'è ma gli dona il posto di un oggetto possibile. Questo è il punto in cui nascerà l'oggetto a.
Ripercorrere la logica con cui Lacan disegna il grafo può essere utile. Si parte dal soggetto, c'è un tragitto che va verso l'ideale, tagliato da due catene: in alto quella inconscia e sotto la catena del discorso, dirla conscia sarebbe un errore perché qui c'è un discorso in cui il soggetto parla senza sapere cosa dice.
In questo seminario Lacan mostra il tragitto della catena inconscia soggiacente negli enunciati, quella a cui si mira nella cura, scandendo e punteggiando il discorso nella seduta analitica. L'analista interviene nel luogo di a, orientato da quello che Lacan più tardi chiamerà il desiderio dell'analista, che non è il desiderio di “fare l'analista quando sarò grande”, ma piuttosto qualcosa sul piano della x, che entra in gioco e permette, attraverso l'intervento analitico, di passare alla catena inconscia. Per questo l'analisi è lunga, perché il soggetto torna costantemente sulla catena del discorso e l'analista interviene ripetutamente con il suo taglio per riportarlo alla catena inconscia.
Il tragitto della catena significante Lacan lo mostra bene nella parte superiore del grafo: il soggetto, attraverso l'operazione d’analisi, è sempre soggetto della domanda che gli permette di accedere al soggetto dell'Altro barrato, ossia il significante dell'Altro.
Dove c'è la catena del discorso, in basso, si va dal significante alla voce, in alto invece si va dal godimento alla castrazione (pp. 433-435).
A partire da questo lavoro necessario per accedere alla catena inconscia, è importante vedere come Lacan collochi quello che chiama desiderio nel tragitto che va dall'Altro al soggetto della domanda, e come finalmente il fantasma si situi in un corto circuito, in quanto è in una posizione di intersezione. Sullo schema che si trova in questo seminario, Lacan segna la linea della catena superiore come tratteggiata all'interno del grafo, e uscendo dopo il taglio continua come linea unita: è tratteggiata perché non è nell'ordine del discorso. Al livello in basso c'è sempre un tentativo di fare discorso, di costituirsi come discorso, mentre in alto c'è qualcosa che dà un effetto di verità attraverso l'intervento analitico.
Lacan parla di due intenzioni: la prima emerge prendendo la parola, si domanda, si interroga l'Altro sul proprio essere, è quel che si vede nei bambini quando chiedono “perché?” ripetutamente (i vari “perché esisto? Perché la terra è rotonda?” sono in realtà questioni sul proprio essere). Anche se ci si sforza di trovare una risposta al bambino c'è un'altra intenzione, domanda qualcosa di diversi rispetto a quel che domanda, c'è un al di là della domanda, ma passa attraverso l'Altro per cercare di trovare una risposta e per ciò troviamo in questo seminario un soggetto ancora dell'intersoggettività. Lacan dice che il soggetto è interamente nell'alienazione significante, un'alienazione rispetto all'articolazione significante del primo stadio.
Tuttavia quando il soggetto sembra puntare a interrogare l'Altro sul proprio essere, non c'è niente dell'Altro, niente nel significato dal lato del senso, che garantisca la verità del proprio essere: c'è solo la buona fede dell'Altro. Qui il fantasma svolge per il soggetto un ruolo di supporto immaginario.
Questo grafo, in particolare la posizione del fantasma, introduce a una fenomenologia del taglio, introduce un oggetto che si sostiene sul piano immaginario e che sostiene il soggetto. Per Lacan se esistesse un essere di puro soggetto si situerebbe al livello del significante della mancanza dell'Altro, e in fondo il soggetto trova la propria designazione, che non è il proprio riconoscimento, nel tragitto che va fino all'ideale, tra l'ideale dell'Altro e S(%), retroattivamente.
Credo possa essere d’aiuto un caso clinico che ho presentato a PIPOL 7, titolato: Flore, qualcuno che era vittima della propria carne. Si tratta di una giovane donna che arriva in seduta con i capelli lunghi e calati davanti agli occhi, appare molto giovane, anzi quasi senza età; piange angosciata, depressa, o quanto meno si mostra così. Per quattro sedute di seguito non fa altro che piangere, poi inizia a parlare e dice che ha un buon lavoro, è architetto, ha un fidanzato comprensivo, «sono come una bambina»: viene da me perché da un anno e mezzo non ha più alcun desiderio sessuale, con il suo compagno ha una relazione da 5 anni e lei ha 28 anni. Quattro sedute molto difficili e poi una confessione: «non ho l'utero, [è una sindrome che, ndr] viene da mia madre, sono una bambina». La mancanza d'utero è una sindrome reale che è classificata come sindrome di Rokitansky. Con mio stupore vengo a sapere della mancanza di questo organo lo stesso giorno in cui compie 28 anni, pur dimostrandone 15 di meno. Questa mancanza d'utero venne scoperta a 18 mesi tramite un'ecografia. Mi sono interessata molto a questa ecografia, che la madre conserva nascosta in un armadio. In questa ragazza c'è una mancanza reale di quest'organo, lei è identificata con una bambina, è fissata su quest'assenza. Ho pensato che fosse importante tirarla fuori da questa identificazione: le ho detto, cercando di alleggerire, «va bene… è un corpo particolare, ma cosa dice il ginecologo?» e lei mi ha risposto «non ne ho mai visto uno, è congenito e viene da mia madre» e io le ho detto «d'accordo, viene da sua madre, ma ha fatto delle scelte amorose, ha una vita sessuale» e lei ribatte «si, ma è come se non esistesse, ho per l'appunto trovato un uomo che non vuole avere figli». A quel punto mi sono mostrata come innervosita, per modo di dire, e le ho detto «vada a vedere il dott. Tal dei tali, uno che conosco, e gli parli un po' di questo corpo». Le ho dato il bigliettino da visita e lei se ne è andata.
A breve ho chiamato il ginecologo, che è psicoanaliticamente orientato senza saperlo, e gli ho detto «le faccia un'ecografia, che non sia quella della madre» per tirarla fuori dall'identificazione con la bambina. Lei non ha un utero e quindi si sente di non essere una donna, ma è una costruzione che si è fatta lei: con questa sindrome è difficile avere dei bambini, ma non impossibile e infatti ci sono poi state delle sorprese.
In attesa dell'incontro con il medico continuava a svalutarsi in seduta: «sono un architetto senza idee, mi faccio licenziare». Diceva che nella sua scuola di architettura, a 18 anni, aveva il desiderio di costruire dei luoghi eccezionali per artisti, ma «non so dove siano andate a finire le mie idee e la mia eccitazione»: a quel punto aveva fatto un lungo silenzio per poi riprendere: «vorrei andare a Londra, adoro quella città, adoro quella lingua». Questa donna si è esiliata quando ha iniziato a fare coppia con il partner, prima era particolarmente vivace, poi ha preso l'abitus della bambina senza desiderio, ha la intima convinzione che le serva un utero per essere una donna fatta e finita, “una donna moderna” come dice lei.
Parla del suo compagno: «non avrò mai bambini, mi lascia fare, lui è molto gentile», quindi intervengo in modo piuttosto sostenuto «allora l'amerebbe soltanto per pietà?».
Successivamente va dal medico, torna e dice «è stato molto gentile, mi sono sentita accolta». Il medico ha fatto una nuova ecografia con l'obiettivo di appoggiarsi a un'immagine che sia la sua, e soprattutto per mettere delle parole sull’assenza di quest'organo. Finalmente questo medico le da un'immagine e anche un certo sapere su questa sindrome, perché queste sindromi vaginali-uterine sono molto diverse da donna a donna.
Avevo notato che nel momento in cui aveva detto che il medico era stato molto gentile era come se i suoi capelli si fossero ravvivati, si era risvegliata, così le avevo chiesto «Ma allora, come è fatto questo corpo?», e lei: «non lo sa? Ho le ovaie!». Quindi scopriamo che in questa sindrome non c'è l'utero ma possono esserci le ovaie, e lei aggiunge «ho delle ovaie, penso che questo mi basti». Questo annuncio ha un effetto spettacolare su Flora e il suo desiderio. Sembra aver trovato la sicurezza che le mancava: avere delle ovaie le permette di essere come donna. Inoltre 4/5 anni prima, in Svezia c'era stato il primo trapianto d'utero: in questi casi si fa un trapianto d'utero per avere un bambino e poi lo si toglie.
Al «lei può avere dei bambini» del medico risponde quindi un risveglio del desiderio, questa donna si sente viva e desiderante, pronta a tutto in nome di queste sue voglie, cosa che trovo interessante ma anche inquietante. Lei dice «non so cosa mi succede, ma il mio desiderio è senza fine» e aggiunge «riflettendoci, non sono poi così sicura di volere avere dei bambini». Oggi la seguo ancora, lei ha ripreso il suo lavoro d'architetto e passa 15 giorni a Londra e 15 in Francia, e sta rifacendo tutto il quartiere di Bloomsbury a Londra, un quartiere abbandonato che sta ricostruendo per fare delle case per artisti.
Questo caso clinico è per mostrare come a partire dal fantasma (l’essere una bambina), l'appello all'Altro (il ginecologo in questo caso) ha permesso, attraverso l'Immaginario (la sua ecografia, diversa da quella della madre), che il desiderio fosse sostenuto, anzi rilanciato.


Trascrizione: Martina Lanza
Revisione: Alberto Tuccio

giovedì 9 maggio 2019

Seminario fondamentale Istituto Freudiano di Milano, 26 gennaio 2019. Docente invitato: Jean-Louis Gault



Testo di riferimento: J. Lacan, Il seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione, Einaudi, Torino, 2016.

Capitoli XVI, XVII, XVIII e XIX.




Il seminario VI è intitolato Il desiderio e la sua interpretazione ma, come sottolineava Jacques-Alain Miller nella presentazione della pubblicazione, il vero titolo dovrebbe essere “Il desiderio e il fantasma”: il nocciolo del seminario non è l’interpretazione, ma è il rapporto inconscio tra il soggetto e il suo oggetto nell’esperienza desiderante del fantasma. Ciò emerge con forza nei capitoli XVI, XVII, XVIII e XIX che rientrano tra quelli che Lacan dedica all’Amleto di Shakespeare.
La formula del fantasma - $ à a - è il punto determinante dell’interpretazione che Lacan ci dà dell’Amleto. Il fantasma è una relazione tra il soggetto in quanto marcato dal significante – scritto come barrato, quindi il soggetto della parola, del linguaggio, il soggetto parlante – e l’oggetto nel desiderio – come sottolinea Lacan: non oggetto del desiderio, ma oggetto nel desiderio. Il fantasma è il rapporto soggetto-oggetto nel desiderio. La chiave del dramma del desiderio di Amleto si trova in questa formula ed è a partire da essa che Lacan lo interpreta: il dramma di Amleto è il dramma del desiderio.
Per Amleto il dramma del suo desiderio è di sapere che cosa deve fare: assassinare Claudio, come ha domandato il fantasma del padre. Lui lo sa, lo deve fare, e accetta questa missione: non ha dubbi su questo punto, non c’è divisione in Amleto, sa cosa deve fare: assassinare l’amante di sua madre. Nonostante abbia il desiderio di farlo, nonostante sia concorde con lo scopo e non abbia dubbi a riguardo, la pièce ci racconta l’impossibilità per Amleto di raggiungere il suo desiderio, la difficoltà di Amleto per assassinare Claudio. Soltanto alla fine della tragedia Amleto riesce a realizzare il suo desiderio. La lettura che ne fa Lacan intende rispondere due questioni:
1) perché Amleto non riesce a realizzare un desiderio per nulla inconscio, anzi chiaro, enunciato, che conosce e che vuole raggiungere?
2) Perché riesce a realizzarlo solo nelle circostanze molto particolari della fine dell’opera?
Il capitolo XVI comincia con il lamento di Amleto: «Mi si dia il mio desiderio!» (p. 321). È anche ciò che tutti i critici, gli attori e gli spettatori afferrano dell’Amleto, ciò che si ripete lungo la pièce e Lacan rileva: «Vi ho anche detto che è così a causa dell’eccezionale, del geniale rigore strutturale raggiunto dal tema dell’Amleto nell’opera skakespeariana».
Il tema dell’Amleto è un tema antico, è cominciato nel dodicesimo secolo con l’opera Gesta Danorum di Saxo Grammaticus, e cinque secoli dopo Shakespeare lo riprende dandogli una forma che Lacan qualifica come geniale perché vi riconosce un’articolazione perfetta del problema che il desiderio pone al soggetto.

«Questa forma si caratterizza ai nostri occhi, con il metodo che impieghiamo qui, per qualcosa che io chiamo la struttura.
La struttura è precisamente ciò in cui cerco di darvi una chiave che vi consenta di orientarvi con certezza, ovvero la forma topologica che ho chiamato il grafo e che forse potremmo chiamare il gramma». (p. 321)

La lettura di quest’opera da parte di Lacan non è una psicoanalisi di Amleto, e neppure quella di Shakespeare. Non rientra neppure nella cosiddetta psicoanalisi applicata. Per Lacan, la psicoanalisi si applica soltanto a un soggetto vivente che parla e che gode, realmente. Non possiamo dire ciò di Amleto: non è vivente, non parla, non gode. La psicoanalisi si applica a un soggetto reale. C’è la teoria analitica, che è una teoria della pratica analitica, e c’è la pratica analitica, vale a dire l’applicazione di questa psicoanalisi pura a un soggetto reale. A questo proposito Lacan dice:

«Come vi ho già detto, Amleto non è questo o quello, un ossessivo o un isterico, e in primo luogo per la buona ragione che è una creazione poetica. Amleto non ha una nevrosi, ci dà una dimostrazione di nevrosi, il che è tutt’altra cosa dell’essere nevrotici. Nondimeno, quando guardiamo Amleto sotto una certa luce dello specchio, egli ci appare, per alcune frasi, più vicino alla struttura dell’ossessivo. Ciò dipende da quello che è l’elemento rivelatore della struttura nell’ossessivo, l’elemento che è massimamente valorizzato dalla nevrosi ossessiva, e cioè che la funzione principale del desiderio consiste qui nel mantenere le distanze dall’ora dell’incontro desiderato, nell’attenderla». (p. 325)

Ciò che troviamo nell’Amleto di Shakespeare è questa struttura: la struttura di un soggetto che ha una relazione con un desiderio ma che rimanda sempre l’ora dell’incontro con questo desiderio.
Ma non si può interpretare Amleto con la psicoanalisi, al contrario è la creazione poetica di Shakespeare che genera un modello come il personaggio di Amleto; solo dopo possiamo interpretare un soggetto reale a partire dall’Amleto. Questo Lacan lo dice limpidamente a p. 273: «Io sostengo, e sosterrò senza ambiguità – e così facendo penso di essere in linea con Freud – che le creazioni poetiche generano, più che riflettere, le creazioni psicologiche». Queste precisazioni vanno nella direzione di rigettare una certa deriva psicoanalitica rispetto al commento delle opere d’arte, in particolare il lavoro di Jones sull’Amleto.
Seguendo quanto dice Lacan si potrebbe pensare che quest’opera contribuisce alla costruzione del grafo del desiderio, infatti sia ne chiarifica alcuni punti sia permette proprio a Lacan di completare questa costruzione che aveva iniziato a sviluppare l’anno precedente. Ciò che non si intendeva, riprendendolo a partire dalla tragedia shakesperiana, si chiarisce: dal fantasma, al fallo, all’oggetto del desiderio, al desiderio stesso, alla relazione del desiderio con il desiderio dell’Altro. Più in generale lo studio dell’Amleto è un contributo alla teoria del desiderio, a partire da Shakespeare. Dunque la lettura dell’Amleto da parte di Lacan è un pezzo di teoria analitica, in particolare teoria analitica del desiderio.
Il dramma del desiderio di Amleto non è dovuto a un conflitto interiore, Lacan lo evidenzia a p. 323: «Bisogna uccidere Claudio. L’assassinio da compiere, l’assassinio che Amleto vuole compiere è un assassinio giusto. Contrariamente a quanto alcuni autori hanno suggerito, come vi ho già detto, non c’è in lui un conflitto di diritti o di ordini riguardo ai fondamenti dell’esecuzione della giustizia». Il problema sta piuttosto nel realizzare il suo desiderio e Lacan si domanda il perché. È una questione generale sul desiderio: nel soggetto nevrotico, per esempio, c’è il desiderio, ma il soggetto non riesce a realizzarlo. In questo la pièce di Shakespeare ha avuto e ha tutt’ora una grande attualità perché è strutturata secondo le coordinate del desiderio dunque, in qualsiasi momento storico, quando si legge Amleto, ognuno riconosce la struttura del desiderio e le difficoltà del suo desiderio. Qualunque sia la struttura soggettiva (ossessivo, isterico, perverso o psicotico), il grafo del desiderio vale per tutti, con la sua struttura si confronta ogni soggetto. Questo perché il desiderio appare nel soggetto parlante in quanto tale: parlare vuol dire desiderare, è un effetto del linguaggio. Il linguaggio implica delle conseguenze sul soggetto, una di queste è il desiderio, che si struttura secondo le coordinate del grafo.
Ciò che fa enigma nel desiderio di Amleto è l’attesa: l’attesa dell’incontro con la realizzazione del suo desiderio. Lacan sottolinea di rifarsi al il termine erwarten,  utilizzato da Freud in Inibizione, sintomo e angoscia, che vuol proprio dire attendere, fare attendere. Rispetto all’imperativo “bisogna uccidere Claudio”: «Non c’è l’ambiguità in lui [Amleto, ndr] fra l’ordine pubblico, la mano della legge, e gli impegni privati». Secondo la legge Claudio deve essere assassinato, e lui, come figlio del padre ucciso, deve compiere questo desiderio, non c’è conflitto – come può apparire, invece, nelle pièce di Racine, in cui c’è conflitto tra l’ordine pubblico e il desiderio proprio del soggetto. «Egli non ha dubbi sul fatto che questo assassinio coincida con la legge», non c’è dunque conflitto tra desiderio e legge, «Ma quello che ci appare immediatamente nel leggere il testo è l’intimo legame fra questo assassinio che non fa problema ad Amleto e la sua morte». Ecco un importante elemento: la morte di Amleto, che avverrà alla fine della tragedia. Soltanto quando Amleto è colpito a morte da Laerte, sa che morirà, gli manca poco tempo, in questo breve intervallo può raggiungere il suo desiderio: uccidere Laerte e Claudio, per poi morire.
Qual è il messaggio? Cos’è questa rivelazione che il padre fa al figlio? «Questa risposta, che in definitiva è il messaggio nel punto in cui si costituisce sulla linea superiore, quella dell’inconscio, ve l’ho già simbolizzata anticipatamente, non senza essere perciò costretto a chiedervi di darmi credito […] La risposta ho cominciato ad articolarla nella forma seguente […]» (p. 327). Qui Lacan riprende il grafo che inizia con la catena significante: qualcosa esce dalla bocca quando si parla. A partire da una frase, un enunciato, si deduce un’intenzionalità: cosa ha voluto dire questo soggetto che ha parlato? Questo è il primo incrocio nel percorso del grafo: l’enunciato, la catena significante, incrocia l’intenzionalità del soggetto. È necessario un certo tempo perché si possa porre l’interrogativa su cosa ha voluto dire questo soggetto. Questo quesito si può formulare a partire dall’Altro del significante – per esempio il francese quando parlo francese, l’italiano quando parlo italiano –: a partire da un insieme di significanti si deduce un certo significato. Ma c’è un al di là di questo enunciato: c’è sicuramente una significazione che si deduce dall’analisi grammaticale dell’enunciato, ma al di là c‘è un’intenzionalità. Ecco allora un’ulteriore interrogazione: che vuoi? A questo livello incontriamo un messaggio ultimo, che Lacan inscrive sulla linea superiore del grafo, la linea dell’inconscio. Infatti sulla linea inferiore del grafo abbiamo l’enunciato conscio, mentre la linea superiore è inconscia.
A quel livello qual è il messaggio? C’è una risposta a questo livello che Lacan scrive così: S(Ⱥ), ovvero significante dell’Altro barrato. Lacan interpreta il messaggio del padre come un messaggio sull’ultima verità: il valore della pièce di Amleto è di farci vedere cosa accade a livello inconscio, questa rivelazione sul messaggio ultimo che normalmente non abbiamo. Nella vita quotidiana questa parte del grafo è velata, non la incontriamo, è soltanto attraverso l’analisi che possiamo sollevare questo velo sulla parte inconscia e raggiungere il messaggio ultimo sotto la forma di questo S(Ⱥ).
L’Amleto getta quindi luce su ciò che accade a livello inconscio, sotto la forma del messaggio del padre. Cosa vuol dire questo messaggio? Lacan, per spiegare la formula S(Ⱥ), dice nelle pagine 327-328:

«Anzitutto la S maiuscola, che sta per significante. Ciò distingue già la risposta a livello della linea superiore dalla risposta a livello della linea inferiore, la  quale si inscrive con una s minuscola, che sta per significato.
A livello del discorso semplice, infatti, il senso di ciò che abbiamo voluto dire è modellato dalla parola che si svolge a livello dell’Altro. La risposta è dunque sempre, in relazione a quella parola, il significato dell’Altro, s(A). Ma esiste un aldilà di questo discorso semplice, dove il soggetto pone a se stesso la questione Chi parla? Chi avrà voluto dire questo o quello a livello dell’Altro? In fin dei conti, in tutto questo, che cosa sono diventato io? A questo livello, come vi ho già detto, la risposta è il significante dell’Altro con la barra: S(Ⱥ).
Ci sono mille modi di cominciare a svilupparvi quanto è incluso in questo simbolo, ma dal momento che ci troviamo nell’Amleto sceglieremo oggi la via chiara, evidente, patetica, drammatica. L’Amleto ci dà la possibilità – e sta qui il valore della pièce – di accedere al senso di S(Ⱥ).
In effetti, il senso di ciò che Amleto viene a sapere dal padre ce l’abbiamo davanti, chiarissimo. È l’irrimediabile, assoluto, insondabile tradimento dell’amore […]».

Questo è il messaggio del padre: il mio amore è stato tradito da mia moglie, che con la complicità di Claudio mi ha ucciso. E, Lacan sottolinea:

«[…] dell’amore più puro, dell’amore di quel re che naturalmente, come tutti gli uomini, può essere stato un gran furfante, ma che con quell’essere che era la sua donna era uno che arrivava al punto di allontanare dal suo viso i soffi del vento, the winds of heaven – almeno stando a quanto dice Amleto. È l’assoluta falsità di quella che ad Amleto era apparsa come la testimonianza stessa della bellezza, della verità, dell’essenziale.
Consiste in questo la risposta. La verità di Amleto è una verità senza speranza. In tutto l’Amleto non c’è traccia di un’elevazione verso qualcosa che si trovi al di là, riscatto o redenzione. Ci è stato detto che il primo incontro procedeva da Sotto. Il rapporto infernale con quell’Acheronte che Freud, non potendo piegare le potenze superiori, ha scelto di mettere in subbuglio – ecco dove in effetti si situa l’Amleto.
[…] Ma questa risposta, per quanto penosa sia, ve la do soltanto come una traccia nell’ordine del sensibile, del patetico, giacché qualsiasi conclusione, o qualsiasi verdetto, per quanto radicale sia nell’assumere una forma accentuata nell’ordine del cosiddetto pessimismo, è fatta ancora per velarci ciò di cui si tratta».

Dunque questo riferimento al tradimento dell’amore è soltanto per velare la vera risposta. «Di quella riposta occorre poter dare una formula che stringa più da vicino quanto ha motivato la scelta di quella sigla, e cioè la ragione di S(Ⱥ)» (p. 329). Qual è la significazione ultima di questa formula? «Se così si può dire è questo il grande segreto della psicoanalisi. Il grande segreto è che non c’è Altro dell’Altro». Questa è la vera risposta: non il tradimento dell’amore, ma la drammatizzazione di questa verità ultima: non c’è Altro dell’Altro.
Ciò significa una cosa molto precisa: «Nell’Altro non c’è alcun significante che possa, eventualmente, rispondere di quello che io sono» (p. 330). La vera significazione di questa formula è dunque che manca un significante nell’Altro, «è una verità senza verità», perché niente garantisce questa verità, questo significante manca sempre.
Attraverso il messaggio del padre e la sua interpretazione con la formula di S(Ⱥ), Lacan introduce alla dimensione del significante mancante di cui fornisce anche una scrittura: -φ, il fallo. Questo significante che manca è da mettere in relazione con ciò che è il fallo nell’economia del desiderio. Da qui è possibile capire perché per Amleto sia così difficile raggiungere il suo desiderio: l’assunzione del desiderio suppone la castrazione, ovvero l’uso del fallo. Quando il soggetto non può utilizzare il fallo non può assumere il suo desiderio. Questa condizione è molto chiara in Amleto in primis rispetto all’assassinare Claudio ma anche nella relazione con una donna: non può assumere il suo desiderio per Ofelia.
Il primo incontro con Ofelia avviene dopo quello con il ghost: Lacan lo qualifica come molto crudele («Amleto si comporta con Ofelia con una crudeltà del tutto eccezionale», p. 334) perché Amleto rigetta il suo amore per Ofelia e la tratta male. Questo rapporto mette in evidenza nuovamente l’incapacità, o la mancanza, per Amleto, dell’uso del fallo che rende impossibile l’assunzione del desiderio, in questo caso per Ofelia. Si può anche dire che per Amleto l’impossibilità riguarda il raggiungimento della castrazione.
Alla fine della tragedia, davanti al lutto di Laerte per la sorella Ofelia, vi è una risposta a questo problema. Ofelia è morta, è nella tomba, Laerte raggiunge il corpo e mostra il suo dolore per la perdita di una persona amata. Amleto si trova lì, scende nella tomba, raggiunge Laerte e lottano, perché non sopporta lo spettacolo del dolore di Laerte, e dice «Io amavo Ofelia». È soltanto attraverso il lutto di Laerte che può riconoscere il proprio lutto, il proprio dolore, il proprio desiderio di aver amato Ofelia. Non può che dirlo in questo momento, quando è impossibile raggiungere Ofelia.
La dimensione del lutto è da legare alla mancanza, alla castrazione. Cos’è un lutto? È essere confrontati, dopo la perdita di una persona amata, con un buco nel reale. Per Lacan è attraverso questo che si vede che c’è il reale. Non c’è soltanto il simbolico, o l’immaginario, o le costruzioni sociali, eccetera, c’è anche il reale: il reale del sesso, ad esempio.
Il lutto è un tentativo di ricoprire questo buco, esempio ne sono i riti che seguono la morte di un essere umano. Lacan sottolinea che questo buco lo si può ricoprire, ma non sparisce, si mantiene, c’è sempre un buco: questo è equivalente a dire che a livello del simbolico manca un significante. Dunque il lutto ci conduce alla mancanza di un significante – quello che Lacan aveva scritto come S(Ⱥ), o come fallo, o come castrazione.
È solo attraverso il lutto, quello di Laerte, che Amleto può raggiungere realmente il suo desiderio per Ofelia. È soltanto in queste circostanze, o meglio, in ciò che accade dopo, quando, nel duello tra Laerte e Amleto, i due protagonisti hanno in mano il fioretto – in inglese il foil – ed è soltanto in questo momento che Amleto può usare il fallo, sotto la forma del foil. Tuttavia ciò è possibile soltanto quando è stato colpito ed è morente. Dunque ci sono due tappe nell’assunzione del desiderio da parte di Amleto: prima il desiderio per Ofelia permette l’assunzione del proprio desiderio e dunque può prolungare questo desiderio fino all’assassinio di Claudio, ma questo è possibile soltanto attraverso la morte, attraverso ciò che avviene nel luogo della castrazione; Amleto non lo fa in quanto vivo, ma in quanto marcato dal buco del regno dei viventi.
È ciò che è formulato attraverso S(Ⱥ): quando si trova la barra sull’Altro, quando si incontra l’Altro castrato – l’Altro marcato dal significante, dalla mancanza, dal lutto, eccetera – qua incontriamo l’Ⱥ.

«Il significante dell’Altro barrato potete riconoscerlo ovunque si trovi la barra sull’Altro. Il significante nascosto, quello di cui l’Altro non dispone, è precisamente quello che vi concerne. È quello stesso che fate entrare in gioco nella misura in cui, da quando, poveri sciocchi, siete nati, siete presi in questa benedetta faccenda di λόγος. Intendo dire la parte di voi che in questa faccenda viene sacrificata» (p.330).

Il λόγος, la parola, il linguaggio, colpisce il vivente, mutila il corpo, sottrae una parte di sé, una parte del vivente che viene sacrificata perché trasformata in significante. Parlando devo accettare di mortificarmi, perché la vita non è significanti, la vita è un’altra cosa. Dobbiamo parlare, ma dobbiamo anche agire, e ad un certo momento Amleto deve assumere il suo desiderio, deve assumere questa perdita, attraverso ciò che Lacan ha chiamato castrazione per qualificare questa mutilazione primitiva. Lo strumento di cui il soggetto dispone in questo contesto è il fallo.
Il soggetto è marcato dal linguaggio ed è castrato, ma può maneggiare questa perdita, questa mancanza, oppure no. Nel caso di Amleto, la risposta è no. Come nel caso di Ella Sharpe: all’inizio del seminario si vedeva come il paziente non potesse utilizzare questo significante; lui che era campione di tennis non poteva vincere una partita di fronte ad un avversario più debole di lui, perché non aveva a disposizione il fallo. L’uso del fallo traduce questo: il soggetto è confrontato con una mancanza, con una castrazione, ma può utilizzarla: è una debolezza che il soggetto può utilizzare. Questo è il significato della scrittura -φ.

«Essa non è sacrificata puramente e semplicemente, cioè, come si dice, fisicamente o realmente, bensì è sacrificata simbolicamente. E non è un’inezia, questa parte di voi che ha assunto funzione significante. È per questo che ce n’è una sola e non ce ne sono cento. Si tratta esattamente di quella funzione enigmatica che chiamiamo il fallo».

Il fallo è quello strumento che traduce la possibilità del soggetto di usare il fatto di essere marcato dal significante, marcato dalla castrazione.

«Il fallo è qui quel qualcosa di sacrificato dell’organismo, della vita, della spinta vitale, che si trova simbolizzato. Sapete che spinta vitale è un’espressione che a mio parere non è il caso di usare a sproposito, ma una volta circoscritta, simbolizzata, collocata là dov’è, soprattutto là dove serve, là dove effettivamente presa, vale a dire nell’inconscio, essa acquista il suo senso»

A questo punto, come situare la funzione del fantasma? A p. 331 Lacan inizia così: «Senza tornare per il momento sulle questioni poste dalla play scene, dalla scena degli attori – le questioni che vi ho indicato la volta scorsa –, vorrei oggi introdurre un elemento essenziale. Esso riguarda ciò a cui ci avviciniamo dopo aver stabilito la funzione delle due linee del grafo».
Come detto la linea inferiore è quella della catena significante, è la linea dell’enunciato, ma c’è una linea inconscia, vale a dire che si deduce, che normalmente è velata, ma che va fatta esistere, va interpretata. Nel caso della pièce di Shakespeare abbiamo una rivelazione su questa parte superiore del grafo, attraverso il messaggio del padre; abbiamo, da subito, accesso a questa zona del grafo che nella vita quotidiana è sempre coperta.
Lacan evidenzia che c’è un intervallo tra le due linee e normalmente è meglio che questo intervallo ci sia perché quando sparisce, quando si appiattisce, quando ignoriamo la linea superiore, ignoriamo l’aldilà della linea inferiore, allora riduciamo questo intervallo e ciò è una catastrofe. Ad esempio, d’innanzi alla richiesta «voglio il sale», non si vuole sapere niente di più, e questa è una catastrofe. «Tu vuoi il sale? Prego!», e basta, non si vuole sapere nulla di più. È una catastrofe perché questa frase invece può essere molto importante, può salvare una vita: in un determinato codice chiedere il sale significa che dobbiamo scappare perché c’è un pericolo. Una frase qualsiasi, amche banale, come chiedere il sale, può rappresenta quindi un codice, una parola d’ordine, un segnale. Qualunque frase, anche la più semplice, può avere un valore importante. È quindi importante considerare sempre l’aldilà della frase, mantenere questo intervallo nella vita quotidiana e nella pratica analitica. Invece la psicoterapia ignora questa dimensione, le terapie comportamentiste, cognitiviste, per esempio, non vogliono sapere niente dell’aldilà: si riduce l’esperienza umana a quella del topo; ancora questa settimana su un importante giornale francese si menzionava una scoperta, presentata come scientifica, che apriva la strada allo studio dell’autismo nel topo.
A discapito di questi tentativi riduzionisti, questo intervallo c’è: è l’intervallo del desiderio, dunque questa è la zona del desiderio. Nella nostra pratica è fondamentale avere presente questo per mantenere aperta la dimensione del desiderio, ma lo è anche nella quotidianità o in altri campi, come la vita amorosa o nell’educazione, dove, per esempio, è molto importante non ignorare la dimensione del desiderio in favore delle condotte del bambino. Questa dimensione del desiderio è aldilà dell’enunciato, aldilà di ciò che si dice, e va interpretata: solo così è possibile darle un posto.
Nel grafo c’è soltanto un intervallo: lì il desiderio può errare. Manca qualcosa che lo fissi: questa è la funzione del fantasma. Nel caso di Amleto siamo in questa situazione: c’è il desiderio ma gli manca l’appoggio per poterlo compiere, ovvero manca il fantasma.
Ecco allora che in quest’intervallo Lacan situa anche la linea del desiderio che si appoggia sul fantasma. Il fantasma, la realizzazione del fantasma, la concatenazione del fantasma, richiama un oggetto nel desiderio e quando questo oggetto non occupa il giusto posto per il soggetto il fantasma non c’è: il soggetto non ha a sua disposizione il fantasma in forma regolata e dunque di fronte al suo delirio si trova come senza bussola.
Il fantasma è la bussola del desiderio ma necessita di un oggetto particolare e questo è il problema di Amleto di fronte al suo desiderio: quando è con Ofelia, rigetta Ofelia come oggetto nel suo desiderio. Si trova dunque senza una risposta da poter dare al suo desiderio. Alla fine, con la morte di Ofelia e il lutto di Laerte, Amleto ritrova l’oggetto-Ofelia. In questo passaggio allora Lacan può dire che l’oggetto è il cursore del desiderio. Prima manca un cursore che fissi il desiderio, poi abbiamo il cursore del fantasma ma dobbiamo considerare che la formula del fantasma richiama l’operatività di un oggetto particolare che deve ritrovare il suo posto giusto nel desiderio del soggetto. Amleto sa che ama Ofelia: per lui non è una donna qualsiasi, è una donna particolare, che ama, ma non dà il posto giusto a questo oggetto perché non avendo assunto la castrazione non può usare il fallo nel modo giusto; piuttosto lo mette dal lato di Ofelia. Per lui Ofelia non è una donna ma una genitrice, una macchina per fare figli, un fallo. Lacan sottolineava la parentela tra Ofelia e φαλλός , in greco il fallo. Ma essere quella del fallo non è la posizione giusta per Ofelia. La posizione giusta l’abbiamo alla fine ed è quella di essere un oggetto nel desiderio, nel fantasma. Tutta la difficoltà di Amleto consiste nel ritrovarsi senza questo appoggio dell’oggetto nel desiderio e del fantasma.
Lacan evidenzia l’importanza dell’intervallo tra le due linee del grafo, che ritiene un elemento essenziale: «È nella distanza che può mantenere fra le due linee che il soggetto respira, se così si può dire, nel tempo che ha da vivere, ed è questo che noi chiamiamo desiderio» (p. 331). La respirazione del soggetto è possibile perché c’è un intervallo: possiamo interpretare molti sintomi di soffocamento, di difficoltà respiratorie, a partire dalla mancanza di questo intervallo. Se manca l’intervallo del desiderio non si può respirare.
A p. 332 si incontra la frase su Ofelia e il ruolo dell’oggetto nel desiderio. Sono pagine che Lacan dedica alle donne in Shakespeare e considera Ofelia come la figura femminile più completa in Shakespeare: «Ofelia sembra costituire il vertice della sua creazione del carattere femminile» (p. 334). In relazione ad Ofelia come matrice, a pagina 335 Lacan dice: «Ofelia, insomma, ci presenta un’immagine della fecondità vitale».
In conclusione, alla luce di quanto detto, si può riprendere il rapporto tra Amleto ed Edipo. Fino a questo seminario di Lacan, gli psicoanalisti interpretavano Amleto sulla base dell’Edipo. Lacan rigetta questa impostazione, a p. 326 si chiede: «Che cosa distingue in definitiva la posizione di Amleto rispetto alla trama fondamentale dell’Edipo?». Una cosa molto importante: nel caso di Amleto abbiamo un soggetto che sa quello che deve fare ma non riesce a farlo, mentre nel caso di Edipo nessun problema! Edipo compie, senza tergiversare, l’assassinio dell’uomo che aveva incrociato sulla sua strada…ma non sapeva che fosse il padre!
La prima distinzione importante sta in questo: non c’è attesa, Edipo compie immediatamente questo atto e non sapeva. Amleto, invece, sa, conosce tutta la storia, conosce chi ha ucciso suo padre, sa quello che deve fare, ma non può farlo.
Il secondo punto sottolineato da Lacan è che nel caso di Edipo il padre non sa cosa gli accade. È stato ucciso, ma non sa che è stato ucciso da un figlio, il figlio che aveva abbandonato. Edipo non sa. Nel caso di Amleto, il padre sa e Amleto sa. Sono due situazioni completamente diverse e opposte. Lacan, dunque, non interpreta Amleto a partire dall’Edipo, ma situa Amleto al livello del mito di Edipo. Il complesso di Edipo è un mito freudiano. Totem e Tabù è un mito creato da Freud, non è una verità storica, è un mito e Lacan sottolinea il fatto che questa è sicuramente l’unica occasione in cui vediamo sorgere un mito nell’epoca moderna.
Fino a Lacan si è preso Totem e Tabù come una verità storica, mentre lui abbandona questa lettura e considera quel testo un mito: Amleto è da situare allo stesso livello. Non ci si deve far confondere dal fatto che Lacan, a un certo punto, parla dell’Amleto come di un dramma edipico. Con questa definizione non intende dire che Amleto sia da interpretare a partire da Edipo, ma piuttosto che è da situare a livello del mito.


Trascrizione: Luca Amabile & Jessica Lucarini
Revisione: Alberto Tuccio