mercoledì 11 maggio 2011

Il transfert e le psicosi


Sono qui per lavorare con voi sul tema proposto, “Il transfert e le psicosi”, tema al quale mi sono già dedicato, considerandolo nella prospettiva storica, perché ho svolto una ricerca sulle difficoltà che i primi psicoanalisti, contemporanei di Freud, hanno incontrato nel trattamento della psicosi.

Vorrei cominciare riferendomi a una conferenza tenuta da Jacques Alain-Miller al Teatro Coliseo, che ho trovato pubblicata su Attualità Lacaniana. Se non la conoscete ve ne raccomando la lettura, perché è davvero interessante. Si tratta di un intervento pubblico, tenuto a Buenos Aires nel 2008, sul tema del soggetto supposto sapere. Mi sembra interessante soprattutto quel che Miller dice sulla messa in moto del soggetto supposto sapere, quando ci ricorda che si tratta di un'operazione estremamente pericolosa. Miller considera che la pratica analitica si fonda sul fatto che i nostri pensieri non sorgono a caso, e si chiede quali siano le conseguenze soggettive di questo. Leggo dal testo:

“Una volta che il soggetto supposto sapere è messo in moto, si può produrre un vero delirio fondato sul “non è per caso”, un vero e proprio delirio di interpretazione. Per essere veramente patologico deve aver luogo in qualcuno con una vocazione, qualcuno di veramente dotato per questo. Il soggetto supposto sapere, in questo caso, può estendersi a tutto quello che succede, non solo a quello che succede nella testa, anche nel mondo. Non ci sono barriere insormontabili tra lo spazio mentale e la realtà, non è per caso se quella macchina verde è passata mentre ero lì (qui ci ricorda la prima parte del Seminario III quando parla dei fenomeni intuitivi), non è per caso se ho incontrato quella persona, non è per caso se mi ha guardato in quel modo; lo sguardo spesso è un elemento costitutivo di questi deliri, è uno sguardo che vuole dire qualcosa senza che si sappia esattamente cosa”

Miller aggiunge poi:

“Il soggetto supposto sapere che risponde al “non è per caso”, postulato fondamentale dell'operazione analitica, può entrare in un continuum che comprende i primi segni deliranti, il delirio d'interpretazione, la paranoia conclamata fino, direi, l'automatismo mentale, quando l'altro supposto malintenzionato ha il potere di farvi sentire nella testa la propria voce”.

Tutto questo è interessante perché rende conto della sorpresa dei primi analisti che, impegnati a far rispettare la regola analitica basata sul “non è per caso”, hanno potuto vedere in alcune situazioni, dopo poche sedute, l’insorgenza di un delirio sotto transfert. Proseguo nella lettura:

“Quando tuttavia il soggetto supposto sapere, parvenza operativa, passa al reale, comincia a diventare reale, entriamo nel continuum, è quindi meglio cercare d'individuare prima le persone che hanno tendenza a interpretare il soggetto supposto sapere come reale. Prima di portarle in analisi è opportuno distinguerle, non dico di non introdurle all'analisi, ma di operare in modo molto moderato, in particolare di operare come un soggetto supposto non sapere, poiché il soggetto supposto sapere rischia di confondersi con l'analista. Con questi soggetti l'analista, al contrario, deve farsi idiota, quello che non capisce. Detto così però non è ancora abbastanza preciso, in generale l'analista fa l'idiota per far sorgere nell'altro il desiderio di parlare, di spiegare, di sviluppare, ma qui, pur senza indietreggiare davanti ad un delirio, o ad un rischio di delirio, l'analista non deve precipitarsi, deve essere un po' lento, restare un po' indietro”.

Vi consiglio di leggere questa conferenza perché introduce il nucleo del nostro tema di oggi, transfert e psicosi. Nell'introduzione al suo lavoro su Schreber, Freud espone le difficoltà incontrate nella sua investigazione analitica delle psicosi. A Freud, come sapete, non sembrava evidente fosse possibile ricevere questo tipo di pazienti, li considerava non accessibili al trattamento a causa del loro narcisismo.
Freud pensava ci fosse una difficoltà nella messa in moto del transfert. Miller dice il contrario, e ci troviamo quindi di fronte ad un paradosso. Secondo Freud il dispositivo analitico, il transfert, non è adattabile alla psicosi, perché lo psicotico prende se stesso come oggetto di transfert e non l'analista. Pur sostenendo questa tesi, Freud fa notare che nel caso Schreber il transfert è stato un fattore scatenante della malattia. Da una parte, quindi, dice che non c'è transfert, dall'altra si rende conto che è stato il transfert di Schreber con Flechsig, il famoso psichiatra, a far scatenare la psicosi, la malattia di Schreber. Il delirio insorge proprio quando s’instaura una relazione d'oggetto, per usare i termini dell'epoca, ma Freud stesso sosteneva che nella psicosi non c'è relazione d'oggetto. D'altra parte nello stesso testo Freud aggiunge che non può ancora decidere la posizione della psicoanalisi sulla base di un’unica esperienza con questo tipo di pazienti. La questione fondamentale dunque è trarre delle conclusioni o, meglio, sapere cosa rende possibile l'intervento dell'analista nei casi di psicosi.

Vorrei spiegare ora come sono iniziate le riflessioni della psicoanalisi sul tema del transfert nelle psicosi. Nella sua tesi del 1932 il dottor Jacques Lacan, che si era particolarmente interessato a quel che gli psicoanalisti dicevano sul tema del transfert e della psicosi, nella seconda parte scrive:

“In accordo con quanto i maestri affermano, la tecnica per questi casi non è ancora matura, è questo il problema più attuale della psicoanalisi, a cui spero si trovi presto una soluzione, in quanto un arresto dei risultati tecnici allo stato attuale produrrebbe solo un decadimento della dottrina”.

Ciò vuol dire che già il giovane psichiatra Lacan pensava che fosse assolutamente importante per lo sviluppo della psicoanalisi avere una teoria, una dottrina sul transfert e sul suo trattamento nei casi di psicosi.
Nel testo su Schreber Freud scrive che il delirio stesso è già un tentativo di guarigione: parlare di trattamento della psicosi implica parlare di questo lavoro di guarigione intrapreso dal soggetto stesso. In questo senso possiamo dire che secondo Lacan parlare di lavoro della psicosi sarà diverso da parlare di lavoro di transfert.
Sapete bene che un'analisi si sostiene su quel che Freud chiamava l'elaborazione del transfert. Che cos'è l'elaborazione del transfert? È il lavoro che l'analizzante fa attraverso il transfert.
La divisione del soggetto, il soggetto posto come enigma, lavora la domanda “Che vuoi?”, lavora attorno al vuoto che essa presenta. Partendo dunque da quel che Miller ha detto a Buenos Aires, parlare di lavoro di transfert, collocare il soggetto come enigma, non è un'operazione adeguata nei casi di psicosi, e parlare di lavoro della psicosi è qualcosa di diverso che non parlare di lavoro di transfert nella nevrosi. Nella psicosi si può fare un lavoro, ma non è un lavoro di transfert, è un’altra cosa. Questa differenza si sovrappone a quella tra la rimozione nella nevrosi e la preclusione come causa significante nella psicosi. Possiamo quindi mettere da un lato rimozione e lavoro di transfert, dall'altra preclusione e lavoro della psicosi. Il lavoro di transfert presuppone un legame libidico con un Altro, un Altro maiuscolo, fattosi oggetto. Nel lavoro del delirio, invece, il soggetto si fa carico non solo del ritorno del rimosso, ma dei ritorni del reale. Questa è un'operazione particolare e difficile.
Freud afferma che non c'è autoanalisi nel nevrotico, ma possiamo dire che il delirio è un'autoelaborazione, in cui si evidenzia quel che Lacan chiama efficacia del soggetto. Per la psicoanalisi il problema è dunque di sapere se il lavoro della psicosi può inserirsi nel discorso analitico. Lacan assume questa domanda da Freud, la pone al centro della propria tesi, e se la porrà per tutto il suo insegnamento. Come vedremo, Lacan parla di trattamento della psicosi, non di direzione della cura.
Come si può quindi parlare di un lavoro della psicosi inscritto nel discorso psicoanalitico? Come può l'atto analitico avere un'incidenza causale nell'autotrattamento del reale?
Lacan definisce lo psicotico un martire dell'inconscio. Un martire è qualcuno che dà testimonianza. Lo psicotico quindi testimonia gli effetti mortificanti del ritorno del linguaggio nel reale. Su un altro piano potremmo anche dire che il nevrotico è un martire dell'oggetto a minuscola, un martire della pulsione già organizzata, normalizzata. Come si può però passare dalla posizione di martire, dalla malattia dello psicotico, a quella di lavoratore? Come può l'analista aiutare in questo lavoro, in questa elaborazione, a partire dalla psicoanalisi?
Martire dell'inconscio è un’espressione che per me indica il ritorno nel reale, il ritorno di ciò che è stato precluso dal simbolico. Sapete questo ritorno prende la forma di effetti di corpo, di perplessità, e il lavoro della psicosi è un modo di elaborare  questi ritorni del reale, di operare conversioni che civilizzano il godimento fino a renderlo sopportabile.
L'interrogativo che mi sono posto per lavorare oggi con voi è per l’appunto: come definire la pratica di uno psicoanalista con un soggetto psicotico?
In primo luogo, si può parlare di psicoanalisi della psicosi? Su questo punto esitiamo. Lacan ha svolto una bella elaborazione su questo ma ha preferito sempre parlare di esperienza psicoanalitica della psicosi. È una piccola differenza: non parliamo di psicoanalisi della psicosi, ma di esperienza psicoanalitica delle psicosi.
Sapete che Lacan usa il termine trattamento per definire la pratica con un soggetto psicotico, il testo s’intitola Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi. Questo scritto del 1958 è contemporaneo a La direzione della cura. Qui, vedete, Lacan parla di esperienza, di trattamento della psicosi, ma non di direzione della cura. Nella pratica con le psicosi ci troviamo di fronte al sintomo, e lo statuto del sintomo è cruciale. Non si tratta però d'interpretarlo né di decifrarlo. Quel che un soggetto psicotico può aspettarsi da uno psicoanalista è quindi un trattamento attraverso il sintomo, non del sintomo, c’è una piccola differenza. L'esperienza della psicosi ci permette di scoprire che il sintomo è un modo di trattamento. Lacan in seguito, nel suo ultimo insegnamento, estenderà questo specifico modo di trattamento attraverso il sintomo anche al sintomo nevrotico. La questione che Lacan lavora è dunque lo statuto del sintomo nelle psicosi, e lo statuto del sintomo nelle psicosi inscrive a pieno diritto il soggetto psicotico nell'esperienza analitica. Ve lo inscrive nella misura in cui il sintomo psicotico, in quanto sintomo, dice la verità del sintomo nevrotico. Questo aspetto è molto importante.
Nel suo testo del 1995, Il rovescio dell'interpretazione, che trovate pubblicato ne La Psicoanalisi n.19, Miller prende la struttura dell'inconscio nella psicosi come punto di partenza per orientarsi nella cura dei pazienti nevrotici. In questo testo Miller ha dedotto un nuovo regime dell'interpretazione.
Perché parlare di questo testo per introdurre il nostro tema? Miller scrive:

“La pratica che mira al sintomo nel soggetto non interpreta alla maniera dell'inconscio. In una psicoanalisi si tratta di ricondurre il soggetto nevrotico ai significanti propriamente elementari sui quali il soggetto nella sua nevrosi ha delirato, detto in breve, tale via consiste nel non aggiungere un S2 ma nell'isolare S1”.

Si tratta quindi di individuare quei significanti che, come tali, sono isolati nell'inconscio stesso, non costituiscono una catena. Possiamo dire che in analisi si tratta di ricondurre ogni soggetto ai propri fenomeni elementari. Non si tratta di ricondurre al nucleo psicotico, come direbbe la Klein, ma della struttura stessa dell'inconscio.
Lacan pensa la nevrosi a partire dalla psicosi, nel suo insegnamento c'è una torsione che ci permette di vederlo chiaramente.
Ribadisco ancora che Lacan ha introdotto il termine “trattamento” per le psicosi, e  che non lo usa per le nevrosi. Se prendiamo lo scritto La direzione della cura, vediamo comparire molti termini, inizio, durata, fine, politica, tattica, strategia, e Lacan ci dà anche un matema, il matema del transfert. Tutti questi termini prendono senso però nella cura della nevrosi. Per Lacan, che in questo segue perfettamente Freud, un analisi comincia quando un paziente trova un analista per lamentarsi di un sintomo, e la psicoanalisi consiste precisamente nella decifrazione del sintomo. Tutta l'operazione analitica si sostiene quindi in questa decifrazione del sintomo.
Ieri abbiamo parlato di questo nella presentazione del libro a cura di Massimo Termini, quando abbiamo spiegato il trattamento nel Cecli, e abbiamo detto che all'inizio di un'analisi ci vuole un sintomo. Vedremo dopo cosa succede con la psicosi.
Ieri ho ricordato che ci vogliono delle ragioni perché un soggetto vada a incontrare un analista, e queste ragioni sono sempre definite come sintomo. È necessario che all'entrata di un'analisi sia presente la divisione del soggetto, perché il lavoro di transfert consiste nell'elaborazione di questa divisione. Al centro stesso della cura si mette infatti l'enigma del soggetto come punto da elaborare. Bisogna che la divisione del soggetto sia presente perché il lavoro del transfert consiste nella lettura e nella decifrazione di questa divisione. All'entrata in analisi occorre quindi ci sia una divisione manifesta, reperibile attraverso qualcosa che ne faccia segno.
Quando chiamiamo questo qualcosa con il nome di sintomo andiamo un po’ in fretta, perché se fa segno di una divisione si tratta di un sintomo già trasformato. Secondo Lacan il vero sintomo, elaborato nel suo secondo insegnamento, il vero sintomo, quello che non si prende in analisi, non fa segno a nessuno.
Il vero sintomo soddisfa il soggetto. Possiamo dire che il sintomo nel suo stato naturale, cioè fuori analisi, è un messaggio cifrato, perché si tratta di un messaggio sottratto alla comunicazione, sottratto allo scambio con un altro. Il sintomo condensa il godimento, non chiede niente a nessuno e non porta nessuno dall'analista. Tutto questo Lacan lo scrive con S1, un significante che condensa il godimento.
Perché il sintomo arrivi in analisi bisogna dunque, secondo Lacan, che il segno sia già trasformato. Per questo quando riceviamo un sintomo diciamo che è già trasformato, è già in perdita di godimento, e il canale di questa perdita è il fantasma.
Questa trasformazione si mostra in forma molto chiara, a volte patetica, nel lamento e nella sofferenza nevrotica. Non è tuttavia vero il contrario, che ogni sofferenza sia segno di una divisione.
Questo è un punto molto importante relativamente al trattamento della psicosi. All'entrata in analisi bisogna sempre cercare cosa ha fatto scattare la trasformazione del sintomo, cioè cosa ha turbato l'omeostasi, l'equilibrio del soggetto. Possiamo dire che un modo di definire la normalità è dire che il soggetto è in stato di omeostasi, in equilibrio: la normalità è il soggetto in buona salute che è riuscito a tappare la divisione. È quel che si fa abitualmente nella vita: si tappa la divisione per rendere la vita sopportabile. Ci sono molti modi per farlo.
All'inizio di un analisi si tratta allora di trovare cosa ha messo in scacco questa strategia di chiusura. Diciamo allora che il sintomo all'entrata in analisi è un sintomo in perdita di godimento. È importante trovare questo sintomo nell'esperienza, se non vogliamo confondere soggetti nevrotici con soggetti non nevrotici. Si tratta quindi di trovare a quale Altro il sintomo si rivolge.
Come ricordava Miller, occorre cercare di capire se il soggetto supposto sapere è nel simbolico o nel reale. Se un sintomo è in perdita di godimento si rivolge infatti a qualcuno, ma dobbiamo cercare, nei colloqui preliminari, di capire a quale Altro si indirizza. Il sintomo in perdita di godimento è predisposto a cercare il complemento: quando manca qualcosa il sintomo cerca di completarsi, cerca un S2, potremmo dire. Se definiamo il sintomo come un significante S1, che fissa il godimento, quando c'è una fuga di godimento viene allora chiamato un altro in funzione di complemento per tappare il buco da cui si verifica la fuga, la divisione che ha messo in scacco l'omeostasi del soggetto.
La questione è quindi a quale Altro s'indirizza questo sintomo, perché non è lo stesso nella nevrosi, nella psicosi e nella perversione. Per fare un'analisi bisogna indirizzare questo sintomo verso un complemento, verso il soggetto supposto sapere, verso il transfert come tale. Come ricordava però Miller a Buenos Aires, indirizzare il sintomo verso il soggetto supposto sapere, in un caso di psicosi può far apparire un delirio nel reale: tutto fa segno, il “non è per caso” si estende a tutto e si sviluppa un delirio, un S2, un soggetto supposto sapere che è già un delirio d'interpretazione.
Vi ricordo che Lacan ha parlato dell'analisi come di una paranoia controllata. Il lavoro analitico è un lavoro d'interpretazione, e possiamo dire che una psicoanalisi consiste nella decifrazione di un sintomo con perdita di godimento. Questa perdita si verifica attraverso il canale del fantasma: è il fantasma a impedire a un soggetto di fare un uso del proprio sintomo che potrebbe soddisfarlo. Si tratta dunque, in un’analisi di nevrosi, di andare al di là del fantasma, dove il sintomo si sostiene, per raggiungere il reale della pulsione, situato nel cuore del godimento del sintomo. L’analisi di un soggetto nevrotico va dal sintomo come messaggio da decifrare, al reale del godimento contenuto nel cuore del sintomo. È un'operazione che, detto schematicamente, va dal simbolico al reale. In questo simbolico ci sono tutte le identificazioni simboliche. Ieri abbiamo parlato dell'analisi come di un’operazione di lettura di queste identificazioni attraverso le quali il soggetto istituisce il quadro del fantasma.
Passiamo ora alla psicosi: cosa può attendersi un soggetto psicotico dall'analisi? Freud rispondeva: “Niente!”. Nella mia tesi, che prima avete citato, parlo del caso di un analista italiano, il primo analista italiano, Edoardo Weiss. Si tratta di un caso in cui Freud faceva da supervisore, e abbiamo le lettere, molto interessanti, che Freud e Weiss si sono scambiati su questo controllo.
Edoardo Weiss viveva a Trieste, era allievo di Freud ed era in analisi con Federn, che è stato uno dei primi analisti interessati al trattamento psicoanalitico della psicosi. Il caso di Weiss è un caso di asma nervosa, mi riferisco alla prima parte del testo pubblicato, perché c'è un post scriptum. Weiss presenta il caso e si può dire che si tratta di un successo terapeutico. L'asma era insorta all'inizio del trattamento, ma aveva già un posto nella storia infantile del soggetto. Questo paziente, molto intelligente, ma anche molto solitario e chiuso, dopo la guarigione dal sintomo si apre al mondo, trova una compagna, ed è contento di come vanno le cose. Weiss scrive a Freud per dirgli che il trattamento è andato bene. Il soggetto s'interessa alla psicoanalisi e, come meta del viaggio di nozze, sceglie Vienna per poter conoscere Freud. Freud lo invita a una delle riunioni del mercoledì. A un certo momento si presenta una piccola insorgenza psicotica del soggetto, che comincia a rivolgersi in modo furioso a Weiss e a Freud. Attraverso le lettere vediamo che Freud, quando si rende conto della situazione, vuole sospendere il trattamento al paziente, si comporta in modo un po' segregativo. Per Freud un paziente psicotico non può entrare nel discorso analitico, deve essere messo alla porta.
Ho menzionato questo caso nella mia tesi per dire, e dopo ne possiamo discutere, che ogni discorso è segregativo, ogni discorso, analitico, del padrone, universitario, isterico, non è altro che un modo di trattamento del godimento, dell'oggetto a. C'è dunque un certo razzismo dei discorsi, perché ogni discorso implica un modo di orientare il godimento.
Tutto questo per noi è importante: come sapete Lacan non ha la stessa posizione di Freud. Dice che non dobbiamo indietreggiare di fronte alla psicosi. Per Freud invece dobbiamo indietreggiare, perché il dispositivo analitico era pensato solamente per la decifrazione del godimento, era pensato solamente per la nevrosi, e quando si trovava con un caso non adatto al dispositivo standardizzato il paziente andava messo alla porta.
Lacan pensa che un soggetto psicotico possa aspettarsi qualcosa dalla psicoanalisi, un trattamento per l’appunto. In un primo momento Lacan si pone la domanda, e risponde positivamente, a condizione di chiedersi come maneggiare il transfert nella psicosi.
Freud considera non ci sia transfert rivolto al soggetto supposto sapere, ma Lacan orienta la nostra pratica dicendo invece che c'è transfert nella psicosi, anche se, come ho detto all'inizio, è un transfert di natura diversa. Si tratta infatti di un transfert persecutorio ed erotomane che, in un certo senso, ostacola l'azione dell'analista. Lavorare con questo transfert è concepibile, a condizione di modificarne la natura. Piuttosto che farsi agente di un'erotomania persecutoria, l’analista può diventare il lettore, il segretario dell'alienato, il partner sintomo, come ha indicato Jacques-Alain Miller.
L'analista può incarnare il partner del soggetto – che può essere immaginario, simbolico o reale – affinché possa operare nel trattamento del godimento. Dal trattamento delle psicosi ci si attende dunque qualcosa di diverso da quel che ci si attende nel caso delle nevrosi ma, direi, a partire da quel che ho capito dalla lettura di Lacan, non solo è diverso, è addirittura l'opposto. Nella nevrosi, abbiamo detto, si tratta di decifrare i sintomi, si tratta di andare dal simbolico al reale. Il termine stesso decifrazione rappresenta l'analisi: analizzare vuol dire decifrare. Nella psicosi si tratta invece di andare dal reale al simbolico, si tratta cioè di costruire un sintomo. Il termine di Lacan “trattamento” implica l'azione del simbolico sul reale, ovvero il fatto di trattare il reale con il simbolico attraverso la costruzione di un sintomo. Se un paziente nevrotico cerca nell'analisi un'altra posizione soggettiva, lo psicotico, nell'analisi, attraverso la costruzione del sintomo cerca un altro Altro, un Altro regolatore del godimento, regolatore di questo reale. In entrambi i casi, nevrosi e psicosi, l'analisi non finisce con l'apoteosi del soggetto supposto sapere, ma nella sua evanescenza.
Negli ultimi anni, dopo le conversazioni cliniche di Angers, Arcachon e Antibes, dopo la lettura che Miller ha fatto di Lacan, in particolare riguardo alla clinica del ravissement, e dopo la riflessione sul trattamento dei nuovi sintomi, possiamo dire che intendiamo il termine trattamento come un modo di prendere questo reale per fabbricare un sintomo, per ottenere un altro Altro, o meglio, un Altro migliore di quello che il soggetto ha già. Il trattamento è quindi una modalità di conversazione sul godimento, come si è detto ad Antibes nella conversazione sulla psicosi ordinaria. Il trattamento è però, secondo me, anche un'operazione di traduzione del godimento enigmatico che sul versante paranoico e schizofrenico si presenta come eccesso, e sul versante melanconico risulta come mancanza. Il trattamento, in questo senso, è una conversazione che può permettere al soggetto di nominare quel che eccede la significazione. Se assumiamo questa prospettiva, il trattamento della psicosi diventa una possibile denominazione. Il soggetto psicotico cerca il nome del godimento che sorpassa il campo della significazione. Nel testo Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi, Lacan parla proprio di come si prende questo godimento sregolato per inserirlo in un delirio fantasmatico attraverso il quale l'immaginario e il simbolico si annodano. Quel che Lacan, nel testo, chiama godimento transessuale di Schreber, è un godimento già articolato nell'immagine del corpo e nel simbolico attraverso l'assioma: “Essere la donna di Dio”. Il trattamento è quindi per Lacan un modo di dare un nome, di farsi un nome, e in questo caso il nome è: “La donna di Dio”.
In una delle conversazioni che ricordavo prima, Eric Laurent ricorda che non sempre le denominazioni sono così evidenti, possono essercene forme più banali di quelle di Schreber o di Joyce. Nel seminario XXIII Lacan sviluppa il concetto di sinthome, scritto con il “th”, mostrando come Joyce riesca a identificarsi con il processo in cui produce una lingua nuova, quella che prende corpo nell'opera Finnegans’ Wake, un'opera incredibile, composta di molte lingue, un'opera che è anche un trattamento, un tentativo di svuotare il senso riducendo la lingua a simboli matematici, senza rapporto con il senso.
Dalla nostra pratica possiamo dedurre anche che ogni trattamento della psicosi punta a nominare il godimento enigmatico. Dobbiamo solo aiutare il soggetto a trovare la buona denominazione. Ce ne possono essere molte, deve essere una denominazione che soddisfi il soggetto. La psicoanalisi applicata alla psicosi è quindi un lavoro di traduzione costante. Non è solo una conversazione sul godimento o il tentativo di assegnare una denominazione, è anche la traduzione costante di ciò che accade al soggetto nel suo rapporto con il godimento. L'analista accompagna il soggetto in questo compito, in questo lavoro di traduzione, nello sforzo di trovare un'identità di godimento e un nome. Perché occorre questo sforzo di trovare un'identità di godimento? Perché c'è sempre un'indeterminatezza, c'è sempre un altro modo di dire. In questa conversazione con il soggetto psicotico non c'è identificazione che con il processo stesso di ricerca del nome, un nome che, in un tempo più o meno lungo, può legarsi con un S1, può fissarlo.
Lacan, nel suo insegnamento, ha esplorato le diverse soluzioni per catturare il godimento che nelle psicosi si presenta in eccesso. Nella psicosi è in ogni caso necessario delucidare tutti i tentativi di trattare il godimento in eccesso. È il motivo per cui abbiamo parlato di un passaggio dal reale al simbolico, e in questi casi è questo lavoro a dare un posto all'analista.
A partire da tali considerazioni è possibile differenziare una psicoanalisi con un soggetto nevrotico e il trattamento con i casi di psicosi. Come ho più volte ricordato, il nevrotico è un soggetto che ha già trovato una soluzione per difendersi dal reale: ha un S2, ha un sapere pret a porter, e risponde sempre con questo S2. Ogni volta che si trova di fronte a un buco, a una mancanza, risponde con il suo S2, ed è il suo modo di difendersi dal reale.
Sappiamo che il nevrotico dà questa risposta con l'aiuto del Nome del Padre, che è una specie di patto del soggetto con l'Altro. Il patto è un contratto, e in questo caso serve per ripartire e limitare il godimento. Questo patto non soddisfa però pienamente il soggetto nevrotico, perché ignora il reale della pulsione.
La direzione della cura nella nevrosi diventa così la ricerca di un diverso modo di vivere la pulsione rispetto all'insufficienza delle parvenze paterne. Questo è il problema della nevrosi: la soluzione nevrotica lascia il soggetto in difficoltà con la rivendicazione pulsionale, per questo abbiamo introdotto il vettore della cura dal simbolico al reale. Il soggetto psicotico rifiuta la soluzione del Nome del Padre, questo patto tra il soggetto e le parvenze dell'Altro per limitare il godimento, e si trova senza difesa di fronte al reale. Il soggetto, in nome della sua irriducibile singolarità, rifiuta la soluzione del Nome del Padre e deve così trovare una soluzione necessariamente unica per trattare l'eccesso di godimento con il quale si trova messo a confronto.

Ci avviamo verso la conclusione. È difficile finire perché abbiamo traversato molti temi che magari riprenderemo nella discussione. Prima di terminare vorrei però riprendere il discorso relativo alla strategia nel trattamento della psicosi.
Abbiamo affrontato il problema a partire dalle parole di Miller a Buenos Aires, che ci metteva in guardia sullo statuto del soggetto supposto sapere nella psicosi. Una delle indicazioni fondamentali di Lacan per trattare la psicosi è non avvicinarsi troppo al buco del soggetto. A partire da qui ho detto che la direzione della cura nella nevrosi è un'elaborazione del soggetto intorno a questo buco, cioè intorno al soggetto stesso come enigma. Il nevrotico è un soggetto che non vuole saperne di questo buco, non vuole saperne della risposta lasciata vuota dalla domanda. La tesi essenziale di Lacan, che ha un grande valore clinico, è che nella psicosi la risposta viene prima della domanda, mentre il nevrotico ha già in tasca una risposta, ha un S2 per rispondere a ogni questione sul soggetto. Ciò è evidente nel caso che Lacan cita nel testo Una questione preliminare, con l'allucinazione legata al significante “troia”. Nel caso un soggetto si confronta con una voce, con una risposta senza domanda. Lo psicotico è quindi un soggetto che ha una risposta senza domanda, mentre nel nevrotico il sintomo è già una domanda, una domanda che può essere analizzata sul piano dell'isteria o della nevrosi ossessiva come domanda intorno al buco, intorno al reale sessuale, o all'esistenza. Una risposta senza domanda vuol dire una risposta senza sintomo. Il sintomo nella nevrosi è infatti già la messa in gioco della domanda, è il sintomo stesso a incarnare una domanda. La risposta è in quel che sta scritto sul piano del reale della pulsione e, possiamo dire, lo scritto è rimosso. Nella psicosi invece c'è una risposta, e invece della domanda c'è un buco, il soggetto è sempre messo a confronto con risposte del reale, e deve inventare formule per trattare queste risposte. Dire che è messo a confronto con una risposta senza domanda è come dire che è messo a confronto con un significante senza soggetto, perché il soggetto è la domanda.
Ho ricordato prima la definizione del soggetto psicotico come martire dell'inconscio. Il soggetto psicotico è martire perché è circondato da significanti slegati dalla catena o da un fantasma, sono significanti isolati che si presentano al soggetto come un enigma, lasciandolo da un lato nella perplessità, e dall'altro nella certezza: sono quindi risposte senza domanda. Per questo motivo Lacan dice che è meglio non incoraggiare troppo lo psicotico a farsi delle domande, è molto meglio lavorare con le sue risposte. È importante non toccare il significante enigmatico che il soggetto rappresenta per se stesso. Lacan quindi, dopo Freud, invita alla cautela con il transfert nella psicosi perché, si vede bene nel caso di Schreber, con l’esordio psicotico tutti i significanti diventano enigmatici, e non solo, come nella nevrosi, alcuni localizzati nel sintomo. Per Lacan l'enigma è un difetto di significazione, ma è anche il culmine della significazione. A questo proposito ricordo una bella definizione di Miller: diceva che il momento in cui il soggetto è messo a confronto con il significante come tale, momento che chiamiamo di perplessità, è un momento di metonimia eternizzata, o una metafora impotente. Nella psicosi si tratta quindi dell’insorgere del significante stesso come enigma, mentre nella nevrosi assistiamo piuttosto all’insorgere della significazione. La domanda: “Cos'è una donna?” per esempio diventa una significazione enigmatica, che produce sintomi ben precisi. Nella psicosi la significazione non è rimossa, ma è rigettata nella realtà.

Da un lato abbiamo quindi il rapporto del soggetto psicotico con il significante, ma non dobbiamo trascurare un altro aspetto cruciale: il rapporto con l'oggetto. Lacan problematizza questo rapporto quando dice che il soggetto psicotico ha l'oggetto in tasca, e non è separato dall'oggetto. Nel transfert quindi è importante che l'analista se ne faccia carico di questo oggetto, ritagliato ma non separato, e quando parliamo di oggetto parliamo sempre dei quattro oggetti: voce, sguardo, oggetto anale, oggetto orale. È un punto cruciale perché ci riporta alla questione freudiana dalla quale siamo partiti: è possibile nella psicosi un investimento libidico che prenda l'analista come oggetto? Con un oggetto in tasca non c'è investimento di transfert possibile. Perché ci sia investimento su un partner qualunque è necessario che la tasca sia vuota. Se la tasca è vuota l'oggetto può funzionare rispetto a questo vuoto. Per Lacan quindi ciò che si deve fare tirare fuori l'oggetto dalla tasca, il problema è che non ci dice come farlo. L'analista deve  inventare un modo, prestando però attenzione a che la propria voce non divenga persecutoria.

Vicente Palomera, 9 aprile 2011

Trascrizione di Massimiliano Rebeggiani
Revisione di Marco Focchi

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