giovedì 9 maggio 2019

Seminario fondamentale Istituto Freudiano di Milano, 26 gennaio 2019. Docente invitato: Jean-Louis Gault



Testo di riferimento: J. Lacan, Il seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione, Einaudi, Torino, 2016.

Capitoli XVI, XVII, XVIII e XIX.




Il seminario VI è intitolato Il desiderio e la sua interpretazione ma, come sottolineava Jacques-Alain Miller nella presentazione della pubblicazione, il vero titolo dovrebbe essere “Il desiderio e il fantasma”: il nocciolo del seminario non è l’interpretazione, ma è il rapporto inconscio tra il soggetto e il suo oggetto nell’esperienza desiderante del fantasma. Ciò emerge con forza nei capitoli XVI, XVII, XVIII e XIX che rientrano tra quelli che Lacan dedica all’Amleto di Shakespeare.
La formula del fantasma - $ à a - è il punto determinante dell’interpretazione che Lacan ci dà dell’Amleto. Il fantasma è una relazione tra il soggetto in quanto marcato dal significante – scritto come barrato, quindi il soggetto della parola, del linguaggio, il soggetto parlante – e l’oggetto nel desiderio – come sottolinea Lacan: non oggetto del desiderio, ma oggetto nel desiderio. Il fantasma è il rapporto soggetto-oggetto nel desiderio. La chiave del dramma del desiderio di Amleto si trova in questa formula ed è a partire da essa che Lacan lo interpreta: il dramma di Amleto è il dramma del desiderio.
Per Amleto il dramma del suo desiderio è di sapere che cosa deve fare: assassinare Claudio, come ha domandato il fantasma del padre. Lui lo sa, lo deve fare, e accetta questa missione: non ha dubbi su questo punto, non c’è divisione in Amleto, sa cosa deve fare: assassinare l’amante di sua madre. Nonostante abbia il desiderio di farlo, nonostante sia concorde con lo scopo e non abbia dubbi a riguardo, la pièce ci racconta l’impossibilità per Amleto di raggiungere il suo desiderio, la difficoltà di Amleto per assassinare Claudio. Soltanto alla fine della tragedia Amleto riesce a realizzare il suo desiderio. La lettura che ne fa Lacan intende rispondere due questioni:
1) perché Amleto non riesce a realizzare un desiderio per nulla inconscio, anzi chiaro, enunciato, che conosce e che vuole raggiungere?
2) Perché riesce a realizzarlo solo nelle circostanze molto particolari della fine dell’opera?
Il capitolo XVI comincia con il lamento di Amleto: «Mi si dia il mio desiderio!» (p. 321). È anche ciò che tutti i critici, gli attori e gli spettatori afferrano dell’Amleto, ciò che si ripete lungo la pièce e Lacan rileva: «Vi ho anche detto che è così a causa dell’eccezionale, del geniale rigore strutturale raggiunto dal tema dell’Amleto nell’opera skakespeariana».
Il tema dell’Amleto è un tema antico, è cominciato nel dodicesimo secolo con l’opera Gesta Danorum di Saxo Grammaticus, e cinque secoli dopo Shakespeare lo riprende dandogli una forma che Lacan qualifica come geniale perché vi riconosce un’articolazione perfetta del problema che il desiderio pone al soggetto.

«Questa forma si caratterizza ai nostri occhi, con il metodo che impieghiamo qui, per qualcosa che io chiamo la struttura.
La struttura è precisamente ciò in cui cerco di darvi una chiave che vi consenta di orientarvi con certezza, ovvero la forma topologica che ho chiamato il grafo e che forse potremmo chiamare il gramma». (p. 321)

La lettura di quest’opera da parte di Lacan non è una psicoanalisi di Amleto, e neppure quella di Shakespeare. Non rientra neppure nella cosiddetta psicoanalisi applicata. Per Lacan, la psicoanalisi si applica soltanto a un soggetto vivente che parla e che gode, realmente. Non possiamo dire ciò di Amleto: non è vivente, non parla, non gode. La psicoanalisi si applica a un soggetto reale. C’è la teoria analitica, che è una teoria della pratica analitica, e c’è la pratica analitica, vale a dire l’applicazione di questa psicoanalisi pura a un soggetto reale. A questo proposito Lacan dice:

«Come vi ho già detto, Amleto non è questo o quello, un ossessivo o un isterico, e in primo luogo per la buona ragione che è una creazione poetica. Amleto non ha una nevrosi, ci dà una dimostrazione di nevrosi, il che è tutt’altra cosa dell’essere nevrotici. Nondimeno, quando guardiamo Amleto sotto una certa luce dello specchio, egli ci appare, per alcune frasi, più vicino alla struttura dell’ossessivo. Ciò dipende da quello che è l’elemento rivelatore della struttura nell’ossessivo, l’elemento che è massimamente valorizzato dalla nevrosi ossessiva, e cioè che la funzione principale del desiderio consiste qui nel mantenere le distanze dall’ora dell’incontro desiderato, nell’attenderla». (p. 325)

Ciò che troviamo nell’Amleto di Shakespeare è questa struttura: la struttura di un soggetto che ha una relazione con un desiderio ma che rimanda sempre l’ora dell’incontro con questo desiderio.
Ma non si può interpretare Amleto con la psicoanalisi, al contrario è la creazione poetica di Shakespeare che genera un modello come il personaggio di Amleto; solo dopo possiamo interpretare un soggetto reale a partire dall’Amleto. Questo Lacan lo dice limpidamente a p. 273: «Io sostengo, e sosterrò senza ambiguità – e così facendo penso di essere in linea con Freud – che le creazioni poetiche generano, più che riflettere, le creazioni psicologiche». Queste precisazioni vanno nella direzione di rigettare una certa deriva psicoanalitica rispetto al commento delle opere d’arte, in particolare il lavoro di Jones sull’Amleto.
Seguendo quanto dice Lacan si potrebbe pensare che quest’opera contribuisce alla costruzione del grafo del desiderio, infatti sia ne chiarifica alcuni punti sia permette proprio a Lacan di completare questa costruzione che aveva iniziato a sviluppare l’anno precedente. Ciò che non si intendeva, riprendendolo a partire dalla tragedia shakesperiana, si chiarisce: dal fantasma, al fallo, all’oggetto del desiderio, al desiderio stesso, alla relazione del desiderio con il desiderio dell’Altro. Più in generale lo studio dell’Amleto è un contributo alla teoria del desiderio, a partire da Shakespeare. Dunque la lettura dell’Amleto da parte di Lacan è un pezzo di teoria analitica, in particolare teoria analitica del desiderio.
Il dramma del desiderio di Amleto non è dovuto a un conflitto interiore, Lacan lo evidenzia a p. 323: «Bisogna uccidere Claudio. L’assassinio da compiere, l’assassinio che Amleto vuole compiere è un assassinio giusto. Contrariamente a quanto alcuni autori hanno suggerito, come vi ho già detto, non c’è in lui un conflitto di diritti o di ordini riguardo ai fondamenti dell’esecuzione della giustizia». Il problema sta piuttosto nel realizzare il suo desiderio e Lacan si domanda il perché. È una questione generale sul desiderio: nel soggetto nevrotico, per esempio, c’è il desiderio, ma il soggetto non riesce a realizzarlo. In questo la pièce di Shakespeare ha avuto e ha tutt’ora una grande attualità perché è strutturata secondo le coordinate del desiderio dunque, in qualsiasi momento storico, quando si legge Amleto, ognuno riconosce la struttura del desiderio e le difficoltà del suo desiderio. Qualunque sia la struttura soggettiva (ossessivo, isterico, perverso o psicotico), il grafo del desiderio vale per tutti, con la sua struttura si confronta ogni soggetto. Questo perché il desiderio appare nel soggetto parlante in quanto tale: parlare vuol dire desiderare, è un effetto del linguaggio. Il linguaggio implica delle conseguenze sul soggetto, una di queste è il desiderio, che si struttura secondo le coordinate del grafo.
Ciò che fa enigma nel desiderio di Amleto è l’attesa: l’attesa dell’incontro con la realizzazione del suo desiderio. Lacan sottolinea di rifarsi al il termine erwarten,  utilizzato da Freud in Inibizione, sintomo e angoscia, che vuol proprio dire attendere, fare attendere. Rispetto all’imperativo “bisogna uccidere Claudio”: «Non c’è l’ambiguità in lui [Amleto, ndr] fra l’ordine pubblico, la mano della legge, e gli impegni privati». Secondo la legge Claudio deve essere assassinato, e lui, come figlio del padre ucciso, deve compiere questo desiderio, non c’è conflitto – come può apparire, invece, nelle pièce di Racine, in cui c’è conflitto tra l’ordine pubblico e il desiderio proprio del soggetto. «Egli non ha dubbi sul fatto che questo assassinio coincida con la legge», non c’è dunque conflitto tra desiderio e legge, «Ma quello che ci appare immediatamente nel leggere il testo è l’intimo legame fra questo assassinio che non fa problema ad Amleto e la sua morte». Ecco un importante elemento: la morte di Amleto, che avverrà alla fine della tragedia. Soltanto quando Amleto è colpito a morte da Laerte, sa che morirà, gli manca poco tempo, in questo breve intervallo può raggiungere il suo desiderio: uccidere Laerte e Claudio, per poi morire.
Qual è il messaggio? Cos’è questa rivelazione che il padre fa al figlio? «Questa risposta, che in definitiva è il messaggio nel punto in cui si costituisce sulla linea superiore, quella dell’inconscio, ve l’ho già simbolizzata anticipatamente, non senza essere perciò costretto a chiedervi di darmi credito […] La risposta ho cominciato ad articolarla nella forma seguente […]» (p. 327). Qui Lacan riprende il grafo che inizia con la catena significante: qualcosa esce dalla bocca quando si parla. A partire da una frase, un enunciato, si deduce un’intenzionalità: cosa ha voluto dire questo soggetto che ha parlato? Questo è il primo incrocio nel percorso del grafo: l’enunciato, la catena significante, incrocia l’intenzionalità del soggetto. È necessario un certo tempo perché si possa porre l’interrogativa su cosa ha voluto dire questo soggetto. Questo quesito si può formulare a partire dall’Altro del significante – per esempio il francese quando parlo francese, l’italiano quando parlo italiano –: a partire da un insieme di significanti si deduce un certo significato. Ma c’è un al di là di questo enunciato: c’è sicuramente una significazione che si deduce dall’analisi grammaticale dell’enunciato, ma al di là c‘è un’intenzionalità. Ecco allora un’ulteriore interrogazione: che vuoi? A questo livello incontriamo un messaggio ultimo, che Lacan inscrive sulla linea superiore del grafo, la linea dell’inconscio. Infatti sulla linea inferiore del grafo abbiamo l’enunciato conscio, mentre la linea superiore è inconscia.
A quel livello qual è il messaggio? C’è una risposta a questo livello che Lacan scrive così: S(Ⱥ), ovvero significante dell’Altro barrato. Lacan interpreta il messaggio del padre come un messaggio sull’ultima verità: il valore della pièce di Amleto è di farci vedere cosa accade a livello inconscio, questa rivelazione sul messaggio ultimo che normalmente non abbiamo. Nella vita quotidiana questa parte del grafo è velata, non la incontriamo, è soltanto attraverso l’analisi che possiamo sollevare questo velo sulla parte inconscia e raggiungere il messaggio ultimo sotto la forma di questo S(Ⱥ).
L’Amleto getta quindi luce su ciò che accade a livello inconscio, sotto la forma del messaggio del padre. Cosa vuol dire questo messaggio? Lacan, per spiegare la formula S(Ⱥ), dice nelle pagine 327-328:

«Anzitutto la S maiuscola, che sta per significante. Ciò distingue già la risposta a livello della linea superiore dalla risposta a livello della linea inferiore, la  quale si inscrive con una s minuscola, che sta per significato.
A livello del discorso semplice, infatti, il senso di ciò che abbiamo voluto dire è modellato dalla parola che si svolge a livello dell’Altro. La risposta è dunque sempre, in relazione a quella parola, il significato dell’Altro, s(A). Ma esiste un aldilà di questo discorso semplice, dove il soggetto pone a se stesso la questione Chi parla? Chi avrà voluto dire questo o quello a livello dell’Altro? In fin dei conti, in tutto questo, che cosa sono diventato io? A questo livello, come vi ho già detto, la risposta è il significante dell’Altro con la barra: S(Ⱥ).
Ci sono mille modi di cominciare a svilupparvi quanto è incluso in questo simbolo, ma dal momento che ci troviamo nell’Amleto sceglieremo oggi la via chiara, evidente, patetica, drammatica. L’Amleto ci dà la possibilità – e sta qui il valore della pièce – di accedere al senso di S(Ⱥ).
In effetti, il senso di ciò che Amleto viene a sapere dal padre ce l’abbiamo davanti, chiarissimo. È l’irrimediabile, assoluto, insondabile tradimento dell’amore […]».

Questo è il messaggio del padre: il mio amore è stato tradito da mia moglie, che con la complicità di Claudio mi ha ucciso. E, Lacan sottolinea:

«[…] dell’amore più puro, dell’amore di quel re che naturalmente, come tutti gli uomini, può essere stato un gran furfante, ma che con quell’essere che era la sua donna era uno che arrivava al punto di allontanare dal suo viso i soffi del vento, the winds of heaven – almeno stando a quanto dice Amleto. È l’assoluta falsità di quella che ad Amleto era apparsa come la testimonianza stessa della bellezza, della verità, dell’essenziale.
Consiste in questo la risposta. La verità di Amleto è una verità senza speranza. In tutto l’Amleto non c’è traccia di un’elevazione verso qualcosa che si trovi al di là, riscatto o redenzione. Ci è stato detto che il primo incontro procedeva da Sotto. Il rapporto infernale con quell’Acheronte che Freud, non potendo piegare le potenze superiori, ha scelto di mettere in subbuglio – ecco dove in effetti si situa l’Amleto.
[…] Ma questa risposta, per quanto penosa sia, ve la do soltanto come una traccia nell’ordine del sensibile, del patetico, giacché qualsiasi conclusione, o qualsiasi verdetto, per quanto radicale sia nell’assumere una forma accentuata nell’ordine del cosiddetto pessimismo, è fatta ancora per velarci ciò di cui si tratta».

Dunque questo riferimento al tradimento dell’amore è soltanto per velare la vera risposta. «Di quella riposta occorre poter dare una formula che stringa più da vicino quanto ha motivato la scelta di quella sigla, e cioè la ragione di S(Ⱥ)» (p. 329). Qual è la significazione ultima di questa formula? «Se così si può dire è questo il grande segreto della psicoanalisi. Il grande segreto è che non c’è Altro dell’Altro». Questa è la vera risposta: non il tradimento dell’amore, ma la drammatizzazione di questa verità ultima: non c’è Altro dell’Altro.
Ciò significa una cosa molto precisa: «Nell’Altro non c’è alcun significante che possa, eventualmente, rispondere di quello che io sono» (p. 330). La vera significazione di questa formula è dunque che manca un significante nell’Altro, «è una verità senza verità», perché niente garantisce questa verità, questo significante manca sempre.
Attraverso il messaggio del padre e la sua interpretazione con la formula di S(Ⱥ), Lacan introduce alla dimensione del significante mancante di cui fornisce anche una scrittura: -φ, il fallo. Questo significante che manca è da mettere in relazione con ciò che è il fallo nell’economia del desiderio. Da qui è possibile capire perché per Amleto sia così difficile raggiungere il suo desiderio: l’assunzione del desiderio suppone la castrazione, ovvero l’uso del fallo. Quando il soggetto non può utilizzare il fallo non può assumere il suo desiderio. Questa condizione è molto chiara in Amleto in primis rispetto all’assassinare Claudio ma anche nella relazione con una donna: non può assumere il suo desiderio per Ofelia.
Il primo incontro con Ofelia avviene dopo quello con il ghost: Lacan lo qualifica come molto crudele («Amleto si comporta con Ofelia con una crudeltà del tutto eccezionale», p. 334) perché Amleto rigetta il suo amore per Ofelia e la tratta male. Questo rapporto mette in evidenza nuovamente l’incapacità, o la mancanza, per Amleto, dell’uso del fallo che rende impossibile l’assunzione del desiderio, in questo caso per Ofelia. Si può anche dire che per Amleto l’impossibilità riguarda il raggiungimento della castrazione.
Alla fine della tragedia, davanti al lutto di Laerte per la sorella Ofelia, vi è una risposta a questo problema. Ofelia è morta, è nella tomba, Laerte raggiunge il corpo e mostra il suo dolore per la perdita di una persona amata. Amleto si trova lì, scende nella tomba, raggiunge Laerte e lottano, perché non sopporta lo spettacolo del dolore di Laerte, e dice «Io amavo Ofelia». È soltanto attraverso il lutto di Laerte che può riconoscere il proprio lutto, il proprio dolore, il proprio desiderio di aver amato Ofelia. Non può che dirlo in questo momento, quando è impossibile raggiungere Ofelia.
La dimensione del lutto è da legare alla mancanza, alla castrazione. Cos’è un lutto? È essere confrontati, dopo la perdita di una persona amata, con un buco nel reale. Per Lacan è attraverso questo che si vede che c’è il reale. Non c’è soltanto il simbolico, o l’immaginario, o le costruzioni sociali, eccetera, c’è anche il reale: il reale del sesso, ad esempio.
Il lutto è un tentativo di ricoprire questo buco, esempio ne sono i riti che seguono la morte di un essere umano. Lacan sottolinea che questo buco lo si può ricoprire, ma non sparisce, si mantiene, c’è sempre un buco: questo è equivalente a dire che a livello del simbolico manca un significante. Dunque il lutto ci conduce alla mancanza di un significante – quello che Lacan aveva scritto come S(Ⱥ), o come fallo, o come castrazione.
È solo attraverso il lutto, quello di Laerte, che Amleto può raggiungere realmente il suo desiderio per Ofelia. È soltanto in queste circostanze, o meglio, in ciò che accade dopo, quando, nel duello tra Laerte e Amleto, i due protagonisti hanno in mano il fioretto – in inglese il foil – ed è soltanto in questo momento che Amleto può usare il fallo, sotto la forma del foil. Tuttavia ciò è possibile soltanto quando è stato colpito ed è morente. Dunque ci sono due tappe nell’assunzione del desiderio da parte di Amleto: prima il desiderio per Ofelia permette l’assunzione del proprio desiderio e dunque può prolungare questo desiderio fino all’assassinio di Claudio, ma questo è possibile soltanto attraverso la morte, attraverso ciò che avviene nel luogo della castrazione; Amleto non lo fa in quanto vivo, ma in quanto marcato dal buco del regno dei viventi.
È ciò che è formulato attraverso S(Ⱥ): quando si trova la barra sull’Altro, quando si incontra l’Altro castrato – l’Altro marcato dal significante, dalla mancanza, dal lutto, eccetera – qua incontriamo l’Ⱥ.

«Il significante dell’Altro barrato potete riconoscerlo ovunque si trovi la barra sull’Altro. Il significante nascosto, quello di cui l’Altro non dispone, è precisamente quello che vi concerne. È quello stesso che fate entrare in gioco nella misura in cui, da quando, poveri sciocchi, siete nati, siete presi in questa benedetta faccenda di λόγος. Intendo dire la parte di voi che in questa faccenda viene sacrificata» (p.330).

Il λόγος, la parola, il linguaggio, colpisce il vivente, mutila il corpo, sottrae una parte di sé, una parte del vivente che viene sacrificata perché trasformata in significante. Parlando devo accettare di mortificarmi, perché la vita non è significanti, la vita è un’altra cosa. Dobbiamo parlare, ma dobbiamo anche agire, e ad un certo momento Amleto deve assumere il suo desiderio, deve assumere questa perdita, attraverso ciò che Lacan ha chiamato castrazione per qualificare questa mutilazione primitiva. Lo strumento di cui il soggetto dispone in questo contesto è il fallo.
Il soggetto è marcato dal linguaggio ed è castrato, ma può maneggiare questa perdita, questa mancanza, oppure no. Nel caso di Amleto, la risposta è no. Come nel caso di Ella Sharpe: all’inizio del seminario si vedeva come il paziente non potesse utilizzare questo significante; lui che era campione di tennis non poteva vincere una partita di fronte ad un avversario più debole di lui, perché non aveva a disposizione il fallo. L’uso del fallo traduce questo: il soggetto è confrontato con una mancanza, con una castrazione, ma può utilizzarla: è una debolezza che il soggetto può utilizzare. Questo è il significato della scrittura -φ.

«Essa non è sacrificata puramente e semplicemente, cioè, come si dice, fisicamente o realmente, bensì è sacrificata simbolicamente. E non è un’inezia, questa parte di voi che ha assunto funzione significante. È per questo che ce n’è una sola e non ce ne sono cento. Si tratta esattamente di quella funzione enigmatica che chiamiamo il fallo».

Il fallo è quello strumento che traduce la possibilità del soggetto di usare il fatto di essere marcato dal significante, marcato dalla castrazione.

«Il fallo è qui quel qualcosa di sacrificato dell’organismo, della vita, della spinta vitale, che si trova simbolizzato. Sapete che spinta vitale è un’espressione che a mio parere non è il caso di usare a sproposito, ma una volta circoscritta, simbolizzata, collocata là dov’è, soprattutto là dove serve, là dove effettivamente presa, vale a dire nell’inconscio, essa acquista il suo senso»

A questo punto, come situare la funzione del fantasma? A p. 331 Lacan inizia così: «Senza tornare per il momento sulle questioni poste dalla play scene, dalla scena degli attori – le questioni che vi ho indicato la volta scorsa –, vorrei oggi introdurre un elemento essenziale. Esso riguarda ciò a cui ci avviciniamo dopo aver stabilito la funzione delle due linee del grafo».
Come detto la linea inferiore è quella della catena significante, è la linea dell’enunciato, ma c’è una linea inconscia, vale a dire che si deduce, che normalmente è velata, ma che va fatta esistere, va interpretata. Nel caso della pièce di Shakespeare abbiamo una rivelazione su questa parte superiore del grafo, attraverso il messaggio del padre; abbiamo, da subito, accesso a questa zona del grafo che nella vita quotidiana è sempre coperta.
Lacan evidenzia che c’è un intervallo tra le due linee e normalmente è meglio che questo intervallo ci sia perché quando sparisce, quando si appiattisce, quando ignoriamo la linea superiore, ignoriamo l’aldilà della linea inferiore, allora riduciamo questo intervallo e ciò è una catastrofe. Ad esempio, d’innanzi alla richiesta «voglio il sale», non si vuole sapere niente di più, e questa è una catastrofe. «Tu vuoi il sale? Prego!», e basta, non si vuole sapere nulla di più. È una catastrofe perché questa frase invece può essere molto importante, può salvare una vita: in un determinato codice chiedere il sale significa che dobbiamo scappare perché c’è un pericolo. Una frase qualsiasi, amche banale, come chiedere il sale, può rappresenta quindi un codice, una parola d’ordine, un segnale. Qualunque frase, anche la più semplice, può avere un valore importante. È quindi importante considerare sempre l’aldilà della frase, mantenere questo intervallo nella vita quotidiana e nella pratica analitica. Invece la psicoterapia ignora questa dimensione, le terapie comportamentiste, cognitiviste, per esempio, non vogliono sapere niente dell’aldilà: si riduce l’esperienza umana a quella del topo; ancora questa settimana su un importante giornale francese si menzionava una scoperta, presentata come scientifica, che apriva la strada allo studio dell’autismo nel topo.
A discapito di questi tentativi riduzionisti, questo intervallo c’è: è l’intervallo del desiderio, dunque questa è la zona del desiderio. Nella nostra pratica è fondamentale avere presente questo per mantenere aperta la dimensione del desiderio, ma lo è anche nella quotidianità o in altri campi, come la vita amorosa o nell’educazione, dove, per esempio, è molto importante non ignorare la dimensione del desiderio in favore delle condotte del bambino. Questa dimensione del desiderio è aldilà dell’enunciato, aldilà di ciò che si dice, e va interpretata: solo così è possibile darle un posto.
Nel grafo c’è soltanto un intervallo: lì il desiderio può errare. Manca qualcosa che lo fissi: questa è la funzione del fantasma. Nel caso di Amleto siamo in questa situazione: c’è il desiderio ma gli manca l’appoggio per poterlo compiere, ovvero manca il fantasma.
Ecco allora che in quest’intervallo Lacan situa anche la linea del desiderio che si appoggia sul fantasma. Il fantasma, la realizzazione del fantasma, la concatenazione del fantasma, richiama un oggetto nel desiderio e quando questo oggetto non occupa il giusto posto per il soggetto il fantasma non c’è: il soggetto non ha a sua disposizione il fantasma in forma regolata e dunque di fronte al suo delirio si trova come senza bussola.
Il fantasma è la bussola del desiderio ma necessita di un oggetto particolare e questo è il problema di Amleto di fronte al suo desiderio: quando è con Ofelia, rigetta Ofelia come oggetto nel suo desiderio. Si trova dunque senza una risposta da poter dare al suo desiderio. Alla fine, con la morte di Ofelia e il lutto di Laerte, Amleto ritrova l’oggetto-Ofelia. In questo passaggio allora Lacan può dire che l’oggetto è il cursore del desiderio. Prima manca un cursore che fissi il desiderio, poi abbiamo il cursore del fantasma ma dobbiamo considerare che la formula del fantasma richiama l’operatività di un oggetto particolare che deve ritrovare il suo posto giusto nel desiderio del soggetto. Amleto sa che ama Ofelia: per lui non è una donna qualsiasi, è una donna particolare, che ama, ma non dà il posto giusto a questo oggetto perché non avendo assunto la castrazione non può usare il fallo nel modo giusto; piuttosto lo mette dal lato di Ofelia. Per lui Ofelia non è una donna ma una genitrice, una macchina per fare figli, un fallo. Lacan sottolineava la parentela tra Ofelia e φαλλός , in greco il fallo. Ma essere quella del fallo non è la posizione giusta per Ofelia. La posizione giusta l’abbiamo alla fine ed è quella di essere un oggetto nel desiderio, nel fantasma. Tutta la difficoltà di Amleto consiste nel ritrovarsi senza questo appoggio dell’oggetto nel desiderio e del fantasma.
Lacan evidenzia l’importanza dell’intervallo tra le due linee del grafo, che ritiene un elemento essenziale: «È nella distanza che può mantenere fra le due linee che il soggetto respira, se così si può dire, nel tempo che ha da vivere, ed è questo che noi chiamiamo desiderio» (p. 331). La respirazione del soggetto è possibile perché c’è un intervallo: possiamo interpretare molti sintomi di soffocamento, di difficoltà respiratorie, a partire dalla mancanza di questo intervallo. Se manca l’intervallo del desiderio non si può respirare.
A p. 332 si incontra la frase su Ofelia e il ruolo dell’oggetto nel desiderio. Sono pagine che Lacan dedica alle donne in Shakespeare e considera Ofelia come la figura femminile più completa in Shakespeare: «Ofelia sembra costituire il vertice della sua creazione del carattere femminile» (p. 334). In relazione ad Ofelia come matrice, a pagina 335 Lacan dice: «Ofelia, insomma, ci presenta un’immagine della fecondità vitale».
In conclusione, alla luce di quanto detto, si può riprendere il rapporto tra Amleto ed Edipo. Fino a questo seminario di Lacan, gli psicoanalisti interpretavano Amleto sulla base dell’Edipo. Lacan rigetta questa impostazione, a p. 326 si chiede: «Che cosa distingue in definitiva la posizione di Amleto rispetto alla trama fondamentale dell’Edipo?». Una cosa molto importante: nel caso di Amleto abbiamo un soggetto che sa quello che deve fare ma non riesce a farlo, mentre nel caso di Edipo nessun problema! Edipo compie, senza tergiversare, l’assassinio dell’uomo che aveva incrociato sulla sua strada…ma non sapeva che fosse il padre!
La prima distinzione importante sta in questo: non c’è attesa, Edipo compie immediatamente questo atto e non sapeva. Amleto, invece, sa, conosce tutta la storia, conosce chi ha ucciso suo padre, sa quello che deve fare, ma non può farlo.
Il secondo punto sottolineato da Lacan è che nel caso di Edipo il padre non sa cosa gli accade. È stato ucciso, ma non sa che è stato ucciso da un figlio, il figlio che aveva abbandonato. Edipo non sa. Nel caso di Amleto, il padre sa e Amleto sa. Sono due situazioni completamente diverse e opposte. Lacan, dunque, non interpreta Amleto a partire dall’Edipo, ma situa Amleto al livello del mito di Edipo. Il complesso di Edipo è un mito freudiano. Totem e Tabù è un mito creato da Freud, non è una verità storica, è un mito e Lacan sottolinea il fatto che questa è sicuramente l’unica occasione in cui vediamo sorgere un mito nell’epoca moderna.
Fino a Lacan si è preso Totem e Tabù come una verità storica, mentre lui abbandona questa lettura e considera quel testo un mito: Amleto è da situare allo stesso livello. Non ci si deve far confondere dal fatto che Lacan, a un certo punto, parla dell’Amleto come di un dramma edipico. Con questa definizione non intende dire che Amleto sia da interpretare a partire da Edipo, ma piuttosto che è da situare a livello del mito.


Trascrizione: Luca Amabile & Jessica Lucarini
Revisione: Alberto Tuccio