lunedì 14 marzo 2011

Il transfert in gioco nella psicoanalisi con i bambini



Per affrontare il tema di oggi ho bisogno di un minimo dispositivo logico che ci permetta di situare la posta in gioco. A questo scopo mi riferisco a un breve testo di Freud, intitolato «Alcuni tipi di carattere tratti dal lavoro psicoanalitico», del 1916. 

Per la data e la composizione, questo testo non si può considerare propriamente un testo tecnico, ma permette di presentare in poche parole, in modo semplice, se possibile, il tragitto di una analisi e la sua posta in gioco. Il testo si trova in italiano nel volume 9 delle Opere di Freud edite da Bollati Boringhieri.

Freud vi definisce il compito di una psicoanalisi come segue: «...indurre il paziente a rinunciare a un conseguimento immediato e diretto di piacere» (conseguimento di piacere è la traduzione del famoso Lustgewinn, termine che Lacan valorizzerà traducendolo con «plusgodere»). Freud, se ne riassumiamo le indicazioni, dice che con la psicoanalisi si tratta di ottenere da una parte una rinuncia al soddisfacimento, che ora chiamerò una cessione di godimento e, dall'altra, uno spostamento del modo di soddisfazione iniziale. Freud precisa che questo non si può fare da soli, ci vuole «un altro influente », la cui influenza non concerne qualsivoglia forza morale o educativa, ma unicamente «qualche componente dell'amore».

Ecco lo schema logico minimo che vi propongo e che servirà per spiegare la tecnica della psicoanalisi con i bambini. 


                                                                                                                                                                                                                                                                                                               
                                                                                                                                             
Un modo iniziale di soddisfacimento, uno spostamento del modo di soddisfacimento, una cessione di godimento, una rinuncia al soddisfacimento. Il termine spostamento e il termine rinuncia o cessione non sono la stessa cosa. Nell’ultimo caso deve intervenire altro l’efficiente che è lo psicoanalista, vedremo in che modo.

La questione al centro della teoria freudiana è: come è possibile che uno spostamento di soddisfazione, vale a dire uno spostamento che tocca la pulsione, si realizzi grazie a un dispositivo fondato sulla parola? Freud risponde alla domanda in molti modi. Prendo due risposte che si trovano nell'Introduzione alla psicoanalisi. Per mostrare come è possibile mobilitare un modo di soddisfacimento attraverso la parola, ci dice che si deve in primo luogo isolare il sintomo come nuovo modo di soddisfacimento della libido. C’è dunque un primo tempo che isola il sintomo. In secondo luogo bisogna operare una connessione tra libido pulsionale da una parte e sistema inconscio dall'altra. È il ruolo che Freud attribuisce alla fissazione. La fissazione per Freud è un perno, un punto nodale dove funziona il meccanismo seguente: «Le rappresentazioni sulle quali la libido investe la propria energia appartengono al sistema inconscio e sono sottoposte ai processi di condensazione e di spostamento». Si realizza una traslazione della libido sulle rappresentazioni inconsce, sui significanti. È questo a consentire nella cura di mobilitare le modalità di soddisfacimento.

Questa prima translazione di libido sui significanti permette di isolare, dice Freud, ciò che chiama Libidovertretungen. Vertretung è la rappresentazione, il rappresentante dei rappresentanti della libido, il rappresentante degli agenti – per parafrasare Lacan nel seminario L’envers – degli agenti dell'agenzia libido : si tratta di significanti. Vi sono significanti che si trovano proprio qui. Il fatto che esista la Libidovertretugen consente che la mobilitazione dell'inconscio attraverso la parola produca uno spostamento del modo di soddisfacimento svuotandone i rappresentanti, relizzando cioè una cessione di godimento.

Si tratta, in fondo, della regola tecnica fondamentale, quella dell'associazione libera. Una delle migliori definizioni della regola si trova in Tecnica della psicoanalisi, dove Freud dice che far funzionare l'associazione libera significa sforzarsi di non contendere all'inconscio il compito di stabilire i rapporti che per il soggetto contano.

Partendo da un quadro così definito, nella pratica psicoanalitica con i bambini si pongono subito due questioni.

Prima questione: non è forse il caso, con i bambini, di modificare lo scopo della cura? Non è forse sufficiente isolare il sintomo e poi il bambino guarirà da solo? Alcune tesi, anche nel nostro campo, vanno in  questa direzione, vanno cioè nel senso in cui, come ho già detto, per il bambino sarebbe sufficiente lo spostamento.

Seconda  questione: pur mantenendo lo stesso scopo, lo stesso quadro d'insieme del processo, non si devono forse introdurre nella tecnica modifiche dovute alle peculiarità del bambino rispetto all'adulto? Non si deve forse, per esempio, cambiare il quadro, visto che un bambino difficilmente rispetta un quadro rituale? Non si deve abbandonare la regola della libera associazione, soprattutto con i bambini piccoli, che non maneggiano agevolmente il linguaggio? Non si deve modificare la concezione del transfert per adattarlo al bambino?

Vi propongo di rivisitare le madri officianti della psicoanalisi, di cui Lacan parla nel 1953 nell'introduzione a «Funzione e campo della parola e del linguaggio», per interrogarle sulla questione della tecnica. Chi sono le madri officianti? Le conoscete. Prima di tutto c'è quella che chiameremo la pioniera, Hermine Von Hug-Hellmut; ci sono certamente Melanie Klein, Anna Freud, Donald Winnicott – madre officiante della psicoanalisi anche lui naturalmente – poi Françoise Dolto e Maud Mannoni.

Prima però fissiamo il nostro punto di partenza, vale a dire Freud, in modo da situare con lui la questione del transfert nella cura del piccolo Hans. Ci aiutiamo con la lettura che Lacan ne fa nel Seminario IV.
1-    Leggiamo a p.332: «un significante che servirà da supporto a tutta una serie di transfert»
2-    L’obiezione fatta all’analisi di Hans è che non è una cura perché è il padre a condurre il gioco. A p. 417 troviamo: «In effetti, non possiamo forse chiederci, dal momento che questa analisi è stata portata avanti dal padre, se non presenti dei tratti specifici che ne escludono, almeno parzialmente, la dimensione propriamente transferale?». Lacan risponde alla questione qualche pagina dopo, dicendo che vi è un rapporto complesso con il padre, una duplicazione: c’è il padre effettivo, che dialoga con Hans, che è un padre che ha la parola; e c’è il padre al di là, che apre il campo della parola e ne indica il fine, il padre Freud, al posto di ideale, testimone della verità. Lacan sostiene che in ogni analisi di Freud vi è questo sdoppiamento del padre, ma che abitualmente si produce sullo stesso analista.
3-    Esaminiamo questa idea. Colui che ha la parola è innanzitutto Hans «Conosce peró molto bene il favore prezioso che gli offre il fatto di poter parlare, e lo sottolinea senza sosta. Quando dice questo o quello, e gli si risponde che va bene o che va male – poco importa, dice, va sempre bene, visto che possiamo inviarlo al professore.
Non si tratta solamente di parlare, ma di parlare a qualcuno (…). Sarebbe stupefacente non ci accorgessimo, in questa occasione, che si trova qui quanto vi è di prezioso e di efficace in un’analisi.
Tale è la prima analisi fatta con un bambino.» (374-375)
4-    La funzione che rende possibile rivolgersi a un Altro permette di associare alla costruzione sintomatica della fobia dei cavalli «il mito religioso dell'Edipo». Poiché questo mito viene proferito da Freud, il piccolo Hans può dire che il professore parla con il buon Dio, e diventa possibile estrarre il significante individuato, cavallo, da una posizione puramente immaginaria per inscriverlo su un'Altra scena, dove può essere utilizzato per un certo numero di permutazioni, per ogni sorta di traslazione. In un mondo dove la sostituzione è possibile, entra in scena la metafora, cosa che permette a Hans di uscire dall'impasse materna. Oggi, per altro, non siamo più obbigati a pensare che il padre sia il termine ultimo della metafora. La plurivocità del significante mette l'enigma al cuore del dispositivo che oggi possiamo indicare con il termine, forgiato da Lacan, di soggetto supposto sapere. E' il luogo del «perché?».
5-    Lacan ha però reperito nel testo di Freud un altro modo di messa in funzione del significante, un'altra modalità del transfert. Non si tratta più dell’effetto derivante dal distacco tra significante e significato, ma al contrario di un effetto di ormeggio singolare. Lo possiamo osservare nell'equivoco wegen dem Pferd / Wägen dem Pferd, a causa del cavallo / carrozza a cavalli. «Per il fatto che che non risponde a niente» dice Lacan (345), si verifica «un transfert di peso grammaticale» tra la causa e il significante cavallo
.È un processo metonimico di natura diversa da quello del gioco delle permutazioni significanti: qui abbiamo la fissazione del godimento a una causa senza nome. È l'altra faccia del transfert.
6-    Vedremo che non è questa la vena sfruttata dalle pioniere della psicoanalisi con i bambini, che rapidamente diventeranno prigioniere delle questioni di tecnica psicoanalitica.


Hermine Von Hug-Hellmuth

Parliamo ora di Hermine Von Hug-Hellmuth. Diciamo qualche parola su di lei, perché è la meno conosciuta. Non è medico di formazione, all'inizio è un’istitutrice. È lei la prima a Vienna a prendere bambini in analisi, e per questo viene chiamata pioniera. Per molto tempo tuttavia non si è più sentito parlare di lei, perché ha fatto una fine drammatica: nata nel 1871, nel 1924 è stata assassinata dal nipote, di cui era stata nutrice. Il nipote è stato, inoltre, il primo caso di cui ha pubblicato la storia, avendolo seguito quando lui aveva cinque anni. Nel 1920, quattro anni prima della morte prematura, scrisse un articolo sulla tecnica dell'analisi dei bambini. Il testo non comincia nel modo migliore, poiché sostiene che l'analisi, come pedagogia e come terapia, non può limitarsi a liberare il giovane delle proprie sofferenze, deve anche inculcargli valori morali, estetici e sociali. Dobbiamo però perseverare nella lettura e, nel seguito, l'articolo pone questioni precise e tuttora valide. Seguendone il filo riusciremo a districare, la questione della tecnica e quella del transfert, giacché solleva tre punti decisivi per la particolarità dell'analisi del bambino.

Il primo punto riguarda ciò che chiameremo il quadro. Hermine Von Hug-Hellmuth interroga il quadro dicendo che in fondo la differenza con i bambini è che non vengono di loro spontanea volontà. Il bambino risponde alla volontà dei genitori. Ma si viene spontaneamente a vedre uno psicoanalista? Non ne sarei cosí sicuro! Far qualcosa spontaneamente vuol dire farla con piacere. E per l’appunto, generalmente, si va a incontrare uno psicoanalista quando il piacere è messo in questione. Di fatto, già in questo breve accenno si vede l’interesse che c’è a interrogare la psicoanalisi nel suo insieme, prendendo per esempio il problema del quadro, a partire dalle questioni che si pongono con i bambini. Nessuno viene spontaneamente in analisi, si viene spinti da qualcosa. Possiamo quindi in prima battuta dire che non vi è, a rigor di temini, una differenza radicale su questo punto tra il bambino e l'adulto.

Il secondo punto individuato dal testo ricorre con grande frequenza tra le questioni poste dagli psicoanalisti che si occupano di bambini. Il punto riguarda il fatto che il bambino si trova nel pieno svolgimento degli eventi che lo fanno ammalare. Questo fa una differenza. L'adulto, dice Hermine Von Hug-Hellmuth, soffre di eventi passati, il bambino di eventi del presente. Potremmo riassumere la risposta a questo punto dicendo: gli eventi di cui il soggetto soffre sono sempre attuali. Cosa c’è, per il soggetto, di più attuale di un ricordo? E' veramente l'attualità dell'attuale. Nel ricordo non si tratta del passato che ritorna, ma dell'attualità di una questione sempre presente, e che prende forma di ricordo. Con questo abbiamo un'indicazione precisa. Se qualcosa per un bambino costituisce un evento, non è perché è vicino nel tempo, e la sua piccola anima infantile non può cogliere il tempo in tutta la sua ampiezza. Non è perché l’evento è vicino, successo il giorno prima, che se ne parla, ma perché esso si è legato a un'iscrizione significante già presente, perché si è attivato un elemento della struttura, perché c’è stata una messa in atto della realtà dell'inconscio.

Il terzo punto sollevato da Hermine Von Hug-Hellmuth riguarda ancora la questione del quadro: il bambino non ha nessun interesse a trasformarsi, ad abbandonare il proprio comportamento attuale nei confronti dell’ambiente, perché l’ambiente è coinvolto, è implicato nel suo modo iniziale di soddisfazione, è preso nel sintomo del bambino. È l’aspetto che presenta maggiori difficoltà, ma Hans ci ha insegnato molte cose su questo punto!

Molti bambini, è vero, quando incontrano un analista vengono senza esser loro a soffrire del sintomo lamentato dalle persone intorno. Cosí, dice Hermine Von Hug-Hellmuth, con questi bambini si trascorrono insieme alcuni momenti per comunicare loro delle conoscenze, per far loro perdere alcune cattive abitudini, per giocare con loro, o anche per qualche interesse particolare nei loro confronti. Ma è esattamente ciò che si fa anche in un'analisi con un adulto: un soggetto in analisi, dopo un po', lo si fa venire per comunicargli qualche conoscenza, per fargli perdere qualche cattiva abitudine, per giocare con lui, o anche per qualche interesse particolare nei suoi confronti. E' esattamente il movimento di un’analisi. Quindi, in fondo, quel che ci dice che Hermine Von Hug-Hellmuth è prezioso, non contraddice assolutamente all'esperienza analitica, e rende l’idea del modo in cui il transfert veniva concepito dagli allievi di Freud.

Vi è poi una questione inevitabile, che successivamente vedremo poco affrontata, e concerne il divano. Dobbimo mettere sul divano un bambino? Freud dice di no, per molte ragioni legate alla possibile seduzione che può girare nella testa di un bambino. Questo però non toglie che quella del divano sia una questione vera, perché pone il problema dello sguardo. Sapete che il divano è stato inserito da Freud nel dispositivo analitico per molti motivi, e tra questi si può individuare il fatto che invece di consentire uno scambio di sguardi tra l'analizzante e l'analista, l’assetto con il divano permette di isolare la dimensione dello sguardo : si delinea in modo più preciso lo sguardo sotto il quale l'analizzante procede. Con i bambini il problema certamente si pone. Gli psicoanalisti dei bambini ne parlano poco, ma nell'esperienza si vede che spesso occorre fare delle manovre intorno alla questione dello sguardo. Spesso il bambino fa riferimento allo sguardo con brevi accenni : «Guarda!», « Ti ho visto!». Sono accenni che mostrano come si mantenga l'asse immaginario e non si possa isolare lo sguardo sotto il quale il bambino si trova, cosa  tuttavia assolutamente essenziale, perché il bambino ha di mira il posto che occupa come oggetto prezioso o come oggetto per i genitori. E' un aspetto che riguarda la problematica del suo valore per l'Altro, posta con un indice pulsionale.

Hermine Von Hug-Hellmuth è la prima a porre la questione del gioco, che certamente segna una differenza con l'adulto, e considera che per l'adulto si tratterebbe di rendere consce le motivazioni inconsce, mentre con il bambino le cose andrebbero diversamente. A partire dal gioco infatti l'analista potrebbe prendere atto che c’è effettivamente un lavoro dell'inconscio. Una determinata sequenza di gioco mostrerebbe che l’inconscio si è attivato. Anche questo però si dimostra essere un falso problema riguardo alla psicoanalisi con i bambini. Bisogna attendere Jacques-Alain Miller per avere la soluzione. Quando Miller afferma che «l'inconscio interpreta», veniamo liberati da questo falso problema. La questione infatti non è di sapere se il soggetto prende o no coscienza, la questione è di sapere se il soggetto, dall'interpretazione dell’inconscio, trae conseguenze in termini di godimento. Ciò vale sia per il bambino, sia per l’adulto.

Seguiamo ancora Hermine Von Hug-Hellmuth che, riguardo all'interpretazione, sostiene che con il bambino bisogna fare particolare attenzione, per via di quella che chiama «la grande duttilità dell'anima infantile»  – usa espressioni molto immaginifiche – e per via del rischio di suggestione. Anche questo ci dà un'indicazione interessante sul lavoro con i bambini, che è di non aggiungere troppi significanti rispetto a quelli di cui dispone il bambino. Ricordiamo che Freud raccomandava di non contendere all'inconscio il compito di stabilire i rapporti.

Hermine Von Hug-Hellmuth prosegue con la questione del transfert, che in seguito metterà molto in imbarazzo gli psicoanalisti dei bambini, e formula quello che possiamo chiamare «il teorema del fustino di detersivo», ovvero: voglio scambiare i miei due fustini di detersivo X con un fustino di detersivo Y? In altri termini: il bambino vorrà scambiare i suoi oggetti d'amore attuali, i genitori, con un nuovo oggetto d'amore? Vuole farlo? Bisogna farglielo fare? Ecco il problema che, bisogna dire, Hermine non risolve. Lo formula però in modo appropriato. In fondo conta il momento in cui il bambino capisce che l'analisi non coincide con il campo dei genitori.

Hermine Von Hug-Hellmuth conclude dando una definizione preziosa del processo della cura, che chiama: un cambiamento di cristallizzazione. Se seguiamo il nostro schema, vediamo che quel che lei considera si possa esigere in una psicoanalisi con i bambini è uno spostamento del modo di soddisfacimento. Il che, nel 1920, non è male.

La disputa sul transfert: Anna e Mélanie
Ci spostiamo nel 1923 e arriva Melanie Klein col suo articolo sull'analisi dei bambini. Con Melanie Klein si cambia registro: non si parla più, per il bambino, di analisi con mire pedagogiche. C’è solo la psicoanalisi, esclusivamente la psicoanalisi, nient'altro che la psicoanalisi. Sin dall'inizio si dirà che La Klein è più freudiana di Freud. Dietro le inibizioni che i bambini presentano c'è sempre l'angoscia, che è sempre angoscia di castrazione. L'angoscia precede la formazione del sintomo e l'Edipo e il superio sono early, ovvero non « precoci», come si traduce abitualmente, ma primari. Quando si incontra un bambino, qualunque sia la sua età, l'Edipo e il superio sono già presenti. Questo piacerà molto a Lacan, perché è un approccio quasi strutturale alla realtà psichica.

Ma già negli articoli decisamente freudiani del 1924, Melanie colloca al centro ciò che per lei è veramente early, primario, vale a dire il desiderio di penetrare il corpo della madre. E' questo il fantasma che sta sempre dietro l'angoscia di castrazione, e che è dunque primario. Non si capisce la tecnica kleiniana della psicoanalisi con i bambini, né il kleinian training della Scuola inglese, se non si considera lo spirito presente embrionalmente in questo articolo. L'angoscia di castrazione, in effetti, non è primaria. Se dobbiamo interpretarla rapidamente – come lei afferma si debba fare - è perché il bambino venga subito messo a confronto con questo desiderio, o questo fantasma di penetrazione materna che è davvero primario. Occorre che il bambino ne prenda la misura nel transfert, dove si colloca, traendone la conclusione che si impone: la madre è in-castrabile, l'alternativa sarà tra l'invidia e la gratitudine (è il titolo dell’ultima opera della Klein, Invidia e gratitudine). Se ci riferiamo allo schema, vediamo che, certo, gli spostamenti dei modi di soddisfacimento per Melanie Klein giungono fino a una cessione di godimento, ma si tratta di cedere questo godimento a quella che su di esso ha diritto e possesso, cioè la madre.

Non saremo cosí sorpresi che l'incontro con l'erede, Anna Freud, produca una sorta di deflagrazione. Nel 1926, Anna è la prima aa attaccare con una serie di conferenze intitolata «Introduzione alla tecnica della psicoanalisi infantile». Subito, nel 1927, Melanie contrattacca. Consideriamo, se volete, il modo in cui Anna Freud risponde e quello in cui Melanie Klein replica a sua volta, esponendo le proprie tesi.

La questione riguarda la fase preparatoria a una psicoanalisi, quel che noi chiamiamo colloqui preliminari. Anna Freud definisce due condizioni necessarie perché sia possibile iniziare un’esperienza d’analisi con i bambini: in primo luogo bisogna che vi sia un senso di sofferenza, in secondo luogo occorrono fiducia e accettazione del trattamento. O queste condizioni sono presenti sin dall'inizo, e appoggiandosi a esempi di casi Anna Freud mostra che può accadere, oppure queste condizioni vanno provocate, e chiama questa fase preparatoria con il nome vezzoso di addestramento all'analisi. Bisogna, isomma, provocare il transfert.

A questo punto a Melanie ribolle il sangue: rimprovera aspramente Anna di sfruttare l'angoscia e il senso di colpa presenti nel bambino dall'inizio per legarlo a sé, e la invita, anziché utilizzare questi fattori come mezzi di seduzione, a farli entrare direttamente nel processo come fa lei, interpretando, per esempio, l'angoscia che spiega perché il bambino non ne vuole sapere della propria sofferenza. Invita quindi a interpretare piuttosto che a provocare il transfert!
Leggendo insieme Anna e Melanie vediamo che davvero hanno entrambe l'idea che con il bambino, se riprendiamo i termini di Lacan in «La direzione della cura», l’analista «deve pagare in parole, (…) di persona (…), con ciò che di essenziale c'è nel suo più intimo giudizio (...)». Ma il più intimo giudizio non è lo stesso per l'una e per l'altra.
Per Melanie Klein la partita si gioca sul godimento del corpo della madre – genitivo oggettivo e genitivo soggettivo: godere del corpo della madre e il corpo della madre che gode. Tutti i significati che appaiono con la libera associazione, significati di castrazione, di divorazione, di sventramento, che si riscontrano nelle psicoanalisi dei bambini – e non solo – sono da lei sempre raccordati al corpo della madre e, indirettamente e solo in seguito, al corpo del bambino come effetto di ritorno. Ne deriva per lei l'importanza di ciò che chiama tecnica del gioco, play therapy, che si oppone alla child guidance d'Anna Freud, un modo di condurre per mano il bambino. Per Melanie Klein la play therapy è il modo più efficace di far produrre a un bambino significati immediatamente interpretabili in termini di fissazione di godimento, senza passare, o passando il piu velocemente possibile, per lo spostamento significante dei modi di soddisfazione. Si tratta, in fondo, di andare velocemente all'essenziale, e lei sa cosa è l'essenziale.

Anche Anna Freud esamina i mezzi tecnici utilizzati nell'analisi dei bambini. Dice che in fondo li si reperisce facilmente : ci sono dei ricordi, dei sogni e la loro interpetazione, ci sono delle fantasticherie, e infine dei disegni. Resta prudente sul gioco, e dice qualcosa che ci può interessare. Trova formidabile che con i bambini ci sia molto materiale, ma considera anche che tutto questo materiale è un vero problema. Perché? Perché tale abbondanza annulla – è la sua espressione – tutti i vantaggi che il materiale fornisce, non trattandosi più di associazione libera. Lo precisa quando dice che per produrre la libera associazione in senso freudiano, come regola fondamentale, l'analista può fare in due modi: o domanda al bambino delle associazioni, le esige, e in certi momenti chiave non è sbagliato farlo, o fa  particolare attenzione alle associazioni impreviste e spontanee.

Ritroviamo la dialettica tra Anna e Melanie sulla questione del transfert con il bambino. Quella del transfert è una questione duplice, perché implica anche l’aspetto relativo al rapporto tra psicoanalisi ed educazione, mettendo in gioco il posto che lo psicoanalista può avere come pedagogo. Su questo anche Melanie è radicale quanto Anna. Anna Freud è estremamente imbarazzata dal transfert: riconosce certamente che vi sono fenomeni di transfert nelle analisi con i bambini, ma esita a sostenere l’esistenza di una nevrosi di transfert. Per Freud la cura psicoanalitica ha luogo solo se c'è nevrosi di transfert. Perché Anna invece esita? Per la stessa ragione di Hermine, vale a dire: per il bambino i genitori sono presenti come oggetti d'amore nella realtà. Come fare allora? Nella cura analitica con i bambini c'è il problema dei genitori, ed è un problema che si raddoppia, perché c’è anche il superio.
Anna Freud è messa a confronto con un dilemma. Possiamo prendere le cose in modo molto semplice: in fondo un'analisi mette in questione le identificazioni del bambino, le sue fissazioni di godimento, il suo modo di soddisfazione, e in questo non differisce dall'analisi dell'adulto. In tutto questo tempo però il bambino sta costituendo il superio, erede – secondo Freud – delle prime identificazioni. Questo è un problema, perché se si toccano le prime identificazioni, come fa poi il bambino a costituire il superio, destinato a controllare i moti pulsionali? Ecco il dilemma di Anna Freud: è la formazione del superio come istanza di controllo ad essere minacciata, è cosí che Anna Freud lo intende.
Ne conclude che durante il tempo della cura lo psicoanalista deve assumere e garantire un ruolo pedagogico rispetto ai moti pulsionali che man mano si liberano – ne ha molta paura – poiché è un ruolo che i genitori non possono svolgere. Essi sono infatti la fonte delle prime identificazioni che vengono man mano modificate dalla cura. Bisogna che, per tutta la durata della cura, l'analista si sostituisca all'io ideale del bambino. Per prevenire la nevrosi occorre impedire al bambino di concedere una soddisfazione effettiva a qualche stadio della sua sessualità, che è necessariamente perverso.
Anna Freud inserisce quindi nel nostro schema iniziale l'idea che la rinuncia alla soddisfazione cui mira la cura analitica con i bambini può avvenire solo sotto l'autorità dell'analista. Passa poi da questa posizione alla seguente: la via che le sembra più interessante, quella della child guidance, è che l'analista potrebbe riuscire a modificare, a trasformare l'atteggiamento, la posizione che il bambino tiene con i suoi primi oggetti identificativi, i genitori. Pensa che questa via sia proficua, è come se sul nostro schema si uscisse un pochino dal quadro. Bisogna tenerlo a mente, perché è proprio la strada che sará seguita.

Su quel che vi ho appena esposto, il problema dei genitori, Melanie Klein si scatena. È feroce, dice cose terribili alla povera Anna, dice che quel che fa non è analisi, è un circolo vizioso, e che non se ne esce, che non ha capito niente del superio. Melanie Klein lo dice bene: il superio è una formazione da subito staccata dai genitori, e qui la seguiamo, ovviamente. Per lei quindi non c'è nessun problema di genitori nella cura. Spiega come la sua esperienza l'abbia condotta a liberarsi dell’ambiente circostante, qualunque sia la sua incidenza sui cambiamenti e sulla situazione reale del bambino. Per lei è assolutamente impensabile combinare il lavoro analitico e il lavoro educativo.

Al punto in cui siamo, ecco quindi alcune conclusioni provvisorie. Anna Freud considera che la psicoanalisi con il bambino, per restare freudiana, debba modificare certe regole tecniche. È quanto ho riassunto parlando di problema dei genitori.
Per essere più freudiana di Freud, Melanie Klein considera invece che nella conduzione della cura con i bambini non bisogna in nessun caso modificare le regole. Abbiamo visto però che dietro la sua tecnica del gioco si nascondeva una distorsione profonda della psicoanalisi freudiana, nel nome di ciò che lei chiama psicoanalisi pura, ovvero una psicoanalisi che sarebbe senza resto. Vi è dunque un problema del gioco.
Gli psicoanalisti dei bambini erediteranno le difficoltà provenienti da questi due problemi, che sono problemi logici, sono impasse logiche. Erediteremo quindi la tecnica psicoanalitica con i bambini, con quel che vi è di irrisolto nel problema dei genitori e in quello del gioco. In questi due problemi si manifesta l'imbarazzo presente nella psicoanalisi con i bambini relativamente alla questione del transfert.

Arriva Winnicott.
Winnicott è un kleiniano. Si è formato in modo rigoroso al  kleinian training. Proverà però – e riuscirà – a introdurre tra la madre e il bambino una minuscola leva, forse un po' debole, ma efficace. Sapete che è l'oggetto transizionale. È una minuscola leva tra la madre – attenzione, non una madre qualunque, la madre kleiniana – e il bambino. La introduce perché considera necessario creare un divario. Winnicott è sempre attento al contenuto, alle articolazioni, alle associazioni del gioco del bambino, ma riconsidera anche la play question, e dà un certo sviluppo alla dimensione del gioco, del fatto di giocare.  Lo dice ripetutamente: non si tratta più di play, ma di playing, si tratta cioò del bambino mentre gioca. Prova a disinnescare la tecnica kleiniana del gioco, che trova abbastanza feroce. In «Gioco e realtà» dice che se deve esserci psicoterapia, giocare deve essere un atto spontaneo, e non l'espressione di una sottomissione o di un’accondiscendenza. Reintroduce la dimensione di cui vi ho or ora parlato, dell'associazione libera nella tecnica del gioco. In particolare utilizza la tecnica dello squiggle, lo scarabocchio, che contrassegna la sorpresa, dimensione necessaria nella libera associazione, giacché non basta che il bambino giochi. Insiste molto sulla dimensione della sorpresa. Dice, per esempio, che il momento chiave è quello in cui il bambino resta sorpreso, e non quello in cui si fa una brillante interpretazione. Commentando poi una critica della tecnica kleiniana dell'interpretazione, afferma che l'interpretazione data quando il materiale non è maturo è solo indottrinamento che genera sottomissione.

Winnicott introduce dunque un divario, e si respira un po'. Il problema è però che, in modo peraltro logico, da ciò che dice trae alcune conseguenze. Le conseguenze sono tali, lo dice esplicitamente, che servono alcune modifiche tecniche. Perché? Perché vi sono soggetti, bambini e anche adulti, che sanno giocare e qui le cose vanno lisce, rientrano nella cura classica senza difficoltà. Ci sono però soggetti che non sanno giocare. Per costoro la tecnica classica non funziona, e se nella tecnica classica il tandem transfert-interpretazione resta lo strumento essenziale dello psicoanalista, con chi non sa giocare si deve invece  intervenire sul quadro, sul setting, per trasformarlo in modo che risulti omogeneo allo suo stato di regressione e di dipendenza. Come si deve modificare il quadro? Lo si deve modificare in modo che l'analisi divenga il più possibile omogenea con ciò che Winnicott chiama la figura della madre sufficienemente buona, quella che sarebbe mancata a quel soggetto.

Lacan, nel suo seminario sull'atto analitico, designa questo come lapsus dell'atto. Cosa significa ? Winnicott, con l’oggetto transizionale, ha aperto uno spazio decisamente utile, e a un certo punto lo ha colmato forgiando un nuovo concetto, quello di self, che articola come vero e falso sé. Questo concetto viene a colmare una falla intravista nel soggetto supposto sapere – è la ragione per cui evidentemene Winnicott modifica la propria concezione del transfert – soggetto supposto sapere che è il punto in cui ogni strategia vacilla, e di cui Lacan parla nella sua relazione su «L'acte analytique» pubblicata in Ornicar n° 29. Questa concezione di Winnicott ha generato gran parte di quel che attualmente leggiamo su tutte le terapie che si svolgono con il gioco. Vi è in fondo l’idea che il gioco è di per sé una cura, nella misura in cui, per accoglierlo, basta ci sia un analista sufficientemente buono.

Françoise Dolto
Il problema dei genitori viene ripreso da Françoise Dolto. Per la Dolto il problema mi sembra sia il seguente: è possibile un'analisi se il bambino, nel corso della cura, trova presso i genitori una complicità inconscia concernente i suoi modi di soddisfazione? Nei modi iniziali di soddisfazione i genitori sono senz’altro complici. Si può condurre allora una cura classica se dall'inizio abbiamo questo tipo di sconfinamento? Dolto risponde no, non è possibile. Poiché è un’analista rigorosa, tiene alla possibilità di una psicoanalisi con i bambini e al tempo stesso ha l'idea di questo sconfinamento, insiste allora sulla necessità di trasformare l'implicazione dei genitori prima della cura. Bisogna che i genitori cambino posizione. In «Il gioco del desiderio» dice che se la psicoterapia psicoanalitica è la via principale per risolvere i problemi del bambino, occorre anche che il contesto sociale e familiare continui ad avere nei confronti del bambino esigenze educative effettive. In quel che chiama esigenze educative effettive si tratta di un richiamo alla simbolizzzazione. Dolto dice che la cura psicoterapeutica di un bambino, anche se deve essere individuale e svolgersi in colloqui individuali, non può avvenire senza un contatto fiducioso tra lo psicoanalista del bambino e i suoi genitori. Se questo non è possibile, bisogna allora occuparsi della coppia genitoriale e dei suoi problemi, permettendo al bambino di sfuggire alle tensioni familiari con attività all'aperto, per esempio facendo equitazione, andando sul pony, o in altri modi qualunque siano.

Per la Dolto c'è un problema con i genitori perché considera che una cura analitica si conduca sulla questione dell'Edipo, un Edipo normativo. Si può cioè esigere che i genitori occupino nella realtà il posto giusto per permettere la soluzione dell'Edipo, e se non lo occupano bisogna provare a portarceli, e se non risulta possibile, è meglio allora mettere il bambino in istituzione. Bisogna che il padre non sia impotente, che la madre non abbia emozioni incestuose, che il bambino non subisca seduzioni. Si deve poi sempre dire la verità, occorre esercitare un'autorità simbolica, ed è opportuno che la coppia si ami e si desideri reciprocamente. Si tratta certamente di condizioni forti. Che fare ?
Dolto sostiene che in fondo è una questione di quadro. Perché sia possibile una psicoanalisi con i bambini bisogna che vi sia un quadro, e questo quadro – poiché Dolto ascolta Lacan – è la legge simbolica, edipica, è la legge del padre. È questo a costituire il quadro. Se da parte dei genitori questa legge simbolica zoppica, deve essere allora rettificata, perché altrimenti non ci sarebbe il quadro.

Maud Mannoni
Maud Mannoni riprende il problema dei genitori. Lo fa basandosi su un secondo tempo dell'insegnamento di Lacan. Il problema quindi si sposta. Dove per la Dolto si trattava di educare i genitori alla dialettica del fallo, ovvero al suo valore di ripartizione del godimento – per cui: c'è chi lo ha e lo usa correttamente, c'è chi non lo ha, c'è il bambino come fallo, c'è tutto quel che si svolge sotto l'autorità del padre e della legge simbolica – Mannoni mette invece l'accento su un'altro problema che si incontra nelle psicoanalisi con bambini: il posto del bambino come oggetto nel fantasma dei genitori.
Si pone quindi lo stesso interrogativo di Dolto, ma formulato evidentemente in modo diverso: è possibile una psicoanalisi se il bambino non è disgiunto dal posto che occupa nel fantasma dei genitori, e soprattutto della madre? Di nuovo c’è il problema dei genitori, ma non più nel senso della distorsione che essi possono provocare rispetto alla norma edipica, ma ne senso di come il bambino è preso nel loro fantasma. Come se ne esce?
Mannoni parte soprattutto dall'esperienza con i bambini ritardati e psicotici dove, bisogna dire, la questione è un po' diversa, e lei le dà in effetti un'inflessione particolare. All’interrogativo posto or ora – è possibile una psicoanalisi quando il bambino è incluso nel fantasma genitoriale? – lei risponde no, non è possibile, è una condizione che occorre cambiare, e per cambiarla occorre mettersi in posizione di ricevere il messaggio dai genitori. Bisogna condurre la cura con il bambino includendo il genitore patogeno, bisogna tenerne conto. La sua tesi – critica per Lacan – è che il bambino ritardato, psicotico, e la madre, fanno corpo unico, hanno un solo corpo e un solo desiderio, e bisogna quindi occuparsi di questo aspetto. Sostiene allora che l'esperienza del transfert include l'analista, il bambino e i genitori. Leggerete o rileggerete con profitto il suo libro che s’intitola: «Il bambino, la sua 'malattia' e gli altri», un libro molto interessante.

Cosa vuol dire Mannoni quando afferma che l'esperienza del transfert include l'analista, il bambino e i genitori? Se si scopre, per esempio, che i genitori sconfinano – dice – è escluso che li si invii a un altro analista, bisogna tenerne conto qui e ora, i genitori devono essere fatti rientrare nella cura, nel quadro. Essi sono già nel quadro, ma bisogna anche tenerne conto. La sua tesi è che dove il bambino è preso come oggetto nel fantasma della madre, gli è tolta la parola. Lo si può sempre far associare, lo si può interpretare, ma la sua parola non ha valore. Non può fare esperienza della castrazione inclusa nel linguaggio. Occorre dunque che il bambino ritrovi, nel discorso dei genitori, un posto di soggetto desiderante per potersi avventurare in una cura.
E' un'esigenza forte. Su cosa si fonda? Sull'idea di una causazione diretta del sintomo del bambino: il sintomo del bambino deriva dal posto che egli occupa nel fantasma della madre. Equesto porta Maud Mannoni, che si basa sul corpus dei concetti lacaniani, a modulare la propria tecnica su questa psicoanalisi a tre, madre-bambino-psicoanalista. Per Dolto e per Mannoni si tratta sempre di dettare legge alla madre. Che sia la legge edipica del padre per la Dolto, che sia la dura legge del linguaggio, per la Mannoni, il problema è dettar legge alla madre.

Conclusioni
Alla fine di questo percorso si cristallizza un’idea: dietro al bambino degli psicoanalisti di bambini c'è sempre la madre o, piuttosto, ci sono diverse figure della madre: c’è la madre di cui si deve tenere il posto nel transfert per Anna Freud, c’è la madre donna-tutta di Mélanie Klein, c’è la madre sifficientemente buona di Winnicott, c’è la madre fuori-legge della Dolto, c’è la madre che imprigiona il bambino nel proprio fantasma rubandogli il desiderio per la Mannoni. Se questi analisti modificano, esplicitamente o implicitamente, le loro concezioni sul modo in cui il transfert è in gioco nella psicoanalisi con i bambini, è perché la madre è entrata nello studio dell'analista con il bambino, e occorre allora, in un modo o nell'altro, includerla nel dispositivo.
A questo punto, cosa ci pare sia stato trascurato?
Potremmo dire che dal lato della madre, per un verso è stata tralasciata la dimensione significante dell'amore materno, che dice che il bambino non si riduce a essere il fallo che manca alla madre, e che egli simbolizza invece la propria mancanza d’essere, il proprio desiderio; per altro verso non è stato considerato il fatto che lo statuto del bambino come oggetto condensatore di godimento non riesce a saturare il fantasma materno.
Dal lato del bambino non si è badato all’accomodamento e alla conciliazione possibili al di là della madre insoddisfatta, della sua mancanza, dell'uso di godimento che ella fa della mascherata e, in entrambi i casi, della posizione di donna di sua madre.
Quando riceviamo un bambino, egli è in impasse in una di queste dialettiche, e questa impasse fa per lui da fissazione di godimento. Si può manovrare, allora, avendo lui come guida e come mezzo di spostamento, visitando i significanti legati a questo territorio per disegnarne la mappa e per interrogare, con questi stessi significanti, la sua interpretazione del desiderio che lo ha di mira e del godimento al quale egli si presta, o da cui pensa di doversi difendere. Introduciamo l'enigma al cuore delle posizioni fissate e questo spesso scatena il tumulto dei significanti.
È il percorso al quale Lacan ci ha familiarizzato rileggendo il piccolo Hans. Con i cavalli dell'angoscia visitiamo con Hans diversi territori, non solo il territorio materno, ma anche quello paterno, esplorato sia per sé, sia per dettare legge alla madre. Che  gli psicoanalisti siano venuti a occupare il posto in cui dettano legge alla madre, di fronte alla carenza dei padri, ci fa capire che è una china da evitare, se si vuole aprire l'altro versante della psicoanalisi con il bambino.
C’è infatti un altro dibattito sul bambino: riguarda il suo rapporto con il godimento. Vediamo per esempio Hans e le sue prime erezioni, quando gli si rivela un godimento che gli è estraneo. Su questo punto Lacan parla di  «tout un truquage» a proposito dell'intervento di Freud e del padre.

Ricordiamo che il transfert non si presenta nell'esperienza analitica come una questione di tecnica. Prendere questo come punto di partenza ha considerevolmente oscurato la questione del transfert nella psicoanalisi con i bambini.
Lacan ha ristabilito l'incisività del transfert in due tempi:
-       nel primo, facendone una questione di struttura, di condizione dell'esperienza analitica. Ha valorizzato questo aspetto con il termine soggetto-supposto-sapere, inteso come istanza necessaria, che occorre produrre all'entrata di una cura analitica. Esso prende la forma di un significante che si isola, che si fa enigma e che, completato da un secondo significante, produce una creazione nuova, il Soggetto supposto Sapere. Diciamo che è una dimensione estensiva del transfert, che permette l'esplorazione delle finzioni del bambino;
-       nel secondo ha fatto del transfert una questione di incontro, di sorpresa, che si manifesta nell'esperienza attraverso la nascita dell'amore detto di transfert, o attraverso ciò che Freud nota come la presenza dello psicoanalista. La realtà dell'inconscio non è dissociabile dalla sua messa in atto come realtà sessuale, cioè realtà che taglia e che vale, che taglia il flusso delle parole e che porta il valore di godimento. È, questa seconda, una dimensione più intensiva del transfert, la sola adatta a risuonare con il reale del godimento.

Daniel Roy

Trascrizione e traduzione:  Anna Castallo
Revisione: Marco Focchi 


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