Testo di riferimento: Il seminario VI, Il desiderio e la
sua interpretazione , Capitoli XIII,
XIV, XV.
Su un
sogno analizzato da Ella Sharpe
Non si fa un Amleto
senza rompere delle uova. (1)
I. Contesto e
posta in gioco.
Lacan
segue la via che lo separa dall’orientamento dell’IPA e della Psicologia
dell’Io che al suo interno va per la maggiore. Egli si oppone allo scivolamento
della pratica analitica verso una forma di psicoterapia adattativa, mirante a
normalizzare il soggetto a vantaggio dell’esigenze sociali. Questa deriva posa
sulla tesi di un Io autonomo, capace di raggiungere un’armonia tra la
soddisfazione delle pulsioni e le istanze della società. Il conflitto
intrapsichico tra l’Es e il Super-io espressione degli imperativi morali può
condurre ad un accordo vincitore-vincitore. Ciò suppone, da un lato, la
moderazione delle esigenze superegoiche, un Super-io democratico e liberale sul
modello del padre edipico (che si accontenta di proibire la madre e si offre
come modello di un’identificazione pacificata) e dall’altro la pacificazione
della pulsione attraverso la maturazione della libido.
Per
Lacan questa impostazione è una deviazione dal messaggio freudiano e, in questo
seminario, lavora per reintrodurre la prospettiva del desiderio che è per sua
essenza sovversivo: «la verità del desiderio è di per se stessa un’offesa
all’autorità della Legge». Da qui la censura di questa verità (2). Si delinea
già il filo conduttore che porterà nel seminario dell’anno successivo a
prendere la figura di Antigone come esempio di ciò che vuol dire "non
cedere sul proprio desiderio". Questo avverrà mediante un mezzo, la
trasgressione delle leggi della città, e comporterà un prezzo da pagare: la
doppia morte. Un’analisi centrata sul desiderio inconscio del soggetto va nella
direzione non dell’adattamento, ma dell’emancipazione.
Questo
seminario si inscrive nel periodo dell’insegnamento di Lacan in cui segue “passo
passo” il testo di Freud, traducendolo però con i propri significanti. Da qui
il concetto di desiderio – in quegli
anni ne aveva anche costruito il grafo –, che non appartiene al vocabolario freudiano.
Freud parla in effetti di Wunsch (die Wunsche al plurale), cioè di augurio, di
speranza e si fa promotore di questo termine soprattutto riguardo alla posta in
gioco inconscia del sogno, nell’Interpretazione
dei sogni. Tuttavia il suo apparato teorico mette piuttosto in risalto i
concetti di pulsione e di libido. Il termine desiderio, preso dal linguaggio
corrente, proviene dalla filosofia, da Spinoza innanzitutto che nella sua Etica afferma: «il desiderio è l’essenza
dell’essere» e lo descrive come una potenza continua che spinge l’uomo a
perseverare nell’affermazione di sé e nella sua esistenza. Il termine è anche valorizzato
da Hegel, in quel periodo ancora uno dei punti di riferimento di Lacan, per il
quale si tratta soprattutto, nella dialettica del padrone e dello schiavo, del
"desiderio di riconoscimento". Così la categoria del desiderio rientra
nell’istanza del simbolico, nel registro significante, mentre i concetti
freudiani di pulsione e di libido si radicano nel godimento. Da qui una lettura
possibile del titolo del seminario: il desiderio è la sua interpretazione.
Prima
del capitolo XIII Lacan ha studiato dei casi della letteratura analitica, tra i
quali un caso dell’eccellente Ella Sharpe, cercando di individuarvi il
desiderio inconscio dei soggetti e la sua interpretazione nell’analisi. Da quel
capitolo iniziano invece ciò che J-A. Miller ha chiamato Sette lezioni su Amleto.
Amleto
non è un “vero” soggetto, è un personaggio di fantasia e per l’esattezza una
invenzione letteraria di Shakespeare. Il fatto di precisarlo evita di cercare
di fare una diagnosi di struttura e di tentare di classificarlo dal lato
dell’isteria, della nevrosi ossessiva o di uno stato ciclotimico.
La
lettura che propone Lacan ruota intorno alle nozioni tratte dalla dottrina
analitica, delle quali egli problematizza e precisa o modifica l’utilizzo. Così il termine “oggetto” attraversa questo
seminario come oggetto del desiderio.
L’accento è messo sui suoi spostamenti e sulla sua sostituzione metonimica
nello scivolamento del desiderio.
L’altro termine che fa da perno è quello di fallo.
Il
testo permette di seguire il percorso del ragionamento di Lacan, il suo
avanzamento di seduta in seduta. Questo percorso ruota intorno all’invenzione
dell’oggetto piccolo a nelle sue
differenti forme, al posto centrale che ricopre nell’economia desiderante e al
rapporto del soggetto con la vita. Tutto ciò è anche strettamente legato alla
formulazione del fantasma fondamentale
che sarà per parecchi anni l’ultima parola dell’elaborazione lacaniana relativa
all’esperienza dell’analisi e dei suoi fini.
II. Capitolo XIII.
Lacan
riparte dal caso di Ella Sharpe che illustra «la relazione tra il soggetto e
l’oggetto più o meno feticcio». Il soggetto rifiuta la castrazione dell’Altro e
vuole conservare il fallo della madre, questo fallo che viene al posto
dell’identificazione primitiva con lei. Così nel transfert è Ella Sharpe stessa
al posto del fallo idealizzato. La questione che s’impone rispetto al fallo
allora è di esserlo, posizione femminile, o di averlo, posizione maschile?
Lacan
trova l’eco della frase-chiave della pièce teatrale dell’Amleto: essere o non essere. Ciò che risuona è
però “essere o non essere il iallo” piuttosto di “esistere o non esistere”. Lacan
fa notare che già in un testo fondante della psicoanalisi qual è l’Interpretazione dei sogni, Freud
considera Amleto importante tanto quanto Edipo per l’elaborazione del complesso
di castrazione. Dal momento in cui ha introdotto il personaggio di Edipo e il
complesso che ne deriva, Freud dice che il sogno mostra la realizzazione dei
desideri inconsci (Wunschphantasie). Nel dramma di Amleto, i suoi desideri
appaiono respinti e si manifestano soltanto attraverso la loro inibizione. Questa
inibizione non è dell’ordine del dubbio, ma della sospensione indefinita
dell’atto che Amleto sa di dover compiere e che il fantasma di suo padre gli ha
comandato. Freud propone un’interpretazione di ciò che causa questa inibizione
e parla di «tradurre in termini coscienti ciò che dimora inconscio nell’anima
dell’eroe». Colui che egli deve uccidere, suo zio assassino di suo padre e
doppiamente usurpatore [del trono del padre di Amleto e di Amleto stesso che
avrebbe dovuto succedergli, ndr], ha in effetti realizzato il suo desiderio
infantile, ossia scacciare il padre e prendere il suo posto presso la madre. Quanto
al dibattito incessante che sembra trattenere Amleto, Freud lo qualifica come
“scrupoli coscienti”. Per Freud, l’eroe teatrale esprime senza dubbio i
sentimenti personali di W. Shakespeare che ha appena perso suo padre; tra
l’altro Freud quando scrive l’Interpretazione
dei sogni si trova nella medesima contingenza.
L’opera
si apre con ciò che avviene dopo la morte del re, un sovrano ammirabile e padre
ideale: egli si è sentito mordere da un serpente in un frutteto. La regina,
madre di Amleto, sposa in fretta Claudio, suo cognato, che ha dunque scacciato
Amleto dal trono e preso il posto del re. È allora che appare il Ghost, il
fantasma del padre morto. Egli rivela a suo figlio il tradimento di cui è stato
vittima e l’attentato che ha subito: gli è stato versato del veleno
nell’orecchio durante il sonno. Il re sa di essere morto, secondo il desiderio
di suo fratello Claudio, che voleva prendere il suo posto. Egli sa ciò che
tutti ignorano, compreso Amleto in questo momento, al contrario di Freud che
non sapeva la verità del suo essere e agiva in modo inconscio. Notiamo che
questa frase, «il re sa di essere morto secondo il desiderio di suo fratello»,
fa pensare ad un sogno di Freud, raccontato da costui nella sua Interpretazione dei sogni: «il padre non
sapeva di essere morto, secondo il suo desiderio».
Claudio
è così al tempo stesso il rivale edipico di Amleto, poiché egli è al posto del
padre come re e come congiunto di sua madre e doppio di Amleto, perché ha
realizzato il suo desiderio infantile. Tutto convergerebbe nel legittimare
l’atto di Amleto: l’impostura, il tradimento, la rivalità eppure il compimento
di questo atto è sorprendentemente inibito. Dunque qualcosa non funziona nel
desiderio di Amleto: è qui che Lacan riprende la scrittura del grafo che sta
costruendo, inserendo il matema del fantasma e l’oggetto a, interrogandosi sul fantasma inconscio di Amleto.
Il
fantasma inconscio è diverso dal rapporto di Amleto con il suo oggetto conscio
che, invece, concerne lo statuto di Ofelia e fa di quest’opera teatrale il
dramma del desiderio e del posto in esso dell’oggetto femminile.
Lacan
qualifica la morte di Ofelia come “suicidio ambiguo”. Ciò che emerge è l’orrore
della femminilità espresso da Amleto, che si traduce acutamente nei discorsi
che egli fa tanto ad Ofelia quanto a sua madre sulla degradazione e corruzione
inevitabile della carne. La procrastinazione dell’eroe, che manifesta la sua
inibizione, non è in nessun modo – ci dice Lacan – un dubbio (come
nell’ossessivo). La sua motivazione non è edipica – Lacan si allontana qui da
Freud – poiché la rivolta contro il padre è un atto creatore. L’inibizione di
Amleto deriva dalla confessione che ha fatto suo padre: egli «è stato sorpreso
(dalla morte) nel fiore del suo peccato». Essere ed agire sarebbe dunque
prendere su di sé questo posto, che è quello del peccato dell’Altro, del peccato
non pagato. Da qui la domanda relativa a sapere come trovare i modi per «ricongiungersi
al suo atto».
Alla
fine, in modo precipitoso, Amleto riesce ad uccidere Claudio, non senza però aver
ucciso prima il suo amico Laerte, non senza che sua madre si sia avvelenata e
che egli stesso si sia ferito a morte da solo… avviene dunque una “rettifica
del desiderio”. Ciò che mancava all’agire è stato improvvisamente ritrovato.
III. Capitolo XIV.
Lacan
fa riferimento, tra gli altri, agli scritti di Ernest Jones su Amleto, che nel
1910 s’interrogava sul significato dell’oggetto femminile e sul mistero di
Amleto. Jones non ha ripreso la spiegazione, largamente ammessa e formulata da
Goethe, secondo la quale è un eccesso di pensiero che paralizza l’atto di Amleto,
poiché, in effetti, Amleto non formula dubbi sull’atto che deve sostenere. Per
Jones è il compimento dell’atto che ripugna il principe e il motivo non è da
ricercare nei ragionamenti dell’eroe, ma è un motivo inconscio.
Lacan
sostiene che quest’opera teatrale non sia rappresentabile in francese, non ne
ha mai vista una buona interpretazione e non ne conosce neppure una buona
traduzione. Il motivo è che il testo inglese è incisivo, violento,
stupefacente, moderno. Ciascuno si riconosce nel personaggio e in come il
desiderio dell’uomo resti intrappolato in uno specchietto per allodole,
desiderio organizzato dall’Edipo e dalla castrazione. Sin dall’inizio della
tragedia si coglie come Amleto sia preso da una sensazione di tradimento
davanti al decadimento morale di sua madre e ai preparativi per le nozze: tutto
accade dopo soli due mesi dalla morte del re, senza lavoro del lutto, con un
uomo così mediocre in confronto al padre.
Si tratta, per lui, di fermare lo scandalo della regina e Lacan
sottolinea qui il nodo della faccenda tale quale si rivela nelle parole del
fantasma: l’essenziale non è tanto la questione dell’assassino quanto il
desiderio fuori controllo della madre.
Risulta
sorprendente la cosiddetta play scene:
Amleto fa in modo di far recitare ad alcuni attori di passaggio una scena di
omicidio e di tradimento, modificando un po’ lo scenario così da renderlo
analogo al dramma che vive. È il teatro nel teatro, come si dice il sogno nel
sogno, la finzione nella finzione che è l’opera di Shakespeare. In questo modo,
secondo Lacan, Amleto cerca di liberare la struttura della verità, la quale per
lui ha una “struttura di finzione”. È per questo che, spesso, non c’è miglior
modo di approcciare la verità che passando per l’invenzione artistica o
letteraria. In questa scena Amleto mostra agli occhi di tutti e di Claudio
stesso il tradimento criminale di cui suo padre è stato vittima. Claudio che lo
comprende meglio di tutti e fa interrompere lo spettacolo nel quale si dice
l’insopportabile del suo atto.
È
allora che Amleto è convocato dalla sua inquieta madre: «Oh Amleto, non parlare
più!». Essi s’incontrano e tutti e due si amano, ma il figlio vuole ottenere
dalla regina la rottura con Claudio. In quel momento il fantasma del padre
riappare, ma solo ad Amleto, ammonendolo dall’essere troppo irruento con la
madre – tant’è che la regina domanda ad Amleto se la ucciderà –, lo invita a porsi
«tra lei e la sua anima che combatte». Si tratta di intervenire nel punto in
cui il soggetto è diviso e Lacan approfitta dell’occasione per dirci che è esattamente
lì che lo psicanalista deve agire. Qui Amleto rinuncia ancora e lascia sua
madre alla deriva del suo desiderio.
Amleto
si trova in seguito davanti alla tomba di Ofelia che è morta a causa del suo
amore ferito e del rifiuto radicale di cui è stata vittima nel suo essere di donna
e nel suo rapporto carnale con la trasmissione della vita. Lui che l’ha
maltrattata sino ad ora, s’identifica massicciamente alla disperazione espressa
da Laerte, fratello di Ofelia, che si è precipitato sulla tomba scoperchiata ed
urla la sua disperazione. Anche Amleto urla e si lancia nella fossa dove i due si
affrontano a duello. Quando esce grida: «Sono io, Amleto il Danese!»: ha dunque
ritrovato la sua identità difettosa, la sua posizione di soggetto, nel momento
in cui ritrova, attraverso l’identificazione ad un suo simile, il suo desiderio
svanito. Egli lo ritrova dimostrando che “il desiderio è il desiderio
dell’Altro” poiché egli è, in questo momento, soggetto confrontato all’oggetto
del suo desiderio, oggetto perduto e fallo morto. È questo rigurgito di vita
che precipiterà l’azione e gli permetterà infine di andare incontro al suo
destino. Il desiderio ha fatto ritorno: era ciò che mancava dunque alla
realizzazione dell’atto decisivo.
IV. Capitolo XV.
In
questo capitolo Lacan ricorda ciò che è il fondamento del desiderio del
soggetto, in ogni caso per lui in quell’epoca: il desiderio della madre. È un
passo in più: non si tratta soltanto di dire che il mio desiderio si
costituisce attraverso l’identificazione con il desiderio dell’Altro, che io
desidero l’oggetto del suo desiderio, si tratta di sostenere che il mio
desiderio è causato dal desiderio nel
quale sono stato preso. Sono stato l’oggetto del desiderio di mia madre e se
questo manca, il desiderio del soggetto è privato del suo fondamento.
Preso
nel desiderio materno, ma non del tutto! Poiché la madre ha desiderato anche un
altrove, ha desiderato altra cosa rispetto a suo figlio, che è il suo prodotto.
Ella è al tempo stesso madre e donna ed è il dramma del bambino, diviso tra la
donna e la madre. Così tutte le donne sono delle puttane come mia madre (e non
tranne lei, che sarebbe una santa) poiché ella desidera qualcuno o qualcosa
d’altro, che è il suo partner nel godimento. L’insulto ha di mira la donna
nella madre e il fatto che quella sia non
tutta, che abbia un desiderio proprio da cui il bambino è escluso. Questo
insulto si radica in ciò che Freud definisce «roccia della castrazione» (3) per
gli uomini come per le donne: Ablehnung der Weiblichkeit, il rifiuto
della femminilità. È per questo che Amleto tocca ciascuno di noi, in un modo
oscuro, al livello del proprio inconscio, come le diverse versioni del mito di
Edipo, e i due eroi sono elevati da Lacan al rango di mito, allo stesso titolo
del Faust di Goethe. Il mito, cioè «ciò
che dà forma epica alla struttura». Struttura del soggetto umano e
articolazione di quest’ultimo al suo desiderio.
Nel
suo svolgimento, l’opera teatrale mostra l’inibizione del desiderio di Amleto e
la sospensione della sua volontà. È, come il riferimento classico all’Edipo
suggerisce, il desiderio per la madre
ad essere in causa e ad essere respinto nell’inconscio? Lacan afferma che è, al
contrario, il desiderio della madre,
quello che ella sperimenta, ad essere messo in causa. La doppia significazione
dell’espressione “desiderio della madre” è familiare, a seconda che si prenda
la formula nella forma del genitivo soggettivo o oggettivo. Ciò che Amleto
attacca e denuncia è “ciò che vuole una donna” che è sua madre, in questa scena
detta della “camera da letto”, in cui egli cerca di ferirla e di accentuare la
sua divisione. «Tu mi hai spezzato il cuore in due», dice, quando lui la
offende nella sua dignità. Poi Amleto desiste.
Da
qui la domanda che pone allora Lacan: che cosa vuole veramente il soggetto, al
di là di ciò che egli domanda all’Altro e di ciò che l’Altro gli domanda? Il
desiderio del soggetto è sfuggente. È una x
per lui stesso, ma questa x
conosce una regolazione, un punto di fissità che è la formula del fantasma.
Lacan dirà altrove che il fantasma «dà la sua cornice» al desiderio. Di fronte
a sua madre, Amleto s’indirizza a lei senza appoggiarsi sulla sua propria
volontà: le parla in nome del padre, del quale porta il messaggio. S’indirizza,
al di là della madre, al codice, cioè, al tempo stesso, alla decenza e alla
legge. Il desiderio non sostiene Amleto perché, come dice Lacan, «egli non ha
più alcun desiderio», avendo respinto Ofelia. Amleto è il portavoce del padre,
il suo sostegno e il suo luogotenente, svuotato di qualsiasi sostanza personale
e non incontra al posto dell’Altro che la risposta della madre: «Sono quella
che sono, con me non c’è niente da fare. Sono carnale, non conosco il lutto».
Al
contrario, ciò che permette ad Amleto, davanti alla tomba di Ofelia, di
ritrovare il supporto della sua verità è il lutto, alla fine possibile,
dell’oggetto. Vedere Laerte esprimere la sua disperazione ristabilisce d’un
colpo Ofelia come causa del desiderio, un desiderio infine rianimato. Egli può
allora…battersi ed uccidere!
V. La chiave.
La
chiave di Amleto non è nel dubbio: non ce n’è. La sua procrastinazione non è
quella dell’ossessivo. Egli sa che deve uccidere Claudio e perché deve farlo.
La chiave è lo svanire del suo desiderio che lo coglie nel fondamento vitale
necessario all’azione. È ciò che
significa in fondo “essere o non essere”, esistere o non esistere. Ciò concerne
l’essere del vivente, il desiderio e la vita. È un’eco del Mè Phunai espresso da Edipo a Colono, al termine del
suo percorso. Perché il desiderio è, in fondo, desiderio di vivere ed è ciò che
viene a mancare ad Amleto. La causa di questa flessione non è nell’assassinio
da commettere, né in un’ambivalenza nei confronti di Claudio: è nel suo
rapporto con l’oggetto femminile, con la madre in quanto donna, con il suo
decadimento morale e con il suo tradimento che fa vacillare, per contaminazione,
il suo rapporto desiderante nei confronti di Ofelia. Quest’ultima è sminuita e
rifiutata a causa della cattiva condotta della donna che è la madre, la quale
conduce al rifiuto della femminilità nel corpo dell’Altro. Ofelia è colpita
nella sua femminilità corporea e nella sua potenziale capacità di trasmettere
la vita.
Note
(1). Lacan Jacques, Le
séminaire, Livre VI, Le désir et son interprétation, Editions De La
Martinière et le Champ freudien, 2013, p. 400
(2). Ivi, p. 95
(3). S. Freud, Analisi
terminabile e interminabile, in Opere.
Vol. 11. L’uomo Mosè e la religione monoteistica e altri scritti. 1930-1938,
Bollati Boringhieri, Torino, 2012.
Traduzione:
Stefania De Sanctis
Revisione
testo: Alberto Tuccio
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