Testo di riferimento: J. Lacan, Il seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione, Einaudi, Torino, 2016.
Capitoli XVI, XVII, XVIII e XIX.
Il seminario VI è intitolato Il desiderio e la sua interpretazione ma,
come sottolineava Jacques-Alain Miller nella presentazione della pubblicazione,
il vero titolo dovrebbe essere “Il desiderio e il fantasma”: il nocciolo del
seminario non è l’interpretazione, ma è il rapporto inconscio tra il soggetto e
il suo oggetto nell’esperienza desiderante del fantasma. Ciò emerge con forza
nei capitoli XVI, XVII, XVIII e XIX che rientrano tra quelli che Lacan dedica
all’Amleto di Shakespeare.
La formula del fantasma - $ à a - è il punto determinante dell’interpretazione che Lacan ci dà
dell’Amleto. Il fantasma è una
relazione tra il soggetto in quanto marcato dal significante – scritto come
barrato, quindi il soggetto della parola, del linguaggio, il soggetto parlante
– e l’oggetto nel desiderio – come sottolinea Lacan: non oggetto del desiderio,
ma oggetto nel desiderio. Il fantasma è il rapporto soggetto-oggetto nel
desiderio. La chiave del dramma del desiderio di Amleto si trova in questa
formula ed è a partire da essa che Lacan lo interpreta: il dramma di Amleto è il
dramma del desiderio.
Per Amleto il dramma del suo desiderio
è di sapere che cosa deve fare: assassinare Claudio, come ha domandato il
fantasma del padre. Lui lo sa, lo deve fare, e accetta questa missione: non ha
dubbi su questo punto, non c’è divisione in Amleto, sa cosa deve fare:
assassinare l’amante di sua madre. Nonostante abbia il desiderio di farlo, nonostante
sia concorde con lo scopo e non abbia dubbi a riguardo, la pièce ci racconta
l’impossibilità per Amleto di raggiungere il suo desiderio, la difficoltà di
Amleto per assassinare Claudio. Soltanto alla fine della tragedia Amleto riesce
a realizzare il suo desiderio. La lettura che ne fa Lacan intende rispondere
due questioni:
1) perché Amleto non riesce a realizzare un desiderio per
nulla inconscio, anzi chiaro, enunciato, che conosce e che vuole raggiungere?
2) Perché riesce a realizzarlo solo nelle circostanze molto
particolari della fine dell’opera?
Il capitolo XVI comincia con il lamento
di Amleto: «Mi si dia il mio desiderio!» (p. 321). È anche ciò che tutti
i critici, gli attori e gli spettatori afferrano dell’Amleto, ciò che si ripete lungo la pièce e Lacan rileva: «Vi ho
anche detto che è così a causa dell’eccezionale, del geniale rigore strutturale
raggiunto dal tema dell’Amleto nell’opera skakespeariana».
Il tema dell’Amleto è un tema antico, è cominciato
nel dodicesimo secolo con l’opera Gesta
Danorum di Saxo Grammaticus, e cinque secoli dopo Shakespeare lo riprende dandogli
una forma che Lacan qualifica come geniale perché vi riconosce un’articolazione
perfetta del problema che il desiderio pone al soggetto.
«Questa
forma si caratterizza ai nostri occhi, con il metodo che impieghiamo qui, per
qualcosa che io chiamo la struttura.
La
struttura è precisamente ciò in cui cerco di darvi una chiave che vi consenta
di orientarvi con certezza, ovvero la forma topologica che ho chiamato il grafo
e che forse potremmo chiamare il gramma». (p. 321)
La lettura di quest’opera da
parte di Lacan non è una psicoanalisi di Amleto, e neppure quella di
Shakespeare. Non rientra neppure nella cosiddetta psicoanalisi applicata. Per Lacan, la psicoanalisi si applica
soltanto a un soggetto vivente che parla e che gode, realmente. Non possiamo
dire ciò di Amleto: non è vivente, non parla, non gode. La psicoanalisi si
applica a un soggetto reale. C’è la teoria analitica, che è una teoria della
pratica analitica, e c’è la pratica analitica, vale a dire l’applicazione di
questa psicoanalisi pura a un soggetto reale. A questo proposito Lacan dice:
«Come
vi ho già detto, Amleto non è questo o quello, un ossessivo o un isterico, e in
primo luogo per la buona ragione che è una creazione poetica. Amleto non ha una
nevrosi, ci dà una dimostrazione di nevrosi, il che è tutt’altra cosa
dell’essere nevrotici. Nondimeno, quando guardiamo Amleto sotto una certa luce
dello specchio, egli ci appare, per alcune frasi, più vicino alla struttura
dell’ossessivo. Ciò dipende da quello che è l’elemento rivelatore della
struttura nell’ossessivo, l’elemento che è massimamente valorizzato dalla
nevrosi ossessiva, e cioè che la funzione principale del desiderio consiste qui
nel mantenere le distanze dall’ora dell’incontro desiderato, nell’attenderla».
(p. 325)
Ciò che troviamo nell’Amleto di Shakespeare è questa struttura:
la struttura di un soggetto che ha una relazione con un desiderio ma che
rimanda sempre l’ora dell’incontro con questo desiderio.
Ma non si può interpretare
Amleto con la psicoanalisi, al contrario è la creazione poetica di Shakespeare
che genera un modello come il personaggio di Amleto; solo dopo possiamo
interpretare un soggetto reale a partire dall’Amleto. Questo Lacan lo dice limpidamente a p. 273: «Io sostengo, e
sosterrò senza ambiguità – e così facendo penso di essere in linea con Freud –
che le creazioni poetiche generano, più che riflettere, le creazioni
psicologiche». Queste precisazioni vanno nella direzione di rigettare una certa
deriva psicoanalitica rispetto al commento delle opere d’arte, in particolare
il lavoro di Jones sull’Amleto.
Seguendo quanto dice Lacan si
potrebbe pensare che quest’opera contribuisce alla costruzione del grafo del
desiderio, infatti sia ne chiarifica alcuni punti sia permette proprio a Lacan di
completare questa costruzione che aveva iniziato a sviluppare l’anno precedente.
Ciò che non si intendeva, riprendendolo a partire dalla tragedia shakesperiana,
si chiarisce: dal fantasma, al fallo, all’oggetto del desiderio, al desiderio
stesso, alla relazione del desiderio con il desiderio dell’Altro. Più in
generale lo studio dell’Amleto è un
contributo alla teoria del desiderio, a partire da Shakespeare. Dunque la
lettura dell’Amleto da parte di Lacan è un pezzo di teoria analitica, in particolare
teoria analitica del desiderio.
Il dramma del desiderio di
Amleto non è dovuto a un conflitto interiore, Lacan lo evidenzia a p. 323: «Bisogna
uccidere Claudio. L’assassinio da compiere, l’assassinio che Amleto vuole
compiere è un assassinio giusto. Contrariamente a quanto alcuni autori hanno
suggerito, come vi ho già detto, non c’è in lui un conflitto di diritti o di
ordini riguardo ai fondamenti dell’esecuzione della giustizia». Il problema sta
piuttosto nel realizzare il suo desiderio e Lacan si domanda il perché. È una
questione generale sul desiderio: nel soggetto nevrotico, per esempio, c’è il
desiderio, ma il soggetto non riesce a realizzarlo. In questo la pièce di
Shakespeare ha avuto e ha tutt’ora una grande attualità perché è strutturata
secondo le coordinate del desiderio dunque, in qualsiasi momento storico,
quando si legge Amleto, ognuno riconosce la struttura del desiderio e le
difficoltà del suo desiderio. Qualunque sia la struttura soggettiva (ossessivo,
isterico, perverso o psicotico), il grafo del desiderio vale per tutti, con la
sua struttura si confronta ogni soggetto. Questo perché il desiderio appare nel
soggetto parlante in quanto tale: parlare vuol dire desiderare, è un effetto
del linguaggio. Il linguaggio implica delle conseguenze sul soggetto, una di
queste è il desiderio, che si struttura secondo le coordinate del grafo.
Ciò che fa enigma nel desiderio
di Amleto è l’attesa: l’attesa dell’incontro con la realizzazione del suo
desiderio. Lacan sottolinea di rifarsi al il termine erwarten, utilizzato da
Freud in Inibizione, sintomo e angoscia,
che vuol proprio dire attendere, fare attendere. Rispetto all’imperativo “bisogna
uccidere Claudio”: «Non c’è l’ambiguità in lui [Amleto, ndr] fra l’ordine
pubblico, la mano della legge, e gli impegni privati». Secondo la legge Claudio
deve essere assassinato, e lui, come figlio del padre ucciso, deve compiere
questo desiderio, non c’è conflitto – come può apparire, invece, nelle pièce di
Racine, in cui c’è conflitto tra l’ordine pubblico e il desiderio proprio del
soggetto. «Egli non ha dubbi sul fatto che questo assassinio coincida con la
legge», non c’è dunque conflitto tra desiderio e legge, «Ma quello che ci
appare immediatamente nel leggere il testo è l’intimo legame fra questo
assassinio che non fa problema ad Amleto e la sua morte». Ecco un importante
elemento: la morte di Amleto, che avverrà alla fine della tragedia. Soltanto
quando Amleto è colpito a morte da Laerte, sa che morirà, gli manca poco tempo,
in questo breve intervallo può raggiungere il suo desiderio: uccidere Laerte e
Claudio, per poi morire.
Qual è il messaggio? Cos’è questa
rivelazione che il padre fa al figlio? «Questa risposta, che in definitiva è il
messaggio nel punto in cui si costituisce sulla linea superiore, quella
dell’inconscio, ve l’ho già simbolizzata anticipatamente, non senza essere
perciò costretto a chiedervi di darmi credito […] La risposta ho cominciato ad
articolarla nella forma seguente […]» (p. 327). Qui Lacan riprende il grafo che
inizia con la catena significante: qualcosa esce dalla bocca quando si parla. A
partire da una frase, un enunciato, si deduce un’intenzionalità: cosa ha voluto
dire questo soggetto che ha parlato? Questo è il primo incrocio nel percorso
del grafo: l’enunciato, la catena significante, incrocia l’intenzionalità del
soggetto. È necessario un certo tempo perché si possa porre l’interrogativa su cosa
ha voluto dire questo soggetto. Questo quesito si può formulare a partire
dall’Altro del significante – per esempio il francese quando parlo francese,
l’italiano quando parlo italiano –: a partire da un insieme di significanti si
deduce un certo significato. Ma c’è un al di là di questo enunciato: c’è
sicuramente una significazione che si deduce dall’analisi grammaticale
dell’enunciato, ma al di là c‘è un’intenzionalità. Ecco allora un’ulteriore interrogazione:
che vuoi? A questo livello incontriamo un messaggio ultimo, che Lacan
inscrive sulla linea superiore del grafo, la linea dell’inconscio. Infatti sulla
linea inferiore del grafo abbiamo l’enunciato conscio, mentre la linea
superiore è inconscia.
A quel livello qual è il
messaggio? C’è una risposta a questo livello che Lacan scrive così: S(Ⱥ), ovvero significante dell’Altro barrato. Lacan
interpreta il messaggio del padre come un messaggio sull’ultima verità: il
valore della pièce di Amleto è di farci vedere cosa accade a livello inconscio,
questa rivelazione sul messaggio ultimo che normalmente non abbiamo. Nella vita
quotidiana questa parte del grafo è velata, non la incontriamo, è soltanto
attraverso l’analisi che possiamo sollevare questo velo sulla parte inconscia e
raggiungere il messaggio ultimo sotto la forma di questo S(Ⱥ).
L’Amleto getta quindi luce su ciò che accade a livello inconscio, sotto
la forma del messaggio del padre. Cosa vuol dire questo messaggio? Lacan, per
spiegare la formula S(Ⱥ), dice nelle pagine
327-328:
«Anzitutto
la S maiuscola, che sta per significante.
Ciò distingue già la risposta a livello della linea superiore dalla risposta a
livello della linea inferiore, la quale
si inscrive con una s minuscola, che sta per significato.
A
livello del discorso semplice, infatti, il senso di ciò che abbiamo voluto dire
è modellato dalla parola che si svolge a livello dell’Altro. La risposta è
dunque sempre, in relazione a quella parola, il significato dell’Altro, s(A). Ma esiste un aldilà di questo
discorso semplice, dove il soggetto pone a se stesso la questione Chi parla?
Chi avrà voluto dire questo o quello a livello dell’Altro? In fin dei conti, in
tutto questo, che cosa sono diventato io? A questo livello, come vi ho già
detto, la risposta è il significante dell’Altro con la barra: S(Ⱥ).
Ci
sono mille modi di cominciare a svilupparvi quanto è incluso in questo simbolo,
ma dal momento che ci troviamo nell’Amleto sceglieremo oggi la via
chiara, evidente, patetica, drammatica. L’Amleto ci dà la possibilità –
e sta qui il valore della pièce – di accedere al senso di S(Ⱥ).
In
effetti, il senso di ciò che Amleto viene a sapere dal padre ce l’abbiamo
davanti, chiarissimo. È l’irrimediabile, assoluto, insondabile tradimento
dell’amore […]».
Questo è il messaggio del padre:
il mio amore è stato tradito da mia moglie, che con la complicità di Claudio mi
ha ucciso. E, Lacan sottolinea:
«[…]
dell’amore più puro, dell’amore di quel re che naturalmente, come tutti gli
uomini, può essere stato un gran furfante, ma che con quell’essere che era la
sua donna era uno che arrivava al punto di allontanare dal suo viso i soffi del
vento, the winds of heaven – almeno stando a quanto dice Amleto. È
l’assoluta falsità di quella che ad Amleto era apparsa come la testimonianza
stessa della bellezza, della verità, dell’essenziale.
Consiste
in questo la risposta. La verità di Amleto è una verità senza speranza. In
tutto l’Amleto non c’è traccia di un’elevazione verso qualcosa che si
trovi al di là, riscatto o redenzione. Ci è stato detto che il primo incontro
procedeva da Sotto. Il rapporto infernale con quell’Acheronte che Freud, non
potendo piegare le potenze superiori, ha scelto di mettere in subbuglio – ecco
dove in effetti si situa l’Amleto.
[…]
Ma questa risposta, per quanto penosa sia, ve la do soltanto come una traccia
nell’ordine del sensibile, del patetico, giacché qualsiasi conclusione, o
qualsiasi verdetto, per quanto radicale sia nell’assumere una forma accentuata
nell’ordine del cosiddetto pessimismo, è fatta ancora per velarci ciò di cui si
tratta».
Dunque questo riferimento al
tradimento dell’amore è soltanto per velare la vera risposta. «Di quella
riposta occorre poter dare una formula che stringa più da vicino quanto ha
motivato la scelta di quella sigla, e cioè la ragione di S(Ⱥ)» (p. 329). Qual è la significazione ultima di
questa formula? «Se così si può dire è questo il grande segreto della
psicoanalisi. Il grande segreto è che non c’è Altro dell’Altro». Questa è la
vera risposta: non il tradimento dell’amore, ma la drammatizzazione di questa
verità ultima: non c’è Altro dell’Altro.
Ciò significa una cosa molto
precisa: «Nell’Altro non c’è alcun significante che possa, eventualmente,
rispondere di quello che io sono» (p. 330). La vera significazione di questa
formula è dunque che manca un significante nell’Altro, «è una verità senza
verità», perché niente garantisce questa verità, questo significante manca
sempre.
Attraverso il messaggio del padre
e la sua interpretazione con la formula di S(Ⱥ),
Lacan introduce alla dimensione del significante mancante di cui fornisce anche
una scrittura: -φ, il fallo. Questo significante che manca è da mettere in relazione
con ciò che è il fallo nell’economia del desiderio. Da qui è possibile capire
perché per Amleto sia così difficile raggiungere il suo desiderio: l’assunzione
del desiderio suppone la castrazione, ovvero l’uso del fallo. Quando il
soggetto non può utilizzare il fallo non può assumere il suo desiderio. Questa
condizione è molto chiara in Amleto in primis rispetto all’assassinare Claudio ma
anche nella relazione con una donna: non può assumere il suo desiderio per
Ofelia.
Il primo incontro con Ofelia avviene
dopo quello con il ghost: Lacan
lo qualifica come molto crudele («Amleto si comporta con Ofelia con una
crudeltà del tutto eccezionale», p. 334) perché Amleto rigetta il suo amore per
Ofelia e la tratta male. Questo rapporto mette in evidenza nuovamente
l’incapacità, o la mancanza, per Amleto, dell’uso del fallo che rende impossibile
l’assunzione del desiderio, in questo caso per Ofelia. Si può anche dire che
per Amleto l’impossibilità riguarda il raggiungimento della castrazione.
Alla fine della tragedia, davanti
al lutto di Laerte per la sorella Ofelia, vi è una risposta a questo problema.
Ofelia è morta, è nella tomba, Laerte raggiunge il corpo e mostra il suo dolore
per la perdita di una persona amata. Amleto si trova lì, scende nella tomba,
raggiunge Laerte e lottano, perché non sopporta lo spettacolo del dolore di
Laerte, e dice «Io amavo Ofelia». È soltanto attraverso il lutto di Laerte che
può riconoscere il proprio lutto, il proprio dolore, il proprio desiderio di
aver amato Ofelia. Non può che dirlo in questo momento, quando è impossibile
raggiungere Ofelia.
La dimensione del lutto è da legare
alla mancanza, alla castrazione. Cos’è un lutto? È essere confrontati, dopo la
perdita di una persona amata, con un buco nel reale. Per Lacan è attraverso
questo che si vede che c’è il reale. Non c’è soltanto il simbolico, o
l’immaginario, o le costruzioni sociali, eccetera, c’è anche il reale: il reale
del sesso, ad esempio.
Il lutto è un tentativo di ricoprire
questo buco, esempio ne sono i riti che seguono la morte di un essere umano.
Lacan sottolinea che questo buco lo si può ricoprire, ma non sparisce, si
mantiene, c’è sempre un buco: questo è equivalente a dire che a livello del
simbolico manca un significante. Dunque il lutto ci conduce alla mancanza di un
significante – quello che Lacan aveva scritto come S(Ⱥ),
o come fallo, o come castrazione.
È solo attraverso il lutto, quello
di Laerte, che Amleto può raggiungere realmente il suo desiderio per Ofelia. È
soltanto in queste circostanze, o meglio, in ciò che accade dopo, quando, nel
duello tra Laerte e Amleto, i due protagonisti hanno in mano il fioretto – in
inglese il foil – ed è soltanto in questo momento che Amleto può usare
il fallo, sotto la forma del foil. Tuttavia ciò è possibile soltanto
quando è stato colpito ed è morente. Dunque ci sono due tappe nell’assunzione
del desiderio da parte di Amleto: prima il desiderio per Ofelia permette
l’assunzione del proprio desiderio e dunque può prolungare questo desiderio
fino all’assassinio di Claudio, ma questo è possibile soltanto attraverso la
morte, attraverso ciò che avviene nel luogo della castrazione; Amleto non lo fa
in quanto vivo, ma in quanto marcato dal buco del regno dei viventi.
È ciò che è formulato attraverso S(Ⱥ): quando si trova la barra sull’Altro, quando si
incontra l’Altro castrato – l’Altro marcato dal significante, dalla mancanza,
dal lutto, eccetera – qua incontriamo l’Ⱥ.
«Il
significante dell’Altro barrato potete riconoscerlo ovunque si trovi la barra
sull’Altro. Il significante nascosto, quello di cui l’Altro non dispone, è
precisamente quello che vi concerne. È quello stesso che fate entrare in gioco
nella misura in cui, da quando, poveri sciocchi, siete nati, siete presi in questa
benedetta faccenda di λόγος. Intendo dire la parte di voi che in questa
faccenda viene sacrificata» (p.330).
Il λόγος, la parola, il
linguaggio, colpisce il vivente, mutila il corpo, sottrae una parte di sé, una
parte del vivente che viene sacrificata perché trasformata in significante.
Parlando devo accettare di mortificarmi, perché la vita non è significanti, la
vita è un’altra cosa. Dobbiamo parlare, ma dobbiamo anche agire, e ad un certo
momento Amleto deve assumere il suo desiderio, deve assumere questa perdita,
attraverso ciò che Lacan ha chiamato castrazione per qualificare questa
mutilazione primitiva. Lo strumento di cui il soggetto dispone in questo
contesto è il fallo.
Il soggetto è marcato dal
linguaggio ed è castrato, ma può maneggiare questa perdita, questa mancanza,
oppure no. Nel caso di Amleto, la risposta è no. Come nel caso di Ella Sharpe:
all’inizio del seminario si vedeva come il paziente non potesse utilizzare
questo significante; lui che era campione di tennis non poteva vincere una
partita di fronte ad un avversario più debole di lui, perché non aveva a
disposizione il fallo. L’uso del fallo traduce questo: il soggetto è
confrontato con una mancanza, con una castrazione, ma può utilizzarla: è una
debolezza che il soggetto può utilizzare. Questo è il significato della
scrittura -φ.
«Essa
non è sacrificata puramente e semplicemente, cioè, come si dice, fisicamente o
realmente, bensì è sacrificata simbolicamente. E non è un’inezia, questa parte
di voi che ha assunto funzione significante. È per questo che ce n’è una sola e
non ce ne sono cento. Si tratta esattamente di quella funzione enigmatica che
chiamiamo il fallo».
Il fallo è quello strumento che
traduce la possibilità del soggetto di usare il fatto di essere marcato dal
significante, marcato dalla castrazione.
«Il
fallo è qui quel qualcosa di sacrificato dell’organismo, della vita, della
spinta vitale, che si trova simbolizzato. Sapete che spinta vitale è
un’espressione che a mio parere non è il caso di usare a sproposito, ma una
volta circoscritta, simbolizzata, collocata là dov’è, soprattutto là dove
serve, là dove effettivamente presa, vale a dire nell’inconscio, essa acquista
il suo senso»
A questo punto, come situare la
funzione del fantasma? A p. 331 Lacan inizia così: «Senza tornare per il
momento sulle questioni poste dalla play
scene, dalla scena degli attori – le questioni che vi ho indicato la volta
scorsa –, vorrei oggi introdurre un elemento essenziale. Esso riguarda ciò a
cui ci avviciniamo dopo aver stabilito la funzione delle due linee del grafo».
Come detto la linea inferiore è quella della catena
significante, è la linea dell’enunciato, ma c’è una linea inconscia, vale a
dire che si deduce, che normalmente è velata, ma che va fatta esistere, va
interpretata. Nel caso della pièce di Shakespeare abbiamo una rivelazione su
questa parte superiore del grafo, attraverso il messaggio del padre; abbiamo, da
subito, accesso a questa zona del grafo che nella vita quotidiana è sempre
coperta.
Lacan evidenzia che c’è un intervallo
tra le due linee e normalmente è meglio che questo intervallo ci sia perché
quando sparisce, quando si appiattisce, quando ignoriamo la linea superiore,
ignoriamo l’aldilà della linea inferiore, allora riduciamo questo intervallo e
ciò è una catastrofe. Ad esempio, d’innanzi alla richiesta «voglio il sale»,
non si vuole sapere niente di più, e questa è una catastrofe. «Tu vuoi il sale?
Prego!», e basta, non si vuole sapere nulla di più. È una catastrofe perché questa
frase invece può essere molto importante, può salvare una vita: in un
determinato codice chiedere il sale significa
che dobbiamo scappare perché c’è un pericolo. Una frase qualsiasi, amche banale,
come chiedere il sale, può rappresenta quindi un codice, una parola d’ordine,
un segnale. Qualunque frase, anche la più semplice, può avere un valore
importante. È quindi importante considerare sempre l’aldilà della frase, mantenere
questo intervallo nella vita quotidiana e nella pratica analitica. Invece la
psicoterapia ignora questa dimensione, le terapie comportamentiste,
cognitiviste, per esempio, non vogliono sapere niente dell’aldilà: si riduce
l’esperienza umana a quella del topo; ancora questa settimana su un importante
giornale francese si menzionava una scoperta, presentata come scientifica, che
apriva la strada allo studio dell’autismo nel topo.
A discapito di questi tentativi
riduzionisti, questo intervallo c’è: è l’intervallo del desiderio, dunque
questa è la zona del desiderio. Nella nostra pratica è fondamentale avere
presente questo per mantenere aperta la dimensione del desiderio, ma lo è anche
nella quotidianità o in altri campi, come la vita amorosa o nell’educazione, dove,
per esempio, è molto importante non ignorare la dimensione del desiderio in
favore delle condotte del bambino. Questa dimensione del desiderio è aldilà
dell’enunciato, aldilà di ciò che si dice, e va interpretata: solo così è
possibile darle un posto.
Nel grafo c’è soltanto un
intervallo: lì il desiderio può errare. Manca qualcosa che lo fissi: questa è
la funzione del fantasma. Nel caso di Amleto siamo in questa situazione: c’è il
desiderio ma gli manca l’appoggio per poterlo compiere, ovvero manca il fantasma.
Ecco allora che in quest’intervallo
Lacan situa anche la linea del desiderio che si appoggia sul fantasma. Il
fantasma, la realizzazione del fantasma, la concatenazione del fantasma,
richiama un oggetto nel desiderio e quando questo oggetto non occupa il giusto
posto per il soggetto il fantasma non c’è: il soggetto non ha a sua
disposizione il fantasma in forma regolata e dunque di fronte al suo delirio si
trova come senza bussola.
Il fantasma è la bussola del
desiderio ma necessita di un oggetto particolare e questo è il problema di
Amleto di fronte al suo desiderio: quando è con Ofelia, rigetta Ofelia come
oggetto nel suo desiderio. Si trova dunque senza una risposta da poter dare al
suo desiderio. Alla fine, con la morte di Ofelia e il lutto di Laerte, Amleto
ritrova l’oggetto-Ofelia. In questo passaggio allora Lacan può dire che
l’oggetto è il cursore del desiderio. Prima manca un cursore che fissi il desiderio, poi abbiamo il cursore del fantasma ma dobbiamo
considerare che la formula del fantasma richiama l’operatività di un oggetto particolare
che deve ritrovare il suo posto giusto nel desiderio del soggetto. Amleto sa
che ama Ofelia: per lui non è una donna qualsiasi, è una donna particolare, che
ama, ma non dà il posto giusto a questo oggetto perché non avendo assunto la
castrazione non può usare il fallo nel modo giusto; piuttosto lo mette dal lato
di Ofelia. Per lui Ofelia non è una donna ma una genitrice, una macchina per
fare figli, un fallo. Lacan sottolineava la parentela tra Ofelia e
φαλλός , in greco il fallo. Ma essere quella del fallo non è la posizione giusta per
Ofelia. La posizione giusta l’abbiamo alla fine ed è quella di essere un
oggetto nel desiderio, nel fantasma. Tutta la difficoltà di Amleto consiste nel
ritrovarsi senza questo appoggio dell’oggetto nel desiderio e del fantasma.
Lacan
evidenzia l’importanza dell’intervallo tra le due linee del grafo, che ritiene
un elemento essenziale: «È nella distanza che può mantenere fra le due linee
che il soggetto respira, se così si può dire, nel tempo che ha da vivere, ed è
questo che noi chiamiamo desiderio» (p. 331). La respirazione del soggetto è
possibile perché c’è un intervallo: possiamo interpretare molti sintomi di
soffocamento, di difficoltà respiratorie, a partire dalla mancanza di questo
intervallo. Se manca l’intervallo del desiderio non si può respirare.
A p. 332
si incontra la frase su Ofelia e il ruolo dell’oggetto nel desiderio. Sono
pagine che Lacan dedica alle donne in Shakespeare e considera Ofelia come la
figura femminile più completa in Shakespeare: «Ofelia
sembra costituire il vertice della sua creazione del carattere femminile» (p.
334). In relazione ad Ofelia come matrice, a pagina 335 Lacan dice: «Ofelia,
insomma, ci presenta un’immagine della fecondità vitale».
In conclusione, alla luce di
quanto detto, si può riprendere il rapporto tra Amleto ed Edipo. Fino a questo
seminario di Lacan, gli psicoanalisti interpretavano Amleto sulla base
dell’Edipo. Lacan rigetta questa impostazione, a p. 326 si chiede: «Che cosa
distingue in definitiva la posizione di Amleto rispetto alla trama fondamentale
dell’Edipo?». Una cosa molto importante: nel caso di Amleto abbiamo un soggetto
che sa quello che deve fare ma non riesce a farlo, mentre nel caso di Edipo
nessun problema! Edipo compie, senza tergiversare, l’assassinio dell’uomo che
aveva incrociato sulla sua strada…ma non sapeva che fosse il padre!
La prima distinzione importante
sta in questo: non c’è attesa, Edipo compie immediatamente questo atto e non
sapeva. Amleto, invece, sa, conosce tutta la storia, conosce chi ha ucciso suo
padre, sa quello che deve fare, ma non può farlo.
Il secondo punto sottolineato da
Lacan è che nel caso di Edipo il padre non sa cosa gli accade. È stato ucciso,
ma non sa che è stato ucciso da un figlio, il figlio che aveva abbandonato.
Edipo non sa. Nel caso di Amleto, il padre sa e Amleto sa. Sono due situazioni
completamente diverse e opposte. Lacan, dunque, non interpreta Amleto a partire
dall’Edipo, ma situa Amleto al livello del mito di Edipo. Il complesso di Edipo
è un mito freudiano. Totem e Tabù è
un mito creato da Freud, non è una verità storica, è un mito e Lacan sottolinea
il fatto che questa è sicuramente l’unica occasione in cui vediamo sorgere un
mito nell’epoca moderna.
Fino a Lacan si è preso Totem e Tabù come una verità storica,
mentre lui abbandona questa lettura e considera quel testo un mito: Amleto è da
situare allo stesso livello. Non ci si deve far confondere dal fatto che Lacan,
a un certo punto, parla dell’Amleto come
di un dramma edipico. Con questa
definizione non intende dire che Amleto sia da interpretare a partire da Edipo,
ma piuttosto che è da situare a livello del mito.
Trascrizione: Luca Amabile & Jessica Lucarini
Revisione: Alberto Tuccio