mercoledì 9 gennaio 2019

Seminario fondamentale Istituto Freudiano di Milano del 1 dicembre 2018. Docente invitato: Philippe De Georges


Testo di riferimento: Il seminario VI, Il desiderio e la sua interpretazione, Capitoli XIII, XIV, XV.
Su un sogno analizzato da Ella Sharpe


Non si fa un Amleto senza rompere delle uova. (1)



I. Contesto e posta in gioco.

Lacan segue la via che lo separa dall’orientamento dell’IPA e della Psicologia dell’Io che al suo interno va per la maggiore. Egli si oppone allo scivolamento della pratica analitica verso una forma di psicoterapia adattativa, mirante a normalizzare il soggetto a vantaggio dell’esigenze sociali. Questa deriva posa sulla tesi di un Io autonomo, capace di raggiungere un’armonia tra la soddisfazione delle pulsioni e le istanze della società. Il conflitto intrapsichico tra l’Es e il Super-io espressione degli imperativi morali può condurre ad un accordo vincitore-vincitore. Ciò suppone, da un lato, la moderazione delle esigenze superegoiche, un Super-io democratico e liberale sul modello del padre edipico (che si accontenta di proibire la madre e si offre come modello di un’identificazione pacificata) e dall’altro la pacificazione della pulsione attraverso la maturazione della libido.
Per Lacan questa impostazione è una deviazione dal messaggio freudiano e, in questo seminario, lavora per reintrodurre la prospettiva del desiderio che è per sua essenza sovversivo: «la verità del desiderio è di per se stessa un’offesa all’autorità della Legge». Da qui la censura di questa verità (2). Si delinea già il filo conduttore che porterà nel seminario dell’anno successivo a prendere la figura di Antigone come esempio di ciò che vuol dire "non cedere sul proprio desiderio". Questo avverrà mediante un mezzo, la trasgressione delle leggi della città, e comporterà un prezzo da pagare: la doppia morte. Un’analisi centrata sul desiderio inconscio del soggetto va nella direzione non dell’adattamento, ma dell’emancipazione.
Questo seminario si inscrive nel periodo dell’insegnamento di Lacan in cui segue “passo passo” il testo di Freud, traducendolo però con i propri significanti. Da qui il concetto di desiderio – in quegli anni ne aveva anche costruito il grafo –, che non appartiene al vocabolario freudiano. Freud parla in effetti di Wunsch (die Wunsche al plurale), cioè di augurio, di speranza e si fa promotore di questo termine soprattutto riguardo alla posta in gioco inconscia del sogno, nell’Interpretazione dei sogni. Tuttavia il suo apparato teorico mette piuttosto in risalto i concetti di pulsione e di libido. Il termine desiderio, preso dal linguaggio corrente, proviene dalla filosofia, da Spinoza innanzitutto che nella sua Etica afferma: «il desiderio è l’essenza dell’essere» e lo descrive come una potenza continua che spinge l’uomo a perseverare nell’affermazione di sé e nella sua esistenza. Il termine è anche valorizzato da Hegel, in quel periodo ancora uno dei punti di riferimento di Lacan, per il quale si tratta soprattutto, nella dialettica del padrone e dello schiavo, del "desiderio di riconoscimento". Così la categoria del desiderio rientra nell’istanza del simbolico, nel registro significante, mentre i concetti freudiani di pulsione e di libido si radicano nel godimento. Da qui una lettura possibile del titolo del seminario: il desiderio è la sua interpretazione.
Prima del capitolo XIII Lacan ha studiato dei casi della letteratura analitica, tra i quali un caso dell’eccellente Ella Sharpe, cercando di individuarvi il desiderio inconscio dei soggetti e la sua interpretazione nell’analisi. Da quel capitolo iniziano invece ciò che J-A. Miller ha chiamato Sette lezioni su Amleto.
Amleto non è un “vero” soggetto, è un personaggio di fantasia e per l’esattezza una invenzione letteraria di Shakespeare. Il fatto di precisarlo evita di cercare di fare una diagnosi di struttura e di tentare di classificarlo dal lato dell’isteria, della nevrosi ossessiva o di uno stato ciclotimico.
La lettura che propone Lacan ruota intorno alle nozioni tratte dalla dottrina analitica, delle quali egli problematizza e precisa o modifica l’utilizzo.  Così il termine “oggetto” attraversa questo seminario come oggetto del desiderio. L’accento è messo sui suoi spostamenti e sulla sua sostituzione metonimica nello scivolamento del desiderio.  L’altro termine che fa da perno è quello di fallo.
Il testo permette di seguire il percorso del ragionamento di Lacan, il suo avanzamento di seduta in seduta. Questo percorso ruota intorno all’invenzione dell’oggetto piccolo a nelle sue differenti forme, al posto centrale che ricopre nell’economia desiderante e al rapporto del soggetto con la vita. Tutto ciò è anche strettamente legato alla formulazione del fantasma fondamentale che sarà per parecchi anni l’ultima parola dell’elaborazione lacaniana relativa all’esperienza dell’analisi e dei suoi fini.

II. Capitolo XIII.
Lacan riparte dal caso di Ella Sharpe che illustra «la relazione tra il soggetto e l’oggetto più o meno feticcio». Il soggetto rifiuta la castrazione dell’Altro e vuole conservare il fallo della madre, questo fallo che viene al posto dell’identificazione primitiva con lei. Così nel transfert è Ella Sharpe stessa al posto del fallo idealizzato. La questione che s’impone rispetto al fallo allora è di esserlo, posizione femminile, o di averlo, posizione maschile?
Lacan trova l’eco della frase-chiave della pièce teatrale dell’Amleto: essere o non essere. Ciò che risuona è però “essere o non essere il iallo” piuttosto di “esistere o non esistere”. Lacan fa notare che già in un testo fondante della psicoanalisi qual è l’Interpretazione dei sogni, Freud considera Amleto importante tanto quanto Edipo per l’elaborazione del complesso di castrazione. Dal momento in cui ha introdotto il personaggio di Edipo e il complesso che ne deriva, Freud dice che il sogno mostra la realizzazione dei desideri inconsci (Wunschphantasie). Nel dramma di Amleto, i suoi desideri appaiono respinti e si manifestano soltanto attraverso la loro inibizione. Questa inibizione non è dell’ordine del dubbio, ma della sospensione indefinita dell’atto che Amleto sa di dover compiere e che il fantasma di suo padre gli ha comandato. Freud propone un’interpretazione di ciò che causa questa inibizione e parla di «tradurre in termini coscienti ciò che dimora inconscio nell’anima dell’eroe». Colui che egli deve uccidere, suo zio assassino di suo padre e doppiamente usurpatore [del trono del padre di Amleto e di Amleto stesso che avrebbe dovuto succedergli, ndr], ha in effetti realizzato il suo desiderio infantile, ossia scacciare il padre e prendere il suo posto presso la madre. Quanto al dibattito incessante che sembra trattenere Amleto, Freud lo qualifica come “scrupoli coscienti”. Per Freud, l’eroe teatrale esprime senza dubbio i sentimenti personali di W. Shakespeare che ha appena perso suo padre; tra l’altro Freud quando scrive l’Interpretazione dei sogni si trova nella medesima contingenza.
L’opera si apre con ciò che avviene dopo la morte del re, un sovrano ammirabile e padre ideale: egli si è sentito mordere da un serpente in un frutteto. La regina, madre di Amleto, sposa in fretta Claudio, suo cognato, che ha dunque scacciato Amleto dal trono e preso il posto del re. È allora che appare il Ghost, il fantasma del padre morto. Egli rivela a suo figlio il tradimento di cui è stato vittima e l’attentato che ha subito: gli è stato versato del veleno nell’orecchio durante il sonno. Il re sa di essere morto, secondo il desiderio di suo fratello Claudio, che voleva prendere il suo posto. Egli sa ciò che tutti ignorano, compreso Amleto in questo momento, al contrario di Freud che non sapeva la verità del suo essere e agiva in modo inconscio. Notiamo che questa frase, «il re sa di essere morto secondo il desiderio di suo fratello», fa pensare ad un sogno di Freud, raccontato da costui nella sua Interpretazione dei sogni: «il padre non sapeva di essere morto, secondo il suo desiderio».
Claudio è così al tempo stesso il rivale edipico di Amleto, poiché egli è al posto del padre come re e come congiunto di sua madre e doppio di Amleto, perché ha realizzato il suo desiderio infantile. Tutto convergerebbe nel legittimare l’atto di Amleto: l’impostura, il tradimento, la rivalità eppure il compimento di questo atto è sorprendentemente inibito. Dunque qualcosa non funziona nel desiderio di Amleto: è qui che Lacan riprende la scrittura del grafo che sta costruendo, inserendo il matema del fantasma e l’oggetto a, interrogandosi sul fantasma inconscio di Amleto.
Il fantasma inconscio è diverso dal rapporto di Amleto con il suo oggetto conscio che, invece, concerne lo statuto di Ofelia e fa di quest’opera teatrale il dramma del desiderio e del posto in esso dell’oggetto femminile.
Lacan qualifica la morte di Ofelia come “suicidio ambiguo”. Ciò che emerge è l’orrore della femminilità espresso da Amleto, che si traduce acutamente nei discorsi che egli fa tanto ad Ofelia quanto a sua madre sulla degradazione e corruzione inevitabile della carne. La procrastinazione dell’eroe, che manifesta la sua inibizione, non è in nessun modo – ci dice Lacan – un dubbio (come nell’ossessivo). La sua motivazione non è edipica – Lacan si allontana qui da Freud – poiché la rivolta contro il padre è un atto creatore. L’inibizione di Amleto deriva dalla confessione che ha fatto suo padre: egli «è stato sorpreso (dalla morte) nel fiore del suo peccato». Essere ed agire sarebbe dunque prendere su di sé questo posto, che è quello del peccato dell’Altro, del peccato non pagato. Da qui la domanda relativa a sapere come trovare i modi per «ricongiungersi al suo atto».
Alla fine, in modo precipitoso, Amleto riesce ad uccidere Claudio, non senza però aver ucciso prima il suo amico Laerte, non senza che sua madre si sia avvelenata e che egli stesso si sia ferito a morte da solo… avviene dunque una “rettifica del desiderio”. Ciò che mancava all’agire è stato improvvisamente ritrovato.

III. Capitolo XIV.
Lacan fa riferimento, tra gli altri, agli scritti di Ernest Jones su Amleto, che nel 1910 s’interrogava sul significato dell’oggetto femminile e sul mistero di Amleto. Jones non ha ripreso la spiegazione, largamente ammessa e formulata da Goethe, secondo la quale è un eccesso di pensiero che paralizza l’atto di Amleto, poiché, in effetti, Amleto non formula dubbi sull’atto che deve sostenere. Per Jones è il compimento dell’atto che ripugna il principe e il motivo non è da ricercare nei ragionamenti dell’eroe, ma è un motivo inconscio.
Lacan sostiene che quest’opera teatrale non sia rappresentabile in francese, non ne ha mai vista una buona interpretazione e non ne conosce neppure una buona traduzione. Il motivo è che il testo inglese è incisivo, violento, stupefacente, moderno. Ciascuno si riconosce nel personaggio e in come il desiderio dell’uomo resti intrappolato in uno specchietto per allodole, desiderio organizzato dall’Edipo e dalla castrazione. Sin dall’inizio della tragedia si coglie come Amleto sia preso da una sensazione di tradimento davanti al decadimento morale di sua madre e ai preparativi per le nozze: tutto accade dopo soli due mesi dalla morte del re, senza lavoro del lutto, con un uomo così mediocre in confronto al padre.  Si tratta, per lui, di fermare lo scandalo della regina e Lacan sottolinea qui il nodo della faccenda tale quale si rivela nelle parole del fantasma: l’essenziale non è tanto la questione dell’assassino quanto il desiderio fuori controllo della madre.
Risulta sorprendente la cosiddetta play scene: Amleto fa in modo di far recitare ad alcuni attori di passaggio una scena di omicidio e di tradimento, modificando un po’ lo scenario così da renderlo analogo al dramma che vive. È il teatro nel teatro, come si dice il sogno nel sogno, la finzione nella finzione che è l’opera di Shakespeare. In questo modo, secondo Lacan, Amleto cerca di liberare la struttura della verità, la quale per lui ha una “struttura di finzione”. È per questo che, spesso, non c’è miglior modo di approcciare la verità che passando per l’invenzione artistica o letteraria. In questa scena Amleto mostra agli occhi di tutti e di Claudio stesso il tradimento criminale di cui suo padre è stato vittima. Claudio che lo comprende meglio di tutti e fa interrompere lo spettacolo nel quale si dice l’insopportabile del suo atto.
È allora che Amleto è convocato dalla sua inquieta madre: «Oh Amleto, non parlare più!». Essi s’incontrano e tutti e due si amano, ma il figlio vuole ottenere dalla regina la rottura con Claudio. In quel momento il fantasma del padre riappare, ma solo ad Amleto, ammonendolo dall’essere troppo irruento con la madre – tant’è che la regina domanda ad Amleto se la ucciderà –, lo invita a porsi «tra lei e la sua anima che combatte». Si tratta di intervenire nel punto in cui il soggetto è diviso e Lacan approfitta dell’occasione per dirci che è esattamente lì che lo psicanalista deve agire. Qui Amleto rinuncia ancora e lascia sua madre alla deriva del suo desiderio.
Amleto si trova in seguito davanti alla tomba di Ofelia che è morta a causa del suo amore ferito e del rifiuto radicale di cui è stata vittima nel suo essere di donna e nel suo rapporto carnale con la trasmissione della vita. Lui che l’ha maltrattata sino ad ora, s’identifica massicciamente alla disperazione espressa da Laerte, fratello di Ofelia, che si è precipitato sulla tomba scoperchiata ed urla la sua disperazione. Anche Amleto urla e si lancia nella fossa dove i due si affrontano a duello. Quando esce grida: «Sono io, Amleto il Danese!»: ha dunque ritrovato la sua identità difettosa, la sua posizione di soggetto, nel momento in cui ritrova, attraverso l’identificazione ad un suo simile, il suo desiderio svanito. Egli lo ritrova dimostrando che “il desiderio è il desiderio dell’Altro” poiché egli è, in questo momento, soggetto confrontato all’oggetto del suo desiderio, oggetto perduto e fallo morto. È questo rigurgito di vita che precipiterà l’azione e gli permetterà infine di andare incontro al suo destino. Il desiderio ha fatto ritorno: era ciò che mancava dunque alla realizzazione dell’atto decisivo.

IV. Capitolo XV.
In questo capitolo Lacan ricorda ciò che è il fondamento del desiderio del soggetto, in ogni caso per lui in quell’epoca: il desiderio della madre. È un passo in più: non si tratta soltanto di dire che il mio desiderio si costituisce attraverso l’identificazione con il desiderio dell’Altro, che io desidero l’oggetto del suo desiderio, si tratta di sostenere che il mio desiderio è causato dal desiderio nel quale sono stato preso. Sono stato l’oggetto del desiderio di mia madre e se questo manca, il desiderio del soggetto è privato del suo fondamento.
Preso nel desiderio materno, ma non del tutto! Poiché la madre ha desiderato anche un altrove, ha desiderato altra cosa rispetto a suo figlio, che è il suo prodotto. Ella è al tempo stesso madre e donna ed è il dramma del bambino, diviso tra la donna e la madre. Così tutte le donne sono delle puttane come mia madre (e non tranne lei, che sarebbe una santa) poiché ella desidera qualcuno o qualcosa d’altro, che è il suo partner nel godimento. L’insulto ha di mira la donna nella madre e il fatto che quella sia non tutta, che abbia un desiderio proprio da cui il bambino è escluso. Questo insulto si radica in ciò che Freud definisce «roccia della castrazione» (3) per gli uomini come per le donne: Ablehnung der Weiblichkeit, il rifiuto della femminilità. È per questo che Amleto tocca ciascuno di noi, in un modo oscuro, al livello del proprio inconscio, come le diverse versioni del mito di Edipo, e i due eroi sono elevati da Lacan al rango di mito, allo stesso titolo del Faust di Goethe. Il mito, cioè «ciò che dà forma epica alla struttura». Struttura del soggetto umano e articolazione di quest’ultimo al suo desiderio.
Nel suo svolgimento, l’opera teatrale mostra l’inibizione del desiderio di Amleto e la sospensione della sua volontà. È, come il riferimento classico all’Edipo suggerisce, il desiderio per la madre ad essere in causa e ad essere respinto nell’inconscio? Lacan afferma che è, al contrario, il desiderio della madre, quello che ella sperimenta, ad essere messo in causa. La doppia significazione dell’espressione “desiderio della madre” è familiare, a seconda che si prenda la formula nella forma del genitivo soggettivo o oggettivo. Ciò che Amleto attacca e denuncia è “ciò che vuole una donna” che è sua madre, in questa scena detta della “camera da letto”, in cui egli cerca di ferirla e di accentuare la sua divisione. «Tu mi hai spezzato il cuore in due», dice, quando lui la offende nella sua dignità. Poi Amleto desiste.
Da qui la domanda che pone allora Lacan: che cosa vuole veramente il soggetto, al di là di ciò che egli domanda all’Altro e di ciò che l’Altro gli domanda? Il desiderio del soggetto è sfuggente. È una x per lui stesso, ma questa x conosce una regolazione, un punto di fissità che è la formula del fantasma. Lacan dirà altrove che il fantasma «dà la sua cornice» al desiderio. Di fronte a sua madre, Amleto s’indirizza a lei senza appoggiarsi sulla sua propria volontà: le parla in nome del padre, del quale porta il messaggio. S’indirizza, al di là della madre, al codice, cioè, al tempo stesso, alla decenza e alla legge. Il desiderio non sostiene Amleto perché, come dice Lacan, «egli non ha più alcun desiderio», avendo respinto Ofelia. Amleto è il portavoce del padre, il suo sostegno e il suo luogotenente, svuotato di qualsiasi sostanza personale e non incontra al posto dell’Altro che la risposta della madre: «Sono quella che sono, con me non c’è niente da fare. Sono carnale, non conosco il lutto».
Al contrario, ciò che permette ad Amleto, davanti alla tomba di Ofelia, di ritrovare il supporto della sua verità è il lutto, alla fine possibile, dell’oggetto. Vedere Laerte esprimere la sua disperazione ristabilisce d’un colpo Ofelia come causa del desiderio, un desiderio infine rianimato. Egli può allora…battersi ed uccidere!

V. La chiave.
La chiave di Amleto non è nel dubbio: non ce n’è. La sua procrastinazione non è quella dell’ossessivo. Egli sa che deve uccidere Claudio e perché deve farlo. La chiave è lo svanire del suo desiderio che lo coglie nel fondamento vitale necessario all’azione.  È ciò che significa in fondo “essere o non essere”, esistere o non esistere. Ciò concerne l’essere del vivente, il desiderio e la vita. È un’eco del Mè Phunai espresso da Edipo a Colono, al termine del suo percorso. Perché il desiderio è, in fondo, desiderio di vivere ed è ciò che viene a mancare ad Amleto. La causa di questa flessione non è nell’assassinio da commettere, né in un’ambivalenza nei confronti di Claudio: è nel suo rapporto con l’oggetto femminile, con la madre in quanto donna, con il suo decadimento morale e con il suo tradimento che fa vacillare, per contaminazione, il suo rapporto desiderante nei confronti di Ofelia. Quest’ultima è sminuita e rifiutata a causa della cattiva condotta della donna che è la madre, la quale conduce al rifiuto della femminilità nel corpo dell’Altro. Ofelia è colpita nella sua femminilità corporea e nella sua potenziale capacità di trasmettere la vita.



Note


(1). Lacan Jacques, Le séminaire, Livre VI, Le désir et son interprétation, Editions De La Martinière et le Champ freudien, 2013, p. 400
(2). Ivi, p. 95
(3). S. Freud, Analisi terminabile e interminabile, in Opere. Vol. 11. L’uomo Mosè e la religione monoteistica e altri scritti. 1930-1938, Bollati Boringhieri, Torino, 2012.


Traduzione: Stefania De Sanctis
Revisione testo: Alberto Tuccio

Seminario fondamentale Istituto Freudiano di Milano del 22 settembre 2018. Docente invitato: Vincent Palomera


Testo di riferimento: Il seminario VI, Il desiderio e la sua interpretazione
Su un sogno analizzato da Ella Sharpe



Cinque lezioni del seminario VI sono dedicate al sogno di un paziente della psicoanalista britannica Ella Sharpe: Lacan ne fa una disamina, mettendone in luce i punti chiave e verificando gli effetti delle interpretazioni fatte dalla psicoanalista.
Come premesso dalla stessa Sharpe il sogno è complesso, il paziente lo definisce immenso, aggettivo di cui prendere nota, che si rivelerà molto importante per l’interpretazione.
È un sogno che Lacan ritiene paradigmatico delle difficoltà dell’ossessivo rispetto al suo desiderio e alla sua sessualità.


Il paziente di Ella Sharpe: il padre e il sintomo

Innanzitutto va premesso che il padre del paziente era morto quando lui aveva 8 anni. Di lui dice di avere pochi ricordi, di non provare sentimenti: Ella Sharpe evidenzia che nel transfert è l’analista stessa ad essere messa nel luogo di questo padre morto. Difatti l’unica manifestazione transferale è l'angoscia che pervade quest’uomo in prossimità del weekend. Preso in un fantasma di onnipotenza il paziente crede di aver ucciso il padre e per Sharpe è compito dell’analista interpretare il desiderio di sbarazzarsi di questo padre.
Sintomo principale sono le severe fobie: arriva in analisi perché intimorito dal possibile successo professionale come avvocato. Il paziente riferisce che le ultime parole del padre sul punto di morte sono state: «Robert deve prendere il mio posto». Una frase equivoca: potrebbe voler dire prendere il posto del padre come adulto ma anche quello del morto; “il mio posto” è il posto dove si è ma anche il posto in cui il padre sta morendo.
Sharpe nota che la morte del padre ha rinforzato anche il fantasma inconscio della madre divoratrice: l’analisi ha il compito di ridurre il timore dei desideri aggressivi del soggetto, vale a dire far sì che il desiderio libidico cessi di significare la morte. È la posizione del soggetto ossessivo, in perenne confronto con la morte e con l'aggressività. Fino a quel punto dell'analisi il paziente si era mostrato mortificato, dunque il rapporto stesso con il suo desiderio era mortificato.
Per questa stimata analista, riconosciuta nella comunità psicoanalitica inglese e citata più volte da Lacan, uno dei principi della sua pratica era di non interessarsi troppo del sintomo – in questo caso l’inibizione al lavoro –, quanto piuttosto alle attività ludiche che il paziente praticava (sport e giochi).


La tosse, le associazioni e il sogno

Ella Sharpe descrive questo paziente come un uomo con un grande controllo di sé ma anche con una grande paura dei sentimenti. A questo proposito l’analista nota come non lo sentisse mai arrivare ma un giorno lo avverte tossire mentre sta salendo le scale che portano allo studio: una tosse debole, un colpetto di tosse. L’analista vede in questa tosse qualcosa di nuovo che accoglie con interesse; si trattiene comunque da richiamare l’attenzione tuttavia è il paziente stesso a soffermarcisi: a cosa serva “quella tossetta”?
Da questa domanda il paziente produce un fantasma: la “tossetta” è una di quel genere di azioni che accadono quando si entra in una stanza dove ci sono due innamorati, serve ad avvertirli che stanno per essere disturbati. Il paziente ricorda di aver fatto lo stesso quando era adolescente, a 15 anni: suo fratello e la ragazza s’incontravano da soli nel salotto e lui, quando era in prossimità, tossiva per annunciarsi. L'analista domanda, allora, la motivazione della tosse prima di entrare nel suo studio: il paziente lo ritiene assurdo perché non sarebbe invitato se qualcuno fosse dentro.
Emerge un altro fantasma: quando era nella camera dove non avrebbe dovuto essere pensava che, per evitare che qualcuno entrasse e lo sorprendesse, era pronto ad abbaiare come un cane così da dissimulare la sua presenza. Avrebbero pensato: «Ah c’è soltanto un cane qua dentro!».
Il paziente allora associa un ricordo: era con il suo cane in una stanza e questi si masturbava strofinandosi contro la sua gamba; si vergognava di non averlo fermato, qualcuno sarebbe potuto entrare!
A questo punto racconta il sogno terribile, interminabile:

«Mi ci vorrebbe tutta l’ora per raccontarlo. Ma non si preoccupi; non l’annoierò con quello per il semplice motivo che non riesco a ricordarlo. Ma era un sogno eccitante, pieno di eventi, di interesse. Quando mi sono svegliato avevo caldo ed ero sudato. Deve essere stato il sogno più lungo che abbia mai fatto.» (p. 161)

Il sogno, comunque non gli ha provocato l’orgasmo. Tuttavia Lacan insiste molto sulle parole utilizzate dal soggetto e condivide la conclusione tratta da Ella Sharpe a riguardo: è una masturbazione del soggetto. Il paziente ammette nel colloquio, con vergogna, che da giovane lui aveva masturbato un altro ragazzo.
Emerge qualche passaggio di questo sogno: inizialmente il paziente sta facendo un viaggio con la moglie intorno al mondo e c’è già una sfumatura graziosa, degna di nota, rispetto all'ordine dei complementi circostanziali. La costruzione corretta in francese è «stavo facendo un viaggio intorno al mondo con mia moglie» e non «stavo facendo un viaggio con mia moglie intorno al mondo». La differenza è importante per questo paziente perché muta il luogo della donna, che Lacan interpreta come il luogo del fallo.
Il sogno riportato dal paziente è il seguente:

«Stavo facendo un viaggio con mia moglie intorno al mondo e siamo arrivati in Cecoslovacchia dove stavano succedendo le cose più strane. Ho incontrato una donna per strada, una strada che ricorda quella che le ho descritto negli altri due sogni recenti in cui facevo dei giochi sessuali con una donna davanti ad un’altra donna.
A questo punto [dice Lacan, ndr] l’autrice cambia i caratteri tipografici – a giusto titolo, perché si tratta di una riflessione laterale: La stessa cosa è successa in questo sogno.
Questa volta era presente mia moglie mentre avveniva questo incontro sessuale. Quella donna aveva un’aria molto appassionatawas very passionate looking... – e qui c’è di nuovo un cambiamento tipografico, a sottolineare un commento che è già un’associazione: e mi ricorda una donna che ho visto ieri al ristorante. Era bruna con le labbra piene, molto rosse e passionate looking – stessa espressione, stessa aria passionale -, ed era evidente che se l’avessi minimamente incoraggiata avrebbe risposto. Deve avere stimolato il sogno, immagino.
Nel sogno la donna voleva avere un rapporto sessuale con me e ha preso l’iniziativa, il che, come lei sa, mi aiuta molto. E qui commenta: Se è la donna che prende l’iniziativa per me le cose sono più facili. Nel sogno la donna giaceva sopra di me; evidentemente intendeva inserire il mio pene nel suo corpo. Lo capivo dalle manovre che stava facendo. Io non ero d’accordo e lei era così delusa che ho pensato di masturbarla - she was so disappointed I throught I would mastrubate her. Ripresa del commento: Sembra così scorretto usare quel verbo transitivamente. Si può dire «Mi sono masturbato» – I masturbated – ed è esatto, ma è sbagliato usare il verbo transitivamente [ovvero “Masturbate her”, ndr].
La particolarità del verbo inglese sta in effetti nel non avere forma riflessiva come c’è nel francese. I masturbate vuol dire “io mi masturbo”. L’analista non manca di storcere il naso a questa osservazione del soggetto. Costui aggiunge alcune annotazioni confermative cominciando ad associare sulle masturbazioni.» (pp. 162-163)

Ricorda che la vagina ha afferrato il suo dito. Non ci ha messo il pene ma il dito. Segue, allora, una serie di associazioni molto importanti in relazione all’orgasmo di questa donna: vede i genitali davanti a lui e alla fine della vulva qualcosa di grosso sporge come la piega di un cappuccio «era di questo che la donna si serviva per prendere il mio dito. La vagina sembrava chiudersi intorno al mio dito» (p. 197). A partire dalla domanda dell’analista il paziente aggiunge altre associazioni:

«C’è una caverna sulla collina dove abitavo da bambino, ci andavo con mia madre. La sua caratteristica è che ha una sommità sporgente, overhanging top, che assomiglia ad un enorme labbro» (p. 197).

Quando era bambino pensava fosse il labbro di un mostro. A questo punto il paziente associa alcuni jokes (scherzi):

«sul fatto che le labia – senso genitale del termine labbrasono disposte di traverso e non longitudinalmente, ma non ricordo come suonasse, forse un confronto fra la scrittura cinese e la nostra, che cominciano da lati diversi, o dal basso verso l’alto. Naturalmente le labia sono side by side – cioè affiancate -, parallele, e le pareti della vagina sono davanti e dietro, vale a dire una longitudinalmente e l’altra di traverso. Penso ancora al cappuccio» (p. 197).

Questo significante, il cappuccio, è estremamente importante per il soggetto in quanto ne indica la posizione nel fantasma e nella vita.
La successiva associazione riguarda un uomo durante una partita a golf, che gli promette di procurargli una borsa per le sue mazze, confezionata con materiale che assomigliava a quello di una capote di un’auto sportiva. Quest’uomo aveva un accento cockney, dialetto londinese, che il paziente imita molto bene e ciò gli rammenta un’amica che fa imitazioni molto riuscite alla radio. Quindi si accusa di ostentazione perché ciò lo induce a parlare del suo apparecchio radio che capta tutte le stazioni, nello stesso modo in cui l’amica trasmette, attraverso le onde radio, in tutto il mondo.
Tra le interpretazioni dell’amica ve n’è una di un uomo che canta una tipica canzone inglese: “Dove hai pescato quel cappello, dove ha preso quella tegola”. Il termine tile, tegola, designa più particolarmente quello che talvolta viene chiamato tube, ossia un cappello a cilindro.
Insomma il cappuccio non lo lascia in pace: emerge il ricordo della prima macchina e della capote che quando era abbassata era fissata con delle cinghie, altro significante di rilievo. Aveva l’abitudine di collezionare le cinghie, da piccolo tagliava quelle di cuoio della sorella: questo desiderio non si accorda con il fare qualcosa di utile. In verità era un rituale ossessivo, le tagliava in modo compulsivo. Inoltre le cinghie si vedono nelle carrozzine dei bambini e lui non ricordava che nella sua famiglia ci fosse una carrozzina ma soltanto la sedia a rotelle di suo padre.
All’improvviso ricorda di non aver spedito due lettere per comunicare l’ammissione di due membri al club, anche se si era vantato di essere un segretario migliore del precedente. A proposito di questa dimenticanza cita una frase del Book of Common Prayer, libro delle preghiere della Chiesa anglicana che riporta come: «Oh  well…We have undone those things or to have done and there is no good thing in us», ovvero «abbiamo disfatto le cose che avremmo dovuto fare». Lacan osserva che manca una frase intera nella citazione del paziente, ossia «abbiamo fatto le cose che non dovevamo fare». È sintomatico del paziente: è incapace di fare alcunché, per timore di riuscire troppo bene. Il paziente mette questo in relazione con “non c’è niente di buono in noi” e, segnala Lacan, quest’oggetto buono, il fallo, non c’è. Il significante “undone”, “disfatto”, “non-fatto”, lo rimanda ai bottoni della patta, lasciati sbottonati, ripresi da un sogno in cui un uomo gli dice di chiudere i bottoni della giacca. Questo significante lo conduce nuovamente alle cinghie e al fatto di essere stato legato al letto per non cadere.


L’interpretazione del sogno di Ella Sharpe

Sharpe riassume questo materiale seguendo l’ordine d’enunciazione, e Lacan ne cerca la chiave d’interpretazione partendo dalle ripetizioni come il cappuccio, le cinghie, il “non-fare”, l’inibizione. Sharpe stessa trova che sia estremamente importante il momento in cui questo sogno viene ricordato, ovvero dopo l’aver parlato del cane e più precisamente secondo la sequenza:

arrivo in seduta -> piccolo colpo di tosse -> associazione con l’episodio del cane che si masturba sulla sua gamba -> ricorda il sogno.

Nell’istante precedente al ricordo del sogno il paziente si identifica con un cane e perciò la significazione del sogno è quella di un fantasma di masturbazione. Lacan concorda con questa conclusione di Ella Sharpe.
Altro tema importante è quello della potenza, come mostrano vari elementi: il sogno immenso, «il più lungo che abbia mai fatto»; il viaggio intorno al mondo; l’amica speaker che parla a tutto il mondo; la radio che capta tutte le stazioni, il cui racconto fa trasparire una sua certa soddisfazione a riguardo; e infine riguardo al racconto dell’imitazione ciò che spicca è che lui e l’amica imitavano uomini potenti.
Lacan s’interroga su questi fantasmi di immenso potere, di omni-potenza, che nell’ossessivo prendono il crinale dell’onnipotenza del pensiero. Sharpe si serve di una strana logica per spiegare questo fantasma d’immenso potere: parte dal significante cappuccio che rimanda al prolasso della caverna sulle colline visitava dal paziente insieme alla madre, per arrivare a collegarlo con il fantasma di masturbazione, rapportandolo all’idea dell’immenso potere della madre terra. La gigantesca caverna con le labbra sporgenti è la seconda significazione importante del sogno.
Secondo Sharpe la ricchezza delle associazioni intorno al cappuccio (labbra, labia, vulva, bocca, auto, ecc.) prova che l’episodio della caverna sia un ricordo di copertura. Da piccolo avrebbe visto gli organi genitali di una donna, probabilmente la sorella più grande di otto anni o forse sua madre nuda e questa percezione sarebbe responsabile dei suoi fantasmi di potenza: la donna bruna del ristorante presente nel sogno potrebbe essere sua madre.
Il tema della masturbazione infantile lo si deduce dai sogni e dai ricordi in cui il paziente deve abbottonarsi ma anche da quelli in cui il paziente si trova legato con le cinghie al letto: queste scene vengono poi commentate dal paziente il quale afferma che non c’è nulla che possa fare arrabbiare di più un bambino che essere bloccato nei movimenti. Lo stesso sintomo della tosse compulsiva va in questa direzione.
Ella Sharpe interpreta questo materiale notando che il paziente non aveva voluto che la madre avesse altri figli oltre lui: il tagliare le cinghie era un atto di aggressione nei confronti dei suoi rivali.  Come manifestazione attuale dell’odio del paziente è invece ascrivibile l’esempio della mancata apertura della lettera di ammissione al club. Proprio da questo atto mancato si aggancia la dimenticanza del significante undone che evoca i bottoni della patta aperta.  Il senso dell’interpretazione di Sharpe va verso la volontà di esibizione del pene come volontà aggressiva: da bambino il paziente era stato legato al letto perché si masturbava molto.
Anche il tema del non disturbare gli altri è molto presente: la sua tosse separa gli amanti, lui ha molta cura di non disturbare gli altri, e ciò emerge con il sogno della visita della regina alla sua città, nel quale emerge il timore che la sua macchina si potesse bloccare nel bel mezzo del percorso della coppia reale: situazione assolutamente imbarazzante.
Ecco allora che la tosse emessa prima di entrare nella stanza non è che una pallida rappresentazione di una situazione infantile in cui lui impedisce “il progredire della coppia reale”, ovvero l’unione parentale, non per la sua immobilità, né per la discrezione, ma per il movimento dei suoi intestini e per le sue urla.
Sharpe si sofferma anche sul fantasma della vagina dentata che si evidenzia dalla geografia sessuale del paziente: caverna, sporgenza, ecc. ma anche le manovre della donna che vuole introdurre il pene, vengono interpretate dall’analista alla luce dei fantasmi aggressivi.
Nelle sedute successive il paziente si lamenta delle leggere coliche stomacali che evocano le sue diarrea infantili; la tosse va nella stessa direzione. Parla anche delle sue difficoltà con il gioco del tennis: non riesce nella classica mossa di lanciare la palla in un angolo per poi ribattere in quello opposto, ovvero non riesce a costringere il suo l'avversario in un angolo (to corner) del campo. Sharpe mostra gli effetti delle sue interpretazioni brutali:
1)       L'analista fa il paragone con il meccanico che non è «riuscito a riparare l'auto di suo padre. Il meccanico è molto gentile così che il paziente potesse essere in colera». Qui l'auto non è al posto del fallo, la Sharpe non lo coglie e quindi non coglie essere un elemento inutilizzabile.
2)      Subito dopo il racconto il paziente le comunica che per la prima volta dall'infanzia ha fatto la pipi a letto: enuresi notturna.
Ella Sharpe però non coglie nuovamente, anzi si sofferma sul fatto che il paziente, a un certo punto della cura, riesca a confrontarsi con il suo avversario di tennis, giudicando il tutto molto positivamente. Lacan segnala che quest’interpretazione ha invece come effetto un’aggressione, una reazione transitoria, un sintomo, un’enuresi, che invece la Sharpe legge come un primo contatto con la situazione infantile in cui lui era il rivale del padre.
Lacan è meno ottimista in relazione a questo sintomo e difatti il paziente fa un sogno finale nel quale, durante una partita di tennis, afferra per il bavero un compagno che lo scherniva per il suo gioco. Laddove Sharpe ci legge un’aggressività positiva, Lacan la vede come più problematica.


La lettura di Lacan

Nella sua interpretazione, Lacan, per prima cosa affronta la questione dell’onnipotenza del soggetto. Nonostante la stima di Lacan nei confronti di Sharpe, mette in questione tale assunto: c’è davvero ragione di supporre a questo soggetto un desiderio di onnipotenza? Forse questo desiderio di onnipotenza è in rapporto con il suo sintomo, cioè con la difficoltà di lavorare, di mettere l'Altro all’angolo; forse c’è piuttosto una difficoltà di manifestare la propria potenza.
Sharpe interpreta il desiderio del suo paziente nel senso di un conflitto aggressivo, cioè immaginario, e l’argomenta come ritorno di desiderio di onnipotenza; ma per Lacan quest’interpretazione stessa resta sull’asse immaginario. Seguendo il materiale portato dal paziente possiamo rendere omaggio alla sottigliezza analitica di Sharpe nel mettere il colpo di tosse al centro della questione, ma Lacan rimprovera all'analista di non aver capito quello che il paziente diceva, di aver ignorato la dimensione di messaggio insita in ogni enunciazione, come riprende nel grafo a p. 178. Infatti, a p. 177, Lacan osserva:

«Insomma, la questione a proposito della tosse come messaggio è lì, con la sua forma di punto interrogativo, nella parte superiore del grafo. Per consentire di reperire il punto in cui siamo arrivati, vi metto anche la parte inferiore del grafo che in un’altra circostanza ho definito dicendovi che è il livello del discorso dell’Altro.
È evidente che è qui che il soggetto è entrato nel discorso analitico e che pone lateralmente una questione concernente l’Altro che è in lui, ovvero il suo inconscio. Questo livello di articolazione è sempre incombente in ogni soggetto nella misura in cui si chiede: Ma Lui [L’Altro in sé stesso, ndr], che cosa vuole?
Non si tratta di un enunciato innocente fatto all’interno dell’analisi. Non c’è alcun dubbio che questo interrogativo si enunci a un livello che si distingue dal primo piano verbale, quello dell’enunciato innocente, e che contrassegni il luogo in cui situiamo quello che infine deve essere lo shibboleth dell’analisi, e cioè il significante dell’Altro. Questo significante è precisamente ciò che è velato al nevrotico, in quanto costui non conosce la sua incidenza e si interroga a tal proposito. In questo caso egli lo riconosce, ma è lontano dall’avere una risposta. Da qui l’interrogazione Che cos’è questo significante dell’Altro che è in me? [es. la tosse, che cos’è questa tosse? Si pone come domanda dell’Altro nel soggetto, ndr]
Per farla breve diciamo, con termini adeguati all’inizio dell’esposizione, che il soggetto è lungi dal poter riconoscere, e giustamente, che l’Altro è castrato, così come non lo riconosce a se stesso. Per il momento, da quella posizione di innocenza, o di dotta ignoranza, costituita dal fatto di essere in analisi, egli si chiede semplicemente che cos’è quel significante, in quanto è significante di qualcosa nel suo inconscio, in quanto è significate dell’Altro.»

La posizione del nevrotico rifiuta di riconoscere la castrazione dell’Altro. La funzione del fantasma è di mantenere l’Altro non castrato, di sostenere l’Altro. Secondo Lacan il paziente quindi va al di là dell’analista mediante il colpo di tosse: è un’interpretazione dell’analizzate che però non sostituisce quella dell’analista.
Quindi qual è l’obiettivo del messaggio “colpo di tosse”? È una questione concernente l’Altro, è la domanda che Cazotte, ne Il diavolo innamorato, ha rappresentato con il diavolo che chiede «Che vuoi?». Il luogo a cui questa questione punta è lo shibboleth dell’analisi, la parola d’ordine, oggi potremmo dire password. Shibboleth è una parola che Freud ripesca dall’Antico Testamento, data la difficoltà di pronuncia veniva richiesta per capire se chi si aveva davanti fosse straniero.
Per Lacan, Ella Sharpe elide questo significante nell’Altro: l’analista ascolta la tosse ma non interviene per non distruggere questa manifestazione dell’inconscio, tuttavia ne prende nota. In tutto questo movimento è l’inconscio che parla! Il soggetto porta qualcosa senza sapere che cosa sia, anche l’analista non capisce, ma ne coglie l’importanza per questo paziente sempre silenzioso, che arrivava sempre in orario, e manifesta la sua presenza in questo modo.
L’inconscio dice che questa tosse è involontaria, prodotta prima di entrare nella camera, deve avere una finalità, quindi è un messaggio. La Sharpe ne domanda la finalità e il paziente risponde che lo si farebbe prima di entrare in una stanza che ospita due innamorati. Al di là del fatto che Sharpe non parli di messaggio, non è certo questo il problema, la questione che Lacan imputa alla psicoanalista inglese è che sopprima il terzo, riducendo la questione sul piano dei due amanti che stanno insieme. Quel che importa a Lacan è che ci sono due persone e una terza che non è nella camera, le due stanno insieme quando il terzo è fuori; quando entra non sono più insieme. Ciò che si evidenzia per Lacan è che la questione del fantasma sessuale sia piuttosto dal lato dell’analista, mentre la domanda da porsi resta sempre: perché il paziente tossisce prima di entrare nella stanza dell’analista?
Alle pp. 178-179 Lacan continua:

«Ella enumererà le idee relative al motivo per cui uno tossisce – è così che prende le cose. Certo, sono idee che riguardano la tosse, ma dicono già molto di più di una semplice catena lineare di idee.
Si va già abbozzando qualcosa che è stato individuato, per l’appunto qui sul nostro grafo.
Ella Sharpe ci dice che la tosse porta anzitutto thoughts of lovers being together, pensieri riguardo ad amanti che stanno insieme.
Quello che ha detto il paziente ve l’ho letto, e mi pare che non possa affatto riassumersi in questo modo.
Se lo ascoltiamo, l’idea che adduce è quella di qualcuno che arriva come terzo da questi amanti che sono insieme. Arriva come terzo, ma non lo fa in un modo qualsiasi, giacché si adopera per non arrivare da terzo in un modo troppo imbarazzante.
In altri termini, è assolutamente importante puntualizzare subito che, se ci sono tre personaggi, il metterli insieme implica delle variazioni nel tempo, delle variazioni che sono coerenti, vale a dire che essi sono insieme fintantoché il terzo è fuori. Quando il terzo è entrato non lo sono più – la cosa salta agli occhi.
Potete giustamente dirvi che, se ci occorre una settimana di meditazione per venire a capo di quello che il paziente ci apporta, così come ci serviranno due seminari per coprire la materia apportata dal sogno e dalla sua interpretazione, l’analisi potrebbe sembrare qualcosa di insormontabile soprattutto perché le cose non potranno non gonfiarsi e noi saremo rapidamente sopraffatti. Ma in realtà questa non è affatto un’obiezione valida, per la buona ragione che, in una certa misura, l’essenziale sta nello schema che prende forma fin da subito. Vale a dire che, quando il terzo è fuori, i due sono insieme e, quando il terzo è dentro, i due non sono più insieme.»

Lacan dà molta importanza al fantasma secondo cui il soggetto è: in una stanza, nel cappuccio, avvolto nelle cinghie, dentro l’auto impedendo il passaggio della coppia reale; insomma si può dire che sia sempre incappucciato.
Il soggetto è in uno spazio, in una stanza, ma non desidera esserci e ha l’idea di dover avvertire della sua presenza abbaiando come un cane. Si può dire che il fantasma si articoli come la metafora del soggetto. Ella Sharpe parla di: «Fantasma di essere dove non dovrebbe essere, e di abbaiare come un cane per mettere fuori pista la gente» (p. 180). Il rifiuto di questo fantasma è dunque non essere lì dove è.
Per Lacan non è sufficiente capire un fantasma ma bisogna analizzarlo nella sua struttura, perciò si sofferma anche sull’abbaiare. Il paziente immagina di abbaiare in questo posto dove non dovrebbe essere. Abbaiare è un significante nel suo fantasma e dice che egli è altro da quello che è: «L’abbaiare è qui il significante di ciò che egli non è. Egli non è un cane, ma grazie a quel significante il risultato è perfettamente ottenuto nel fantasma: egli è altro da quel che è» (p. 182).
Si potrebbe scrivere questo significante sullo schema nel posto dell’Altro ma non si sostiene lì, piuttosto opera come metafora, e più precisamente come la prima metafora – differenziandola dalla seconda quindi. Proprio dà qui Lacan parte per muovere le sue critiche a Piaget e alla sua Psicologia genetica e per farlo usa l’osservazione di un suo amico il quale gli aveva raccontato che pur nominando il proprio cane solamente come “il cane”, il figlio lo chiamasse con il termine onomatopeico “bau-bau”. Il bambino, in quanto preso nel linguaggio, può costruire una catena significante come ad esempio “il cane fa miao miao e il gatto fa bau-bau”. Il potere metaforico del significante permette anche questo oscurare tutto; ciò permette di cogliere come il punto focale non è l’onnipotenza del pensiero del soggetto ma semmai è la potenza del linguaggio! Ciò che è veramente potente è la capacità di creare la metafora primitiva e il bambino, con i suoi enunciati a volte paradossali – appunto, per esempio, “il cane fa miao miao e il cane fa bau bau” – ci insegna come mettere alla prova il potere significante della parola.
Nel suo fantasma il paziente dice «È un cane o C’è soltanto un cane e chiede di essere interpretato in modo significante.» (p.187). Il cane è al posto dell’altro immaginario, qualcosa del fantasma è abbozzato. Seguendo Lacan si può dire che la lettura di Sharpe degrada il simbolico all’immaginario ma questa operazione non esclude la funzione della metafora primitiva, piuttosto la suppone. A proposito del ricordo del cane che si masturba sulla gamba del paziente ciò significa che il cane, nel fantasma, è nel posto dell’altro immaginario, ma l’Altro non è assente, e ciò lo si evince perché quando diventa testimone il soggetto sparisce per la vergogna. Il soggetto è dunque preso tra il piccolo altro che non parla – ma il cane è anche l’ideale dell’Altro – e l’Altro nel quale si va a parlare. Il soggetto quindi sparisce tra questi due altri, ma sorge nel loro intervallo attraverso il ricordo del suo sogno.
Nella sua dettagliata analisi Lacan poi si sofferma in particolare sui jokes a proposito degli organi genitali della donna, per segnalare l’errore di ridurre il sogno all’immaginario, innanzitutto, egli dissipa l’idea che la donna debba essere interpretata a partire dal fantasma della donna fallica.
Il cappuccio non è il fallo della donna. Lacan condivide l’interpretazione di Sharpe che prende il sogno come un fantasma masturbatorio però, al contrario, dimostra che l’interpretazione secondo cui questo fantasma sarebbe legato a un desiderio d’onnipotenza non è corretta. Sharpe era una professoressa di lingua inglese, conosceva bene la letteratura, aveva scritto su Shakespeare, aveva a lungo lavorato sulla metafora, ma per Lacan confonde l’onnipotenza del soggetto con l’onnipotenza della parola, però è proprio di quest’ultima che invece si tratta! Il soggetto soffre di fobie che fanno si che il suo rapporto con la parola sia difficile, un rapporto indispensabile per chi nel suo lavoro difendere con la parola, argomentando i diritti dei suoi assistiti.
Il paziente non si serve della parola se non per essere da un’altra parte. Sharpe deduce l’onnipotenza del soggetto dal carattere enorme del sogno e non vede che quest’enormità del sogno, è su un versante immaginario: alla fin fine la montagna ha partorito un topolino.
Anche la caverna gigante era servita a Sharpe come argomento in favore dell’onnipotenza. Essa rappresenta l’organo di una donna visto da un bambino, costui dovrebbe acquisire aggressività in aprés coup per poterne essere all’altezza.
Lacan non lo intende in questo modo e richiama l’attenzione sul fatto che il ragazzo lungo il suo sviluppo patisce piuttosto che dell’impotenza, dell’inadeguatezza del suo pene. L’immagine fondamentale di questo sogno è una sorta di fodero, di guaina, di guanto, quindi nuovamente torna il tema della copertura, come con il cappuccio, ecc., ed è in rapporto a questa immagine che il soggetto situa il suo desiderio. Il suo desiderio è invischiato nell’Altro: ciò è quello che significa l’immagine del guanto.
Nella teoria di Lacan il soggetto non è incluso nell’Altro ma deve situarcisi in un certo rapporto, rispetto all’essere, ed è questo rapporto ciò che il paziente non ha raggiunto.
Partendo da questa lettura Lacan fornisce una sua interpretazione del fantasma concernente l’aver bloccato il percorso della coppia reale. Se l’analista vedeva nuovamente una manifestazione dell’onnipotenza temuta dal soggetto stesso, Lacan invece sottolinea il fatto che paziente ci vada nell’auto. Questa macchina ha una capote che evoca la caverna, l’auto è per Lacan dunque un simbolo fallico, ma anche un simbolo femminile: ferma la coppia reale, bloccando il percorso. Il pensiero è quello di separare i genitori, la preoccupazione è quella di separare in essi i principi maschile e femminile.

«Un'altra parte dei ricordi del paziente ci mostrerà che c’è un certo rapporto fra lui e la congiunzione sessuale. Ce n’è stata una nella sua infanzia, è incontestabile. Ma dov’era lui? Era nel suo letto e, come vedrete, rigidamente fasciato con le lenzuola fermate da spilli. Abbiamo altri elementi che ci mostrano il soggetto nella sua carrozzina, con delle cinghie, delle corregge. Nella misura in cui è legato, tenuto fermo, egli non può godere del suo fantasma, né può parteciparvi se non mediante quell’attività supplementare, derivata, spostata che è l’urinare compulsionale. Di quella specie di supplemento, di falso godimento che gli dà l’urinare constatiamo frequentemente l’incidenza nei soggetti in relazione alla prossimità del coito parentale.
Che cosa diventa egli in quel momento? Precisamente quella partner di cui ci dice che ha così tanto bisogno di lui, che è lui che deve mostrarle tutto, che deve fare tutto, che deve femminilizzarsi. Nella misura in cui è impotente, se così si può dire, egli è maschio. E non c’è dubbio che questo trovi delle compensazioni sul piano della potenza ambiziosa. Ma nella misura in cui è liberato, egli si femminilizza.
Il problema risiede in questa specie di gioco di prestigio, di doppio-gioco di non separazione in lui delle due facce della femminilità e della mascolinità, in questo tipo di apprensione fantasmatica unica, fondamentalmente masturbatoria, del desiderio genitale.» (pp. 211-212)

Il desiderio di separare i genitori e, in questa operazione, di separare in essi il principio femminile e maschile è il motivo che spinge Lacan a parlare di un fantasma di ermafroditismo.
Ciò che si prospetta all'orizzonte dell'interpretazione analitica non è nient’altro che una specie di circoncisione psichica. La vagina protesa è una specie di sacchetto del prestigiatore, che si volta e si gira, Lacan non l’attribuisce alla donna come similmente il cappuccio non è dalla parte della madre. Questa sorta di elemento proteso è anche il prepuzio, da ciò la necessità della circoncisione psichica come interpretazione. 
Il fantasma di questo soggetto allora ci mostra come tenuto fermo, legato, insaccato, ovvero inibitogode! Questa è la posizione del suo godimento, un falso godimento di cui si approfitta. Lacan dice che quando è impotente è maschio ma quando si ribella si femminilizza, per questo parla di ermafroditismo. Non è una metafora della donna ma è il soggetto stesso preso nelle cinghie, nel cappuccio, ecc., e il problema del suo desiderio è in quel doppio gioco di prestigio del separare le due facce del maschile e del femminile.
Lacan vuole orientare l'interpretazione mostrando la posizione di godimento del soggetto in questo movimento tra l’impotenza e l’apertura che però provoca una femminilizzazione.
Nelle ultime pagine del capitolo XI Lacan dà una lettura diagnostica di quel che chiama ermafroditismo psichico e lo definisce accidente strutturale. Parte dal concetto di afanisi introdotto da Ernest Jones che aveva già commentato in un suo testo degli Scritti, In memoria di Ernest Jones: Sulla sua teoria del Simbolismo. Possiamo ritenere questo passaggio del seminario come una prosecuzione di quanto Lacan aveva già articolato in quel testo.
A p. 216 infatti dice:

«Egli l’ha introdotto nel vocabolario analitico in modo interessante, e non possiamo proprio considerarlo assente dall’ambiente inglese, giacché ha avuto un’ampia risonanza.
Άφανισις vale sparizione, in quanto è così che Jones intende questo termine».

Lacan aveva già usato questo termine nel 1946 e non riducendolo semplicemente a sparizione: se per Jones si tratta di sparizione del desiderio, Lacan si riferisce piuttosto alla scomparsa del soggetto sotto il significante binario. Dunque se per Jones l'afanisi riguarda una paura di scomparsa del desiderio, per Lacan è precisamente la castrazione ad essere in gioco, cioè la simbolizzazione di questa perdita.
Nel caso della Sharpe non abbia uno sparire ma un far sparire: la posizione del soggetto è di non essere dove è. È anche in gioco un sottrarsi, ciò è in rapporto al fallo. Il soggetto quindi si sottrae rispetto al fallo, lo fa sparire.
Qui emergerebbe con chiarezza l’errore dell’afanisi di Jones, la quelle corrisponderebbe a un’articolazione insufficiente, una forclusione parziale del complesso di castrazione. Per Jones l’afanisi sarebbe più radicale della castrazione mentre per Lacan è necessario prendere le cose in senso contrario. È precisamente perché c’è la castrazione che il soggetto può aver paura della sparizione del desiderio.
Lacan approda quindi, nel suo commento al caso di Ella Sharpe, a parlare del fallo attraverso Il sacrificio della dama tabù. È un elemento molto curioso che nel sogno il paziente non metta il suo pene nella vagina ma bensì il suo dito. Per Lacan questa non è semplicemente una masturbazione della donna ma piuttosto quel che avviene è che masturbando la donna il soggetto masturbi allo stesso tempo se stesso. Prima di tutto però è il gesto di uno che si sottrae, è un escamotage per sottrarsi. È un atto di seduzione, un atto prestigiatorio, come tirare fuori l’uovo dal cilindro, in questo senso riprende il “rivolta il sacco come un guanto”.
La masturbazione ha qui un aspetto sadico, perverso, Lacan insiste sull’ambiguità della frase inglese to get my penis, ovvero ottenere il mio pene. L’ambiguità, la polivalenza del termine – guadagnare, afferrare, aggiungere, ottenere, acchiappare – deve dissuadere dall’interpretare questa frase nel senso dell’atto castrante della donna. Il supporre qui una divorazione del fallo da parte della donna significherebbe approvare l’inganno del sogno.
Il sogno e le associazioni dicono che il fallo non manca in questo sogno. Ci sono vari punti che lo mostrano [evidenziando la dinamica della sparizione, ndr] ad esempio il paziente afferma, in modo abbastanza assurdo, che non c’erano due bambini in casa o anche quando cita la preghiera del Book of Common Preyer, inventa una frase che non c'è nel libro, quando dice: «Non c'è niente di buono in noi».
A p. 223 Lacan dice:

«Devo dire che i miei rapporti con il Book of Common Preyer non risalgono a ieri. Mi limiterò a evocare il graziosissimo oggetto creato venti o venticinque anni fa nella comunità surrealista dal mio amico Roland Penrose, che per gli iniziati del circolo aveva fatto uso del Book of Common Preyer. Quando lo si apriva, su entrambe le facce interne della copertina c’era uno specchio.
Ciò è molto istruttivo, perché l'unico torto che si possa imputare a Ella Sharpe, a cui quel testo era sicuramente più familiare che a noi, era di non aver segnalato che il brano del Book of Common Preyer non è  affatto uguale alla citazione che ne fa il soggetto. Costui dice: We have undoneabbiamo disfatto le cose che avremmo dovuto fare…, mentre il testo originale recita: We have left undoneabbiamo tralasciato o non abbiamo fatto le cose
È trascurabile direte voi. Ma di seguito manca una frase intera della preghiera di confessione generale, che rappresenta, per dir così, la contropartita: e abbiamo fatto le cose che non dovevano fare. Questo, il soggetto non prova affatto il bisogno di confessarlo, per la buona ragione che in fin dei conti per lui si tratta davvero sempre e solo di non fare le cose. Fare le cose non è da lui. Proprio per questo aggiunge di essere totalmente incapace di fare alcunché, per timore di riuscire troppo bene, come ha sottolineato l’analista.
È già qualcosa, e di non poco conto. Ma voglio arrivare a questo: al posto della frase mancante il soggetto prosegue dicendo: …e non c’è niente di buono in noi – non good thing in us. Questa è una pure invenzione del soggetto. Nel Book of Common Prayer non c’è nulla di simile. C’è scritto: non c’è salute in noi. Credo che questo good thing con cui opera la sostituzione sia precisamente ciò di cui si tratta: l’oggetto buono non c’è, è questo il punto in questione. Abbiamo così un’ulteriore conferma che si tratta del fallo».

A p. 225 continua:

«L’analista ci ha dato dentro dicendo al soggetto: il fallo è da qualche parte, molto lontano, dentro di lei; fa parte di un’antica rivalità con suo padre; sta all’origine dei suoi auspici primordiali di onnipotenza, alla fonte di un’aggressione di cui lei subisce la ritorsione. Possiamo commentare solo che nulla nel testo consente di cogliere qualcosa che si articoli in questo modo.»

Tra p. 227 e 229 Lacan esplica finalmente la posizione del soggetto in rapporto al fallo. 
A p. 227:

«Stare sotto lo hood [il cappuccio, ndr] è in questo soggetto una posizione davvero fondamentale. E l’analista lo sente. Tutto ciò riguarda il ricordo cancellato del pram ruota comunque attorno al fatto che egli è stato pinned in bed, vale a dire legato al letto. Appare per altro chiaro che il soggetto ha delle nozioni molto precise su quanto può provocare in un bambino il fatto di essere più o meno legato, pur non essendoci nel suo ricordo nessun particolare che gli permetta di evocarlo. Ma non c’è dubbio che a questa posizione legata egli ci tenga molto.
Dunque, l’analista è ben lungi dal lasciar trasparire nel gioco degli scacchi quell’elemento di controtransfert che sarebbe troppo interventista, troppo aggressivo.
[…p. 228] L’accento di onnipotenza è posto dalla nostra analista su around the world. Io credo che il segreto dell’onnipotenza in questo soggetto stia nel with my wife. E per lui si tratta di non perdere questo.
In fin dei conti è proprio questo che si tratta di misconoscere e che occorre però chiamare in causa nell’analisi. Ma per fare ciò bisognerebbe che egli si accorgesse che sua moglie è, in questa circostanza, l’analista.
Diremo che il soggetto non vuole perdere la sua dama, alla stregua dei cattivi giocatori di scacchi i quali immaginano che perdere la dama equivalga a perdere la partita, quando invece vincere agli scacchi significa arrivare a quello che si chiama un finale di partita. In un finale di partita la vostra facoltà di spostamento è estremamente semplice e ridotta, avete il minimo di diritti – voglio dire che il soggetto non ha il diritto di occupare una casella che è messa in scacco da un altro pezzo in gioco – e con questi dovete trovare il vantaggio della posizione. Si dà anche il caso che convenga sacrificare la dama, cosa che il soggetto non vuole fare in nessun caso.
Perché? Perché per lui il significante fallo è identico a tutto ciò che si è prodotto nella relazione con sua madre. Qui si manifesta, come l’osservazione lascia chiaramente trasparire, il carattere deficitario, zoppicante di quanto ha potuto apportare il padre. Naturalmente ricadiamo nel versante già noto della relazione del soggetto con la coppia parentale.
Tuttavia non è tanto importante seguire questa via quanto invece mettere l’accento sul rapporto molto nascosto, molto segreto del soggetto con la sua partner. Questo rapporto è la cosa più importante da mettere in evidenza nel momento in cui fa la sua comparsa nell’analisi.
[…] La prudenza di cui il soggetto dà prova è esattamente ciò che lo mantiene in un rapporto con il suo desiderio che lo impaccia alla stregua di un laccio stretto, come la posizione pram-pinned della sua infanzia, e che non può essere altro che fantasmatico. Bisogna cioè che egli sia legato, in un pram o altrove, ben stretto e fasciato, perché altrove possa esserci il significante, l’immagine, di un’onnipotenza sognata.
E così che va compresa anche tutta la storia dell’automobile, nella quale l’onnipotenza gioca un ruolo fondamentale».

La Sharpe, dice Lacan, è una brillante analista ma ha una concezione aggressiva del gioco che non le permette di vedere questa posizione del soggetto in funzione del godimento. Da un lato l'analista è molto prudente perché ha colto che il paziente vuole essere coperto, protetto, è la sua posizione nella vita; dall'altra parte però interpreta in un modo che produce un sintomo transitorio nel paziente: l’enuresi notturna. Quindi l’interpretazione produce in lui un effetto un po’ forte.
Ciò che sfugge a Ella Sharpe è di sapere dov’è il fallo e qual è il rapporto del soggetto al fallo.
Dov’è il fallo in questo caso? Il fallo in questo caso è la moglie, la donna, le donne che per questo soggetto hanno il fallo. Nel sogno il fallo è la moglie che il paziente non vuol perdere, che non vuol, sacrificare, è per questo che è un cattivo giocatore di scacchi perché a volte occorre sacrificare la regina.
Il fallo è la moglie del paziente con il quale fa il giro del mondo, presente nel sogno ma senza essere in gioco.


Una supervisione sui generis

Tutte queste parti del seminario dedicate al commento del caso di Ella Sharpe, possono essere viste come una seduta di supervisione, Lacan è nella posizione del supervisore del caso, per segnalare la posizione del soggetto. L’analista durante un’analisi è in posizione di oggetto e anche Ella Sharpe lo è: oggetto causa. Come oggetto l’analista è cieco, non vede dove si posiziona nel fantasma del proprio analizzante, per questo la pratica della supervisione è indispensabile ad ogni analista per reperirsi.
È un’operazione che Lacan aveva già attuato varie volte nel suo insegnamento, si potrebbe dire che dall’inizio dal suo insegnamento fino al seminario XI, ovvero dal Discorso di Roma fino alla sua esclusione dall’IPA (Intenational Psychoanalytic Association), ha sovente fatto questo lavoro di lettura dei casi clinici dei colleghi: basti pensare al caso di Ruth Lebovici o al caso dell’Uomo della cervella fresche di Ernst Kris o di quello di Lucia Tower che esamina nel seminario X, o ancora di quello di Margaret Little. I casi di altri psicoanalisti sono oggetti utili per l’insegnamento, anche perché questi casi a volte erano complicati, e la rilettura di Lacan era un modo per chiarirli Una volta che Lacan è stato scomunicato ha interrotto questo lavoro, però sono tutti esempi che esplicano anche in che cosa consista la supervisione di un caso nella pratica lacaniana.
Naturalmente sono supervisioni sui generis, nessuno di questi autori è andato in supervisione da Lacan, ma la rilettura di casi pubblicati ci permette comunque di coglierne i punti essenziali di questo dispositivo, ovvero cogliere cosa sia l’inconscio e come situarsi nella pratica analitica.
È inoltre interessante riprendere questo sogno della prospettiva del prossimo Congresso Internazionale dell’AMP che si terrà a Buenos Aires nel 2020 e si incentrerà sui sogni, sull’interpretazione dei sogni, quindi questo caso potrebbe essere materiale di studio, insieme a un sogno capitale come Il sogno di Irma e, più in generale, tutta la Traumdeutung.

Revisione testo: Alberto Tuccio