domenica 16 gennaio 2011

Il transfert e le diverse manifestazioni del soggetto supposto sapere

Aprirò questo ciclo di conferenze sul transfert con delle osservazioni cliniche molto semplici, dei fatti clinici che giustificano l’elaborazione di Freud e di Lacan, che quindi non devono essere considerate come dogmi, ma come conseguenze del dire del soggetto in analisi. Se l’analista dice: «Lei mi prende per sua madre, lei mi prende per suo padre, ecc... », è questo che chiamo il dogma. Di fatto, è il paziente stesso, attraverso i suoi sintomi e i suoi sogni, a dire qualcosa del posto che occupa chi lo ascolta.

Partirò, quindi, da una vignetta clinica molto semplice. Si tratta di una giovane donna che non sa assolutamente nulla della psicoanalisi, che incontro in istituzione e che ha un sintomo che vorrebbe veder scomparire. È sposata da poco e non riesce a fare l’amore con suo marito. È il suo ginecologo che la invia per una consulenza psicologica. A seguito del primo contatto con me, sin dalla seconda seduta, mi dice: «Lei ha un fluido». Ovviamente, poiché sono in un’istituzione psichiatrica, ascoltando tale persona, mi chiedo se non sia folle. Vale a dire, se lei crede veramente che io abbia un fluido magnetico, come Messmer. Attualmente si usa volgarmente il termine «onda positiva» quando si ha un buon contatto con qualcuno. Il problema è di sapere se si tratta di una metafora, di un modo di dire o se, per il soggetto, tutto ciò è reale. Ma ben presto, mi accorgo che, fortunatamente, è solo un modo di dire. Il termine traduce per lei l’influenza, il potere che ho sulla sua attività mentale poiché sogna, ha dei ricordi d’infanzia e si stupisce di far conoscere così la sua intimità a qualcuno che non conosce. La paziente, molto ingenuamente, menziona la suggestione realizzata da questa relazione, che è una semplice relazione di parola, nel senso che sono io che scateno la sua parola, senza suggerirle niente. L’unico suggerimento che le do è quello di parlarmi di suo marito e della sua vita sessuale. E allora constatiamo che la difficoltà che ha a far conoscere la sua intimità ha come contropartita la produzione di un affetto che possiamo dire d’amore. Esercito una seduzione su di lei poiché fa dei sogni che riguardano la mia persona. Senza mai averle interpretato nulla, per la semplice virtù di questa relazione confidenziale, un bel giorno mi racconta che è riuscita a fare l’amore con suo marito. Felice conclusione, sicuramente effetto di suggestione. Eppure, non basta ascoltare le lamentele di una donna frigida per levare il sintomo. Sarebbe comunque una cosa arcinota, anche i preti dovrebbero accorgersene durante la confessione. Invece di dare consigli, a un certo punto, se una donna comincia a far conoscere la propria intimità, basterebbe tacere, come fa lo psicoanalista, per produrre un certo effetto terapeutico. Vi parlo di questo perché questo pomeriggio sentirete una vignetta clinica che mette in scena, per l’appunto, un prete terapeuta.

Questo strano fenomeno di risoluzione di un’inibizione per la semplice virtù dell’ascolto mette allora in valore la funzione del transfert. Qual è il posto di questo Altro che io incarno e che rifiuta di farsi garante della domanda d’amore che mi rivolge? Potremmo dire che questo esempio condensa diverse epoche della concezione del transfert. L’epoca di una confusione con la suggestione – è quanto vi ho già mostrato, quello che lei chiama «il fluido». In secondo luogo, la concezione del transfert come spostamento: qui, quello che viene spostato, sono i sentimenti che nutre per me e che non nutre per il marito. Al di là di me, d’altro canto, non è difficile identificare il padre e la difficoltà che ha avuto questa ragazza, nella sua storia, a passare dal padre agli uomini. Le ho fatto notare che aveva delle difficoltà a lasciare suo padre, un uomo idealizzato, e che contrasta con il suo maritino, che ai suoi occhi è ben lungi dal beneficiare dello stesso prestigio, ed è piuttosto lei ad essere l’ideale del marito. Ma, al di là di questo fenomeno di ripetizione, in cui lei mette in atto qualcosa dell’inconscio, ovvero la sua passione per il padre, c’è qualcosa nella relazione che sfugge alla dimensione edipica: mi attribuisce un sapere sul sesso e un sapere sull’impasse sessuale. È la terza modalità del transfert. Mi attribuisce un sapere sul segreto del desiderio e, in fondo, tale segreto è lo stesso di cui lei dispone: è la struttura divisa del suo desiderio tra l’uomo ideale e l’ometto a cui si rassegna. Acquisisce un sapere su tale opposizione. In questa vignetta clinica si manifestano, quindi, la suggestione, la messa in atto dell’inconscio nella ripetizione e l’effetto del soggetto supposto sapere.

Prima che Lacan elaborasse lo stato finale della definizione del transfert come soggetto supposto sapere, vi sono diverse tappe che sono costruite a partire da teorie esterne a Freud. Vale a dire che Lacan cerca di superare l’interpretazione edipica del transfert ricorrendo ad altre dottrine, segnatamente filosofiche, che mettono in valore l’amore del sapere, il sapere come oggetto d’amore e anche l’esistenza di un sapere di cui si dispone ma che il soggetto non sa. Da cui la definizione dell’inconscio come un sapere – non come una somma di affetti – che il soggetto non sa ed è questo sapere che viene trasferito all’analista. Vi rinvio a una delle definizioni più esplicite su questa questione, che si trova nel testo «Televisione»: «Il soggetto attraverso il transfert, – dice Lacan – è supposto al sapere di cui consiste come soggetto dell’inconscio ed è qui ciò che è trasferito sull’analista» (Autres Écrits, Seuil, 2001, p. 531). Innanzi tutto, dunque, il transfert non è una relazione a due, è un effetto dell’inconscio. Un sapere che non può dire «io so», implica logicamente un Altro che lo sa. Ed è qui quello che è trasferito sull’analista, cioè il sapere in quanto non pensa. Rispetto al cogito cartesiano «io penso», qui c’è un «non penso », ma «qualcosa pensa» in me. Lacan, d’altro canto, riprende i termini di Freud, relativi all’inconscio nel sogno, che non pensa, che non calcola e che non giudica. Ma ne fa comunque un effetto di lavoro. Quindi, l’inconscio lavora, il soggetto nel sogno fa delle metafore, delle metonimie, fa un lavoro sul significante ma all’insaputa della significazione che produce. Se prendete l’esempio del sogno, per l’appunto, se un sogno vuol dire qualcosa, cioè si decifra come i geroglifici di Champollion, ciò significa che è una lingua, una lingua segreta, è la lingua segreta del soggetto, di colui che vi racconta il suo sogno. Quindi, è lui che cifra il sogno, è lui l’agente della deformazione tra la significazione e il discorso del sogno, è lui che trucca, che maschera il pensiero rimosso del sogno. Quindi lavora. Quando dormite, voi lavorate. «Traumarbeit» dice Freud. Il lavoro del sogno è fatto di una elaborazione secondaria e, in analisi, il soggetto racconta il suo sogno come se non c’entrasse niente, come se uscisse da teatro o da una sala cinematografica, e racconta quello che gli è capitato. Non sa di sapere e il sogno stesso è un’interpretazione, e il senso del sogno si riduce a dei «gedanken», a dei pensieri: pensieri che il soggetto non sa. Oltre a ciò, per verificare che c’è un soggetto dell’inconscio, ma un soggetto che non si sa, Lacan fa notare, seguendo Freud, che il soggetto sa che sogna. Esempio: i sogni nel sogno. Sognate e, a un certo punto, vi svegliate perché vi sono comunque delle cose abbastanza insopportabili e poi vi è un’istanza, che Freud chiama il preconscio e che è l’agente della trasposizione dei pensieri in cose incomprensibili, che dice: «Ma no, continua pure a dormire, è solo un sogno». E allora voi continuate a dormire; è la funzione del sogno. Il sogno è il guardiano del sonno. Quindi, non ci devono essere verità troppo imbarazzanti che si manifestano. Altrimenti vi svegliate e si ha l’incubo; è necessaria una macchina che fabbrichi del non-senso o un senso completamente assurdo, perché voi continuiate a dormire tranquilli. Questo marchingegno è il soggetto stesso. O ammettete quello che ho appena detto, oppure siete degli scientisti e pensate che si tratti di neuroni mal congegnati, che ci sono delle trasmissioni neuronali impazzite, quando dormite.

A questo punto, siete obbligati a definire l’inconscio come un sapere, ed ecco che tale sapere, che non è trasparente a se stesso, è – come dice Lacan – trasferito su un Altro che, invece, è supposto sapere. Il problema quindi è: è supposto sapere la verità? Che cos’è, dunque, questo sapere supposto? Non significa certo che l’Altro dispone di una verità su di voi e che voi siete trasparenti. Capita, in determinate condizioni, che sono le più fastidiose per la pratica psicoanalitica, ovvero nella psicosi, in cui il soggetto si crede trasparente, si crede indovinato dall’Altro. E si osserva un rovesciamento dell’amore di transfert: invece di avere l’equazione lacaniana «colui che è supposto sapere, lo si ama», nella psicosi abbiamo il rovescio, «colui che ha un sapere trasparente su di me, è lui che mi ama». Qui ci troviamo nel caso dell’erotomania delirante, dell’erotomania di transfert. E, per tornare alla paziente di cui vi parlavo, la questione, ovviamente, si è posta, poiché ho assistito alla manifestazione di questo amore di transfert che implicava una domanda implicita: «lei mi ama?». E, quindi, a un certo momento, ho temuto che vi fosse un aspetto erotomane del transfert. Ma, di fatto, non era così. Eravamo in un tipo di relazione come quella fra Socrate e Alcibiade, quella dell’enigma; l’enigma per Alcibiade era: «Perché quest’uomo, Socrate, mi affascina? Perché lo amo, lui che è così brutto?», lui che non sembra, contrariamente ai greci che frequenta Alcibiade, interessarsi ai ragazzi. «Perché esigo la reciprocità dell’amore con un tipo così brutto?». In termini lacaniani: qual è il significante del transfert ? È un amore speciale, che non è fisico. Alcibiade ama i ragazzi, addirittura va a letto con tutti, con la regina di un re... È un militare, non ha paura di niente, non ha il complesso di castrazione, non è un nevrotico: si diverte a tagliare il pisello delle statue che ornano il tempio di Atena. È un tipo che fa il diavolo a quattro di continuo ed è lui stesso sorpreso di essere vittima di una sorta di fluido – come direbbe la mia paziente – rispetto al filosofo Socrate che si definisce egli stesso come qualcuno che non sa niente, che critica tutti i saperi comuni, tutti i saperi trasmessi dai sofisti che, per lui, non valgono nulla. Sa solo una cosa: ciò che concerne l’essenza del desiderio. La sua specialità è sapere qualcosa sull’amore e sul desiderio. D’altro canto, la specificità di tale segreto è che quello che si ama, attraverso i giovani, attraverso le donne, è l’idea della bellezza. Sono le idee – l’anima è parente delle idee –, del bene, del vero e del bello; ma il soggetto non lo sa ed è intrappolato da delle opinioni, e il suo desiderio è intrappolato dai bei ragazzi e dalle ragazze.

Quello che Lacan fa sapere, nella sua decifrazione del Fedone di Platone – un’opera esterna al freudismo – è che Socrate appare come desiderante; non come desiderante godere, ma come un desiderio di sapere, un desiderio di sapere sulla struttura del desiderio. Ed è in quanto dispone di un segreto sul desiderio che si fa amare da Alcibiade, che Alcibiade lo ama – oserei dire. Quindi, Socrate è anzitutto desiderante ed è in funzione del suo desiderio di sapere che Socrate diventa desiderato, che diventa oggetto dell’amore di transfert. Lacan decostruisce così la posizione Socrate-Alcibiade: ci vuole un terzo termine, ovvero il desiderio di sapere. A questo punto, Socrate, da desiderante qual è, diventa desiderato. È la dialettica detta dell’érastés e dell’érôménos nel transfert; è il passaggio dall’amato all’amante. Questi aspetti li troviamo anche nella ragazza in difficoltà col proprio marito. Forse possiamo esaminare più da vicino il momento di ripetizione, anche se la tesi centrale di Lacan è questa: il transfert non è una semplice copia, non è una semplice ripetizione. Non direte certo che Alcibiade ripete qualcosa della sua infanzia o della sua passione per il padre. Non ne sappiamo assolutamente nulla, e ce ne freghiamo completamente del complesso d’Edipo di Alcibiade. E va benissimo che non sia nevrotico, che non sia edipico, perché questo permette di denudare la struttura del sapere inconscio. Permette di denudare la funzione dell’Altro nel transfert. Detto questo, nella pratica, con dei soggetti nevrotici, ciò non impedisce di avere a che fare con la fenomenologia della ripetizione. Per esempio, nel caso della giovane donna, è patente che ripete la sua domanda d’amore rivolta al padre. Ma tale ripetizione sfocia, nel dispositivo della cura, su un fallimento – è questo, d’altro canto, il concetto di ripetizione. La ripetizione è dovuta al trauma: a ripetersi è quel che non si è realizzato, il desiderio che non è stato soddisfatto. In questo caso, quindi, la ragazza non sceglie una qualsiasi situazione, quel che ripete non è una situazione reale, quel che ripete è una delusione, la delusione di non essere amata a sufficienza dal padre. Ma è in questa prova che riconosce l’impossibilità di soddisfare il proprio desiderio, un desiderio fissato sull’oggetto proibito. E questo le apre la via a un’interrogazione sul suo rapporto con gli uomini. È quindi, in questa prova di fallimento che giunge ad acconsentire ad essere l’oggetto – non l’oggetto d’amore, com’è stata per suo padre – ma l’oggetto di desiderio per un uomo.

Possiamo aggiungere che c’è un altro aspetto del transfert che, in questo caso, è all’opera, ovvero una certa de-supposizione di sapere: da un lato la supposizione di sapere che io incarno ha aperto l’inconscio, dall’altro, ella si rende conto che non sono lì per rieducare il suo desiderio, per fare una terapia genitale. E la mia non risposta alla sua domanda la obbliga a concentrarsi sul suo proprio sapere, e sulla disgiunzione tra l’uomo ideale e l’uomo qualunque. Diciamo, quindi, che è stata messa al lavoro. La tesi di Freud sul transfert inteso come ripetizione ha come assioma un effetto dell’inconscio che è lo spostamento. La persona dell’analista realizza una sorta di spostamento rispetto a un personaggio primordiale della storia del soggetto che, di solito, nell’ortodossia freudiana, corrisponde al padre. Quindi, si ha una sorta di identità tra ripetizione e transfert paterno e Freud, nelle sue cure, di solito dà delle interpretazioni in nome del padre, approfittando dei segni di transfert paterno, per esempio, in particolare nei sogni. Ce n’è uno che è particolarmente eloquente su questa equazione spostamento-ripetizione-complesso d’Edipo. Vale la pena insistere su questa cosa perché saprete sicuramente che ci sono molte scuole di psicoanalisi oggi che si fermano qui, che si conformano sempre al dogma freudiano della struttura edipica del transfert., Possiamo dunque vedere già che c’è, in Freud sicuramente e, al contempo, nella sua opera, un’altra definizione dell’inconscio, del sapere inconscio trasferito all’Altro, che Lacan ha formalizzato.

Vi presento allora un sogno non molto noto, che non si trova ne « Die Traumdeutung », «L’interpretazione dei sogni», che è in un articolo del 1923 intitolato «Osservazioni sulla teoria e pratica dell’interpretazione dei sogni» (Opere, vol. IX, Boringhieri, 1989, pp. 421-433). L’articolo è di un periodo in cui Freud era andato molto avanti sulla questione della pulsione, della pulsione di morte; la sua dottrina del transfert come ripetizione è rimasta tuttavia uguale, e la trovate articolata nel 1914. Di solito, il testo di riferimento è quello intitolato «Ricordare, ripetere e rielaborare», un termine assolutamente intraducibile, in inglese si dice working through, Freud dice «durcharbeiten», Lacan dice «lavoro di transfert». Il testo afferma che «l’analizzato ripete invece di ricordare, che ripete sotto le condizioni impostegli dalla resistenza» (Opere, vol. VII, Boringhieri, 1989, p. 357), quindi qui sta l’origine dell’equazione secondo cui «il transfert è la resistenza», nel senso che è un fenomeno di chiusura dell’inconscio e non di apertura. Cosa che Lacan riprenderà nel suo Seminario XI ; questo è ciò che Lacan riporta da Freud, che il fenomeno dell’amore di transfert spegne il sapere. Si deduce dal breve testo che vi ho citato prima: il sapere viene trasferito all’analista. E che cosa viene al suo posto? L’amore. Colui che si crede che sappia lo si ama. Questo giustifica quindi la tesi di Freud secondo cui il transfert è la resistenza. Nella dialettica chiusura-apertura, il transfert è un momento di chiusura. Che cosa apre di nuovo l’inconscio? Che cosa permette una certa elaborazione di sapere? L’interpretazione. Lo psicoanalista si trova nella posizione paradossale di dover suscitare il transfert, pur sospendendo l’interpretazione. Contrariamente agli psicoterapeuti, che bombardano i loro pazienti di interpretazioni, che mettono il sapere sul loro lato – «io so la causa del tuo sintomo, tu invece non la sai», che è il pregiudizio di tutte le psicoterapie sino al cognitivismo –, lo psicoanalista deve aspettare l’effetto di transfert che richiude l’inconscio sull’amore. E, in un secondo tempo, deve maneggiare l’interpretazione, che non è l’interpretazione del transfert. Questa è stata la deviazione della Psicologia dell’Io, della psicoanalisi post-freudiana e, soprattutto, della psicoanalisi kleiniana, vale a dire della riduzione della psicoanalisi a due persone. Una simile concezione, che chiamiamo immaginaria dell’inconscio, concentrava l’interpretazione sulla relazione transferale.

Continuo ora sul breve testo di Freud. Che cosa ripete il soggetto, che cosa mette in atto? Freud dice: «ripete tutto ciò che, provenendo dalle fonti di quanto in lui vi è di rimosso, si è già imposto alla sua personalità manifesta: le sue inibizioni, i suoi atteggiamenti inservibili, i tratti patologici del suo carattere.» (Opere, vol. VII, op. cit., p. 357) Vedete, quindi, che non si tratta della ripetizione di affetti edipici. Ripete anche, durante il trattamento, tutti i suoi sintomi, una sorta di concentrato di sintomi, di cui l’analista occupa il centro, nel discorso del paziente. Ecco l’esempio clinico a sostegno di questa dichiarazione; vi porto questo sogno a conferma del dire di Freud e, al contempo, a conferma del sapere inconscio nel senso di Lacan. Si tratta del sogno di una ragazza che presenta una forte fissazione al padre – questo è il cliché – e il cui sintomo è la sua difficoltà ad esprimersi in analisi. Nel sogno la ragazza è seduta in camera con un’amica vestita solo con un kimono, vale a dire poco vestita, un signore entra e lei si sente imbarazzata da lui ma il signore le dice: «Ma questa è la ragazza che abbiamo già visto una volta così ben vestita!» («Osservazioni sulla teoria e la pratica dell’interpretazione del sogno», p. 431). Il signore nel sogno sono io – dice Freud – e, risalendo indietro, il padre. Questo è l’elemento di ripetizione, ma c’è un passo in più: potremmo farne un sogno di transfert, un sogno di seduzione: la ragazza svestita di fronte a Freud-padre. Ma non possiamo utilizzare il sogno fintanto che non riusciamo a sostituire nel discorso del signore l’elemento più importante attraverso il suo opposto; qui entriamo, quindi, nella retorica dell’inconscio. Ecco l’enunciato originale che è stato trasposto: «Ma questa è la ragazza che una volta io ho già visto svestita», non «così ben vestita» come nel contenuto del sogno, ma il reale mascherato del sogno è l’osservazione fatta dal signore sul fatto che prima, una volta nel passato, è stata vista svestita, ed era così bella. Ed ecco l’interpretazione di Freud: «Fra i tre e i quattro anni quella ragazza aveva dormito per un certo periodo nella stessa stanza del padre, e tutto lascia pensare che ella usasse allora scoprirsi nel sonno per piacere al padre. La successiva rimozione del suo piacere esibizionistico spiega la sua attuale reticenza nella cura e la sua riluttanza a mostrarsi scoperta». La costruzione di Freud è quindi fatta di metafore, non abbiamo una semplice copia, una semplice riproduzione. Il nucleo dell’osservazione è il mutismo della paziente, è la sua impossibilità, per l’appunto, a dire la propria intimità e la riservatezza della sua enunciazione è come una metafora della sua riservatezza sessuale, che è essa stessa una difesa contro una tendenza esibizionistica dell’infanzia. La paziente sa qualcosa del motivo del suo mutismo, di questo tratto del carattere – Freud mette i tratti del carattere nei fenomeni di ripetizione – che è un’inibizione della parola, una vergogna a parlare di sé, e che è una trasposizione metaforica della sua esibizione. La coppia «parlare senza reticenza» e «l’inibizione» è la trascrizione che dà la paziente della sua esibizione sessuale e della sua rimozione. Se volete, è al contempo l’esempio di qualcosa che si ripete nel transfert: ella si oppone al desiderio di Freud – «lei è qui per parlarmi della sua intimità e non per raccontarmi storie» – e il suo sogno spiega a Freud i suoi motivi intimi che le impediscono di far conoscere la propria intimità. Vi è questa bella formula, che riassume la personalità della paziente, la sua «riluttanza a mostrarsi scoperta» che è da prendere alla lettera. Per lei è una prova di nudità, di denudamento. Lacan dice, da qualche parte nel Seminario XI, che la psicoanalisi è una pratica che denuda profondamente il soggetto e vedete che, per la paziente, non è soltanto una metafora. Nella sua storia, effettivamente, si è denudata, ne è seguito un affetto di vergogna e questo fa obiezione, per lei, alla finalità dell’analisi, che è di parlare delle cose più intime. Non conosciamo il seguito, non sappiamo come Freud abbia analizzato questa persona.

Sappiamo come ha analizzato le isteriche e come la sua individuazione edipica abbia potuto produrre le cose migliori, ma abbia prodotto anche errori e sviamenti, in particolare rispetto al transfert negativo. Sino ad ora, infatti, ho parlato del transfert positivo, dell’amore di transfert, ma il transfert negativo è ciò che ha fatto apparire la funzione del soggetto supposto sapere, precisamente quando l’analista è colto in fallo, perché ha fatto un errore d’interpretazione sull’inconscio del paziente. E, a questo punto, paga caro questo errore, lo paga con il transfert negativo. Questo è ciò che è capitato a Freud con Dora, come si vede nel «Frammento di un’analisi d’isteria» che conoscete. Di solito, da noi, dai lacaniani, Freud viene stigmatizzato in quanto ha sbagliato qualcosa, con Dora, benché, all’inizio dell’analisi di Dora, vi fosse un elemento molto favorevole per la prosecuzione dell’analisi, vale a dire che su un punto Freud ha visto bene, ma, per l’appunto, è precisamente là dove non è stato molto freudiano, nel senso che ha fatto un’interpretazione hegeliana, senza sapere che si trattava di Hegel. Ha fatto un’interpretazione hegeliana a questa paziente che accusava il padre di sacrificarla a un uomo, il celebre Signor K., allo scopo di ottenere lui stesso i favori sessuali della moglie del signore. Vi è, quindi, un effetto di quadriglia viennese: non abbiamo papà-mamma-Dora, il triangolo edipico, abbiamo papa-Signora K.-Dora-Signor K. Avete una struttura a quattro, con delle relazioni speciali tra i quattro termini, e Lacan tratta tutto ciò, non con il complesso d’Edipo, ma con la teoria strutturale di Lévi-Strauss, nel 1951, in un testo intitolato «Intervento sul transfert» (Scritti, Einaudi, 1974), in cui c’è Hegel più Lévi-Strauss. Se volete capire Lacan e vi chiedete perché non sia rimasto freudiano ortodosso, è perché ha trovato nel discorso dei pazienti di Freud delle strutture che non rispondevano esattamente alla concezione freudiana del transfert e alla concezione freudiana dell’Edipo. Ad esempio, questa ragazza che si dice vittima del padre, che la sacrifica per andare a godere altrove, con una collera e una rivendicazione che sfiorano, a un certo punto, la persecuzione – è molto passionale –, questa ragazza è scatenata contro il padre, che è infedele, non solo alla moglie, ma anche alla figlia, che l’ha tradita. Le ha messo un uomo tra le braccia per stare tranquillo a letto con la moglie dell’uomo; poi, però, Freud le fa raccontare tutte le sue storielle nel dettaglio e allora: sorpresa! Ci accorgiamo che la ragazza ha aiutato gli intrighi amorosi del padre, che ha favorito l’incontro del padre con la Signora K., che si è occupata dei suoi figli perché suo padre potesse stare tranquillo con lei. È stata molto attiva nelle peripezie delle storie d’alcova del padre, a lei piace essere in presenza del Signor K. e, per farla breve, è complice. Partecipa quindi, e contribuisce al disordine di cui si lamenta. Freud ha notato questa cosa – è quello che Lacan chiama un rovesciamento dialettico, utilizzando un termine di Hegel, che è utilizzato nella Fenomenologia dello Spirito con il titolo «L’anima bella». «L’anima bella» è la posizione soggettiva che consiste nel lamentarsi di una situazione catastrofica, a cui, di fatto, si ha contribuito. Il soggetto si lamenta in nome della morale, in nome della giustizia, in nome della fedeltà, di tale caos, mentre è lui stesso che l’ha intrattenuto. Non l’avete creato voi, ma non avete fatto nulla perché finisse, al contrario, poiché traevate dei benefici secondari da tale situazione. E quali benefici secondari trae Dora da questa vicenda? Ella soddisfa un fantasma facilitando le relazioni sessuali di suo padre con la sua amante, ovvero un certo mito del rapporto sessuale. La Signora K., infatti, è il suo ideale femminile, mentre suo padre si suppone sia impotente; favorisce, quindi, il contatto con la Signora K. poiché sa che la Signora K. è un’esperta in sessualità – l’ha iniziata attraverso dei libri all’anatomia sessuale; mentre la sua sessualità è oggetto di una rimozione. Quello che la interessa è il rapporto sessuale dell’altro. Ne abbiamo una prova nel fatto che, quando il Signor K., che le fa la corte, vuole baciarla, lei gli dà uno schiaffo nel momento stesso in cui il Signor K. le ha detto: «Mia moglie non è niente per me». Perché quello che interessa questa ragazza è: cos’è il desiderio di un uomo per una donna? In che modo una donna può causare il desiderio di un uomo? Mentre lei stessa non ha tale desiderio, che è un desiderio rimosso. Più precisamente, per Lacan, la ragazza non è una donna, non è iscritta come oggetto di desiderio nella relazione con un uomo, per un motivo preciso, ovvero il fatto che è identificata con un uomo. Fa l’uomo, è identificata con suo padre, è identificata con il Signor K., è identificata con Freud. Il risultato è che Freud beneficia di una prima interpretazione – l’interpretazione alla Hegel – e le fa riconoscere che lei è complice dell’intrigo paterno. Freud è contento perché ha ottenuto qualcosa, ha fatto emergere una verità che, d’altro canto, la ragazza relativizza molto. Ma, in fin dei conti, lei resta, non c’è transfert negativo. Freud ne approfitta per farle un’interpretazione: siamo nel dispositivo, Freud ha toccato la verità, questo libera un certo transfert, ne approfitta per fare un’interpretazione radicale ma, purtroppo, stereotipata e le dice: «Lei è innamorata del Signor K. e non vuole riconoscerlo». E allora, a questo punto, lei combatte tutte le interpretazioni di Freud, le confuta, Freud decade come soggetto supposto sapere e lei lo tratta come una donna di servizio, dandogli i quindici giorni. «La sopporto ancora quindici giorni e dopo: addio».

Il transfert negativo sancisce un errore di Freud, che ha confuso l’oggetto del desiderio con l’oggetto d’identificazione. Per Dora, è in quanto uomo che lei s’interessa alla Signora K. e anche il suo oggetto di desiderio, vale a dire il suo oggetto a piccolo, è la Signora K. È la dimensione omosessuale, tra virgolette perché non è una perversione, del desiderio isterico; vale a dire prendere come oggetto una donna, e non un uomo, e lei stessa fare l’uomo, identificandosi con l’uomo che si ritiene goda della Signora K. Il che traduce l’impossibilità di godere lei stessa. Gode per procura, per identificazione. È necessario che il Signor K., per lei, sia un uomo che desidera e che desidera sua moglie, è a questo titolo che ha interesse per lei. È l’effetto-Socrate di poco fa: Socrate s’interessava alla verità e il Signor K. è ritenuto interessarsi alla propria moglie. Ma quando le dice che sua moglie non conta niente per lui, allora appare come un poverino, che non è desiderante. Lui la desidera, ma non è quello che lei vuole. È affascinata da sua moglie in quanto mistero della femminilità e, inoltre, un mistero a cui lei non ha accesso. In seguito Lacan deduce tutti i sintomi di Dora da questa identificazione con l’uomo, anzitutto con suo padre – i suoi problemi polmonari, la sua tosse. La sua identificazione con il Signor K. è patente nel rapporto a specchio, speculare, che la nevralgia facciale prova: dopo avergli schiaffeggiato la guancia sinistra, infatti, lei sente un dolore alla guancia destra. E anche l’odore di bruciato; a un certo punto, si sveglia sentendo in bocca un odore di bruciato, un odore di fumo. Traduzione di Freud: sogna un bacio che io le darei, io, il fumatore di sigari. Ma è un errore. È in quanto Freud fuma il sigaro che lei sente tale odore, è l’odore che Freud prova lui stesso fumando. È il significante della sua identificazione. D’altro canto, di fronte al Signor K., lei tace. Traduzione di Freud: è il mutismo del segreto d’amore. Un’altra interpretazione, però, è possibile: vi è un’erotizzazione della bocca, che è quella di suo padre, quando succhia la Signora K., per sostenere, d’altro canto, la sua debolezza genitale. Quindi, è ancora un sintomo del padre, più precisamente è un sintomo – l’afonia – che sostiene il desiderio del padre, in quanto ha delle difficoltà genitali e il suo erotismo è quasi esclusivamente orale. Se volete, quindi, è un’analisi in nome del padre, Lacan è assolutamente d’accordo, i sintomi devono essere riferiti all’impotenza del padre, ma non è un’interpretazione edipica, non è un’interpretazione che avrebbe come assioma l’amore del padre o l’amore deluso per il padre. Bisogna fare una deviazione attraverso il sapere inconscio sul godimento del padre. Nel suo Seminario XVI, D’un Autre à l’autre (Seuil, 2006), Lacan ricentra il sapere inconscio di Dora sul godimento: «Si pone come se volesse essere, nell’ultimo periodo, il suo godimento. Ed è perché tale godimento non può essere raggiunto che lei ne rifiuta qualsiasi altro... » (p. 335).

In quest’ottica, secondo cui il desiderio si sposta sul godimento del padre, il rapporto tra il padre e Freud è molto indebolito. Certo, Freud sembra complice del padre. Effettivamente, è suo padre che l’ha inviata da Freud, e che gli ha detto: «Cerchi di sistemare qualcosa, mia figlia è completamente folle, è sempre in collera, mi tiene testa, non sopporta l’autorità, è un’adolescente scatenata, si deve fare qualcosa.» Ma Freud non ci crede mentre crede più alla versione di Dora, secondo cui il padre non è per niente affidabile, che è assolutamente vero che è infedele a sua moglie. In un primo tempo, poiché Freud non è complice del padre, beneficia di un effetto di transfert. Qui Freud fa funzionare il soggetto supposto sapere. La seconda manifestazione del soggetto supposto sapere, ve l’ho detto, si ha quando fa una rettifica in nome dell’anima bella: tocca l’inconscio, produce dei ricordi, dei sogni. Poi, terzo punto, commette un errore. Fa un errore in nome di un pregiudizio: una ragazza ben equilibrata dovrebbe sopportare che un uomo, anche più anziano, le faccia la corte; e una ragazza ama necessariamente i ragazzi; quindi, se si rifiuta al Signor K. è perché regredisce a una posizione infantile, che è quella di una bambina che reclama l’amore del padre. È come nei fotoromanzi, è quello che, probabilmente, si legge ancora nei rotocalchi femminili: Freud ha detto che le ragazze sono innamorate del loro padre e questo, talvolta, rende loro difficile scegliere un uomo. Ma la psicoanalisi non è affatto questo. Nel 1900-1901, c’è comunque una ragazza di sedici anni che insegna qualcosa a Freud, e a tutti noi, ovvero che quello che le interessa, in fondo, è quello che fa eccitare il padre. Risposta: una donna, quella donna. Il problema della cura è di sapere se questa stessa ragazza acconsentirà, un giorno, ad essere una donna, se cioè acconsentirà ad essere un oggetto di desiderio per un uomo.

Anche Freud non vedeva questa cosa, nel 1901, e ha capito meglio nel 1920, nel corso della sua esperienza, ha comunque capito che non era assolutamente naturale che una donna amasse un uomo. Ci si è rotto le corna con il caso di una omosessuale, nel 1919. Ha compreso che era oggetto di un transfert negativo e che i risultati della cura erano falsati, per l’appunto dal transfert: la sua omosessuale faceva sogni di matrimonio, per far piacere a Freud, ma se ne fregava completamente degli uomini. Il suo inconscio non faceva altro che rispondere al desiderio di Freud ; il che prova che l’inconscio può mentire, e allora, questa cosa gli ha posto molti problemi. Come dice Lacan, si è creduto preso di mira nel reale dal transfert negativo. Ma, di fatto, non avrebbe dovuto, secondo Lacan, terminare la cura giacché era in grado, a quell’epoca, di farle delle buone interpretazioni. Vale a dire, si spiega la genesi della sua omosessualità attraverso una serie di eventi datati molto precisamente, che fanno sì che, a un certo punto, la ragazza, delusa dal padre, quando viene a sapere che il padre ha messo incinta sua madre, quando lei aveva quindici anni, in un momento cruciale, a questo punto la ragazza ha preso la decisione di rinunciare agli uomini. Questo è un reale. Ma Freud crede che se ha rinunciato agli uomini, non accetterà nulla da un uomo e, in particolare, da Freud. Non accetterà nessuna delle sue interpretazioni. Freud crede che reagirà come Dora. Di fatto, questo non è proprio vero, perché lei fa dei sogni di transfert per fargli piacere e, soprattutto, Freud è riuscito a farle produrre moltissimi ricordi precisi, che permettono di ricostituire e di spiegarsi la struttura del suo desiderio. Ma Freud ha ancora un desiderio terapeutico, a cui rinuncia, questa volta, dicendo: è un’omosessuale e lo resterà, non si può fare nulla. È una scelta talmente decisa, e decisa fuori transfert, che non posso rettificare nulla di tutto ciò. In realtà, egli ha molte chiavi in mano per indicarle che, nel suo comportamento amoroso con le donne, lei sfida il padre. E forse avrebbe potuto evitarle un esito suicida, decifrando la specificità del suo desiderio, che è un desiderio di dimostrazione: educare il padre. È quello che Lacan chiama un acting-out, opponendo acting-out e passaggio all’atto: andare per strada sottobraccio a una “cocotte” è un acting-out, è una messa in scena destinata a mostrare al padre cos’è veramente l’amore per una donna: «ti provo cosa significa amare una donna». Mentre il passaggio all’atto è che, effettivamente, sulla sua strada, ella incontra lo sguardo del padre e si butta giù da una ringhiera, in un atto suicida.

Non dobbiamo confondere la persistenza del sintomo, il radicamento del godimento omosessuale, l’inerzia di tale godimento, con una sfida lanciata a Freud – «non mi guarirai!» – poiché Freud non è un padrone del desiderio. Freud ha creduto che lei fosse con lui come era con suo padre, ha interpretato in termini di transfert negativo un’incredulità al trattamento. Lei ha creduto che Freud volesse fare come suo padre, ovvero rettificare il suo orientamento sessuale, e ha sviluppato un transfert di tipo paterno. Ora, si tratta di tutt’altro. Vi è un certo sapere della sua struttura, nei sogni e nel passaggio all’atto, che Freud avrebbe potuto delucidare, in nome dell’inconscio, invece che farle credere che volesse guarirla dalla sua omosessualità. Alla fine, ad ogni modo, vedete bene che quello che si gioca è o una concezione ripetitiva del transfert oppure una delucidazione del lavoro dell’inconscio, una delucidazione del concetto del soggetto supposto sapere. Con tutto ciò, come dicevo all’inizio, gli allievi di Freud che non hanno colto questa funzione, segnatamente la funzione dell’amore nel transfert, dell’amore di transfert, che non si rivolge alla persona ma che si rivolge al sapere supposto, li ha condotti a considerare il transfert come un ostacolo, come una resistenza. Non hanno visto la positività di tale resistenza e hanno creduto che l’interpretazione più importante da fare fosse quella d’interpretare il transfert. La caricatura estrema di questa deviazione è quella dei kleiniani: non appena il paziente insorge contro un personaggio, un personaggio della famiglia o un personaggio del mondo del lavoro, il capo, per esempio, l’analista dice: è con me che lei ce l’ha. L’analista è sempre in una relazione di competizione immaginaria, in un certo qual modo, con il paziente: tutte le sue frasi sono indirizzate a me. E qui vi è un misconoscimento assoluto, anzitutto della funzione del linguaggio, di cosa significhi parlare, e dell’interpretazione da dare del discorso. A causa del transfert l’analista crede di essere la significazione ultima del discorso del paziente. Quindi, Lacan ha criticato, ovviamente, questa concezione duale della psicoanalisi, all’epoca della Psicologia dell’Io. Ma c’è stata un’epoca ancora peggiore, in cui il misconoscimento della struttura del transfert è sfociato nell’elogio del contro-transfert, ha aumentato l’importanza del contro-transfert e, perciò, ha ridotto l’analisi a una sorta di scambio di effusioni, a una partita di judo tra l’inconscio del soggetto e l’inconscio dello psicoanalista. E, alla fine, nei casi riportati, non si sa più chi è in analisi con chi, e non si sa più quali sintomi si debbano analizzare, se si tratta del sintomo dello psicoanalista o se è quello del paziente. Quindi, si sfocia su uno slittamento immaginario completo, su una somma di affetti che vengono o dal paziente o dell’analista e si sfocia su una poltiglia clinica, senza nessuna garanzia di poter toccare una verità, che scredita la psicoanalisi e da cui deriva anche la sua attuale stigmatizzazione, da parte delle neuroscienze e dei cognitivisti. La psicoanalisi è ridicolizzata, segnatamente negli Stati-Uniti, ma molto anche in Francia; è più grave in Francia perché in Francia c’è Lacan. Certo, serve da parapetto a una gran parte della comunità analitica; il che non impedisce a tutta una corrente di psicoterapeuti di flirtare con le neuroscienze confondendo l’inconscio con il cervello. La loro pratica si riduce, allora, a una manipolazione grossolana del transfert.

Domanda 1: Ero molto interessato alla questione del transfert laddove può diventare un momento di chiusura, laddove il transfert diventa una resistenza al lavoro di elaborazione. Mi chiedevo se questo versante del transfert abbia a che vedere con qualcosa della suggestione, laddove diventa un transfert immaginario.

Domanda 2: Riguardo al tema del transfert negativo, a partire da un articolo di L. Brusa, ho capito che esiste un aspetto del transfert negativo che presentifica il fatto che il paziente si avvicina a un certo orrore, il transfert negativo è una sorta di seconda entrata in analisi…

Domanda 3: A proposito dell’analista che non interpreta prima che si sia costituito il transfert, come poter comprendere quando il transfert si è costituito? Come lavorarvi?

Per la prima domanda concernente la resistenza immaginaria, bisogna dire subito che il termine resistenza è un concetto che a Lacan non piace. È un concetto che circola nella letteratura psicoanalitica degli anni cinquanta-sessanta e che, per Lacan, è destinato a mettere al riparo dalla propria responsabilità. Quando la cura non va avanti, quando i sintomi non cedono, quando si manifesta un transfert negativo, l’analista ha un termine per definire tutto ciò, che è una vera e propria flogistica, una sorta di causa occulta, come nella chimica prima di Lavoisier e prescientifica, si dice: il paziente resiste. Allora, tutto ciò ha innervosito Lacan e per questo egli ha rovesciato la questione dicendo: c’è una sola resistenza, nell’analisi, quella dello psicoanalista. È un joke, un gioco di parole. Non deve essere preso alla lettera; serve per far valere un sintomo della letteratura psicoanalitica: non è normale che sia sempre il paziente che resiste. Forse ha ragione di resistere. E a cosa resiste? Alla suggestione. Resiste alla suggestione perché c’è una postura dello psicoanalista che consiste nell’identificarsi con un padrone del sapere: «Tu non sai, io invece so. E ho il dovere di comunicarti tutte le mie interpretazioni sul tuo sapere inconscio, sul tuo inconscio».

Esempio – che risponde anche alla domanda sul transfert negativo – : un uomo di una sessantina d’anni, che non pensava in modo particolare alla psicoanalisi, si trova confrontato con un problema recente, è in pensione e svolge dei lavori nell’ambito umanitario. Questo volontariato consiste essenzialmente nell’assistere dei malati di cancro in fin di vita, nel giocare al contempo a fare il consolatore, il prete, la madre, lo psicoterapeuta… qualcosa di abbastanza vago. Ed ecco che una delle donne di cui si occupa si lega a lui, al punto che desidera uscire dall’ospedale e morire a casa propria, e chiede all’uomo di accompagnarla in tutto ciò. L’uomo non chiede l’autorizzazione all’istituzione presso cui opera, va a casa sua, come al solito gli racconta quello che ha da dirgli, poi gli prende la mano e muore. L’unica volta in cui è andato a casa sua a trovarla, lei muore. La persona entra in una depressione importante. Si fa escludere dalla propria istituzione, lo si considera veramente come un malato, poiché ha fatto un simile passaggio all’atto, e gli si consiglia di andare da uno psicoanalista. Lui va da una psicoanalista, che non dice una sola parola, eccetto: «Si sdrai sul lettino». La psicoanalista fa sdraiare l’uomo sul lettino nel giro di tre quarti d’ora. Quest’ultimo, completamente angosciato, alla fine della seduta, si chiede se deve ritornare. La psicoanalista gli dice: «Ritorni tre volte a settimana a cinquanta euro a seduta». Il soggetto esce dallo studio assolutamente disgustato dalla psicoanalisi. Tutti sono d’accordo con lui, non è vero? Ed è stato molto difficile riconciliarlo con la psicoanalisi, trovargli un terapeuta degno di questo nome, invece di un tiranno che si crede un padrone del sapere e che è stato persecutorio per il paziente. Pensate che la tecnica utilizzata da tale persona è quella che si insegna nelle scuole di psicoanalisi che Lacan criticava. Vale a dire che si applica un protocollo: non appena il paziente apre la bocca, c’è inconscio, c’è transfert e quindi lo si mette sul lettino. Non ci si pongono questioni. Non possiamo chiamare questa cosa transfert negativo. È un orrore, credo, ed è il nome che la persona che prima ha fatto una domanda ha pronunciato. È un orrore che mette in evidenza la canaglieria – non trovo altre parole – di alcuni terapeuti. Ovviamente si diranno, forse sono stato un po’ duro, era il mio contro-transfert; ma questo non è il loro contro-transfert, non è un fenomeno psicologico, è una trasgressione dell’etica e del sapere. È una manifestazione della tracotanza, della megalomania dello psicoanalista. E questa megalomania è garantita da alcune scuole di psicoanalisi. «Io so come fare, mentre lei non sa nulla». Lacan è stato disgustato da una pratica burocratica della psicoanalisi. Per questo motivo ha spostato il concetto di resistenza sullo psicoanalista e ha voluto, qualche tempo dopo, distinguere il discorso dello psicoanalista dal discorso del padrone. La psicoanalisi non è nel discorso del padrone. Anche se qui io parlo ad alta voce, se oggi parlo come un professore, la pratica della psicoanalisi non è una pratica universitaria, non è una pratica medica. Quindi, questo è il motivo per cui Lacan ha isolato piuttosto il desiderio dello psicoanalista, rispetto alla postura del padrone. Ecco come rispondo alla questione di sapere quale sia l’importanza del concetto di resistenza nella psicoanalisi lacaniana.

Questo non significa che il paziente non resista mai, da un punto di vista fenomenico. Lo vediamo tutti i giorni e ci sono pazienti che non vogliono sapere nulla: si sdraiano sul lettino e raccontano la loro settimana, o si lamentano dei loro genitori come Dora nelle prime sedute. E continuano a farlo per dieci anni. Potete sempre dire che sono in analisi: c’è un analista seduto dietro di loro, c’è un lettino, pagano, raccontano i loro sogni, si lamentano dei loro sintomi… Risultato: zero. Non completamente: la cosa dà sollievo, disangoscia. Ma, in fin dei conti, ci si deve attendere qualcosa di più da un’analisi: una rettifica soggettiva, un rovesciamento dialettico di cui vi ho dato un’idea, un’elaborazione di sapere, che il soggetto acquisisce, un certo sapere sulla struttura del suo sintomo, sul senso del suo sintomo. E tutto il problema della direzione della cura è implicato, perché questa inerzia immaginaria che, in effetti, è l’inerzia immaginaria del transfert, può comunque essere modificata dall’interpretazione. La direzione della cura ha un ruolo da svolgere in questa inerzia. Di fatto, Lacan ha opposto il concetto di difesa a quello di resistenza: che il sintomo non si sposti, non è una manifestazione di resistenza nei confronti della psicoanalisi. Per esempio, nel caso della giovane omosessuale di Freud – si se considera l’omosessualità come un sintomo – il sintomo non si sposta, non si sposterà e non vogliamo che cambi. Ma non possiamo dire che ella resista alla psicoanalisi; nella misura in cui racconta i suoi ricordi, i suoi sogni, lei dialettizza, in un certo qual modo, il suo sapere inconscio con il desiderio di Freud, e anche il suo passaggio all’atto realizza qualcosa dell’inconscio. La dimensione dell’inconscio non è completamente spenta, è persino, al contempo, richiusa e aperta, aperta nelle peggiori condizioni poiché lo è attraverso il passaggio all’atto. Ma c’è stata un’apertura dell’inconscio sotto transfert, anche se lei difende il suo sintomo. In un certo senso, la giovane proibisce alla psicoanalisi di toccare il suo sintomo. Ma, se fossimo andati un po’ più in là di Freud, potremmo pensare – tanto più che ci sono molte donne omosessuali in analisi, e in analisi con degli uomini e che non passano il tempo a sfidare l’analista, come hanno sfidato il padre, può essere per loro l’occasione di apprendere qualcosa sul posto che la ragazza ha occupato, per esempio, nel desiderio dei genitori, e perché una ragazza omosessuale si è identificata con il figlio che il padre avrebbe voluto avere, e sino a che punto sia stata depressa per il fatto di non soddisfare il padre in quanto figlia. E, in questo caso, vediamo bene che la scelta omosessuale non è soltanto una sfida al padre, ma una soluzione alla depressione. Ho una paziente di questo tipo che, quando constata una deflazione del suo desiderio, teme di andare troppo in là nell’analisi della sua relazione con la sua compagna. Sa che toccherà una zona molto oscura, un punto di orrore, in effetti, che la passione omosessuale ricopre. D’altro canto, è una paziente che minaccia spesso di lasciare l’analista uomo per andare da una donna, pensando che una donna rilancerà il suo desiderio. Vi è una sorta di confronto, di lotta tra l’oggetto a del desiderio e il sapere inconscio. Ma non è una resistenza nei confronti della psicoanalisi, è la traduzione di una fissazione a un godimento che, per lei, è pericoloso lasciare. L’analisi è una situazione pericolosa: è obbligata ad elaborare i motivi della sua scelta omosessuale, motivi eminentemente nevrotici. Porta con sé una nostalgia dell’amore del padre, una delusione da cui non intende separarsi; e non è la separazione da un analista o da un altro che arrangerà le cose.

C’era una terza domanda su come si riconosce il momento in cui il transfert si costituisce; ci sono momenti da privilegiare? Vi ricordo la sequenza che ho sviluppato prima – rettifica soggettiva, transfert, interpretazione; questa triangolazione si trova ne «La direzione della cura», negli Scritti di Lacan. La tesi di Lacan è che non vale la pena interpretare, se non c’è transfert. Ci vuole comunque una supposizione di sapere che autorizzi l’analista a trasmettere un sapere, altrimenti siamo nel discorso universitario o nel discorso del padrone. Ma bisogna comunque cominciare, e Lacan chiama «prima interpretazione» il momento di rettifica soggettiva, vale a dire un modo d’indicare alla paziente che ne sa più di quanto non creda, che non è soltanto oggetto, vittima della sua storia, ma che è soggetto del suo sintomo e, in una certa misura, responsabile. Il problema è sapere se questa prima interpretazione viene convalidata, se viene ratificata dalla paziente. E qui sta a voi giudicare, valutare i segni di transfert. Se la paziente si alza dal lettino, lascia lo studio dicendo «Lei non ha capito niente», è imbarazzante. Potete sempre invocare la resistenza alla psicoanalisi, forse, ma avreste dovuto prevederlo. Ci vuole tatto, nevvero, altrimenti ci sarebbero dei manuali di psicoanalisi con dei protocolli… «ogni volta che un paziente vi dice ‘è colpa di mia madre’ bisogna dirgli ‘niente affatto, è colpa sua’, ‘è il suo inconscio’.» È un questione di tatto, di sfumature; inoltre, se la paziente si lamenta, ci sono molte probabilità che abbia dei buoni motivi per lamentarsi di sua madre, di quella madre che le ha rovinato la vita. Ma, quello che forse la paziente non vede è quello che Freud chiamava il «beneficio secondario» di questa situazione, vale a dire un plus-godere su cui si è sostenuta per scegliere degli uomini che hanno un tratto di carattere della madre, e questo la paziente non necessariamente lo vede, che vi è un significante dell’amore che passa attraverso la madre. Invece di questo, alcuni psicoanalisti le diranno: «Ma no, ma no, sua madre è stata perfetta, è stata molto gentile con lei, lei si sbaglia, è una reazione del suo complesso d’Edipo. Lei demonizza sua madre perché è innamorata di suo padre.» Per questo si deve dare un brutto voto all’analista, non ci sono sempre dei motivi per negare un affetto di odio, che può essere assolutamente giustificato; il problema comunque è il modo in cui tale affetto ha potuto essere dialettizzato con il desiderio del soggetto. E non potete lanciare questa verità in faccia al paziente, senza che egli sia pronto a riceverla. Quindi, sta a voi valutare quello che Lacan chiama il «tempo per comprendere, l’istante di vedere, e il momento di concludere» con l’interpretazione. D’altro canto, nell’esperienza analitica, segnatamente nei casi di Freud, vi sono delle formazioni dell’inconscio che sono privilegiate per vedere emergere questi segni del transfert, per esempio il sogno. Il personaggio dello psicoanalista è spesso presente nel sogno; a questo punto il soggetto, che è invitato a dire qualcosa del suo sogno, che è invitato a decifrare il senso del suo sogno, può dire qualcosa del suo analista, e di quello che si aggiusta o meno, per lui, da quando è in analisi. Analogamente, il sogno è un terreno privilegiato come momento di fine del transfert, come momento di separazione. Alla fine di un’analisi – qui non si tratta di transfert negativo – vi sono le diverse modalità con cui il soggetto si congeda dal proprio analista. Vale a dire quella che Lacan chiama la caduta del soggetto supposto sapere. Allora, questo lo vedete in particolare in coloro che fanno l’esperienza della fine della loro analisi, degli psicoanalisti che rendono conto del modo in cui sono diventati psicoanalisti, alla fine della loro analisi, e che cercano, secondo la dottrina lacaniana della passe, di descrivere il nodo costituito dalla fine della loro analisi, dall’esito del transfert e dal passaggio all’analista. Leggerete tutto questo, d’altronde, nelle riviste, perché ora alcune testimonianze di fine analisi sono pubblicate, in particolare la testimonianza dell’attuale presidente dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi, che parla di un sogno, a più riprese, dunque non è un segreto, in cui il suo analista tutto fiero gli dice: «Io sono la verità» e lui, ironicamente, gli dice: «Ah sì!?! Allora io sono il reale». Questo collega fa un abbondante commento su quella che è stata la sua rivalità immaginaria con il suo analista, posto da lui in posizione di padrone assoluto; egli spiega come l’ironia del sogno precipiti per lui il momento di una de-supposizione.

Serge Cottet


Trascrizione rivista dall’autore
traduzione di Adele Succetti


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