Testo di riferimento: J. Lacan, Il seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione, Einaudi, Torino, 2016.
Capitoli XX, XXI, XXII.
Il seminario VI di Lacan, Il desiderio e la sua
interpretazione, è stato pubblicato nel 2013 in Francia.
Jacques Alain Miller ha voluto mettere sulla copertina un
quadro del XVI secolo di una straordinaria bellezza: L'allegoria del trionfo
di Venere di Bronzino, repertoriato da Vasari. Lo ha scelto perché per lui
rappresenta un'illustrazione del desiderio sessuale, con la lussuria,
l'incesto, la brama, l'imprudenza, la gelosia, l'inganno, la dissimulazione e
la follia. Per Miller, dunque, il desiderio non è preformato.
Per affrontare questo seminario è necessario partire dalla
distinzione tra bisogno, domanda e desiderio, che Lacan aveva delineato nel
seminario riguardante la relazione d'oggetto.
È altrettanto importante contestualizzare il seminario
all’interno dell’insegnamento dello psicoanalista francese: infatti si colloca
esattamente tra lo scritto La direzione della cura (1958), e Sovversione del soggetto e dialettica del
desiderio (1960). Il seminario dell’anno successivo sarà quello sull’etica,
che ruoterà intorno alla nota formula: «Non cedere sul proprio desiderio».
Un altro consiglio per la lettura di questo seminario è di
tenere presente tutto quello che Lacan ha gradualmente sviluppato sull'oggetto a.
J.-A. Miller dice che in questo seminario viene rimaneggiato
l'Edipo freudiano, in particolare nel commento dell’Amleto: si mostra
che il padre è un sintomo, concludendo con un certo “elogio della
perversione", da intendere nel senso che ciò sposta le norme stabilite.
Un tema che era apparso già nel seminario V è il rapporto tra
il desiderio e il sogno e difatti già l’anno precedente Lacan aveva introdotto
il grafo del desiderio: come situare il desiderio nel sogno appoggiandosi al
grafo?
Il “che vuoi?” interroga il desiderio dell'Altro: si approda
a un luogo di riferimento attraverso cui il desiderio si situa, ovvero il
fantasma, siglato nella formula $<>a. L'oggetto a, in
questo seminario, non è affrontato nello stesso modo in cui lo sarà negli anni
seguenti e questo obbliga a tornare retroattivamente su quel che si sa. Lacan
precisa che in presenza dell'oggetto a, vi è un'evanescenza del
soggetto, quindi diviene centrale capire cos’è considerato oggetto in questi
anni. Cos'è l'oggetto nella sua essenza, nella sua funzione all’interno del
fantasma?
Il fantasma è il punto chiave dove deve prodursi
l'interpretazione del desiderio e J.-A. Miller nota che il soggetto ricorre al
fantasma come una difesa contro un trauma. Per Lacan il soggetto è ciò che
svanisce in relazione a un oggetto: questo rapporto designa il fantasma. Dunque
vi è una responsabilità del soggetto nella sua scomparsa di fronte al desiderio,
come testimonierà, nel seminario successivo, la figura Antigone.
La tematica del fantasma è centrale nei capitoli XX, XXI e
XXII: nei primi due torna sullo scritto La Cosa freudiana per poi
approdare al fantasma. Lacan descrive questo cimentarsi nuovamente con la “cosa
freudiana” come nuovo, serio e autentico: nuovo nel suo apporto teorico, serio
nella sua portata per la psicoanalisi, e autentico nel senso “più reale che
vero”.
Ieri come oggi la questione centrale per tutti gli
psicoanalisti è l’autentificazione, ma attraverso cosa? Nel seminario Lacan asserisce
che avviene attraverso qualcosa di completamente diverso a dai semplici
risultati precari, la garanzia è altrove. Nel capitolo XX, alle pagine 395-396
emerge come spesso si affronti la Cosa freudiana in modo: dal punto di vista
teorico, clinico e pratico.
Per Lacan, la Cosa è il desiderio: posta così la questione
appare decisamente complicata! Il desiderio non è considerabile come qualcosa
di ridotto, normalizzato, che funzioni attraverso le esigenze di una sorta di
preformazione organica; non è qualcosa che abbia anticipatamente una via
segnata alla quale dovremmo afferire. L'esperienza originale del desiderio si
oppone alla costruzione della realtà: il principio del desiderio (col quale
potremmo fare un collegamento col principio di piacere freudiano, anche se
Lacan non lo dice) si oppone al principio di realtà.
Il desiderio è stato a lungo sovrapposto alla ricerca del
Bene filosofico con la B maiuscola, nel senso che l'uomo cercherebbe fondamentalmente
il proprio bene: quando si dice cosi, l’interesse dovrebbe andare all'oggetto,
alla ricerca di un oggetto che sia adeguato, soddisfacente, ma esiste un al di
là dell'oggetto. Per Lacan la storia del desiderio si organizza in un discorso
che si sviluppa nell'insensato (pag. 397), inteso come non senso, non
completamente folle ma non sensato: è questo l'inconscio.
Il desiderio si organizza in un discorso i cui spostamenti e
le condensazioni contrassegnano la sua struttura: metonimia e metafora.
Le metafore non costituiscono il principale interesse di
Lacan: non permettono un senso che produca effetti di verità. Piuttosto egli è
interessa alla metonimia del discorso, la quale, a condizione che sia
utilizzata nella cura, può far emergere degli effetti di verità. Nel capito XX
Lacan afferma che la psicoanalisi sia l'esplorazione di questo discorso
nell'inconscio.
Il desiderio si coglie solo nell'interpretazione, come già
aveva precisato ne La direzione della cura. L'interpretazione va in un
senso diverso rispetto al discorso corrente. Punteggiare, scandire, tagliare la
catena del discorso del paziente, può introdurlo a qualcosa di nuovo, alla
catena significante in quanto tale, e alla sua metonimia.
Nella freccia di partenza del grafo del desiderio, Lacan pone
qualcosa dell'inconscio che si sigla con $: il soggetto non sa cosa dice
nell'inconscio. Il punto di arrivo è il rapporto con l'ideale. In questo
circuito vi sono due tagli del tragitto: è a partire da quel punto di
intersezione che l'interpretazione può far passare il soggetto allo stadio
superiore. Si può dire che quella in basso è la catena del discorso parlato
dove, secondo Lacan, il soggetto non sa quel che dice, ma tuttavia parla: la
scansione e l'interpretazione analitica permettono un passaggio allo stadio
superiore.
Nel seminario II, dove è riportato lo schema ottico, Lacan
inserisce uno specchio piano che modifica il rapporto del soggetto con
l'identificazione. Riprendendo questo rapporto, si può dire che
l'interpretazione analitica abbia lo stesso effetto del movimento dello
specchio piano: ciò non significa che l'analista sia uno specchio, è piuttosto
un'analogia; ciò che è importante è l'effetto che l'analista opera sul
soggetto: modifica il rapporto con l'oggetto e quindi con il desiderio.
Nel capitolo XX del seminario VI, Lacan evidenzia che il
desiderio si rivela solo in forma articolata, quindi il paziente non ha altra
scelta che prender parola. Nelle pagine successive (pp. 399-404) la riflessione
si focalizza sulla questione della realtà, o meglio della lettura della realtà
oggettiva che porta a interpretazioni selvagge, spesso riferite agli stadi
freudiani: realtà dell'oggetto, livelli di maturazione dell'oggetto; sovente si
fa riferimento a Glover per esemplificare.
Quando J.-A. Miller affronta i tema del rapporto del soggetto
con l'oggetto, asserisce che si interroga l'essenza soggettiva all'interno di
questo rapporto, quindi qualcosa che non esiste in sé. Avere indicazioni sulla
posizione soggettiva vuol dire interessarsi all'oggetto, il rapporto con
l'oggetto dice qualcosa della posizione soggettiva. Tutto il problema di Lacan,
già dal seminario sulla psicosi, è il rapporto tra il soggetto e l'Altro e
dell'Altro, dove c'è l'oggetto, al soggetto. Quindi è l'oggetto che ci mostra
cosa è un soggetto. Come molti ricercatori e filosofi anche molti
psicoanalisti, per Lacan hanno confuso l'oggetto della realtà con l'oggetto a.
La vera e propria articolazione tra il desiderio e il suo
oggetto non può prescindere dal situare il desiderio in rapporto a una x che fa
dell'uomo (inteso come uomo della conoscenza, della norma, della ragione) un
soggetto. Questa x non è precostituita o preformata: l'uomo si costituisce nel
significante come soggetto.
In questi tre capitoli del seminario VI e nei seminari
successivi, si delinea la base di tre concetti: l'oggetto causa del desiderio,
l'inconsistenza dell'Altro e lo statuto del Reale.
A p. 405 Lacan torna sulla formula $<>a e
asserisce che il soggetto si costituisce come desiderio in un rapporto terzo
rispetto al fantasma, come se in fondo ci fossero tre elementi: il soggetto, il
fantasma e l'oggetto. Il fantasma fa da terzo tra il soggetto e l'oggetto. Più
avanti Lacan giunge a dire che l'uomo diventa soggetto attraverso l'oggetto che
ritrova nel fantasma. In quest’ottica non si può non notare che occultare
l'oggetto come oggetto a è molto rischioso, in quanto limiterebbe
l’esperienza analitica al piano inferiore del grafo: lo scorrere della pura
catena articolata alla ricerca di oggetti sempre più immaginari, con i lamenti
del paziente sull'Altro cattivo, che gli vuol male, ecc.
Dunque l'uomo si fa soggetto attraverso la mediazione
dell'oggetto, ma l'oggetto – asserisce Lacan nel seminario III – non ha
consistenza: è piuttosto un resto d'oggetto, un residuo, ovvero ciò che
indicherà con la lettera a: è tutto ciò a cui il soggetto mira. Questo
oggetto che non ha consistenza è al centro del seminario XI, un seminario
decisivo per la psicoanalisi, quello successiva a quando Lacan lascia o è
lasciato dall'IPA.
È nella formula del fantasma, $<>a, che
si situa il desiderio, in un rapporto di congiunzione e disgiunzione che è già
un movimento: non è un fantasma immobile, costituito, che non si può spostare.
Se si desse consistenza all'oggetto si avrebbe un determinismo fantasmatico, e
ciò sarebbe terribile.
Allora Lacan afferma che l'oggetto a è il supporto che
il soggetto si dà nel luogo stesso in cui viene meno: viene meno nella sua
certezza di soggetto, sbanda nella sua designazione di soggetto. Quello di cui
si tratta poggia interamente su ciò che succede nell'Altro, in quanto è per il
soggetto il luogo del suo desiderio (schema a p. 409).
I seminari precedenti di Lacan ci hanno introdotto alla
dialettica del soggetto con l'Altro: il soggetto trova le proprie condizioni di
esistenza nell'Altro. Quindi da un lato c'è il soggetto, e dall’altro lato c'è
l'Altro: necessariamente l'oggetto deve situarsi dalla parte dell'Altro in
questa dialettica. Si può dire che nella psicosi l'oggetto non è dalla parte
dell'Altro ma è da quella del soggetto, quindi c’è un soggetto non diviso e c'è
un oggetto, che non è un’oggetto a ma un oggetto della realtà e quindi
tutto quello che succede nell'Altro diventa persecutorio per il soggetto.
Perciò anche nella psicosi il soggetto ha un rapporto con l'Altro.
Nel capitolo XXI Lacan afferma che il luogo del desiderio è
nell'Altro e nell'Altro c'è il discorso dell'Altro, qualcosa che manca al
soggetto. Questo movimento dialettico permette al soggetto di identificarsi con
il luogo dell'Altro e di trovarvi i propri oggetti. In questo capitolo, Lacan
torna sulla divisione soggettiva a partire da quello che accade nell'Altro:
afferma che ogni volta che si parla di desiderio, si paga il pegno della
castrazione, qualcosa di reale sul quale il soggetto ha solo una presa
immaginaria.
Da dove si deduce la funzione del significante? Sempre nel
capitolo XXI si dice che la castrazione non può essere separata dal desiderio,
è la scoperta essenziale di Freud, fino a quel momento misconosciuta. Il
seminario IV e questi tre capitoli del seminario VI mostrano il posto
inaugurale del desiderio nell'enunciazione del soggetto teso tra castrazione e
fantasma.
L'oggetto della castrazione lo chiamiamo fallo: significante
di quello che non c'è, frutto della castrazione. Lacan evoca il quadro di
Hieronymus Bosch e, in particolare le membra: in quel dipinto in effetti il
fallo può essere evocato in diversi modi.
In questi capitoli Lacan evoca anche la questione
dell'omosessualità, che Freud, in particolare nei Tre saggi sulla teoria
sessuale, ritiene contrassegnata da un'esigenza narcisistica dove
l’attributo fallico è considerato dal soggetto come ciò che lo soddisfa: per
Lacan questa spiegazione passa per l'Immaginario. Di qui ecco le derive dei
lavori di Boehm sull'omosessualità e la perversione, dove il fallo tende a
essere considerato come oggetto reale, ma da intendere come oggetto immaginario
preso nella realtà.
Per Lacan il fallo ha una portata completamente diversa: il
rapporto col fallo, col significante mancante, riguarda tutti i soggetti. Egli
interroga il senso e la funzione della a minuscola, come oggetto nel
fantasma in un rapporto con la castrazione: si tratta di interrogarlo in modo
sincronico, lo si può interrogare a partire dall'enunciazione della catena
significante. Difatti a p. 409 è presentato lo Schema sincronico della
dialettica del desiderio: ci sono due colonne, ciò che è importante è il
rapporto del soggetto barrato ($) con il suo oggetto a.
Da un lato c'è il soggetto e dall'altro c'è l'Altro: il grafo
e i suoi circuiti possono aiutare a cogliere come il soggetto si sempre preso
nella domanda che rivolge all'Altro, il quale non ha la risposta per il
soggetto e quindi si qualifica come Altro barrato; è proprio perché l'Altro è
barrato che il soggetto ha accesso a un oggetto che Lacan chiama a.
Qui si situa il fantasma nell'articolazione come congiunzione
e disgiunzione: il fantasma fa come da supplenza, non da intendere come
supplenza nella psicosi ma come supplenza alla castrazione. In altri termini il
fantasma permette un recupero di godimento, è questa l’idea sottesa da Lacan.
Spesso c'è stata confusione tra gli psicoanalisti sulla
nozione di fantasma, per esempio Laplanche e Pontalis hanno molto lavorato sul
fantasma originario e molte altre versioni del fantasma, ma con l'insegnamento
di Lacan non possiamo più confondere le fantasmagorie dell'Immaginario e il
fantasma fondamentale. Al fantasma si ha accesso solo attraverso la cura e in
condizioni molto specifiche.
Lacan torna sull'Altro dicendo che l'Altro per un soggetto è
innanzitutto qualcuno di reale, questo “Sr” nello schema a p. 409 possiamo dire
che è qualcuno di reale. Non c'è altra scelta nella cura che prendere la parola
per rivolgersi a qualcuno, che è qualcuno di reale: è a partire da questo che
opera un analista.
Quindi l'Altro è in primo luogo un soggetto della realtà: sul
piano della comunicazione ci si rivolge a qualcuno. L'Altro non barrato è
interpellato nella domanda e Lacan dirà che la domanda è sempre domanda di
amore, in particolare quando commenterà il Simposio di Platone. È
l'Altro che in fin dei conti permette di autentificare la domanda, che è sempre
domanda d'amore: si è già ben oltre al bisogno.
Per Lacan c'è la catena significante, quindi la presenza
dell'inconscio, ma non ci sono soggetti che per un soggetto, nel senso che
bisogna ci sia qualcuno; nel suo insegnamento poi arriverà a spiegare che
l'Altro è barrato, che non c'è Altro dell'Altro, che non esiste alcun
significante per garantire la presenza soggettiva, ma intanto ci si rivolge a
qualcuno, perché è l'Altro non barrato che gli ha permesso di posizionarsi come
soggetto, che lo instaura come soggetto. Il soggetto è introdotto nel
significante attraverso il trucco dell'Altro che ha la funzione di
soggettivarlo.
Dunque il passaggio attraverso la domanda apre al desiderio:
si produce una mancanza nell'Altro attraverso la parola, non sul piano
dell'Altro come reale, anche se bisogna che ci sia pur qualcuno. Non c'è niente
di reale dalla parte dell'Altro e il soggetto non avrà altra scelta, per tutta
la vita, di costruire un rapporto dove non ce ne sono: questo avviene
attraverso il fantasma.
Dopo aver lavorato sulla questione dell'oggetto, Lacan si
interessa alla lettera S, il soggetto.
Asserisce che S è la S che si trova sullo schema L, dove ciò
che fa un soggetto è ciò che viene dall'Altro, e nel mezzo c'è uno spazio
bianco, che è la presenza dell'inconscio.
La S permette di giocare sull'omofonia con l'ES freudiano che
si trova nell'angolo in alto a sinistra dello schema L. Questo ES freudiano è
indicato da Lacan con il termine francese “ça” ma è anche “è” come
interrogativo, “cos'è?”, il quale ha molti risvolti, “che cos'è?”, “dove
esisto?”, “cosa sono io in ciò che esiste?”.
Il soggetto non può pensarsi senza Altro, ne attende una
risposta, illusoriamente, resta lì ad aspettarla, e alla fine l'Altro risponde
al di là di quello che è stato domandato. Dunque al tempo stesso si introduce
un soggetto diviso, che non sa quello che dice, ma che si pone una questione
sul proprio essere. Questa questione la pone all'Altro che risponde a lato:
quindi abbiamo un soggetto barrato e un Altro barrato. Il solo punto di
articolazione possibile è l'oggetto a, con la formula $<>a.
$ è contrassegnato da un movimento di spaltung, di fading,
svanimento del soggetto: niente nell'Altro garantisce il suo essere e niente
gli permette di situarsi sul piano del discorso dell'Altro. Qui si trova il
soggetto dell'inconscio.
Anche se la dialettica significante esiste, per supplire a
quello che non c'è, ci serviamo di un elemento
immaginario che nominiamo oggetto a, il quale è correlativo alla
struttura dell'organizzazione del fantasma. Riprendendo la frase freudiana
«dov'era l'Es, deve avvenire l'Io», ciò ci sta a dire che “dov'era l'Es”, vuol
dire “dove l'Es parla”: è qui che troviamo il desiderio inconscio, è qui che il
soggetto deve designarsi, dire Io (Je), come Io dell'enunciazione, che è come
dice Lacan, l'alfa e l'omega della psicoanalisi, ciò a cui la psicoanalisi
punta.
Lacan asserisce che dobbiamo riconquistare questo campo
perduto dell'essere del soggetto, riprendendo i termini di Freud. La questione
è che cosa ci designa nel posto di un soggetto che parla: quello che ci designa
è l'indice del desiderio.
Per affrontare la questione del fantasma Lacan dice di
partire dall'oggetto, il quale funziona come taglio. È sul piano del fantasma
che troviamo le forme più radicali e più semplici, gli oggetti privilegiati del
desiderio inconscio del soggetto: questi oggetti diventeranno significanti.
Nel capitolo XXI vengono individua tre oggetti privilegiati
dal fantasma, oggetti che svolgono la funzione di diventare significanti, dove
per l'appunto non ci sono significanti per dirli sul piano della catena
inconscia: sembra paradossale, ma Lacan li presenta così.
Il primo è l'oggetto pregenitale, con riferimento all'oggetto
freudiano; il secondo è il fallo, che si deduce dal complesso di castrazione
freudiano; il terzo, il delirio, che svolge la stessa funzione per il soggetto
nel suo punto di svanimento. Lacan tornerà più tardi su quest’ultimo, con altri
riferimenti, dicendo che tutti delirano, o ancora asserendo che il soggetto ama
il proprio delirio – privato – come se stesso.
È a partire da questo che nel capitolo seguente affronta il
fantasma perverso e come il soggetto perverso esiste nel desiderio dell'Altro.
L'oggetto del fantasma nella perversione tenta di fare esistere l'oggetto
immaginario dello stadio dello specchio. Più avanti Lacan riprenderà la
questione della perversione in modo diverso, insistendo sulla consistenza
logica dell'oggetto a, facendo altri riferimenti al godimento.
Nel modo in cui ne parla Lacan in questo capitolo, il
fantasma è mobile: non bisogna credere che lasci cadere uno dei suoi elementi,
se lo si sollecita si ricostituisce in modo diverso. Interpretare il fantasma
non è ricondurre il soggetto alla realtà, contrariamente a quello che possono
pensare diversi analisti di altre correnti. Partendo dal presupposto di
ricondurre il soggetto alla realtà, l’effetto è indicare il passaggio all'atto,
quindi è molto pericoloso. Per diversi analisti la realtà deve congiungersi al
fantasma e viceversa, Lacan invece precisa che il posto occupato dal fantasma
richiede una dimensione completamente diversa: richiede una dimensione
dell'essere, scritto con la “e” minuscola per distinguerlo dall'Essere della
filosofia, che più tardi Lacan definirà “essere di godimento”. È piuttosto in
questa dimensione dell'essere che si situa l'interpretazione del desiderio.
Interroghiamo il posto della funzione del fantasma in quanto
è simbolizzato nel rapporto del soggetto. Quest’ultimo è segnato dall'effetto
della parola, si orienta con l'oggetto che non c'è ma gli dona il posto di un
oggetto possibile. Questo è il punto in cui nascerà l'oggetto a.
Ripercorrere la logica con cui Lacan disegna il grafo può
essere utile. Si parte dal soggetto, c'è un tragitto che va verso l'ideale,
tagliato da due catene: in alto quella inconscia e sotto la catena del
discorso, dirla conscia sarebbe un errore perché qui c'è un discorso in cui il
soggetto parla senza sapere cosa dice.
In questo seminario Lacan mostra il tragitto della catena
inconscia soggiacente negli enunciati, quella a cui si mira nella cura,
scandendo e punteggiando il discorso nella seduta analitica. L'analista
interviene nel luogo di a, orientato da quello che Lacan più tardi
chiamerà il desiderio dell'analista, che non è il desiderio di “fare l'analista
quando sarò grande”, ma piuttosto qualcosa sul piano della x, che entra in
gioco e permette, attraverso l'intervento analitico, di passare alla catena
inconscia. Per questo l'analisi è lunga, perché il soggetto torna costantemente
sulla catena del discorso e l'analista interviene ripetutamente con il suo
taglio per riportarlo alla catena inconscia.
Il tragitto della catena significante Lacan lo mostra bene
nella parte superiore del grafo: il soggetto, attraverso l'operazione
d’analisi, è sempre soggetto della domanda che gli permette di accedere al
soggetto dell'Altro barrato, ossia il significante dell'Altro.
Dove c'è la catena del discorso, in basso, si va dal
significante alla voce, in alto invece si va dal godimento alla castrazione
(pp. 433-435).
A partire da questo lavoro necessario per accedere alla
catena inconscia, è importante vedere come Lacan collochi quello che chiama
desiderio nel tragitto che va dall'Altro al soggetto della domanda, e come
finalmente il fantasma si situi in un corto circuito, in quanto è in una
posizione di intersezione. Sullo schema che si trova in questo seminario, Lacan
segna la linea della catena superiore come tratteggiata all'interno del grafo,
e uscendo dopo il taglio continua come linea unita: è tratteggiata perché non è
nell'ordine del discorso. Al livello in basso c'è sempre un tentativo di fare
discorso, di costituirsi come discorso, mentre in alto c'è qualcosa che dà un
effetto di verità attraverso l'intervento analitico.
Lacan parla di due intenzioni: la prima emerge prendendo la
parola, si domanda, si interroga l'Altro sul proprio essere, è quel che si vede
nei bambini quando chiedono “perché?” ripetutamente (i vari “perché esisto?
Perché la terra è rotonda?” sono in realtà questioni sul proprio essere). Anche
se ci si sforza di trovare una risposta al bambino c'è un'altra intenzione,
domanda qualcosa di diversi rispetto a quel che domanda, c'è un al di là della
domanda, ma passa attraverso l'Altro per cercare di trovare una risposta e per
ciò troviamo in questo seminario un soggetto ancora dell'intersoggettività.
Lacan dice che il soggetto è interamente nell'alienazione significante,
un'alienazione rispetto all'articolazione significante del primo stadio.
Tuttavia quando il soggetto sembra puntare a interrogare
l'Altro sul proprio essere, non c'è niente dell'Altro, niente nel significato
dal lato del senso, che garantisca la verità del proprio essere: c'è solo la
buona fede dell'Altro. Qui il fantasma svolge per il soggetto un ruolo di
supporto immaginario.
Questo grafo, in particolare la posizione del fantasma,
introduce a una fenomenologia del taglio, introduce un oggetto che si sostiene
sul piano immaginario e che sostiene il soggetto. Per
Lacan se esistesse un essere di puro soggetto si situerebbe al livello del
significante della mancanza dell'Altro, e in fondo il soggetto trova la propria
designazione, che non è il proprio riconoscimento, nel tragitto che va fino
all'ideale, tra l'ideale dell'Altro e S(%),
retroattivamente.
Credo possa essere d’aiuto un caso clinico che ho presentato
a PIPOL 7, titolato: Flore, qualcuno che era vittima della propria carne.
Si tratta di una giovane donna che arriva in seduta con i capelli lunghi e
calati davanti agli occhi, appare molto giovane, anzi quasi senza età; piange
angosciata, depressa, o quanto meno si mostra così. Per quattro sedute di
seguito non fa altro che piangere, poi inizia a parlare e dice che ha un buon
lavoro, è architetto, ha un fidanzato comprensivo, «sono come una bambina»:
viene da me perché da un anno e mezzo non ha più alcun desiderio sessuale, con
il suo compagno ha una relazione da 5 anni e lei ha 28 anni. Quattro sedute
molto difficili e poi una confessione: «non ho l'utero, [è una sindrome che,
ndr] viene da mia madre, sono una bambina». La mancanza d'utero è una sindrome
reale che è classificata come sindrome di Rokitansky. Con mio stupore vengo a
sapere della mancanza di questo organo lo stesso giorno in cui compie 28 anni,
pur dimostrandone 15 di meno. Questa mancanza d'utero venne scoperta a 18 mesi
tramite un'ecografia. Mi sono interessata molto a questa ecografia, che la
madre conserva nascosta in un armadio. In questa ragazza c'è una mancanza reale
di quest'organo, lei è identificata con una bambina, è fissata su
quest'assenza. Ho pensato che fosse importante tirarla fuori da questa
identificazione: le ho detto, cercando di alleggerire, «va bene… è un corpo
particolare, ma cosa dice il ginecologo?» e lei mi ha risposto «non ne ho mai
visto uno, è congenito e viene da mia madre» e io le ho detto «d'accordo, viene
da sua madre, ma ha fatto delle scelte amorose, ha una vita sessuale» e lei
ribatte «si, ma è come se non esistesse, ho per l'appunto trovato un uomo che
non vuole avere figli». A quel punto mi sono mostrata come innervosita, per
modo di dire, e le ho detto «vada a vedere il dott. Tal dei tali, uno che
conosco, e gli parli un po' di questo corpo». Le ho dato il bigliettino da
visita e lei se ne è andata.
A breve ho chiamato il ginecologo, che è psicoanaliticamente orientato
senza saperlo, e gli ho detto «le faccia un'ecografia, che non sia quella della
madre» per tirarla fuori dall'identificazione con la bambina. Lei non ha un
utero e quindi si sente di non essere una donna, ma è una costruzione che si è
fatta lei: con questa sindrome è difficile avere dei bambini, ma non
impossibile e infatti ci sono poi state delle sorprese.
In attesa dell'incontro con il medico continuava a svalutarsi
in seduta: «sono un architetto senza idee, mi faccio licenziare». Diceva che
nella sua scuola di architettura, a 18 anni, aveva il desiderio di costruire
dei luoghi eccezionali per artisti, ma «non so dove siano andate a finire le
mie idee e la mia eccitazione»: a quel punto aveva fatto un lungo silenzio per
poi riprendere: «vorrei andare a Londra, adoro quella città, adoro quella
lingua». Questa donna si è esiliata quando ha iniziato a fare coppia con il
partner, prima era particolarmente vivace, poi ha preso l'abitus della bambina
senza desiderio, ha la intima convinzione che le serva un utero per essere una
donna fatta e finita, “una donna moderna” come dice lei.
Parla del suo compagno: «non avrò mai bambini, mi lascia fare, lui è molto gentile», quindi intervengo in
modo piuttosto sostenuto «allora l'amerebbe soltanto per pietà?».
Successivamente va dal medico, torna e dice «è stato molto
gentile, mi sono sentita accolta». Il medico ha fatto una nuova ecografia con
l'obiettivo di appoggiarsi a un'immagine che sia la sua, e soprattutto per mettere
delle parole sull’assenza di quest'organo. Finalmente questo medico le da
un'immagine e anche un certo sapere su questa sindrome, perché queste sindromi
vaginali-uterine sono molto diverse da donna a donna.
Avevo notato che nel momento in cui aveva detto che il medico
era stato molto gentile era come se i suoi capelli si fossero ravvivati, si era
risvegliata, così le avevo chiesto «Ma allora, come è fatto questo corpo?», e
lei: «non lo sa? Ho le ovaie!». Quindi scopriamo che in questa sindrome non c'è
l'utero ma possono esserci le ovaie, e lei aggiunge «ho delle ovaie, penso che
questo mi basti». Questo annuncio ha un effetto spettacolare su Flora e il suo
desiderio. Sembra aver trovato la sicurezza che le mancava: avere delle ovaie
le permette di essere come donna. Inoltre 4/5 anni prima, in Svezia c'era stato
il primo trapianto d'utero: in questi casi si fa un trapianto d'utero per avere
un bambino e poi lo si toglie.
Al «lei può avere dei bambini» del medico risponde quindi un
risveglio del desiderio, questa donna si sente viva e desiderante, pronta a
tutto in nome di queste sue voglie, cosa che trovo interessante ma anche
inquietante. Lei dice «non so cosa mi succede, ma il mio desiderio è senza
fine» e aggiunge «riflettendoci, non sono poi così sicura di volere avere dei
bambini». Oggi la seguo ancora, lei ha ripreso il suo lavoro d'architetto e
passa 15 giorni a Londra e 15 in Francia, e sta rifacendo tutto il quartiere di
Bloomsbury a Londra, un quartiere abbandonato che sta ricostruendo per fare delle
case per artisti.
Questo caso clinico è per mostrare come a partire dal
fantasma (l’essere una bambina), l'appello all'Altro (il ginecologo in questo
caso) ha permesso, attraverso l'Immaginario (la sua ecografia, diversa da
quella della madre), che il desiderio fosse sostenuto, anzi rilanciato.
Trascrizione: Martina Lanza
Revisione: Alberto Tuccio
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