mercoledì 9 gennaio 2019

Seminario fondamentale Istituto Freudiano di Milano del 1 dicembre 2018. Docente invitato: Philippe De Georges


Testo di riferimento: Il seminario VI, Il desiderio e la sua interpretazione, Capitoli XIII, XIV, XV.
Su un sogno analizzato da Ella Sharpe


Non si fa un Amleto senza rompere delle uova. (1)



I. Contesto e posta in gioco.

Lacan segue la via che lo separa dall’orientamento dell’IPA e della Psicologia dell’Io che al suo interno va per la maggiore. Egli si oppone allo scivolamento della pratica analitica verso una forma di psicoterapia adattativa, mirante a normalizzare il soggetto a vantaggio dell’esigenze sociali. Questa deriva posa sulla tesi di un Io autonomo, capace di raggiungere un’armonia tra la soddisfazione delle pulsioni e le istanze della società. Il conflitto intrapsichico tra l’Es e il Super-io espressione degli imperativi morali può condurre ad un accordo vincitore-vincitore. Ciò suppone, da un lato, la moderazione delle esigenze superegoiche, un Super-io democratico e liberale sul modello del padre edipico (che si accontenta di proibire la madre e si offre come modello di un’identificazione pacificata) e dall’altro la pacificazione della pulsione attraverso la maturazione della libido.
Per Lacan questa impostazione è una deviazione dal messaggio freudiano e, in questo seminario, lavora per reintrodurre la prospettiva del desiderio che è per sua essenza sovversivo: «la verità del desiderio è di per se stessa un’offesa all’autorità della Legge». Da qui la censura di questa verità (2). Si delinea già il filo conduttore che porterà nel seminario dell’anno successivo a prendere la figura di Antigone come esempio di ciò che vuol dire "non cedere sul proprio desiderio". Questo avverrà mediante un mezzo, la trasgressione delle leggi della città, e comporterà un prezzo da pagare: la doppia morte. Un’analisi centrata sul desiderio inconscio del soggetto va nella direzione non dell’adattamento, ma dell’emancipazione.
Questo seminario si inscrive nel periodo dell’insegnamento di Lacan in cui segue “passo passo” il testo di Freud, traducendolo però con i propri significanti. Da qui il concetto di desiderio – in quegli anni ne aveva anche costruito il grafo –, che non appartiene al vocabolario freudiano. Freud parla in effetti di Wunsch (die Wunsche al plurale), cioè di augurio, di speranza e si fa promotore di questo termine soprattutto riguardo alla posta in gioco inconscia del sogno, nell’Interpretazione dei sogni. Tuttavia il suo apparato teorico mette piuttosto in risalto i concetti di pulsione e di libido. Il termine desiderio, preso dal linguaggio corrente, proviene dalla filosofia, da Spinoza innanzitutto che nella sua Etica afferma: «il desiderio è l’essenza dell’essere» e lo descrive come una potenza continua che spinge l’uomo a perseverare nell’affermazione di sé e nella sua esistenza. Il termine è anche valorizzato da Hegel, in quel periodo ancora uno dei punti di riferimento di Lacan, per il quale si tratta soprattutto, nella dialettica del padrone e dello schiavo, del "desiderio di riconoscimento". Così la categoria del desiderio rientra nell’istanza del simbolico, nel registro significante, mentre i concetti freudiani di pulsione e di libido si radicano nel godimento. Da qui una lettura possibile del titolo del seminario: il desiderio è la sua interpretazione.
Prima del capitolo XIII Lacan ha studiato dei casi della letteratura analitica, tra i quali un caso dell’eccellente Ella Sharpe, cercando di individuarvi il desiderio inconscio dei soggetti e la sua interpretazione nell’analisi. Da quel capitolo iniziano invece ciò che J-A. Miller ha chiamato Sette lezioni su Amleto.
Amleto non è un “vero” soggetto, è un personaggio di fantasia e per l’esattezza una invenzione letteraria di Shakespeare. Il fatto di precisarlo evita di cercare di fare una diagnosi di struttura e di tentare di classificarlo dal lato dell’isteria, della nevrosi ossessiva o di uno stato ciclotimico.
La lettura che propone Lacan ruota intorno alle nozioni tratte dalla dottrina analitica, delle quali egli problematizza e precisa o modifica l’utilizzo.  Così il termine “oggetto” attraversa questo seminario come oggetto del desiderio. L’accento è messo sui suoi spostamenti e sulla sua sostituzione metonimica nello scivolamento del desiderio.  L’altro termine che fa da perno è quello di fallo.
Il testo permette di seguire il percorso del ragionamento di Lacan, il suo avanzamento di seduta in seduta. Questo percorso ruota intorno all’invenzione dell’oggetto piccolo a nelle sue differenti forme, al posto centrale che ricopre nell’economia desiderante e al rapporto del soggetto con la vita. Tutto ciò è anche strettamente legato alla formulazione del fantasma fondamentale che sarà per parecchi anni l’ultima parola dell’elaborazione lacaniana relativa all’esperienza dell’analisi e dei suoi fini.

II. Capitolo XIII.
Lacan riparte dal caso di Ella Sharpe che illustra «la relazione tra il soggetto e l’oggetto più o meno feticcio». Il soggetto rifiuta la castrazione dell’Altro e vuole conservare il fallo della madre, questo fallo che viene al posto dell’identificazione primitiva con lei. Così nel transfert è Ella Sharpe stessa al posto del fallo idealizzato. La questione che s’impone rispetto al fallo allora è di esserlo, posizione femminile, o di averlo, posizione maschile?
Lacan trova l’eco della frase-chiave della pièce teatrale dell’Amleto: essere o non essere. Ciò che risuona è però “essere o non essere il iallo” piuttosto di “esistere o non esistere”. Lacan fa notare che già in un testo fondante della psicoanalisi qual è l’Interpretazione dei sogni, Freud considera Amleto importante tanto quanto Edipo per l’elaborazione del complesso di castrazione. Dal momento in cui ha introdotto il personaggio di Edipo e il complesso che ne deriva, Freud dice che il sogno mostra la realizzazione dei desideri inconsci (Wunschphantasie). Nel dramma di Amleto, i suoi desideri appaiono respinti e si manifestano soltanto attraverso la loro inibizione. Questa inibizione non è dell’ordine del dubbio, ma della sospensione indefinita dell’atto che Amleto sa di dover compiere e che il fantasma di suo padre gli ha comandato. Freud propone un’interpretazione di ciò che causa questa inibizione e parla di «tradurre in termini coscienti ciò che dimora inconscio nell’anima dell’eroe». Colui che egli deve uccidere, suo zio assassino di suo padre e doppiamente usurpatore [del trono del padre di Amleto e di Amleto stesso che avrebbe dovuto succedergli, ndr], ha in effetti realizzato il suo desiderio infantile, ossia scacciare il padre e prendere il suo posto presso la madre. Quanto al dibattito incessante che sembra trattenere Amleto, Freud lo qualifica come “scrupoli coscienti”. Per Freud, l’eroe teatrale esprime senza dubbio i sentimenti personali di W. Shakespeare che ha appena perso suo padre; tra l’altro Freud quando scrive l’Interpretazione dei sogni si trova nella medesima contingenza.
L’opera si apre con ciò che avviene dopo la morte del re, un sovrano ammirabile e padre ideale: egli si è sentito mordere da un serpente in un frutteto. La regina, madre di Amleto, sposa in fretta Claudio, suo cognato, che ha dunque scacciato Amleto dal trono e preso il posto del re. È allora che appare il Ghost, il fantasma del padre morto. Egli rivela a suo figlio il tradimento di cui è stato vittima e l’attentato che ha subito: gli è stato versato del veleno nell’orecchio durante il sonno. Il re sa di essere morto, secondo il desiderio di suo fratello Claudio, che voleva prendere il suo posto. Egli sa ciò che tutti ignorano, compreso Amleto in questo momento, al contrario di Freud che non sapeva la verità del suo essere e agiva in modo inconscio. Notiamo che questa frase, «il re sa di essere morto secondo il desiderio di suo fratello», fa pensare ad un sogno di Freud, raccontato da costui nella sua Interpretazione dei sogni: «il padre non sapeva di essere morto, secondo il suo desiderio».
Claudio è così al tempo stesso il rivale edipico di Amleto, poiché egli è al posto del padre come re e come congiunto di sua madre e doppio di Amleto, perché ha realizzato il suo desiderio infantile. Tutto convergerebbe nel legittimare l’atto di Amleto: l’impostura, il tradimento, la rivalità eppure il compimento di questo atto è sorprendentemente inibito. Dunque qualcosa non funziona nel desiderio di Amleto: è qui che Lacan riprende la scrittura del grafo che sta costruendo, inserendo il matema del fantasma e l’oggetto a, interrogandosi sul fantasma inconscio di Amleto.
Il fantasma inconscio è diverso dal rapporto di Amleto con il suo oggetto conscio che, invece, concerne lo statuto di Ofelia e fa di quest’opera teatrale il dramma del desiderio e del posto in esso dell’oggetto femminile.
Lacan qualifica la morte di Ofelia come “suicidio ambiguo”. Ciò che emerge è l’orrore della femminilità espresso da Amleto, che si traduce acutamente nei discorsi che egli fa tanto ad Ofelia quanto a sua madre sulla degradazione e corruzione inevitabile della carne. La procrastinazione dell’eroe, che manifesta la sua inibizione, non è in nessun modo – ci dice Lacan – un dubbio (come nell’ossessivo). La sua motivazione non è edipica – Lacan si allontana qui da Freud – poiché la rivolta contro il padre è un atto creatore. L’inibizione di Amleto deriva dalla confessione che ha fatto suo padre: egli «è stato sorpreso (dalla morte) nel fiore del suo peccato». Essere ed agire sarebbe dunque prendere su di sé questo posto, che è quello del peccato dell’Altro, del peccato non pagato. Da qui la domanda relativa a sapere come trovare i modi per «ricongiungersi al suo atto».
Alla fine, in modo precipitoso, Amleto riesce ad uccidere Claudio, non senza però aver ucciso prima il suo amico Laerte, non senza che sua madre si sia avvelenata e che egli stesso si sia ferito a morte da solo… avviene dunque una “rettifica del desiderio”. Ciò che mancava all’agire è stato improvvisamente ritrovato.

III. Capitolo XIV.
Lacan fa riferimento, tra gli altri, agli scritti di Ernest Jones su Amleto, che nel 1910 s’interrogava sul significato dell’oggetto femminile e sul mistero di Amleto. Jones non ha ripreso la spiegazione, largamente ammessa e formulata da Goethe, secondo la quale è un eccesso di pensiero che paralizza l’atto di Amleto, poiché, in effetti, Amleto non formula dubbi sull’atto che deve sostenere. Per Jones è il compimento dell’atto che ripugna il principe e il motivo non è da ricercare nei ragionamenti dell’eroe, ma è un motivo inconscio.
Lacan sostiene che quest’opera teatrale non sia rappresentabile in francese, non ne ha mai vista una buona interpretazione e non ne conosce neppure una buona traduzione. Il motivo è che il testo inglese è incisivo, violento, stupefacente, moderno. Ciascuno si riconosce nel personaggio e in come il desiderio dell’uomo resti intrappolato in uno specchietto per allodole, desiderio organizzato dall’Edipo e dalla castrazione. Sin dall’inizio della tragedia si coglie come Amleto sia preso da una sensazione di tradimento davanti al decadimento morale di sua madre e ai preparativi per le nozze: tutto accade dopo soli due mesi dalla morte del re, senza lavoro del lutto, con un uomo così mediocre in confronto al padre.  Si tratta, per lui, di fermare lo scandalo della regina e Lacan sottolinea qui il nodo della faccenda tale quale si rivela nelle parole del fantasma: l’essenziale non è tanto la questione dell’assassino quanto il desiderio fuori controllo della madre.
Risulta sorprendente la cosiddetta play scene: Amleto fa in modo di far recitare ad alcuni attori di passaggio una scena di omicidio e di tradimento, modificando un po’ lo scenario così da renderlo analogo al dramma che vive. È il teatro nel teatro, come si dice il sogno nel sogno, la finzione nella finzione che è l’opera di Shakespeare. In questo modo, secondo Lacan, Amleto cerca di liberare la struttura della verità, la quale per lui ha una “struttura di finzione”. È per questo che, spesso, non c’è miglior modo di approcciare la verità che passando per l’invenzione artistica o letteraria. In questa scena Amleto mostra agli occhi di tutti e di Claudio stesso il tradimento criminale di cui suo padre è stato vittima. Claudio che lo comprende meglio di tutti e fa interrompere lo spettacolo nel quale si dice l’insopportabile del suo atto.
È allora che Amleto è convocato dalla sua inquieta madre: «Oh Amleto, non parlare più!». Essi s’incontrano e tutti e due si amano, ma il figlio vuole ottenere dalla regina la rottura con Claudio. In quel momento il fantasma del padre riappare, ma solo ad Amleto, ammonendolo dall’essere troppo irruento con la madre – tant’è che la regina domanda ad Amleto se la ucciderà –, lo invita a porsi «tra lei e la sua anima che combatte». Si tratta di intervenire nel punto in cui il soggetto è diviso e Lacan approfitta dell’occasione per dirci che è esattamente lì che lo psicanalista deve agire. Qui Amleto rinuncia ancora e lascia sua madre alla deriva del suo desiderio.
Amleto si trova in seguito davanti alla tomba di Ofelia che è morta a causa del suo amore ferito e del rifiuto radicale di cui è stata vittima nel suo essere di donna e nel suo rapporto carnale con la trasmissione della vita. Lui che l’ha maltrattata sino ad ora, s’identifica massicciamente alla disperazione espressa da Laerte, fratello di Ofelia, che si è precipitato sulla tomba scoperchiata ed urla la sua disperazione. Anche Amleto urla e si lancia nella fossa dove i due si affrontano a duello. Quando esce grida: «Sono io, Amleto il Danese!»: ha dunque ritrovato la sua identità difettosa, la sua posizione di soggetto, nel momento in cui ritrova, attraverso l’identificazione ad un suo simile, il suo desiderio svanito. Egli lo ritrova dimostrando che “il desiderio è il desiderio dell’Altro” poiché egli è, in questo momento, soggetto confrontato all’oggetto del suo desiderio, oggetto perduto e fallo morto. È questo rigurgito di vita che precipiterà l’azione e gli permetterà infine di andare incontro al suo destino. Il desiderio ha fatto ritorno: era ciò che mancava dunque alla realizzazione dell’atto decisivo.

IV. Capitolo XV.
In questo capitolo Lacan ricorda ciò che è il fondamento del desiderio del soggetto, in ogni caso per lui in quell’epoca: il desiderio della madre. È un passo in più: non si tratta soltanto di dire che il mio desiderio si costituisce attraverso l’identificazione con il desiderio dell’Altro, che io desidero l’oggetto del suo desiderio, si tratta di sostenere che il mio desiderio è causato dal desiderio nel quale sono stato preso. Sono stato l’oggetto del desiderio di mia madre e se questo manca, il desiderio del soggetto è privato del suo fondamento.
Preso nel desiderio materno, ma non del tutto! Poiché la madre ha desiderato anche un altrove, ha desiderato altra cosa rispetto a suo figlio, che è il suo prodotto. Ella è al tempo stesso madre e donna ed è il dramma del bambino, diviso tra la donna e la madre. Così tutte le donne sono delle puttane come mia madre (e non tranne lei, che sarebbe una santa) poiché ella desidera qualcuno o qualcosa d’altro, che è il suo partner nel godimento. L’insulto ha di mira la donna nella madre e il fatto che quella sia non tutta, che abbia un desiderio proprio da cui il bambino è escluso. Questo insulto si radica in ciò che Freud definisce «roccia della castrazione» (3) per gli uomini come per le donne: Ablehnung der Weiblichkeit, il rifiuto della femminilità. È per questo che Amleto tocca ciascuno di noi, in un modo oscuro, al livello del proprio inconscio, come le diverse versioni del mito di Edipo, e i due eroi sono elevati da Lacan al rango di mito, allo stesso titolo del Faust di Goethe. Il mito, cioè «ciò che dà forma epica alla struttura». Struttura del soggetto umano e articolazione di quest’ultimo al suo desiderio.
Nel suo svolgimento, l’opera teatrale mostra l’inibizione del desiderio di Amleto e la sospensione della sua volontà. È, come il riferimento classico all’Edipo suggerisce, il desiderio per la madre ad essere in causa e ad essere respinto nell’inconscio? Lacan afferma che è, al contrario, il desiderio della madre, quello che ella sperimenta, ad essere messo in causa. La doppia significazione dell’espressione “desiderio della madre” è familiare, a seconda che si prenda la formula nella forma del genitivo soggettivo o oggettivo. Ciò che Amleto attacca e denuncia è “ciò che vuole una donna” che è sua madre, in questa scena detta della “camera da letto”, in cui egli cerca di ferirla e di accentuare la sua divisione. «Tu mi hai spezzato il cuore in due», dice, quando lui la offende nella sua dignità. Poi Amleto desiste.
Da qui la domanda che pone allora Lacan: che cosa vuole veramente il soggetto, al di là di ciò che egli domanda all’Altro e di ciò che l’Altro gli domanda? Il desiderio del soggetto è sfuggente. È una x per lui stesso, ma questa x conosce una regolazione, un punto di fissità che è la formula del fantasma. Lacan dirà altrove che il fantasma «dà la sua cornice» al desiderio. Di fronte a sua madre, Amleto s’indirizza a lei senza appoggiarsi sulla sua propria volontà: le parla in nome del padre, del quale porta il messaggio. S’indirizza, al di là della madre, al codice, cioè, al tempo stesso, alla decenza e alla legge. Il desiderio non sostiene Amleto perché, come dice Lacan, «egli non ha più alcun desiderio», avendo respinto Ofelia. Amleto è il portavoce del padre, il suo sostegno e il suo luogotenente, svuotato di qualsiasi sostanza personale e non incontra al posto dell’Altro che la risposta della madre: «Sono quella che sono, con me non c’è niente da fare. Sono carnale, non conosco il lutto».
Al contrario, ciò che permette ad Amleto, davanti alla tomba di Ofelia, di ritrovare il supporto della sua verità è il lutto, alla fine possibile, dell’oggetto. Vedere Laerte esprimere la sua disperazione ristabilisce d’un colpo Ofelia come causa del desiderio, un desiderio infine rianimato. Egli può allora…battersi ed uccidere!

V. La chiave.
La chiave di Amleto non è nel dubbio: non ce n’è. La sua procrastinazione non è quella dell’ossessivo. Egli sa che deve uccidere Claudio e perché deve farlo. La chiave è lo svanire del suo desiderio che lo coglie nel fondamento vitale necessario all’azione.  È ciò che significa in fondo “essere o non essere”, esistere o non esistere. Ciò concerne l’essere del vivente, il desiderio e la vita. È un’eco del Mè Phunai espresso da Edipo a Colono, al termine del suo percorso. Perché il desiderio è, in fondo, desiderio di vivere ed è ciò che viene a mancare ad Amleto. La causa di questa flessione non è nell’assassinio da commettere, né in un’ambivalenza nei confronti di Claudio: è nel suo rapporto con l’oggetto femminile, con la madre in quanto donna, con il suo decadimento morale e con il suo tradimento che fa vacillare, per contaminazione, il suo rapporto desiderante nei confronti di Ofelia. Quest’ultima è sminuita e rifiutata a causa della cattiva condotta della donna che è la madre, la quale conduce al rifiuto della femminilità nel corpo dell’Altro. Ofelia è colpita nella sua femminilità corporea e nella sua potenziale capacità di trasmettere la vita.



Note


(1). Lacan Jacques, Le séminaire, Livre VI, Le désir et son interprétation, Editions De La Martinière et le Champ freudien, 2013, p. 400
(2). Ivi, p. 95
(3). S. Freud, Analisi terminabile e interminabile, in Opere. Vol. 11. L’uomo Mosè e la religione monoteistica e altri scritti. 1930-1938, Bollati Boringhieri, Torino, 2012.


Traduzione: Stefania De Sanctis
Revisione testo: Alberto Tuccio

Nessun commento:

Posta un commento