sabato 7 settembre 2019

Seminario fondamentale Istituto Freudiano di Milano, 09 marzo 2019. Docente invitato: Emmanuelle Borgnis-Desbordes



Testo di riferimento: J. Lacan, Il seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione, Einaudi, Torino, 2016.

Capitoli XX, XXI, XXII.


Il seminario VI di Lacan, Il desiderio e la sua interpretazione, è stato pubblicato nel 2013 in Francia.

Jacques Alain Miller ha voluto mettere sulla copertina un quadro del XVI secolo di una straordinaria bellezza: L'allegoria del trionfo di Venere di Bronzino, repertoriato da Vasari. Lo ha scelto perché per lui rappresenta un'illustrazione del desiderio sessuale, con la lussuria, l'incesto, la brama, l'imprudenza, la gelosia, l'inganno, la dissimulazione e la follia. Per Miller, dunque, il desiderio non è preformato.
Per affrontare questo seminario è necessario partire dalla distinzione tra bisogno, domanda e desiderio, che Lacan aveva delineato nel seminario riguardante la relazione d'oggetto.
È altrettanto importante contestualizzare il seminario all’interno dell’insegnamento dello psicoanalista francese: infatti si colloca esattamente tra lo scritto La direzione della cura (1958), e  Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio (1960). Il seminario dell’anno successivo sarà quello sull’etica, che ruoterà intorno alla nota formula: «Non cedere sul proprio desiderio».
Un altro consiglio per la lettura di questo seminario è di tenere presente tutto quello che Lacan ha gradualmente sviluppato sull'oggetto a.
J.-A. Miller dice che in questo seminario viene rimaneggiato l'Edipo freudiano, in particolare nel commento dell’Amleto: si mostra che il padre è un sintomo, concludendo con un certo “elogio della perversione", da intendere nel senso che ciò sposta le norme stabilite.
Un tema che era apparso già nel seminario V è il rapporto tra il desiderio e il sogno e difatti già l’anno precedente Lacan aveva introdotto il grafo del desiderio: come situare il desiderio nel sogno appoggiandosi al grafo?
Il “che vuoi?” interroga il desiderio dell'Altro: si approda a un luogo di riferimento attraverso cui il desiderio si situa, ovvero il fantasma, siglato nella formula $<>a. L'oggetto a, in questo seminario, non è affrontato nello stesso modo in cui lo sarà negli anni seguenti e questo obbliga a tornare retroattivamente su quel che si sa. Lacan precisa che in presenza dell'oggetto a, vi è un'evanescenza del soggetto, quindi diviene centrale capire cos’è considerato oggetto in questi anni. Cos'è l'oggetto nella sua essenza, nella sua funzione all’interno del fantasma?
Il fantasma è il punto chiave dove deve prodursi l'interpretazione del desiderio e J.-A. Miller nota che il soggetto ricorre al fantasma come una difesa contro un trauma. Per Lacan il soggetto è ciò che svanisce in relazione a un oggetto: questo rapporto designa il fantasma. Dunque vi è una responsabilità del soggetto nella sua scomparsa di fronte al desiderio, come testimonierà, nel seminario successivo, la figura Antigone.
La tematica del fantasma è centrale nei capitoli XX, XXI e XXII: nei primi due torna sullo scritto La Cosa freudiana per poi approdare al fantasma. Lacan descrive questo cimentarsi nuovamente con la “cosa freudiana” come nuovo, serio e autentico: nuovo nel suo apporto teorico, serio nella sua portata per la psicoanalisi, e autentico nel senso “più reale che vero”.
Ieri come oggi la questione centrale per tutti gli psicoanalisti è l’autentificazione, ma attraverso cosa? Nel seminario Lacan asserisce che avviene attraverso qualcosa di completamente diverso a dai semplici risultati precari, la garanzia è altrove. Nel capitolo XX, alle pagine 395-396 emerge come spesso si affronti la Cosa freudiana in modo: dal punto di vista teorico, clinico e pratico.
Per Lacan, la Cosa è il desiderio: posta così la questione appare decisamente complicata! Il desiderio non è considerabile come qualcosa di ridotto, normalizzato, che funzioni attraverso le esigenze di una sorta di preformazione organica; non è qualcosa che abbia anticipatamente una via segnata alla quale dovremmo afferire. L'esperienza originale del desiderio si oppone alla costruzione della realtà: il principio del desiderio (col quale potremmo fare un collegamento col principio di piacere freudiano, anche se Lacan non lo dice) si oppone al principio di realtà.
Il desiderio è stato a lungo sovrapposto alla ricerca del Bene filosofico con la B maiuscola, nel senso che l'uomo cercherebbe fondamentalmente il proprio bene: quando si dice cosi, l’interesse dovrebbe andare all'oggetto, alla ricerca di un oggetto che sia adeguato, soddisfacente, ma esiste un al di là dell'oggetto. Per Lacan la storia del desiderio si organizza in un discorso che si sviluppa nell'insensato (pag. 397), inteso come non senso, non completamente folle ma non sensato: è questo l'inconscio.
Il desiderio si organizza in un discorso i cui spostamenti e le condensazioni contrassegnano la sua struttura: metonimia e metafora.
Le metafore non costituiscono il principale interesse di Lacan: non permettono un senso che produca effetti di verità. Piuttosto egli è interessa alla metonimia del discorso, la quale, a condizione che sia utilizzata nella cura, può far emergere degli effetti di verità. Nel capito XX Lacan afferma che la psicoanalisi sia l'esplorazione di questo discorso nell'inconscio.
Il desiderio si coglie solo nell'interpretazione, come già aveva precisato ne La direzione della cura. L'interpretazione va in un senso diverso rispetto al discorso corrente. Punteggiare, scandire, tagliare la catena del discorso del paziente, può introdurlo a qualcosa di nuovo, alla catena significante in quanto tale, e alla sua metonimia.
Nella freccia di partenza del grafo del desiderio, Lacan pone qualcosa dell'inconscio che si sigla con $: il soggetto non sa cosa dice nell'inconscio. Il punto di arrivo è il rapporto con l'ideale. In questo circuito vi sono due tagli del tragitto: è a partire da quel punto di intersezione che l'interpretazione può far passare il soggetto allo stadio superiore. Si può dire che quella in basso è la catena del discorso parlato dove, secondo Lacan, il soggetto non sa quel che dice, ma tuttavia parla: la scansione e l'interpretazione analitica permettono un passaggio allo stadio superiore.
Nel seminario II, dove è riportato lo schema ottico, Lacan inserisce uno specchio piano che modifica il rapporto del soggetto con l'identificazione. Riprendendo questo rapporto, si può dire che l'interpretazione analitica abbia lo stesso effetto del movimento dello specchio piano: ciò non significa che l'analista sia uno specchio, è piuttosto un'analogia; ciò che è importante è l'effetto che l'analista opera sul soggetto: modifica il rapporto con l'oggetto e quindi con il desiderio.
Nel capitolo XX del seminario VI, Lacan evidenzia che il desiderio si rivela solo in forma articolata, quindi il paziente non ha altra scelta che prender parola. Nelle pagine successive (pp. 399-404) la riflessione si focalizza sulla questione della realtà, o meglio della lettura della realtà oggettiva che porta a interpretazioni selvagge, spesso riferite agli stadi freudiani: realtà dell'oggetto, livelli di maturazione dell'oggetto; sovente si fa riferimento a Glover per esemplificare.
Quando J.-A. Miller affronta i tema del rapporto del soggetto con l'oggetto, asserisce che si interroga l'essenza soggettiva all'interno di questo rapporto, quindi qualcosa che non esiste in sé. Avere indicazioni sulla posizione soggettiva vuol dire interessarsi all'oggetto, il rapporto con l'oggetto dice qualcosa della posizione soggettiva. Tutto il problema di Lacan, già dal seminario sulla psicosi, è il rapporto tra il soggetto e l'Altro e dell'Altro, dove c'è l'oggetto, al soggetto. Quindi è l'oggetto che ci mostra cosa è un soggetto. Come molti ricercatori e filosofi anche molti psicoanalisti, per Lacan hanno confuso l'oggetto della realtà con l'oggetto a.
La vera e propria articolazione tra il desiderio e il suo oggetto non può prescindere dal situare il desiderio in rapporto a una x che fa dell'uomo (inteso come uomo della conoscenza, della norma, della ragione) un soggetto. Questa x non è precostituita o preformata: l'uomo si costituisce nel significante come soggetto.
In questi tre capitoli del seminario VI e nei seminari successivi, si delinea la base di tre concetti: l'oggetto causa del desiderio, l'inconsistenza dell'Altro e lo statuto del Reale.
A p. 405 Lacan torna sulla formula $<>a e asserisce che il soggetto si costituisce come desiderio in un rapporto terzo rispetto al fantasma, come se in fondo ci fossero tre elementi: il soggetto, il fantasma e l'oggetto. Il fantasma fa da terzo tra il soggetto e l'oggetto. Più avanti Lacan giunge a dire che l'uomo diventa soggetto attraverso l'oggetto che ritrova nel fantasma. In quest’ottica non si può non notare che occultare l'oggetto come oggetto a è molto rischioso, in quanto limiterebbe l’esperienza analitica al piano inferiore del grafo: lo scorrere della pura catena articolata alla ricerca di oggetti sempre più immaginari, con i lamenti del paziente sull'Altro cattivo, che gli vuol male, ecc.
Dunque l'uomo si fa soggetto attraverso la mediazione dell'oggetto, ma l'oggetto – asserisce Lacan nel seminario III – non ha consistenza: è piuttosto un resto d'oggetto, un residuo, ovvero ciò che indicherà con la lettera a: è tutto ciò a cui il soggetto mira. Questo oggetto che non ha consistenza è al centro del seminario XI, un seminario decisivo per la psicoanalisi, quello successiva a quando Lacan lascia o è lasciato dall'IPA.
È nella formula del fantasma, $<>a, che si situa il desiderio, in un rapporto di congiunzione e disgiunzione che è già un movimento: non è un fantasma immobile, costituito, che non si può spostare. Se si desse consistenza all'oggetto si avrebbe un determinismo fantasmatico, e ciò sarebbe terribile.
Allora Lacan afferma che l'oggetto a è il supporto che il soggetto si dà nel luogo stesso in cui viene meno: viene meno nella sua certezza di soggetto, sbanda nella sua designazione di soggetto. Quello di cui si tratta poggia interamente su ciò che succede nell'Altro, in quanto è per il soggetto il luogo del suo desiderio (schema a p. 409).
I seminari precedenti di Lacan ci hanno introdotto alla dialettica del soggetto con l'Altro: il soggetto trova le proprie condizioni di esistenza nell'Altro. Quindi da un lato c'è il soggetto, e dall’altro lato c'è l'Altro: necessariamente l'oggetto deve situarsi dalla parte dell'Altro in questa dialettica. Si può dire che nella psicosi l'oggetto non è dalla parte dell'Altro ma è da quella del soggetto, quindi c’è un soggetto non diviso e c'è un oggetto, che non è un’oggetto a ma un oggetto della realtà e quindi tutto quello che succede nell'Altro diventa persecutorio per il soggetto. Perciò anche nella psicosi il soggetto ha un rapporto con l'Altro.
Nel capitolo XXI Lacan afferma che il luogo del desiderio è nell'Altro e nell'Altro c'è il discorso dell'Altro, qualcosa che manca al soggetto. Questo movimento dialettico permette al soggetto di identificarsi con il luogo dell'Altro e di trovarvi i propri oggetti. In questo capitolo, Lacan torna sulla divisione soggettiva a partire da quello che accade nell'Altro: afferma che ogni volta che si parla di desiderio, si paga il pegno della castrazione, qualcosa di reale sul quale il soggetto ha solo una presa immaginaria.
Da dove si deduce la funzione del significante? Sempre nel capitolo XXI si dice che la castrazione non può essere separata dal desiderio, è la scoperta essenziale di Freud, fino a quel momento misconosciuta. Il seminario IV e questi tre capitoli del seminario VI mostrano il posto inaugurale del desiderio nell'enunciazione del soggetto teso tra castrazione e fantasma.
L'oggetto della castrazione lo chiamiamo fallo: significante di quello che non c'è, frutto della castrazione. Lacan evoca il quadro di Hieronymus Bosch e, in particolare le membra: in quel dipinto in effetti il fallo può essere evocato in diversi modi.
In questi capitoli Lacan evoca anche la questione dell'omosessualità, che Freud, in particolare nei Tre saggi sulla teoria sessuale, ritiene contrassegnata da un'esigenza narcisistica dove l’attributo fallico è considerato dal soggetto come ciò che lo soddisfa: per Lacan questa spiegazione passa per l'Immaginario. Di qui ecco le derive dei lavori di Boehm sull'omosessualità e la perversione, dove il fallo tende a essere considerato come oggetto reale, ma da intendere come oggetto immaginario preso nella realtà.
Per Lacan il fallo ha una portata completamente diversa: il rapporto col fallo, col significante mancante, riguarda tutti i soggetti. Egli interroga il senso e la funzione della a minuscola, come oggetto nel fantasma in un rapporto con la castrazione: si tratta di interrogarlo in modo sincronico, lo si può interrogare a partire dall'enunciazione della catena significante. Difatti a p. 409 è presentato lo Schema sincronico della dialettica del desiderio: ci sono due colonne, ciò che è importante è il rapporto del soggetto barrato ($) con il suo oggetto a.
Da un lato c'è il soggetto e dall'altro c'è l'Altro: il grafo e i suoi circuiti possono aiutare a cogliere come il soggetto si sempre preso nella domanda che rivolge all'Altro, il quale non ha la risposta per il soggetto e quindi si qualifica come Altro barrato; è proprio perché l'Altro è barrato che il soggetto ha accesso a un oggetto che Lacan chiama a.
Qui si situa il fantasma nell'articolazione come congiunzione e disgiunzione: il fantasma fa come da supplenza, non da intendere come supplenza nella psicosi ma come supplenza alla castrazione. In altri termini il fantasma permette un recupero di godimento, è questa l’idea sottesa da Lacan.
Spesso c'è stata confusione tra gli psicoanalisti sulla nozione di fantasma, per esempio Laplanche e Pontalis hanno molto lavorato sul fantasma originario e molte altre versioni del fantasma, ma con l'insegnamento di Lacan non possiamo più confondere le fantasmagorie dell'Immaginario e il fantasma fondamentale. Al fantasma si ha accesso solo attraverso la cura e in condizioni molto specifiche.
Lacan torna sull'Altro dicendo che l'Altro per un soggetto è innanzitutto qualcuno di reale, questo “Sr” nello schema a p. 409 possiamo dire che è qualcuno di reale. Non c'è altra scelta nella cura che prendere la parola per rivolgersi a qualcuno, che è qualcuno di reale: è a partire da questo che opera un analista.
Quindi l'Altro è in primo luogo un soggetto della realtà: sul piano della comunicazione ci si rivolge a qualcuno. L'Altro non barrato è interpellato nella domanda e Lacan dirà che la domanda è sempre domanda di amore, in particolare quando commenterà il Simposio di Platone. È l'Altro che in fin dei conti permette di autentificare la domanda, che è sempre domanda d'amore: si è già ben oltre al bisogno.
Per Lacan c'è la catena significante, quindi la presenza dell'inconscio, ma non ci sono soggetti che per un soggetto, nel senso che bisogna ci sia qualcuno; nel suo insegnamento poi arriverà a spiegare che l'Altro è barrato, che non c'è Altro dell'Altro, che non esiste alcun significante per garantire la presenza soggettiva, ma intanto ci si rivolge a qualcuno, perché è l'Altro non barrato che gli ha permesso di posizionarsi come soggetto, che lo instaura come soggetto. Il soggetto è introdotto nel significante attraverso il trucco dell'Altro che ha la funzione di soggettivarlo.
Dunque il passaggio attraverso la domanda apre al desiderio: si produce una mancanza nell'Altro attraverso la parola, non sul piano dell'Altro come reale, anche se bisogna che ci sia pur qualcuno. Non c'è niente di reale dalla parte dell'Altro e il soggetto non avrà altra scelta, per tutta la vita, di costruire un rapporto dove non ce ne sono: questo avviene attraverso il fantasma.
Dopo aver lavorato sulla questione dell'oggetto, Lacan si interessa alla lettera S, il soggetto.
Asserisce che S è la S che si trova sullo schema L, dove ciò che fa un soggetto è ciò che viene dall'Altro, e nel mezzo c'è uno spazio bianco, che è la presenza dell'inconscio.
La S permette di giocare sull'omofonia con l'ES freudiano che si trova nell'angolo in alto a sinistra dello schema L. Questo ES freudiano è indicato da Lacan con il termine francese “ça” ma è anche “è” come interrogativo, “cos'è?”, il quale ha molti risvolti, “che cos'è?”, “dove esisto?”, “cosa sono io in ciò che esiste?”.
Il soggetto non può pensarsi senza Altro, ne attende una risposta, illusoriamente, resta lì ad aspettarla, e alla fine l'Altro risponde al di là di quello che è stato domandato. Dunque al tempo stesso si introduce un soggetto diviso, che non sa quello che dice, ma che si pone una questione sul proprio essere. Questa questione la pone all'Altro che risponde a lato: quindi abbiamo un soggetto barrato e un Altro barrato. Il solo punto di articolazione possibile è l'oggetto a, con la formula $<>a.
$ è contrassegnato da un movimento di spaltung, di fading, svanimento del soggetto: niente nell'Altro garantisce il suo essere e niente gli permette di situarsi sul piano del discorso dell'Altro. Qui si trova il soggetto dell'inconscio.
Anche se la dialettica significante esiste, per supplire a quello che non c'è, ci serviamo di un elemento immaginario che nominiamo oggetto a, il quale è correlativo alla struttura dell'organizzazione del fantasma. Riprendendo la frase freudiana «dov'era l'Es, deve avvenire l'Io», ciò ci sta a dire che “dov'era l'Es”, vuol dire “dove l'Es parla”: è qui che troviamo il desiderio inconscio, è qui che il soggetto deve designarsi, dire Io (Je), come Io dell'enunciazione, che è come dice Lacan, l'alfa e l'omega della psicoanalisi, ciò a cui la psicoanalisi punta.
Lacan asserisce che dobbiamo riconquistare questo campo perduto dell'essere del soggetto, riprendendo i termini di Freud. La questione è che cosa ci designa nel posto di un soggetto che parla: quello che ci designa è l'indice del desiderio.
Per affrontare la questione del fantasma Lacan dice di partire dall'oggetto, il quale funziona come taglio. È sul piano del fantasma che troviamo le forme più radicali e più semplici, gli oggetti privilegiati del desiderio inconscio del soggetto: questi oggetti diventeranno significanti.
Nel capitolo XXI vengono individua tre oggetti privilegiati dal fantasma, oggetti che svolgono la funzione di diventare significanti, dove per l'appunto non ci sono significanti per dirli sul piano della catena inconscia: sembra paradossale, ma Lacan li presenta così.
Il primo è l'oggetto pregenitale, con riferimento all'oggetto freudiano; il secondo è il fallo, che si deduce dal complesso di castrazione freudiano; il terzo, il delirio, che svolge la stessa funzione per il soggetto nel suo punto di svanimento. Lacan tornerà più tardi su quest’ultimo, con altri riferimenti, dicendo che tutti delirano, o ancora asserendo che il soggetto ama il proprio delirio – privato – come se stesso.
È a partire da questo che nel capitolo seguente affronta il fantasma perverso e come il soggetto perverso esiste nel desiderio dell'Altro. L'oggetto del fantasma nella perversione tenta di fare esistere l'oggetto immaginario dello stadio dello specchio. Più avanti Lacan riprenderà la questione della perversione in modo diverso, insistendo sulla consistenza logica dell'oggetto a, facendo altri riferimenti al godimento.
Nel modo in cui ne parla Lacan in questo capitolo, il fantasma è mobile: non bisogna credere che lasci cadere uno dei suoi elementi, se lo si sollecita si ricostituisce in modo diverso. Interpretare il fantasma non è ricondurre il soggetto alla realtà, contrariamente a quello che possono pensare diversi analisti di altre correnti. Partendo dal presupposto di ricondurre il soggetto alla realtà, l’effetto è indicare il passaggio all'atto, quindi è molto pericoloso. Per diversi analisti la realtà deve congiungersi al fantasma e viceversa, Lacan invece precisa che il posto occupato dal fantasma richiede una dimensione completamente diversa: richiede una dimensione dell'essere, scritto con la “e” minuscola per distinguerlo dall'Essere della filosofia, che più tardi Lacan definirà “essere di godimento”. È piuttosto in questa dimensione dell'essere che si situa l'interpretazione del desiderio.
Interroghiamo il posto della funzione del fantasma in quanto è simbolizzato nel rapporto del soggetto. Quest’ultimo è segnato dall'effetto della parola, si orienta con l'oggetto che non c'è ma gli dona il posto di un oggetto possibile. Questo è il punto in cui nascerà l'oggetto a.
Ripercorrere la logica con cui Lacan disegna il grafo può essere utile. Si parte dal soggetto, c'è un tragitto che va verso l'ideale, tagliato da due catene: in alto quella inconscia e sotto la catena del discorso, dirla conscia sarebbe un errore perché qui c'è un discorso in cui il soggetto parla senza sapere cosa dice.
In questo seminario Lacan mostra il tragitto della catena inconscia soggiacente negli enunciati, quella a cui si mira nella cura, scandendo e punteggiando il discorso nella seduta analitica. L'analista interviene nel luogo di a, orientato da quello che Lacan più tardi chiamerà il desiderio dell'analista, che non è il desiderio di “fare l'analista quando sarò grande”, ma piuttosto qualcosa sul piano della x, che entra in gioco e permette, attraverso l'intervento analitico, di passare alla catena inconscia. Per questo l'analisi è lunga, perché il soggetto torna costantemente sulla catena del discorso e l'analista interviene ripetutamente con il suo taglio per riportarlo alla catena inconscia.
Il tragitto della catena significante Lacan lo mostra bene nella parte superiore del grafo: il soggetto, attraverso l'operazione d’analisi, è sempre soggetto della domanda che gli permette di accedere al soggetto dell'Altro barrato, ossia il significante dell'Altro.
Dove c'è la catena del discorso, in basso, si va dal significante alla voce, in alto invece si va dal godimento alla castrazione (pp. 433-435).
A partire da questo lavoro necessario per accedere alla catena inconscia, è importante vedere come Lacan collochi quello che chiama desiderio nel tragitto che va dall'Altro al soggetto della domanda, e come finalmente il fantasma si situi in un corto circuito, in quanto è in una posizione di intersezione. Sullo schema che si trova in questo seminario, Lacan segna la linea della catena superiore come tratteggiata all'interno del grafo, e uscendo dopo il taglio continua come linea unita: è tratteggiata perché non è nell'ordine del discorso. Al livello in basso c'è sempre un tentativo di fare discorso, di costituirsi come discorso, mentre in alto c'è qualcosa che dà un effetto di verità attraverso l'intervento analitico.
Lacan parla di due intenzioni: la prima emerge prendendo la parola, si domanda, si interroga l'Altro sul proprio essere, è quel che si vede nei bambini quando chiedono “perché?” ripetutamente (i vari “perché esisto? Perché la terra è rotonda?” sono in realtà questioni sul proprio essere). Anche se ci si sforza di trovare una risposta al bambino c'è un'altra intenzione, domanda qualcosa di diversi rispetto a quel che domanda, c'è un al di là della domanda, ma passa attraverso l'Altro per cercare di trovare una risposta e per ciò troviamo in questo seminario un soggetto ancora dell'intersoggettività. Lacan dice che il soggetto è interamente nell'alienazione significante, un'alienazione rispetto all'articolazione significante del primo stadio.
Tuttavia quando il soggetto sembra puntare a interrogare l'Altro sul proprio essere, non c'è niente dell'Altro, niente nel significato dal lato del senso, che garantisca la verità del proprio essere: c'è solo la buona fede dell'Altro. Qui il fantasma svolge per il soggetto un ruolo di supporto immaginario.
Questo grafo, in particolare la posizione del fantasma, introduce a una fenomenologia del taglio, introduce un oggetto che si sostiene sul piano immaginario e che sostiene il soggetto. Per Lacan se esistesse un essere di puro soggetto si situerebbe al livello del significante della mancanza dell'Altro, e in fondo il soggetto trova la propria designazione, che non è il proprio riconoscimento, nel tragitto che va fino all'ideale, tra l'ideale dell'Altro e S(%), retroattivamente.
Credo possa essere d’aiuto un caso clinico che ho presentato a PIPOL 7, titolato: Flore, qualcuno che era vittima della propria carne. Si tratta di una giovane donna che arriva in seduta con i capelli lunghi e calati davanti agli occhi, appare molto giovane, anzi quasi senza età; piange angosciata, depressa, o quanto meno si mostra così. Per quattro sedute di seguito non fa altro che piangere, poi inizia a parlare e dice che ha un buon lavoro, è architetto, ha un fidanzato comprensivo, «sono come una bambina»: viene da me perché da un anno e mezzo non ha più alcun desiderio sessuale, con il suo compagno ha una relazione da 5 anni e lei ha 28 anni. Quattro sedute molto difficili e poi una confessione: «non ho l'utero, [è una sindrome che, ndr] viene da mia madre, sono una bambina». La mancanza d'utero è una sindrome reale che è classificata come sindrome di Rokitansky. Con mio stupore vengo a sapere della mancanza di questo organo lo stesso giorno in cui compie 28 anni, pur dimostrandone 15 di meno. Questa mancanza d'utero venne scoperta a 18 mesi tramite un'ecografia. Mi sono interessata molto a questa ecografia, che la madre conserva nascosta in un armadio. In questa ragazza c'è una mancanza reale di quest'organo, lei è identificata con una bambina, è fissata su quest'assenza. Ho pensato che fosse importante tirarla fuori da questa identificazione: le ho detto, cercando di alleggerire, «va bene… è un corpo particolare, ma cosa dice il ginecologo?» e lei mi ha risposto «non ne ho mai visto uno, è congenito e viene da mia madre» e io le ho detto «d'accordo, viene da sua madre, ma ha fatto delle scelte amorose, ha una vita sessuale» e lei ribatte «si, ma è come se non esistesse, ho per l'appunto trovato un uomo che non vuole avere figli». A quel punto mi sono mostrata come innervosita, per modo di dire, e le ho detto «vada a vedere il dott. Tal dei tali, uno che conosco, e gli parli un po' di questo corpo». Le ho dato il bigliettino da visita e lei se ne è andata.
A breve ho chiamato il ginecologo, che è psicoanaliticamente orientato senza saperlo, e gli ho detto «le faccia un'ecografia, che non sia quella della madre» per tirarla fuori dall'identificazione con la bambina. Lei non ha un utero e quindi si sente di non essere una donna, ma è una costruzione che si è fatta lei: con questa sindrome è difficile avere dei bambini, ma non impossibile e infatti ci sono poi state delle sorprese.
In attesa dell'incontro con il medico continuava a svalutarsi in seduta: «sono un architetto senza idee, mi faccio licenziare». Diceva che nella sua scuola di architettura, a 18 anni, aveva il desiderio di costruire dei luoghi eccezionali per artisti, ma «non so dove siano andate a finire le mie idee e la mia eccitazione»: a quel punto aveva fatto un lungo silenzio per poi riprendere: «vorrei andare a Londra, adoro quella città, adoro quella lingua». Questa donna si è esiliata quando ha iniziato a fare coppia con il partner, prima era particolarmente vivace, poi ha preso l'abitus della bambina senza desiderio, ha la intima convinzione che le serva un utero per essere una donna fatta e finita, “una donna moderna” come dice lei.
Parla del suo compagno: «non avrò mai bambini, mi lascia fare, lui è molto gentile», quindi intervengo in modo piuttosto sostenuto «allora l'amerebbe soltanto per pietà?».
Successivamente va dal medico, torna e dice «è stato molto gentile, mi sono sentita accolta». Il medico ha fatto una nuova ecografia con l'obiettivo di appoggiarsi a un'immagine che sia la sua, e soprattutto per mettere delle parole sull’assenza di quest'organo. Finalmente questo medico le da un'immagine e anche un certo sapere su questa sindrome, perché queste sindromi vaginali-uterine sono molto diverse da donna a donna.
Avevo notato che nel momento in cui aveva detto che il medico era stato molto gentile era come se i suoi capelli si fossero ravvivati, si era risvegliata, così le avevo chiesto «Ma allora, come è fatto questo corpo?», e lei: «non lo sa? Ho le ovaie!». Quindi scopriamo che in questa sindrome non c'è l'utero ma possono esserci le ovaie, e lei aggiunge «ho delle ovaie, penso che questo mi basti». Questo annuncio ha un effetto spettacolare su Flora e il suo desiderio. Sembra aver trovato la sicurezza che le mancava: avere delle ovaie le permette di essere come donna. Inoltre 4/5 anni prima, in Svezia c'era stato il primo trapianto d'utero: in questi casi si fa un trapianto d'utero per avere un bambino e poi lo si toglie.
Al «lei può avere dei bambini» del medico risponde quindi un risveglio del desiderio, questa donna si sente viva e desiderante, pronta a tutto in nome di queste sue voglie, cosa che trovo interessante ma anche inquietante. Lei dice «non so cosa mi succede, ma il mio desiderio è senza fine» e aggiunge «riflettendoci, non sono poi così sicura di volere avere dei bambini». Oggi la seguo ancora, lei ha ripreso il suo lavoro d'architetto e passa 15 giorni a Londra e 15 in Francia, e sta rifacendo tutto il quartiere di Bloomsbury a Londra, un quartiere abbandonato che sta ricostruendo per fare delle case per artisti.
Questo caso clinico è per mostrare come a partire dal fantasma (l’essere una bambina), l'appello all'Altro (il ginecologo in questo caso) ha permesso, attraverso l'Immaginario (la sua ecografia, diversa da quella della madre), che il desiderio fosse sostenuto, anzi rilanciato.


Trascrizione: Martina Lanza
Revisione: Alberto Tuccio

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